IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 
                      PER LA REGIONE SICILIANA 
    Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  in  appello
portante il n. 587/2007 R.G., proposto da Ministero  della  giustizia
in persona del Ministro pro tempore, Commissione centrale  per  esami
di avvocato sessione 2005 presso  il  Ministero  della  giustizia  in
persona del Presidente pro tempore, Commissione per esame di avvocato
sessione 2005 presso la Corte di appello di L'Aquila in  persona  del
Presidente pro tempore e Commissione per esame avvocato sessione 2005
presso la Corte di appello di Catania in persona del  Presidente  pro
tempore, rappresentati e difesi  dall'Avvocatura  distrettuale  dello
Stato presso i cui uffici in Palermo, via Alcide De Gasperi  81  sono
per legge domiciliati; 
    Contro Calanna Graziano, rappresentato e difeso dall'avv.  Pietro
De Luca e per legge domiciliato in Palermo presso  la  segreteria  di
questo C.G.A.; per l'annullamento della sentenza del  T.a.r.  per  la
Sicilia, sezione staccata di Catania sezione IV n. 2045/2006  del  28
ottobre 2006 che ha dichiarato  l'obbligo  per  l'amministrazione  di
valutare ex novo gli elaborati scritti; 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Calanna Graziano; 
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Udito il relatore Consigliere Antonino Corsaro e  udito  altresi'
alla pubblica udienza del 12 dicembre  2007  l'avv.  dello  Stato  La
Rocca per le  parti  appellanti  e  l'avv.  S.  Cittadino  su  delega
dell'avv. P. De Luca per l'appellato; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: 
                              F a t t o 
    Con ricorso portante il n. 2567/2006, Calanna Graziano  adiva  il
t.a.r. Catania per chiedere l'annullamento, previa  sospensione,  del
provvedimento di non ammissione  alla  prova  orale  degli  esami  di
avvocato, sessione 2005, e  di  ogni  atto  presupposto,  connesso  e
consequenziale. 
    Il T.a.r. Catania, riteneva il ricorso fondato sotto  il  profilo
del dedotto difetto di motivazione e con  sentenza  n.  2045/2006  lo
accoglieva, con conseguente rinnovazione del  giudizio  impugnato  da
parte di diversa sottocommissione e con adeguata motivazione. 
    In esecuzione  della  sentenza,  la  Commissione  procedeva  alla
ricorrezione degli elaborati, ammettendo il Calanna alle prove  orali
e dopo  il  superamento  di  queste,  in  data  16  maggio  2007,  lo
dichiarava idoneo. In data 5 giugno  2007  veniva  iscritto  all'Albo
degli avvocati, senza riserva. 
    Il  Ministero  della  giustizia  ha  proposto   appello,   previa
sospensione dell'efficacia, avverso  la  sentenza  n.  2045/2006  del
T.a.r. Catania,  e  questo  Consiglio,  con  ordinanza  n.  611/2007,
accoglieva la domanda di sospensione dell'efficacia  della  sentenza,
apparendo fondato l'appello dell'amministrazione. 
    Il Ministero della giustizia  deduce  che  ha  errato  il  T.a.r.
Catania  a  ritenere  con  la  sentenza  impugnata  il   difetto   di
motivazione, con conseguente rinnovazione del giudizio  impugnato  da
parte di diversa sottocommissione e con adeguata motivazione. 
    L'affermazione del T.a.r. che  la  giurisprudenza  amministrativa
avrebbe omesso di considerare che la  valutazione  di  una  prova  ha
natura  composita:   costituisce   l'espressione   di   un   giudizio
tecnico-discrezionale, che si esaurisce nell'ambito del  procedimento
concorsuale, allorche' tale giudizio e' positivo, di  modo  che  puo'
essere  resa  con  un  semplice   voto   numerico;   costituisce   un
provvedimento amministrativo quando  viene  attribuito  un  punteggio
insufficiente e quindi  la  necessita'  della  motivazione  ai  sensi
dell'art. 3 della legge n. 241/1990, secondo  l'appellante  non  puo'
essere condivisa, essendo sufficiente  la  preventiva  determinazione
dei  criteri  di  massima,  come   affermato   dalla   giurisprudenza
dominante. La commissione aveva fissato tali criteri con nota del  19
dicembre 2005 e ne aveva curato la diffusione. 
    Si costituisce  l'appellato  con  memoria  del  29  maggio  2007,
deducendo, l'improcedibilita' del ricorso in appello per: 
        1) cessazione della materia del contendere. 
    Invoca il comma 2-bis del decreto-legge n.  115/2005,  nel  testo
aggiunto dalla legge di conversione n. 168/2005, ai sensi  del  quale
avrebbe  legittimamente  conseguito  l'abilitazione  professionale  a
seguito del provvedimento giurisdizionale, ed afferma che comunque, a
seguito della sentenza del T.a.r. Catania,  ha  visto  rivalutate  le
prove scritte ed ha superato la prova  orale  e  pertanto  chiede  di
dichiarare  la  improcedibilita'   del   ricorso   per   sopravvenuta
cessazione della materia del contendere nella fase del merito; 
        2) Acquiescenza. 
    Afferma la sopravvenuta carenza di interesse,  ritenendo  che  la
Commissione non  si  fosse  limitata  a  dare  mera  esecuzione  alla
sentenza del T.a.r., ovvero, non si fosse limitata alla  rinnovazione
del giudizio impugnato, da parte di diversa  sottocommissione  e  con
adeguata motivazione, come statuito dal provvedimento  impugnato,  ma
avrebbe proceduto alla nuova  valutazione  positiva  degli  elaborati
scritti, e poi ammesso il Calanna alle prove orali, superate le quali
e' stato dichiarato idoneo. 
    Conseguentemente,  il  T.a.r.  Catania   ha   ritenuto   che   la
Commissione non si era limitata ad eseguire la  pronunzia  cautelare,
ma era andata oltre il dictum del giudice,  avendo  il  provvedimento
autonomamente assunto, carattere provvedimentale  e  definitivo.  Con
tale  operato  la  Commissione  avrebbe  riaperto  autonomamente   il
provvedimento,  avrebbe  adottato  atti  autonomi  e  definitivi  che
renderebbero privo di interesse il giudizio sugli atti adottati. 
    Secondo l'appellato cio' ha  determinato  l'improcedibilita'  del
ricorso per sopravvenuta acquiescenza, essendo venuto  a  mancare  il
presupposto per la pronuncia nel merito del giudizio. 
    Con memoria depositata il 12 luglio 2007 ribadisce l'infondatezza
dell'appello e richiama il comma 2-bis del decreto-legge n. 115/2005,
nel testo aggiunto dalla legge di conversione n. 168/2005,  ai  sensi
del   quale   avrebbe   legittimamente   conseguito    l'abilitazione
professionale a seguito del provvedimento giurisdizionale, ed afferma
che comunque ha visto rivalutate le prove scritte ed ha  superato  la
prova orale e pertanto chiede di dichiarare improcedibile il  ricorso
per cessazione della materia del contendere, sopravvenuta carenza  di
interesse, per acquiescenza e comunque rigettarlo  perche'  infondato
sia in fatto che in diritto. 
                            D i r i t t o 
    1. - Si premette che questo  Consiglio,  gia'  con  ordinanza  28
luglio 2006, n.  479,  aveva  sollevato  «questione  di  legittimita'
costituzionale del comma  2-bis  dell'art.  4  del  decreto-legge  30
giugno 2005, n. 115,  convertito,  con  modificazioni,  in  legge  17
agosto 2005, n. 168, per la violazione degli artt. 3,  24,  25,  101,
secondo comma, 104, primo comma, 111, secondo comma e 113». 
    Senonche'  la  Corte   costituzionale   -   per   una   specifica
peculiarita' di quel ricorso - con ordinanza 20 luglio 2007, n.  312,
ha dichiarato  «la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale» per irrilevanza nel giudizio a  quo,  in
quanto «il  giudice  remittente  non  e'  chiamato  ad  applicare  la
disposizione censurata». 
    Giova sinteticamente ricordare quale fosse la peculiare  vicenda,
tralasciata dall'ordinanza  di  rimessione,  che  rendeva  (solo)  in
quello specifico caso irrilevante la questione proposta. 
    La vicenda processuale cautelare - che traeva origine da un  caso
di c.d. turismo cautelare (o forum shopping), in cui  un  ricorso  di
competenza del T.a.r. per la Sicilia, sezione staccata di Catania era
stato trattato, in sospensiva, da quello  per  la  Calabria,  sezione
staccata  di  Reggio  Calabria  -  si  era  svolta,  in  quel   caso,
anteriormente  all'entrata  in  vigore  del  cit.  decreto-legge   n.
115/2005. 
    Con ordinanza 16 luglio 2003, n. 442, il T.a.r. per  la  Calabria
aveva ordinato la ricorrezione  delle  prove  scritte  dell'esame  di
abilitazione svolto dal ricorrente, che solo  in  esito  a  cio'  era
riuscito a superare la prova. 
    Tuttavia, tale  ordinanza  cautelare  era  stata  successivamente
annullata dal Consiglio di Stato, con l'ordinanza 18  novembre  2003,
n. 5106. 
    Va rilevato che l'esito di quel giudizio cautelare non  si  baso'
sul citato art. 4, comma 2-bis, non ancora vigente: esso, altrimenti,
a prove medio tempore superate, avrebbe precluso in radice la riforma
dell'ordinanza cautelare, impedendone la  cognizione  al  giudice  di
ultimo grado. 
    La pronuncia cautelare di appello - in assenza di una  norma  che
imponesse di dichiarare la cessazione della  materia  del  contendere
quale effetto della concessione di un provvedimento cautelare e della
sua (obbligatoria) esecuzione - in totale riforma  dell'ordinanza  di
primo grado aveva dunque respinto l'istanza cautelare del ricorrente,
altresi' dichiarando la «conseguente caducazione di tutti  gli  atti»
adottati in esecuzione della ordinanza del T.a.r.  Calabria,  sezione
staccata di Reggio Calabria. 
    Come e' stato Osservato dalla citata ordinanza della Corte  cost.
n. 312 del 2007, l'integrale riforma in appello «ha fatto venir  meno
gli effetti prodotti da tali atti  e,  cioe',  il  superamento  delle
prove scritte, l'ammissione del  candidato  alla  prova  orale  e  il
superamento di questa». 
    Percio', in quello specifico caso,  la  Corte  costituzionale  ha
constatato che «la situazione che si prospetta al giudice  a  quo  e'
quella, precedente all'ordinanza cautelare  del  T.a.r.  Calabria  16
luglio 2003, nella quale il  candidato  e'  stato  escluso,  dopo  la
valutazione delle prove scritte, dall'ammissione alla  prova  orale»;
sicche', «in presenza di tale situazione, il giudice  remittente  non
e' chiamato ad applicare la disposizione  censurata,  atteso  che  la
caducazione  dell'ordinanza  del  T.a.r.  Calabria  16  luglio  2003,
nonche' degli atti  ad  essa  conseguenti  e  dei  loro  effetti,  ha
cancellato  i  presupposti  (la  rivalutazione  delle  prove  scritte
effettuata dalla Commissione d'esame, la  successiva  ammissione  del
candidato  alla  prova  orale  e  il  superamento  di   questa)   per
l'applicazione della disposizione censurata». 
    2. - In presenza di una ben diversa situazione processuale  -  in
cui vi e' stata una sentenza di accoglimento  del  ricorso  di  primo
grado, con la conseguente esecuzione che ha  condotto  all'iscrizione
dell'appellato nell'albo degli avvocati nel corso del  secondo  grado
del giudizio, il Collegio ritiene di dover affermare la rilevanza  di
una questione di costituzionalita' sostanzialmente  corrispondente  a
quella  che   e'   stata   dichiarata   inammissibile   dalla   Corte
Costituzionale. 
    Infatti, ove si faccia applicazione  del  citato  art.  4,  comma
2-bis, del decreto-legge  n.  115/2005  (per  l'avvenuto  superamento
delle prove d'esame, disposto in sede di  esecuzione  della  sentenza
gravata), sarebbe improcedibile ex lege lo stesso atto di appello. 
    Infatti,  il  ricorrente   che   abbia   beneficiato   dell'esito
favorevole della ricorrezione si  sottrarrebbe  -  proprio  in  forza
della  norma  di  legge  della  cui  legittimita'  costituzionale  il
Collegio dubita - a qualsiasi verifica, anche in sede  di  cognizione
piena, della legittimita' della sentenza di  primo  grado  che  abbia
dato origine (altresi' prescrivendone le modalita', che  resterebbero
parimenti escluse  da  ogni  vaglio)  alla  ripetizione  delle  prove
d'esame. 
    Sicche'  viene   paradossalmente   preclusa   alle   parti   ogni
possibilita' di ottenere in grado di appello una pronuncia di  merito
(tale non  essendo  una  sentenza  di  improcedibilita'  dell'appello
proposto dalle Amministrazioni  soccombenti  in  primo  grado)  sulla
legittimita', o meno, dell'ordine  di  ripetere  la  valutazione  (e,
dunque, di quella ripetuta); nonche', in ultima analisi, sulla stessa
legittimita', o meno, degli  atti  amministrativi  impugnati  con  il
ricorso di primo grado. 
    Sul relativo giudizio cade, infatti, la mannaia  di  una  cessata
materia del contendere (o di una improcedibilita') imposta per legge,
peraltro in presenza di circostanze del tutto estrinseche rispetto  a
quella piena verifica della legittimita'  degli  atti  impugnati  che
costituisce l'oggetto essenziale del giudizio amministrativo ed a cui
le parti (ossia ciascuna di esse) hanno parimenti diritto  secondo  i
principi costituzionali (di cui appresso) di pieno e  libero  accesso
alla tutela giurisdizionale (e al  relativo  esito),  di  parita'  di
posizione formale e  sostanziale,  di  eguale  trattamento  dei  casi
uguali  e  di  trattamento  ragionevolmente  diffenziato  di   quelli
diversi, espressi dagli artt. 3, 24, 25, 101, 104,  111,  113  e  125
della Costituzione. 
    Nel successivo sottoparagrafo, si ripropone tutto quello che  era
gia' stato esposto da questo Consiglio nella cit. ord.  n.  479/2006;
si ritiene che in cio' si possa ravvisare tuttora  una  molteplicita'
di argomenti a sostegno dell'eccezione di legittimita' costituzionale
sollevata con la presente ordinanza, concorrenti con quelle ulteriori
di cui si dira' oltre. 
    2.1. - «La cessazione della materia del  contendere  puo'  essere
dichiarata solo quando l'amministrazione annulli o riformi, in  senso
conforme all'interesse del ricorrente,  il  provvedimento  da  questi
impugnato (C.d.s., sez. IV, 23 settembre 2004, n. 6225 e  19  ottobre
2004, n. 6747), mentre l'improcedibilita' per sopravvenuta carenza di
interesse puo' derivare, o da un mutamento della situazione di  fatto
o di diritto presente al momento della presentazione del ricorso, che
faccia venire meno  l'effetto  logico  del  provvedimento  impugnato,
ovvero  dall'adozione,   da   parte   dell'amministrazione,   di   un
provvedimento, che, idoneo a ridefinire l'assetto degli interessi  in
gioco, pur senza avere alcun effetto satisfattivo nei  confronti  del
ricorrente, sia tale da rendere certa e definitiva l'inutilita' della
sentenza (C.d.s., sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4397)». 
    «Il giudice amministrativo  ha  sospeso  in  sede  cautelare  gli
effetti del provvedimento e conseguentemente  la  Commissione  si  e'
adeguata  al  contenuto  dell'ordinanza  cautelare,  procedendo  alla
rivalutazione». 
    «L'atto  conseguenziale,  con  cui  l'amministrazione   ha   dato
esecuzione   all'ordinanza   di   sospensione   degli   effetti   del
provvedimento, non comporta la revoca  del  precedente  provvedimento
sospeso ed ha una rilevanza provvisoria, in attesa che la sentenza di
merito accerti se il provvedimento sospeso sia o meno legittimo». 
    «Non  pare  quindi  possa  configurarsi  l'improcedibilita'   del
ricorso o la cessazione della materia del contendere». 
    «Gli  atti  adottati  dalla   Commissione   per   sostituire   il
provvedimento, non esprimono acquiescenza alla decisione  del  T.a.r.
Reggio Calabria,  avendo,  il  Ministero  della  giustizia,  proposto
gravame innanzi il Consiglio di Stato». 
    «L'efficacia di tali atti dovrebbe, quindi, venire meno nel  caso
di eventuale riforma della decisione di  primo  grado  all'esito  del
giudizio di merito». 
    «La giurisprudenza ritiene che non  importa  acquiescenza  l'aver
dato esecuzione, anche spontanea, ad una sentenza esecutiva (C.C.  20
agosto 2004, n. 16460; C.d.s., sez. VI, 24 settembre 2004, n. 6249)». 
    «Atteso l'obbligo di conformarsi, l'esecuzione di  una  ordinanza
cautelare di tipo propulsivo non costituisce attivita' di  autotutela
(annullamento o  ritiro  del  provvedimento  impugnato)  e  non  puo'
comportare il venir meno della res litigiosa (C.d.s., sez.  IV,  ord.
21 novembre 2003, nn. 7630 e 7634; C.d.s., 6 maggio 2004, n. 2797)». 
    «La rinnovata valutazione di  una  prova  d'esame  a  seguito  di
ordinanza cautelare  non  puo'  produrre  altro  effetto  che  quello
provvisorio di impedire il protrarsi della lesione  lamentata  e  che
ogni  ulteriore  effetto  a  carattere  definitivo  cui   aspira   il
ricorrente non puo' che  conseguire  dalla  pronuncia  definitiva  di
merito, passata  in  giudicato,  che  elimini  del  tutto  dal  mondo
giuridico il provvedimento impugnato». 
    «Trattasi di provvedimento destinato a venire meno in virtu'  del
c.d. effetto espansivo esterno della riforma della sentenza,  di  cui
al secondo comma dell'art. 336 c.p.c., espressione di un principio di
carattere generale anche del processo amministrativo (Corte cost.  22
aprile 1991, n. 175)». 
    «Nel caso in esame, non puo' sussistere dubbio alcuno, a  parere,
del Collegio, sulla esatta  qualificazione  degli  atti  sopravvenuti
come determinazioni meramente esecutive del  provvedimento  cautelare
del Giudice di  primo  grado,  che  non  rivestono  autonoma  valenza
sostanziale e non  appaiono  denotati  da  caratteri  tali  da  poter
condurre a considerare le rinnovate valutazioni  dell'Amministrazione
come un  quid  pluris  rispetto  alla  doverosa  esecuzione  in  sede
cautelare del provvedimento medesimo anche esso cautelare». 
    «Ai fini in esame e' ininfluente la circostanza  che,  a  seguito
dell'esito positivo della rinnovata valutazione, l'appellato sia  poi
stato  ammesso  alle  prove  orali  e  che,  superatele,  abbia   poi
conseguito l'idoneita». 
    «Invero che la misura cautelare, non configura comunque  mai  una
radicale consumazione del potere amministrativo». 
    «E' vero che a seguito della pronuncia cautelare  possono  essere
posti in essere dalla  p.a.  anche  ulteriori  atti  che  hanno  come
presupposto logico e giuridico il  nuovo  provvedimento  adottato  in
esecuzione dell'ordinanza cautelare adottata in primo grado  (C.d.s.,
A.P. n. 3/2003), che, temporaneamente, tiene luogo della  valutazione
positiva mancata e incide anche sulla efficacia  dell'atto  impugnato
di produrre effetti giuridici (CC., s.u., 24 giugno 2004, n.  11750),
ma e' altresi' vero che l'effetto caducante dell'eventuale  decisione
di riforma in appello si estende comunque a tutti gli ulteriori  atti
adottati  dall'Amministrazione  a  seguito  della  sostituzione   del
provvedimento annullato in primo grado». 
    «Occorre inoltre considerare che nella  specie  l'amministrazione
non ha rinunciato al  ricorso  ed  ha  proposto  appello  perche'  ha
ritenuto di dovere tutelare la  par  condicio  degli  esaminandi  che
nella sua  valutazione  sarebbe  stata  illegittimamente  violata  se
alcuni  candidati  venissero  sottoposti   a   diverso   trattamento,
venissero sottratti alla propria commissione naturale, ed ottenessero
una dilazione di tempi». 
    «La richiesta improcedibilita' per cessazione della  materia  del
contendere o per sopravvenuta carenza di interesse pertanto non  puo'
essere accolta, di fronte alla chiara  volonta'  dell'amministrazione
di pervenire alla decisione nel merito». 
    «In definitiva, va escluso che in primo grado  potesse  ritenersi
sopravvenuta la cessazione della materia del contendere tra le parti,
o che in questo grado di giudizio  possa  ritenersi  sussistente  una
qualche carenza di interesse del Ministero appellante alla  decisione
dell'appello. Va  percio'  accolto  il  motivo  di  appello,  rivolto
avverso la statuizione di cessazione  della  materia  del  contendere
recata  dalla  sentenza  impugnata  e  respinte   le   eccezioni   di
improcedibilita'  o  inammissibilita'  dell'appello  per  carenza  di
interesse». 
    «L'appellato ... contesta le ragioni poste a base dell'avversario
appello  e  eccepisce,  in  particolare,  la  improcedibilita'  dello
stesso, per  il  sopravvenire  del  d.l.  30  giugno  2005,  n.  115,
convertito, con modificazioni,  in  legge  17  agosto  2005,  n.  168
(Disposizioni urgenti per  assicurare  la  funzionalita'  di  settori
della pubblica  amministrazione),  che  all'art.  4  (Elezioni  degli
organi degli  ordini  professionali  e  disposizioni  in  materia  di
abilitazione e di titolo professionale) cosi' statuisce: ...  «2-bis.
Conseguono ad ogni effetto l'abilitazione professionale o  il  titolo
per il quale concorrono i  candidati,  in  possesso  dei  titoli  per
partecipare al concorso,  che  abbiano  superato  le  prove  d'esame,
scritte ed orali previste  dal  bando,  anche  se  l'ammissione  alle
medesime  o  la  ripetizione  della  valutazione   da   parte   della
commissione  sia   stata   operata   a   seguito   di   provvedimenti
giurisdizionali o di autotutela». 
    «Questo  collegio  ritiene  di  dover  sollevare  d'ufficio   ...
questione di legittimita' costituzionale del comma 2-bis dell'art.  4
del d.l. 30 giugno 2005, n. 115, convertito,  con  modificazioni,  in
legge 17 agosto 2005, n. 168, per la violazione degli  artt.  3,  24,
25, 101 comma 2, 104, primo comma, 111, secondo comma e 113». 
    ... «La norma introduce ...  una  sostanziale  equiparazione  tra
giudizio  di  merito  e  giudizio   cautelare,   principio   peraltro
assolutamente estraneo al  giudizio  amministrativo,  come  a  quello
civile e penale. Peraltro di fronte alla  lettera  della  norma,  non
sarebbe  possibile  ricercare  altra  possibile   diversa   soluzione
conforme a Costituzione. Non sembra cioe' possibile fare  ricorso  ai
poteri interpretativi che la legge riconosce, specie in  un  contesto
in cui, oltre alla ratio legis di consolidare comunque l'esito  delle
prove, si appalesa univoca  alla  lettura  la  frase  ''provvedimenti
giurisdizionali''. Infine, data la novita' della  norma,  neppure  si
possono ipotizzare problemi  di  scelta  fra  contrastanti  indirizzi
giurisprudenziali allo stato inesistenti». 
    ...  «Va  quindi   sollevata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sotto i seguenti profili: 
    1. - Violazione dell'art. 3 Cost. (principio di eguaglianza)». 
    «Con legge cost. 23  novembre  1999,  n.  2,  e'  stato  inserito
nell'art. 111 della Costituzione, il principio del  giusto  processo,
stabilendo che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo
regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra
le parti, in condizioni di parita', davanti  a  un  giudice  terzo  e
imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata»». 
    «La norma tutela i diritti della persona  umana  e  definisce  il
giudice come  un  organo  del  processo,  inteso  come  strumento  di
giustizia.  Infatti,  le  parti  hanno  il  diritto  di  agire  e  di
difendersi in ogni stato e grado del giudizio, il giudice deve essere
terzo e imparziale e deve giudicare nel contraddittorio delle  parti,
che non e', come si era pensato, una componente  del  diritto  (delle
parti) alla  difesa,  ma  un  limite  al  potere  del  giudice,  piu'
precisamente, uno ''strumento operativo del giudice''. La garanzia e'
data dal processo, che deve essere ''giusto'' e deve  comprendere  le
impugnazioni». 
    «Viene quindi  in  rilievo  il  pari  interesse  della  parte  ad
ottenerne il controllo di effettiva rispondenza allo schema legale di
riferimento, ad evitare che, ove il  provvedimento  sia  in  concreto
adottato in difformita' da detto schema, si abbia una ingiustificata,
e non altrimenti rimediabile, violazione  dell'iter  processuale:  la
misura cautelare, strumentale ad un'azione di merito avente  un  mero
contenuto nella norma, se  avulsa  dal  giudizio  stesso  di  merito,
comporta la violazione del principio di eguaglianza e  del  principio
di ragionevolezza (art. 3 Cost.)». 
    «La Corte  costituzionale  ha  affermato  che  e'  manifestamente
infondata   l'eccezione   di   illegittimita'   costituzionale,   per
violazione dell'art. 3  Cost.,  della  inammissibilita'  del  ricorso
straordinario per cassazione, a norma dell'art.  111  Cost.,  avverso
l'ordinanza cautelare, poiche' essa riconosce la  misura  invocata  e
attribuisce a tale ordinanza i  connotati  di  provvisorieta'  e  non
decisorieta' propri del provvedimento cautelare, destinato a  perdere
efficacia a seguito della decisione di merito ed inidoneo a  produrre
effetti; di  diritto  sostanziale  e  processuale  con  autorita'  di
giudicato, proprio per assicurare  una  maggiore  garanzia  a  tutela
degli interessi delle parti (Corte costituzionale, 4 luglio 2002,  n.
312; 6 dicembre 2002, n. 525)». 
    «La norma sospettata di illegittimita',  sicuramente  viola  tali
parametri, ne' e'  stato  previsto,  con  la  disciplina  introdotta,
alcuno strumento di controllo». 
    «Rientrerebbe nel potere discrezionale del  legislatore  valutare
il livello di tutela da attribuire avverso i  provvedimenti  che  non
abbiano la forma di sentenza o che dal loro contenuto non possano  ad
essa essere assimilati per gli effetti di cui all'art. 111 Cost.». 
    «Ne' la questione prospettata pone  problemi  di  interpretazione
del sistema normativo, la cui soluzione  spetti  alla  giurisprudenza
comune, inerendo invero ai principi  di  inviolabilita'  del  diritto
costituzionale alla tutela giudiziaria e di  parita'  spettanti  alle
parti processuali, che sono  riconducibili  agli  artt.  3,  24,  113
Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali». 
    «Al fine di conciliare il carattere accentrato del  controllo  di
costituzionalita' delle leggi con il principio di effettivita'  della
tutela giurisdizionale, non puo' escludersi, quando gli interessi  in
gioco lo richiedano, una forma  limitata  di  controllo  diffuso  che
consenta la concessione del provvedimento  di  sospensione  dell'atto
impugnato, rinviando alla fase di merito, al quale  il  provvedimento
cautelare e' strumentalmente  collegato,  il  controllo  della  Corte
costituzionale con  effetti  erga  omnes  (Corte  costituzionale,  10
maggio 2002, n. 179)». 
    «Infatti, seppur non sussiste alcun vincolo per il legislatore  a
regolarne il rapporto con il giudizio di merito e, in particolare,  a
limitarne  la  liberta'  di  variamente  articolare  il  rapporto  di
strumentalita' dei provvedimenti interinali rispetto  alla  decisione
nel merito, non puo' essere eliminata del tutto». 
    «Ne'  il  diverso  criterio   direttivo   della   rapidita'   del
procedimento cautelare, giustifica l'omogeneita' necessaria a rendere
comparabili le rispettive  discipline  ai  fini  dello  scrutinio  di
legittimita'   costituzionale   in   relazione   al   principio    di
eguaglianza». 
    «La misura cautelare e' provvedimento esecutivo, ma non  acquista
quella particolare stabilita' che deriva dal giudicato e, quindi, non
configura una radicale consumazione  del  potere  amministrativo:  la
teorizzazione di una  consumazione  del  potere  amministrativo  come
conseguenza dell'ordinanza sarebbe logicamente contraddittoria con la
riconosciuta e reciproca influenza tra procedimento  e  processo,  in
quanto farebbe  venir  meno  in  radice  la  stessa  possibilita'  di
orientare,   con   l'ordinanza   cautelare,   una    futura    azione
amministrativa che non sia interamente predeterminata nei contenuti». 
    «Il dovere di tutelare la par condicio degli esaminandi, verrebbe
meno  se  alcuni  candidati  usufruissero  di  diverso   trattamento,
venissero sottratti alla propria commissione naturale, ed ottenessero
una dilazione di tempi, attraverso  la  teorizzazione  degli  effetti
irreversibili dell'ordinanza cautelare, violando cosi' il diritto  di
eguaglianza». 
    «2.  -  Violazione  degli  artt.  24  e  111   cost.   (principio
dell'integrita' e tutela del contraddittorio)». 
    «Deve   essere   assicurato   il   diritto   di   esercitare   il
contraddittorio, in modo da contemperare l'esigenza di celerita'  con
la garanzia dell'effettivita' del contraddittorio,  che  puo'  essere
assicurato solo attraverso lo schema  del  processo  complessivamente
considerato, e  cio'  sia  nei  confronti  delle  parti  presenti  in
giudizio, sia di eventuali terzi controinteressati». 
    «Puo' anche  configurarsi  la  dedotta  violazione  dell'art.  24
Cost., cosi' come dell'art. 111 Cost., in quanto l'applicazione senza
eccezioni della norma, puo'  causare  lesione  all'evocato  principio
della  parita'  delle  parti,  ne  costituisce  coerente  attuazione,
proprio al fine di impedire che il terzo possa trarre vantaggio dalla
scelta di intervenire tardivamente, e dell'art.  3  Cost.,  sotto  il
profilo della irragionevolezza  della  norma  impugnata  rispetto  ai
rimedi approntati dagli art. 274, 344 e 404 c.p.c., giacche' siffatti
rimedi non si sostituiscono ma si aggiungono alla facolta' del  terzo
di tutelare il diritto in via ordinaria e la  radicale  eterogeneita'
di presupposti e di effetti di essi (strutturalmente diversi tra loro
e  rispetto  all'intervento  volontario)   rende   irragionevole   la
disciplina». 
    «Nel caso di procedure a numero chiuso, dato che viene trascurata
la  posizione  di  quei  concorrenti  che,  in  quanto  posposti   al
ricorrente stesso, non trovano posto nel  novero  dei  vincitori  pur
essendo risultati abili, altrettanto chiare non sono  le  conseguenze
processuali di questo ''conseguimento ad ogni effetto'' del titolo  o
dell'abilitazione del candidato che abbia ottenuto, per effetto della
sospensiva,  l'ammissione  con   riserva   alle   prove   concorsuali
successive». 
    «La  Corte  ha  stabilito  che  il  processo  civile,   informato
all'operativita' del principio dispositivo, si svolge su un piano  di
parita' delle parti secondo il principio del contraddittorio e che il
convincimento  del  giudice   subisce   di   regola   la   mediazione
dell'impulso delle parti (Corte costituzionale nn. 326/1997, 51/1998,
e ordinanza n. 356 del 1997)». 
    «Tali principi, ripetutamente  affermati  in  numerose  pronunce,
riguardano  anche  quello  amministrativo  (ordinanze  nn.  126/1998,
304/1998, 168/2000, 220/2000,  167/2001)  e  si  ritiene  che  vadano
confermati anche nel caso in esame, perche'  la  norma  non  solo  li
viola  apertamente,  non  essendovi   identita'   tra   provvedimento
cautelare e processo, ma viene a  mancare  del  tutto  la  cognizione
piena  del  processo  di  merito  e   l'eventuale   possibilita'   di
un'impugnazione, dal momento che il giudice del cautelare giudica  in
un processo non a cognizione piena». 
    «Va ricordato che la Corte costituzionale, con  sentenza  n.  427
del 1999 ha ritenuto infondata la q.l.c. dell'art. 19  commi  2  e  3
d.l. 25 marzo 1997 n. 67, conv. nella legge 23 maggio  1997  n.  135,
nella parte in  cui  dispone  che  il  giudice  amministrativo,  puo'
decidere immediatamente la controversia, ancorche' sia stato chiamato
a  pronunciarsi  su  domanda  cautelare.  In  effetti  l'art.  19  e'
preordinato ad accelerare lo svolgimento dei processi amministrativi,
in vista soprattutto dell'obbiettivo di ridurre  la  durata  a  volte
eccessiva dei provvedimenti  cautelari,  mentre  il  processo  poteva
essere tempestivamente definito. Il giudice e'  tenuto  a  verificare
l'esistenza delle condizioni indefettibili per  l'emanazione  di  una
sentenza o decisione che definiscano  il  giudizio;  tali  condizioni
sono l'integrita' del contraddittorio,  la  completezza  delle  prove
necessarie, gli adempimenti processuali per la tutela del diritto  di
difesa di tutte le  parti.  La  definizione  della  lite  importa  il
superamento della domanda cautelare e postula  un'effettiva  completa
tutela giurisdizionale,  solo  rispettando  le  superiori  condizioni
indefettibili che  rispondono  a  fondamentali  esigenze  di  rilievo
costituzionale». 
    «Ma la norma in sospetto di illegittimita',  pare  introdurre  un
nuovo modello procedimentale di processo che porta ad  una  decisione
con efficacia di giudicato non come esito di un giudizio a cognizione
piena, nascente come variante di un  procedimento  cautelare  e  alla
quale il legislatore ha avuto  cura  di  imporre  il  rispetto  delle
condizioni indefettibili del processo». 
    «Il potere di operare la conversione del rito e' esercitabile  ex
officio,  anche  in  caso  di  mancata  prestazione  dell'assenso   o
addirittura di manifestazione del dissenso delle parti, ovvero ove la
definizione del giudizio sopravvenga prima dei termini  previsti  per
la costituzione in giudizio e per  la  produzione  dei  documenti  da
parte della Amministrazione, ma in presenza dei presupposti: 
        1)  della  fissazione  della  camera  di  consiglio  per   la
decisione della domanda cautelare entro il termine non abbreviato; 
        2) della integrita' del contraddittorio; 3) della completezza
dell'Istruttoria; della audizione  delle  parti  costituite  (C.d.S.,
sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4487; sez. VI, 26 giugno 2001, n. 3463). 
    Nulla di tutto cio' si  verifica  nel  caso  in  specie,  venendo
attribuita valenza di ''giudicato'' ad un provvedimento, nella specie
anche travolto dall'appello cautelare, che resta quindi privato della
sua natura collocazione in un giudizio  finale  a  cognizione  piena.
Sebbene la sentenza n 427 del 1999 non  abbia  riscontrato  dubbi  di
costituzionalita' una volta rispettati i parametri di integrita'  del
contraddittorio, completezza dell'istruttoria e tutti gli adempimenti
a carico delle parti non pare invece che identica affermazione  possa
essere fatta in riferimento alla norma in esame e pare invece possano
sussistere dubbi in ordine  alla  conformita'  di  essa  ai  principi
costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost.,  non  essendo  stato
rispettato ne' l'inserimento in procedimento  comunque  a  cognizione
finale piena ne' assicurato il rispetto dei parametri indicati  dalla
Corte». 
    «La tutela ha il carattere della provvisorieta' dei provvedimenti
cautelari anzi la stessa essenza caratterizza la  efficacia  sino  al
provvedimento  definitivo  (merito),  assicurando   un   assestamento
provvisorio della lite, esaurendo i loro effetti  con  la  emanazione
della sentenza di merito». 
    «Ne deriva che  necessariamente,  attesa  la  strumentalita',  il
thema decidendum del processo cautelare si distingue dal processo  di
merito». 
    «Il ricorrente individua il contenuto del  provvedimento  potendo
anche mancare la collaborazione di tutti i soggetti e attivita' degli
stessi nella costruzione del  processo  inteso  come  rapporto  e  la
valutazione del giudice puo' essere  solo  strumentale  ai  fini  del
cautelare altrimenti si attuerebbe una duplicazione di  giudizio  con
l'anticipazione della fase del merito». 
    «Ed infatti i presupposti tipici della tutela cautelare  sono  il
fumus boni iuris e il  periculum  in  mora.  Il  giudice  accerta  la
probabilita' dell'esistenza del diritto  mentre  la  esistenza  viene
demandata al merito». 
    «Il periculum in mora consiste nella probabilita' del  danno  per
la durata del giudizio di merito, e secondo la  nuova  norma,  venuto
meno  il  giudizio  di   merito   verrebbe   meno   il   presupposto.
Probabilmente viene meno anche il processo,  venuto  meno  il  doppio
binario, non puo'  affermarsi  un  giustizialismo  di  tempestivita',
giustificato da un percorso procedimentale  che  attribuisce  effetti
interinali-definitivi  collegati  agli  atti  del   procedimento   ma
scollegati dal giudicato  che  sicuramente  non  e'  sussumibile  nel
principio costituzionale di giusto processo  (art.  111  Cost.).  Una
giustizia senza giusto processo non porta ad una decisione giusta». 
    «La  pronuncia   estintiva   del   giudizio   richiede   comunque
un'iniziativa di parte; ed in  mancanza,  non  essendo  configurabili
poteri di ufficio in ordine  all'esistenza  dei  requisiti  richiesti
dalla norma». 
    «3.  -   Violazione   dell'art.   25   cost.   (Principio   della
precostituzione del giudice naturale)». 
    «Pare anche attinente il parametro  in  riferimento  all'art.  25
Cost., venendo in rilievo, la questione relativa alla precostituzione
del giudice». 
    «Infatti, il ''giudice  naturale  precostituito  per  legge''  e'
quello competente in base agli ordinari criteri dettati dal codice di
rito, tra i quali vi e' il foro stabilito per accordo delle parti  ai
sensi  dell'art.  28  c.p.c.,  accordo  che  puo'  realizzarsi  anche
successivamente   all'instaurazione   della   lite,    mediante    un
comportamento  concludente,  quale   la   mancata,   intempestiva   o
incompleta proposizione dell'eccezione di incompetenza». 
    «Non  puo'  allora  ritenersi  costituzionalmente   conforme   al
precetto dell'art. 25 Cost la norma dell'art. 38  c.p.c.,  come  vive
nell'interpretazione consolidata della Corte di cassazione, in quanto
rende sufficiente l'accordo di soltanto due delle parti  in  causa  a
radicare  la  competenza  dinanzi  a  un  giudice  che  non   sarebbe
competente in  base  agli  ordinari  criteri.  Se  l'art.  28  c.p.c.
individua come ''giudice precostituito per legge'' anche quello adito
su accordo delle parti, l'unico accordo, preventivo o successivo, non
in contrasto con l'art. 25 cost. e' quello  tra  tutte  le  parti  in
causa». 
    «Se una sola delle parti, o un terzo contro  interessato  subisce
un processo dinanzi a un giudice diverso da quello individuato  dalla
legge,   viene   distolta   dal   ''giudice   naturale''   e    viene
irragionevolmente limitata nel proprio diritto di difesa,  in  quanto
non le e'  consentito  di  esplicare  attivita'  difensiva  volta  ad
ottenere che il processo sia trattato dal giudice competente in  base
agli ordinari criteri, si ha una irragionevolezza della  compressione
delle garanzie previste dagli artt. 24 e 25 Cost.». 
    «Il precetto costituzionale implica che il giudice  debba  essere
precostituito secondo criteri generali ed  astratti  stabiliti  dalla
legge, ma esclude che siffatti criteri possano essere  formulati  dal
legislatore in relazione al contenuto della  domanda  che  la  parte,
nella sua discrezionalita', decida di volta in volta di azionare». 
    «Il principio di precostituzione per legge del giudice  naturale,
di cui all'art. 25, comma 1, cost. non consente  che  la  scelta  del
giudice  resti  rimessa  ad  una  parte;  in  tema  di   riparto   di
giurisdizione  il  principio  del  giudice  naturale,  e'  rispettato
quando, la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere
della controversia». 
    «Nel  caso   di   regolamento   di   competenza,   il   tribunale
amministrativo, ove ritenga  manifestamente  fondata  l'eccezione  di
incompetenza, non puo' accogliere l'istanza cautelare presentata  dal
ricorrente, essendo privo di potestas  decidendi,  essendo  la  causa
trasmigrata davanti al giudice che fin dall'origine era competente in
ordine alla controversia sia per la tutela cautelare, sia per  quella
di merito, competenze che - in linea di principio - devono  ritenersi
intimamente connesse, scindibili  solo  al  fine  di  assicurare  una
tutela interinale immediata e provvisoria, idonea a salvaguardare gli
effetti della futura pronuncia, cautelare o di merito, a seconda  dei
casi (Corte cost., 2 marzo 2005, n. 82)». 
    «4. - Violazione degli artt. 24, 111 e 113 Cost., in  riferimento
all'impugnabilita' e al riesame». 
    «La   norma   non   affronta   neppure   il   delicato   problema
dell'impugnabilita' o del riesame del  provvedimento  giurisdizionale
che sembrerebbe essere inimpugnabile una volta prodotti  gli  effetti
del superamento delle prove». 
    «Si avrebbe una ordinanza sospensiva in  un  giudizio  ancora  in
vita che non e' idonea a costituire il giudicato, ma produce  effetti
definitivi e quindi non e' impugnabile». «Si avrebbe  una  situazione
di immutabilita' definitiva non accompagnata  dal  giudicato  perche'
non effetto di  sentenza  e  quindi  insuscettibile  di  giudizio  di
ottemperanza». 
    «Ed  infatti,  il  giudizio  di  ottemperanza  concerne  sentenze
passate in giudicato, al fine di evitare che l'amministrazione  possa
arbitrariamente  sottrarsi  alle  pronunce   giurisdizionali   (Corte
costituzionale, 25 marzo 2005, n. 122)». 
    «Viene a mancare alle parti la possibilita' del riesame, cioe' la
loro  impugnabilita',  che  sicuramente  lascia   il   dubbio   della
correttezza costituzionale, essendo venuto meno il giudizio di merito
che garantiva l'impugnabilita'  garantito  dall'art.  111  cost.  dal
momento che l'efficacia era  condizionata  alla  instaurazione  della
causa di merito, essa non e' fonte di una  statuizione  definitiva  e
decisoria e, dunque, non e' soggetta  al  ricorso  straordinario  per
cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.». 
    «Ne'   puo'   ritenersi   che   il   legislatore,    nella    sua
discrezionalita',   possa    prevedere    l'impugnabilita',    ovvero
escluderla, senza che tale scelta,  oltre  che  irragionevole,  possa
comportare lesione dell'art.  24  Cost.,  dal  momento  che  da  essa
discende,   ove   non   fosse   consentita    l'impugnabilita',    un
potenzialmente grave ostacolo all'esercizio  del  diritto  di  azione
garantito dal medesimo art. 24 Cost. (e  in  causa  di  irragionevole
durata del processo: art. 111 comma 2 Cost.)». 
    «Nell'ipotesi  che  la   rivalutazione   delle   prove   (riesame
elaborati, interrogazione e formalita' conclusive) si concluda  entro
breve tempo, e' chiaro che non vi e' spazio per  un  appello  avverso
l'ordinanza cautelare». 
    «Ma, questa ipotesi contraddice il principio  dell'appellabilita'
dei provvedimenti cautelari e introduce sicuramente una disparita' di
trattamento rispetto all'ipotesi in  cui  l'appello  cautelare  abbia
bloccato in tempo la rivalutazione delle prove,  non  escludibile  in
via di principio». 
    «Diversamente opinando, si dovrebbe ritenere che l'appello stesso
proposto dinanzi al Consiglio di Stato, debba  essere  rigettato,  al
fine  di  mantenere  in  vita  il  provvedimento  di   primo   grado,
verificandosi l'effetto estintivo, come  per  il  giudizio  di  primo
grado». 
    «Nel caso che non si  concluda  la  procedura  di  rivalutazione,
resterebbe  da  determinare  il  contenuto  il  giudizio  di  appello
cautelare». 
    «Sembrerebbe  scontato,  secondo  i  principi  generali,  che  il
giudice di appello,  debba  accogliere  tempestivamente  l'appello  e
l'ordinanza  cautelare  impugnata  ne  risulterebbe   caducata,   con
conseguente blocco delle operazioni concorsuali che fossero state nel
frattempo avviate in forza dell'ordinanza stessa». 
    «La non garanzia del doppio grado di  giurisdizione  (111  e  113
Cost.), si porrebbe comunque in contrasto con i principi  comunitari,
che prevedono un doppio grado di giurisdizione, mirante a  migliorare
la tutela giurisdizionale dei singoli e a preservare  la  qualita'  e
l'efficacia della tutela giurisdizionale  nell'ordinamento  giuridico
comunitario (Corte giustizia CE, 17 dicembre 1998, n. 185)». 
    3. - Tornando a trattare piu' specificamente del caso  odierno  -
che differisce da quello teste' richiamato (oltre  che  per  il  gia'
ricordato difetto di rilevanza, accertato dall'ord. di Corte cost. n.
312/2006) essenzialmente perche' in quello gia' devoluto  alla  Corte
la ripetizione delle prove d'esame era stata disposta  con  ordinanza
cautelare; mentre in quello odierno e' stata ordinata con sentenza di
merito, va sciolta, a questo punto, la riserva che si  era  formulata
in punto di rilevanza della questione di legittimita'  costituzionale
che si va a sollevare. 
    3.1. - Come e' noto e si e' gia' detto, il comma 2-bis  dell'art.
4 del d.l. 30 giugno 2005, n. 115 (la cui rubrica,  stante  la  norma
che qui si  censura,  con  ironia  afferma  di  recare  «Disposizioni
urgenti per assicurare la funzionalita'  di  settori  della  pubblica
amministrazione»,  introducendo   invece   un   vulnus   a   principi
costituzionali),  cosi'  dispone:   «Conseguono   ad   ogni   effetto
l'abilitazione professionale o il titolo per il  quale  concorrono  i
candidati, in possesso dei titoli per partecipare  al  concorso,  che
abbiano superato le prove  d'esame  scritte  ed  orali  previste  dal
bando, anche se l'ammissione alle medesime  o  la  ripetizione  della
valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di
provvedimenti giurisdizionali o di autotutela». 
    Poiche', nel caso concretamente qui  in  esame,  la  ricorrezione
delle prove scritte, in cui il candidato ricorrente  in  primo  grado
non aveva conseguito la  sufficienza,  e  il  successivo  superamento
delle prove orali  sono  avvenuti  -  in  doverosa  esecuzione  della
sentenza di primo grado, che e' provvisoriamente  esecutiva  ex  art.
33, legge n. 1034/1971, cit. - dopo la proposizione  dell'appello  (7
dicembre 2007), ma prima che il  giudice  di  secondo  grado  potesse
esaminare il gravame anche solo in fase  cautelare,  la  vigenza  del
cit.   comma   2-bis,   comportando   il   definitivo   conseguimento
dell'abilitazione professionale da  parte  del  ricorrente  in  prime
cure, farebbe cessare ex  lege  ogni  interesse  dell'Amministrazione
appellante alla decisione del  presente  appello,  che  ora  dovrebbe
percio' essere dichiarato improcedibile. 
    Per completezza di esame, si osserva che, quasi analogamente,  se
il superamento delle prove fosse avvenuto - com'e' occorso  in  altri
casi - nelle more tra il deposito della sentenza di primo grado e  la
stessa  presentazione  dell'appello  (in  certe  vicende  si   rileva
un'accelerazione   della   ricorrezione   che    potrebbe    apparire
sorprendente, se non fosse  semplicemente  desolante),  la  ricordata
definitivizzazione  degli  effetti  imposta  dal  cit.  comma  2-bis,
facendo  cessare  l'interesse  all'appello  ancor  prima  della   sua
proposizione, avrebbe reso il gravame tout court inammissibile. 
    Ancora, se (come nelle ipotesi di cui ai precedenti paragrafi 2 e
2.1) il superamento delle prove fosse avvenuto in base a un'ordinanza
cautelare di primo grado, analoghe statuizioni di improcedibilita'  o
di  inammissibilita'  andrebbero  riferite   all'appello   cautelare;
mentre, in modo ancor piu' sconcertante, sarebbe lo stesso ricorso di
primo grado - ossia quello stesso atto processuale che, all'esito  di
una cognizione solo sommaria, era stato la causa  del  rinnovo  della
valutazione e delle prove -  a  divenire  tout  court  improcedibile,
restando definitivamente preclusa, in ogni sede, la formulazione  del
giudizio a cognizione piena  (che,  invece,  dovrebbe  costituire  il
nucleo essenziale e irrinunciabile della tutela giurisdizionale,  cui
tutte le parti e dunque anche  ciascuna  di  esse  hanno  un  diritto
pieno, non sopprimibile dalla legge ordinaria). 
    3.2. - Ebbene,  in  tutti  questi  casi  (che,  complessivamente,
consentono di ribadire l'irragionevolezza della ratio  posta  a  base
del comma 2-bis), la declaratoria  di  incostituzionalita'  del  cit.
comma 2-bis manterrebbe sempre procedibile e  ammissibile  l'appello,
tanto di merito quanto cautelare, nonche' lo stesso ricorso di  primo
grado che non sia stato ancora deciso prima della ricorrezione. 
    Con piu' specifico riferimento  al  caso  qui  in  esame,  mentre
l'appello  in  trattazione  dovrebbe  essere  senz'altro   dichiarato
improcedibile, per quanto si e' detto, nell'attuale vigenza del  cit.
comma 2-bis, viceversa l'auspicato accoglimento  della  questione  di
illegittimita' costituzionale sollevata  con  la  presente  ordinanza
manterrebbe  intatta  la  procedibilita'  del  gravame  in  esame   e
pronunciarsi sulla fondatezza dei motivi  di  impugnazione  che  esso
propone; renderebbe  dunque  possibile  la  somministrazione  di  una
tutela giurisdizionale completa che, come si dira' meglio oltre,  nel
giudizio amministrativo non puo'  mai  esaurirsi  nel  solo  giudizio
davanti al giudice regionale, ex art. 125  cost.  (cfr.,  sul  punto,
Corte cost. 1° febbraio 1982, n. 8). 
    In riferimento al caso di specie, dunque, non sembrano sussistere
dubbi  circa  la  rilevanza  nel  giudizio  a  quo  della   questione
sollevata; infatti, solo in caso di  suo  accoglimento  il  Consiglio
potrebbe   esimersi   dall'applicare   la   norma    sospettata    di
incostituzionalita'; che, altrimenti,  precluderebbe  ogni  pronuncia
sul merito dell'appello,  imponendone  la  definizione  in  rito  con
declaratoria di improcedibilita' dello stesso. 
    4. - Una volta verificata la rilevanza della questione  proposta,
e' a dirsi della sua non manifesta infondatezza. 
    In primo luogo - poiche' la norma puo' trovare  applicazione  sia
per effetto di un'ordinanza cautelare (di primo o secondo grado)  che
di una sentenza di merito di primo grado (com'e' nel caso di specie),
e  che  la  ripetizione  delle  prove  con  esito   favorevole   puo'
intervenire sia prima che dopo la proposizione  del  gravame,  ma  in
ambo i  casi  senza  che  il  relativo  giudice  abbia  la  materiale
possibilita' di conoscere, in sede cautelare o di merito, di  esso  -
si reiterano con la presente ordinanza tutte  le  censure  che  erano
state  proposte  con  l'ord.  28  luglio  2006,  n.  479,  di  questo
Consiglio, che la Corte costituzionale non pote' tuttavia prendere in
esame per la gia' ricordata ragione di rito. 
    Tali censure sono quelle esposte nel superiore paragrafo 2.1. 
    5. - la norma che qui si rimette  (art.  4,  comma  2-bis,  cit.)
risulta altresi' in contrasto con l'art. 125,  secondo  comma,  della
Costituzione. 
    Proprio nell'odierna vicenda, il cit. comma  2-bis  impedisce  in
radice lo svolgimento del giudizio di appello,  imponendone  in  rito
una declaratoria di improcedibilita' quale conseguenza  di  un  fatto
che la parte appellante non  avrebbe  potuto  impedire,  se  non  che
violando  la  legge  (art.  33,   legge   n.   1034/1971,   cit.)   e
verosimilmente commettendo altresi' il reato di cui all'art. 328 c.p. 
    La disposizione  sospettata  di  incostituzionalita'  renderebbe,
dunque, definitiva e inappellabile una sentenza del T.a.r. 
    Siffatto   effetto,   a   ben   vedere,   si   verifica   (almeno
potenzialmente) in tutti i casi di  accoglimento  in  prime  cure  di
ricorsi avverso l'esito negativo degli esami e concorsi cui  il  cit.
comma 2-bis si riferisce: infatti, tra il momento di  deposito  della
sentenza  di  accoglimento  (dalla  quale  deriva   un   obbligo   di
ricorrezione immediata, integrando essa un atto che «per  ragioni  di
giustizia ... deve essere compiuto senza ritardo» ex art. 328 c.p.) e
quello di proposizione dell'appello (stanti  gli  incombenti  pratici
che questo presuppone), ovvero comunque quello in cui il gravame  sia
effettivamente preso in esame dal giudice (avuto  riguardo  ai  tempi
occorrenti per la notifica, per il deposito  nonche',  concretamente,
per la fissazione e la trattazione dell'affare), trascorre  di  norma
un tempo maggiore (come dimostrato anche dalla vicenda in  esame)  di
quello occorrente per la ripetizione delle prove  e  la  formulazione
del relativo esito. 
    Sicche' la norma in esame finisce quasi sempre (ma basterebbe che
cio' accadesse talvolta, purche' non eccezionalmente) con il rendere,
nelle materie e negli ambiti cui essa si riferisce, definitiva e  non
sindacabile in appello la sentenza di accoglimento del T.a.r. 
    I tribunali amministrativi regionali vengono percio'  a  operare,
in tali ambiti, come giudici di unico grado, proprio  in  conseguenza
degli effetti della norma posta dal comma 2-bis in discorso. 
    Orbene, siffatta evenienza contrasta con il  ricordato  parametro
costituito dall'art. 125, secondo comma, della Costituzione,  che  in
effetti configura i tribunali amministrativi regionali quali  «organi
di giustizia amministrativa di primo grado». 
    In  nessun  caso  -  per  pacifico  orientamento   dottrinale   e
giurisprudenziale - essi possono essere trasformati  dal  legislatore
ordinario in giudici di unico grado. 
    In tal senso e' nitida e chiara anche  l'interpretazione  offerta
da Corte cost., 1° febbraio 1982, n. 8, che di seguito si ricorda. 
    «E'  invero,  giurisprudenza  costante  di   questa   Corte   che
l'istituto  del  doppio  grado  di  giurisdizione  non  ha  rilevanza
costituzionale (da ultimo sentenza  n.  62/1981),  ma  nei  casi  che
formano oggetto delle ordinanze di cui in epigrafe la  giurisprudenza
stessa non puo' essere applicata, in quanto si  tratta  di  questioni
attinenti alla giurisdizione  amministrativa  la  quale  trova  nella
stessa Carta costituzionale una disciplina differenziata». 
    «Infatti l'art. 125, secondo comma, esplicitamente stabilisce che
i tribunali amministrativi da istituire (e poi istituiti con la legge
6 dicembre 1971, n. 1034 ''Istituzione dei  tribunali  amministrativi
regionali'') sono  giudici  di  primo  grado,  soggetti  pertanto  al
giudizio di appello dinanzi al Consiglio di Stato». 
    «Il  che   trova   spiegazione   nei   caratteri   propri   della
giurisdizione amministrativa  ordinaria,  che  verte  particolarmente
nella sfera del pubblico interesse  e  rende,  quindi,  opportuno  il
riesame delle pronunce dei tribunali di  primo  grado  da  parte  del
Consiglio di Stato, che trovasi al vertice del complesso degli organi
costituenti la giurisdizione stessa». 
    «Non v'ha, quindi, dubbio che nel settore in parola il  principio
del doppio grado di giurisdizione abbia rilevanza costituzionale». 
    «Il problema da risolvere, pertanto, e' quello  di  accertare  se
questo principio copra il solo processo di  merito  ovvero  anche  il
processo  incidentale  cautelare,   consistente   nel   decidere   se
sussistano gravi  ragioni  per  sospendere  la  esecuzione  dell'atto
amministrativo impugnato dinanzi al T.a.r. in attesa della  pronuncia
sul merito del gravame che acclara definitivamente la legittimita'  o
meno di tale atto». 
    «Ad avviso  della  Corte  la  risposta  al  quesito  deve  essere
affermativa». 
    «La giurisprudenza di questa Corte medesima (sentenze numeri  284
del 1974 e 227 del 1975), infatti, ha  posto  in  luce  il  carattere
essenziale del procedimento cautelare e la intima compenetrazione sua
con il processo di merito nell'ambito della giustizia amministrativa,
nella quale maggiormente si avverte la  necessita'  di  un  istituto,
quale appunto il procedimento cautelare, che consenta di  anticipare,
sia pure a titolo provvisorio,  l'effetto  tipico  del  provvedimento
finale del  giudice,  permettendo  che  questo  intervenga  re  adhuc
integra   e   possa   consentire   in   concreto   la   soddisfazione
dell'interesse che risulti nel processo meritevole di tutela». 
    «E' del resto noto che la pronuncia incidentale sulla domanda  di
sospensione  della  esecuzione  dell'atto  amministrativo  impugnato,
quale che ne sia il contenuto, e' suscettibile di incidere in maniera
decisiva sulle conseguenze delle pronunce di merito  del  giudice  e,
quindi, anche se indirettamente, sulla tutela sostanziale delle parti
e sugli interessi che entrano nel processo  amministrativo,  in  modo
particolare sul pubblico interesse: la pronuncia incidentale, invero,
come  puo'  pregiudicare  (se  negativa)  l'interesse   del   privato
ricorrente, cosi', in non pochi casi (se positiva), puo' pregiudicare
la soddisfazione  del  pubblico  interesse,  anche  se  di  altissimo
rilievo,  che  l'atto  amministrativo  impugnato  aveva  ritenuto  di
realizzare in un determinato modo». 
    «Date queste premesse e considerando, quindi, la  necessita'  che
le opposte posizioni del privato e della p.a. trovino la piu' piena e
completa valutazione da  parte  del  giudice  amministrativo,  e'  da
ritenere che il principio del doppio grado di giurisdizione, e quindi
la possibilita' di un riesame del provvedimento decisorio del giudice
di primo grado da parte del Consiglio di  Stato,  trovi  applicazione
anche nei riguardi del processo cautelare». 
    «L'art. 125 Cost., d'altro canto, non contiene limitazione alcuna
dalla quale possa dedursi che esso si riferisca  esclusivamente  alle
pronunce di merito». 
    «E' vero, poi, che l'art. 28 della legge n. 1034  del  1971,  nel
trattare dell'appello menziona esplicitamente solo  le  sentenze  dei
tt.aa.rr.: ma, a parte la considerazione  che  esso  si  porrebbe  in
contrasto  con  la  citata  norma   costituzionale   ove   fosse   da
interpretare restrittivamente, sta di  fatto  che  la  giurisprudenza
amministrativa ravvisa tale disposizione  come  relativa  a  tutti  i
provvedimenti di carattere decisorio del giudice di primo grado,  fra
i quali e' indubbiamente compresa la ordinanza che  pone  termine  al
procedimento cautelare». 
    5.1. - Giova aggiungere che,  per  i  fini  che  qui  vengono  in
rilievo,  la  violazione  dell'art.   125,   secondo   comma,   della
Costituzione sarebbe identicamente sussistita anche ove la Corte  non
avesse ritenuto riferibile la costituzionalizzazione del doppio grado
del giudizio amministrativo  anche  al  processo  cautelare;  qui  si
censura infatti il cit. comma 2-bis per contrasto con  il  richiamato
parametro costituzionale in quanto impedisce al Consiglio di Stato di
conoscere nel merito dell'appello avverso una sentenza del T.a.r., il
che da' luogo a una situazione, di contrasto  con  l'art.  125  Cost.
assai piu' grave ed  eclatante  di  quella  dichiarata  con  la  cit.
sentenza di Corte cost. n. 8 del 1982. 
    Si  precisa  infine,  per  mera  completezza,  che  i  pochi   ed
eccezionali casi in cui la legge configura  (legittimamente)  ipotesi
di giurisdizione amministrativa di unico grado (cfr. art.  37,  commi
secondo e terzo, della legge n. 1034 del 1971)  sono  quelli  in  cui
l'unico grado di giudizio si svolge davanti al  Consiglio  di  Stato;
nel rispetto, dunque, delle  prerogative  attribuite  a  tale  Organo
dall'art. .103 cost. (che  costituisce  un  ulteriore  parametro  che
concorre a comprovare la  fondatezza  della  prospettata  censura  di
illegittimita' costituzionale)  e  senza  alcuna  incidenza  su  tali
vicende del cit. art. 125 Cost., che impone al legislatore  ordinario
di non configurare il giudizio davanti al t.a.r. come di unico grado,
affinche' esso non sia svincolato  dal  controllo  del  Consiglio  di
Stato (cfr. Corte cost., ord. 31 marzo 1988, n. 395). 
    6. - Il comma 2-bis si rimette altresi'  per  contrasto  con  gli
artt. 3, 24, 25, 103, 111 e 113 della Costituzione. 
    6.1. - In violazione dell'art. 3, primo comma,  Cost.,  la  norma
che  si  rimette  confligge  in  modo  radicale  con  i  principi  di
ragionevolezza e di  proporzionalita'  che  la  giurisprudenza  della
Corte   costituzionale   ha   enucleato   dal   ricordato   principio
fondamentale della Costituzione. 
    Com'e' noto, tali principi postulano che la legge tratti in  modo
uguale le situazioni eguali; nonche' disciplini in modi adeguatamente
e proporzionalmente differenziati le situazioni diverse. 
    Orbene, pur nell'ambito di  quella  ragionevole  indeterminatezza
che  necessariamente  contraddistingue  l'applicazione  concreta   di
siffatti principi,  sembrano  in  radice  inammissibili  gli  effetti
normativi che il cit. comma 2-bis implica,  in  esclusiva  dipendenza
dei  tempi  (piu'  o  meno  rapidi)  con  cui  l'amministrazione  dia
esecuzione alla sentenza (o ordinanza) del giudice amministrativo  di
primo  grado,  rispetto  a  quelli  di   proposizione   e   decisione
dell'appello (questi  ultimi,  peraltro,  del  tutto  sottratti  alla
disponibilita' delle parti; nonche',  al  di  la'  di  certi  limiti,
perfino al giudice, perche'  dipendenti  da  situazioni  oggettive  e
incoercibili). Secondo che l'esecuzione della sentenza di primo grado
sia compiuta piu' o meno  sollecitamente,  la  parte  soccombente  in
prime  cure  potra'  ottenere,  o  meno,  la  decisione   di   merito
sull'appello. 
    Orbene, trattandosi all'evidenza di  circostanze  di  fatto  solo
casualmente diverse, e' del tutto irragionevole e  sproporzionato  il
trattamento radicalmente opposto che - in termini di ammissibilita' e
procedibilita' dell'appello - deriva dall'applicazione del cit. comma
2-bis  a  due  situazioni   sostanzialmente   uguali,   quali   vanno
considerate quelle in cui l'esecuzione della sentenza di primo  grado
si completi prima, ovvero dopo, rispetto al momento in cui il giudice
di appello e' posto in grado di provvedere (in sede cautelare o anche
nel merito) sulla sentenza gravata. 
    Che non si tratti di situazioni  proporzionalmente  diverse,  cui
sia percio' applicabile un trattamento normativo - ai ricordati  fini
- adeguatamente differenziato e' dimostrato, se non altro, dal  fatto
che la generale previsione di esecutivita' della  sentenza  di  primo
grado  recata  dal  cit.  art.  33  legge   n.   1034/1971   postula,
concettualmente e praticamente, la provvisorieta' di  ogni  attivita'
che venga posta in essere in forza di  tale  ultima  norma,  giacche'
essa altrimenti si risolverebbe  in  un  banale  grimaldello  atto  a
scardinare la stessa  impugnabilita'  delle  sentenze  e,  con  essa,
l'intero diritto processuale. 
    Se e' vero che Corte cost. 6 febbraio 2007, n. 26, ha chiarito  -
ma a diverso proposito - che «non contraddice, comunque, il principio
di  parita'  l'eventuale  differente  modulazione  dell'appello   ...
purche' essa avvenga nel rispetto del  canone  della  ragionevolezza,
con i corollari di adeguatezza e proporzionalita', che si sono a piu'
riprese ricordati», e che «le eventuali  menomazioni  del  potere  di
impugnazione debbano comunque rappresentare - ai  fini  del  rispetto
del  principio  di  parita'  -soluzioni  normative  sorrette  da  una
ragionevole   giustificazione,   nei   termini   di   adeguatezza   e
proporzionalita' dianzi lumeggiati», cio' che in effetti, nel caso di
specie, difetta  totalmente  e'  proprio  ogni  considerazione  della
ragionevolezza,  adeguatezza  e  proporzionalita'  della   previsione
normativa che qui si rimette all'esame del giudice delle leggi. 
    Non e' dato cogliere, infatti, in che risieda  la  ragionevolezza
di  una  norma  che  subordina  tout  court  l'ammissibilita'  o   la
procedibilita' di un gravame - volto a verificare,  precisamente,  la
corrispondenza, o meno, a diritto del  provvedimento  giurisdizionale
di primo grado in forza del quale e'  stata  operata  la  ripetizione
delle prove di un esame - alla maggiore o minore  velocita'  con  cui
tale ripetizione venga portata a compimento, rispetto  a  quella  con
cui  il  giudice  di  appello  riesca  a  provvedere  sulle   domande
propostegli dalle parti in causa. 
    6.2. - In violazione dell'art. 24 Cost., la norma che si  rimette
lede, per la parte pubblica, il diritto di difesa in grado di appello
nell'ambito del giudizio amministrativo. 
    Anche a voler ipoteticamente prescindere (ma non  si  vede  come)
dalla gia' riscontrata (con parole tratte da Corte  cost.  n.  8  del
1982, cit.) costituzionalizzazione del doppio grado di  giudizio  per
le sentenze dei tt.aa.rr., la violazione dell'art. 24, secondo comma,
Cost. sussisterebbe egualmente per  l'eclatante  lesione  che  deriva
dalla norma impugnata al diritto di difesa in grado di appello  della
sola parte pubblica. 
    Non e' infatti ipotizzabile che, secundum eventum litis, una sola
parte venga privata del diritto di appello; laddove l'altra parte, se
non avesse  ottenuto  in  prime  cure  l'utilita'  invocata,  avrebbe
senz'altro potuto reiterare le proprie tesi davanti al  Consiglio  di
Stato. 
    Si e' gia' visto che la necessita' del «rispetto del principio di
parita' delle parti» e'  stata  anche  posta  a  base  -  sebbene  in
tutt'altro ambito rispetto a quello qui in esame - della declaratoria
di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 20  febbraio
2006, n. 46, nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di
procedura penale, esclude che il pubblico ministero  possa  appellare
contro le  sentenze  di  proscioglimento,  resa  da  Corte  cost.  n.
26/2007, cit. 
    6.3. - In violazione dell'art. 25  Cost.  -  anche  in  combinato
disposto con gli artt. 103 e 125 Cost., che individuano nel Consiglio
di Stato il necessario  fulcro  della  tutela  giurisdizionale  degli
interessi legittimi e in particolari  materie  indicate  dalla  legge
anche   dei   diritti   soggettivi   tra   cittadini    e    pubblica
amministrazione; la quale tutela non puo' svolgersi, per volonta'  di
una sola delle parti in causa, esclusivamente davanti al T.a.r. -  la
norma che si rimette distoglie la  parte  pubblica  dal  suo  giudice
naturale precostituito per legge che, in questa materia, e' in  grado
di appello il Consiglio di Stato. 
    6.4. - In violazione dell'art. 111 Cost. la norma che si  rimette
lede il principio di  parita'  delle  parti  nell'ambito  del  giusto
processo: alla stregua di quanto si e' gia'  detto,  il  comma  2-bis
sottrae alla sola parte pubblica - al di fuori di  ogni  criterio  di
ragionevolezza - il diritto di sottoporre la statuizione (cautelare o
di merito) del giudice di prime cure che l'abbia vista soccombente al
giudice  di  appello;  laddove,  nel  caso  inverso,  consente   alla
controparte privata la normale appellabilita' di sentenze e ordinanze
che non abbiano accolto le sue domande. 
    6.5. - Infine, in violazione dell'art. 113, secondo comma, Cost.,
la norma che si rimette lede il principio di non limitabilita'  della
tutela giurisdizionale a particolari  mezzi  di  impugnazione  o  per
determinate categorie di atti. 
    Essa infatti preclude l'impugnazione (talora  anche  solo  quella
cautelare, e comunque sempre quella di merito, secondo quanto  si  e'
gia' detto) della parte pubblica in relazione alla  circostanza,  del
tutto estrinseca e casuale, che sia stata piu'  rapidamente  eseguita
la statuizione di primo grado (cautelare o anche di merito)  rispetto
ai tempi occorrenti per la pronuncia  sull'appello;  nonche'  limita,
conseguentemente, solo alla  categoria  delle  sentenze  e  ordinanze
reiettive delle istanze formulate dalla  parte  ricorrente  in  primo
grado la piena e incondizionata appellabilita' delle statuizioni rese
dal giudice di prime cure. 
    7.  -  In  conclusione,  il  Collegio  ritiene  rilevante  e  non
manifestamente infondata la questione di costituzionalita' di cui  in
dispositivo, che pertanto, con la presente ordinanza, viene sollevata
e rimessa al vaglio del giudice delle leggi. 
    Il giudizio e' sospeso fino alla pronuncia di quest'ultimo.