IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso in appello portante il n. 587/2007 R.G., proposto da Ministero della giustizia in persona del Ministro pro tempore, Commissione centrale per esami di avvocato sessione 2005 presso il Ministero della giustizia in persona del Presidente pro tempore, Commissione per esame di avvocato sessione 2005 presso la Corte di appello di L'Aquila in persona del Presidente pro tempore e Commissione per esame avvocato sessione 2005 presso la Corte di appello di Catania in persona del Presidente pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato presso i cui uffici in Palermo, via Alcide De Gasperi 81 sono per legge domiciliati; Contro Calanna Graziano, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro De Luca e per legge domiciliato in Palermo presso la segreteria di questo C.G.A.; per l'annullamento della sentenza del T.a.r. per la Sicilia, sezione staccata di Catania sezione IV n. 2045/2006 del 28 ottobre 2006 che ha dichiarato l'obbligo per l'amministrazione di valutare ex novo gli elaborati scritti; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Calanna Graziano; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udito il relatore Consigliere Antonino Corsaro e udito altresi' alla pubblica udienza del 12 dicembre 2007 l'avv. dello Stato La Rocca per le parti appellanti e l'avv. S. Cittadino su delega dell'avv. P. De Luca per l'appellato; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: F a t t o Con ricorso portante il n. 2567/2006, Calanna Graziano adiva il t.a.r. Catania per chiedere l'annullamento, previa sospensione, del provvedimento di non ammissione alla prova orale degli esami di avvocato, sessione 2005, e di ogni atto presupposto, connesso e consequenziale. Il T.a.r. Catania, riteneva il ricorso fondato sotto il profilo del dedotto difetto di motivazione e con sentenza n. 2045/2006 lo accoglieva, con conseguente rinnovazione del giudizio impugnato da parte di diversa sottocommissione e con adeguata motivazione. In esecuzione della sentenza, la Commissione procedeva alla ricorrezione degli elaborati, ammettendo il Calanna alle prove orali e dopo il superamento di queste, in data 16 maggio 2007, lo dichiarava idoneo. In data 5 giugno 2007 veniva iscritto all'Albo degli avvocati, senza riserva. Il Ministero della giustizia ha proposto appello, previa sospensione dell'efficacia, avverso la sentenza n. 2045/2006 del T.a.r. Catania, e questo Consiglio, con ordinanza n. 611/2007, accoglieva la domanda di sospensione dell'efficacia della sentenza, apparendo fondato l'appello dell'amministrazione. Il Ministero della giustizia deduce che ha errato il T.a.r. Catania a ritenere con la sentenza impugnata il difetto di motivazione, con conseguente rinnovazione del giudizio impugnato da parte di diversa sottocommissione e con adeguata motivazione. L'affermazione del T.a.r. che la giurisprudenza amministrativa avrebbe omesso di considerare che la valutazione di una prova ha natura composita: costituisce l'espressione di un giudizio tecnico-discrezionale, che si esaurisce nell'ambito del procedimento concorsuale, allorche' tale giudizio e' positivo, di modo che puo' essere resa con un semplice voto numerico; costituisce un provvedimento amministrativo quando viene attribuito un punteggio insufficiente e quindi la necessita' della motivazione ai sensi dell'art. 3 della legge n. 241/1990, secondo l'appellante non puo' essere condivisa, essendo sufficiente la preventiva determinazione dei criteri di massima, come affermato dalla giurisprudenza dominante. La commissione aveva fissato tali criteri con nota del 19 dicembre 2005 e ne aveva curato la diffusione. Si costituisce l'appellato con memoria del 29 maggio 2007, deducendo, l'improcedibilita' del ricorso in appello per: 1) cessazione della materia del contendere. Invoca il comma 2-bis del decreto-legge n. 115/2005, nel testo aggiunto dalla legge di conversione n. 168/2005, ai sensi del quale avrebbe legittimamente conseguito l'abilitazione professionale a seguito del provvedimento giurisdizionale, ed afferma che comunque, a seguito della sentenza del T.a.r. Catania, ha visto rivalutate le prove scritte ed ha superato la prova orale e pertanto chiede di dichiarare la improcedibilita' del ricorso per sopravvenuta cessazione della materia del contendere nella fase del merito; 2) Acquiescenza. Afferma la sopravvenuta carenza di interesse, ritenendo che la Commissione non si fosse limitata a dare mera esecuzione alla sentenza del T.a.r., ovvero, non si fosse limitata alla rinnovazione del giudizio impugnato, da parte di diversa sottocommissione e con adeguata motivazione, come statuito dal provvedimento impugnato, ma avrebbe proceduto alla nuova valutazione positiva degli elaborati scritti, e poi ammesso il Calanna alle prove orali, superate le quali e' stato dichiarato idoneo. Conseguentemente, il T.a.r. Catania ha ritenuto che la Commissione non si era limitata ad eseguire la pronunzia cautelare, ma era andata oltre il dictum del giudice, avendo il provvedimento autonomamente assunto, carattere provvedimentale e definitivo. Con tale operato la Commissione avrebbe riaperto autonomamente il provvedimento, avrebbe adottato atti autonomi e definitivi che renderebbero privo di interesse il giudizio sugli atti adottati. Secondo l'appellato cio' ha determinato l'improcedibilita' del ricorso per sopravvenuta acquiescenza, essendo venuto a mancare il presupposto per la pronuncia nel merito del giudizio. Con memoria depositata il 12 luglio 2007 ribadisce l'infondatezza dell'appello e richiama il comma 2-bis del decreto-legge n. 115/2005, nel testo aggiunto dalla legge di conversione n. 168/2005, ai sensi del quale avrebbe legittimamente conseguito l'abilitazione professionale a seguito del provvedimento giurisdizionale, ed afferma che comunque ha visto rivalutate le prove scritte ed ha superato la prova orale e pertanto chiede di dichiarare improcedibile il ricorso per cessazione della materia del contendere, sopravvenuta carenza di interesse, per acquiescenza e comunque rigettarlo perche' infondato sia in fatto che in diritto. D i r i t t o 1. - Si premette che questo Consiglio, gia' con ordinanza 28 luglio 2006, n. 479, aveva sollevato «questione di legittimita' costituzionale del comma 2-bis dell'art. 4 del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, in legge 17 agosto 2005, n. 168, per la violazione degli artt. 3, 24, 25, 101, secondo comma, 104, primo comma, 111, secondo comma e 113». Senonche' la Corte costituzionale - per una specifica peculiarita' di quel ricorso - con ordinanza 20 luglio 2007, n. 312, ha dichiarato «la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale» per irrilevanza nel giudizio a quo, in quanto «il giudice remittente non e' chiamato ad applicare la disposizione censurata». Giova sinteticamente ricordare quale fosse la peculiare vicenda, tralasciata dall'ordinanza di rimessione, che rendeva (solo) in quello specifico caso irrilevante la questione proposta. La vicenda processuale cautelare - che traeva origine da un caso di c.d. turismo cautelare (o forum shopping), in cui un ricorso di competenza del T.a.r. per la Sicilia, sezione staccata di Catania era stato trattato, in sospensiva, da quello per la Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria - si era svolta, in quel caso, anteriormente all'entrata in vigore del cit. decreto-legge n. 115/2005. Con ordinanza 16 luglio 2003, n. 442, il T.a.r. per la Calabria aveva ordinato la ricorrezione delle prove scritte dell'esame di abilitazione svolto dal ricorrente, che solo in esito a cio' era riuscito a superare la prova. Tuttavia, tale ordinanza cautelare era stata successivamente annullata dal Consiglio di Stato, con l'ordinanza 18 novembre 2003, n. 5106. Va rilevato che l'esito di quel giudizio cautelare non si baso' sul citato art. 4, comma 2-bis, non ancora vigente: esso, altrimenti, a prove medio tempore superate, avrebbe precluso in radice la riforma dell'ordinanza cautelare, impedendone la cognizione al giudice di ultimo grado. La pronuncia cautelare di appello - in assenza di una norma che imponesse di dichiarare la cessazione della materia del contendere quale effetto della concessione di un provvedimento cautelare e della sua (obbligatoria) esecuzione - in totale riforma dell'ordinanza di primo grado aveva dunque respinto l'istanza cautelare del ricorrente, altresi' dichiarando la «conseguente caducazione di tutti gli atti» adottati in esecuzione della ordinanza del T.a.r. Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria. Come e' stato Osservato dalla citata ordinanza della Corte cost. n. 312 del 2007, l'integrale riforma in appello «ha fatto venir meno gli effetti prodotti da tali atti e, cioe', il superamento delle prove scritte, l'ammissione del candidato alla prova orale e il superamento di questa». Percio', in quello specifico caso, la Corte costituzionale ha constatato che «la situazione che si prospetta al giudice a quo e' quella, precedente all'ordinanza cautelare del T.a.r. Calabria 16 luglio 2003, nella quale il candidato e' stato escluso, dopo la valutazione delle prove scritte, dall'ammissione alla prova orale»; sicche', «in presenza di tale situazione, il giudice remittente non e' chiamato ad applicare la disposizione censurata, atteso che la caducazione dell'ordinanza del T.a.r. Calabria 16 luglio 2003, nonche' degli atti ad essa conseguenti e dei loro effetti, ha cancellato i presupposti (la rivalutazione delle prove scritte effettuata dalla Commissione d'esame, la successiva ammissione del candidato alla prova orale e il superamento di questa) per l'applicazione della disposizione censurata». 2. - In presenza di una ben diversa situazione processuale - in cui vi e' stata una sentenza di accoglimento del ricorso di primo grado, con la conseguente esecuzione che ha condotto all'iscrizione dell'appellato nell'albo degli avvocati nel corso del secondo grado del giudizio, il Collegio ritiene di dover affermare la rilevanza di una questione di costituzionalita' sostanzialmente corrispondente a quella che e' stata dichiarata inammissibile dalla Corte Costituzionale. Infatti, ove si faccia applicazione del citato art. 4, comma 2-bis, del decreto-legge n. 115/2005 (per l'avvenuto superamento delle prove d'esame, disposto in sede di esecuzione della sentenza gravata), sarebbe improcedibile ex lege lo stesso atto di appello. Infatti, il ricorrente che abbia beneficiato dell'esito favorevole della ricorrezione si sottrarrebbe - proprio in forza della norma di legge della cui legittimita' costituzionale il Collegio dubita - a qualsiasi verifica, anche in sede di cognizione piena, della legittimita' della sentenza di primo grado che abbia dato origine (altresi' prescrivendone le modalita', che resterebbero parimenti escluse da ogni vaglio) alla ripetizione delle prove d'esame. Sicche' viene paradossalmente preclusa alle parti ogni possibilita' di ottenere in grado di appello una pronuncia di merito (tale non essendo una sentenza di improcedibilita' dell'appello proposto dalle Amministrazioni soccombenti in primo grado) sulla legittimita', o meno, dell'ordine di ripetere la valutazione (e, dunque, di quella ripetuta); nonche', in ultima analisi, sulla stessa legittimita', o meno, degli atti amministrativi impugnati con il ricorso di primo grado. Sul relativo giudizio cade, infatti, la mannaia di una cessata materia del contendere (o di una improcedibilita') imposta per legge, peraltro in presenza di circostanze del tutto estrinseche rispetto a quella piena verifica della legittimita' degli atti impugnati che costituisce l'oggetto essenziale del giudizio amministrativo ed a cui le parti (ossia ciascuna di esse) hanno parimenti diritto secondo i principi costituzionali (di cui appresso) di pieno e libero accesso alla tutela giurisdizionale (e al relativo esito), di parita' di posizione formale e sostanziale, di eguale trattamento dei casi uguali e di trattamento ragionevolmente diffenziato di quelli diversi, espressi dagli artt. 3, 24, 25, 101, 104, 111, 113 e 125 della Costituzione. Nel successivo sottoparagrafo, si ripropone tutto quello che era gia' stato esposto da questo Consiglio nella cit. ord. n. 479/2006; si ritiene che in cio' si possa ravvisare tuttora una molteplicita' di argomenti a sostegno dell'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata con la presente ordinanza, concorrenti con quelle ulteriori di cui si dira' oltre. 2.1. - «La cessazione della materia del contendere puo' essere dichiarata solo quando l'amministrazione annulli o riformi, in senso conforme all'interesse del ricorrente, il provvedimento da questi impugnato (C.d.s., sez. IV, 23 settembre 2004, n. 6225 e 19 ottobre 2004, n. 6747), mentre l'improcedibilita' per sopravvenuta carenza di interesse puo' derivare, o da un mutamento della situazione di fatto o di diritto presente al momento della presentazione del ricorso, che faccia venire meno l'effetto logico del provvedimento impugnato, ovvero dall'adozione, da parte dell'amministrazione, di un provvedimento, che, idoneo a ridefinire l'assetto degli interessi in gioco, pur senza avere alcun effetto satisfattivo nei confronti del ricorrente, sia tale da rendere certa e definitiva l'inutilita' della sentenza (C.d.s., sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4397)». «Il giudice amministrativo ha sospeso in sede cautelare gli effetti del provvedimento e conseguentemente la Commissione si e' adeguata al contenuto dell'ordinanza cautelare, procedendo alla rivalutazione». «L'atto conseguenziale, con cui l'amministrazione ha dato esecuzione all'ordinanza di sospensione degli effetti del provvedimento, non comporta la revoca del precedente provvedimento sospeso ed ha una rilevanza provvisoria, in attesa che la sentenza di merito accerti se il provvedimento sospeso sia o meno legittimo». «Non pare quindi possa configurarsi l'improcedibilita' del ricorso o la cessazione della materia del contendere». «Gli atti adottati dalla Commissione per sostituire il provvedimento, non esprimono acquiescenza alla decisione del T.a.r. Reggio Calabria, avendo, il Ministero della giustizia, proposto gravame innanzi il Consiglio di Stato». «L'efficacia di tali atti dovrebbe, quindi, venire meno nel caso di eventuale riforma della decisione di primo grado all'esito del giudizio di merito». «La giurisprudenza ritiene che non importa acquiescenza l'aver dato esecuzione, anche spontanea, ad una sentenza esecutiva (C.C. 20 agosto 2004, n. 16460; C.d.s., sez. VI, 24 settembre 2004, n. 6249)». «Atteso l'obbligo di conformarsi, l'esecuzione di una ordinanza cautelare di tipo propulsivo non costituisce attivita' di autotutela (annullamento o ritiro del provvedimento impugnato) e non puo' comportare il venir meno della res litigiosa (C.d.s., sez. IV, ord. 21 novembre 2003, nn. 7630 e 7634; C.d.s., 6 maggio 2004, n. 2797)». «La rinnovata valutazione di una prova d'esame a seguito di ordinanza cautelare non puo' produrre altro effetto che quello provvisorio di impedire il protrarsi della lesione lamentata e che ogni ulteriore effetto a carattere definitivo cui aspira il ricorrente non puo' che conseguire dalla pronuncia definitiva di merito, passata in giudicato, che elimini del tutto dal mondo giuridico il provvedimento impugnato». «Trattasi di provvedimento destinato a venire meno in virtu' del c.d. effetto espansivo esterno della riforma della sentenza, di cui al secondo comma dell'art. 336 c.p.c., espressione di un principio di carattere generale anche del processo amministrativo (Corte cost. 22 aprile 1991, n. 175)». «Nel caso in esame, non puo' sussistere dubbio alcuno, a parere, del Collegio, sulla esatta qualificazione degli atti sopravvenuti come determinazioni meramente esecutive del provvedimento cautelare del Giudice di primo grado, che non rivestono autonoma valenza sostanziale e non appaiono denotati da caratteri tali da poter condurre a considerare le rinnovate valutazioni dell'Amministrazione come un quid pluris rispetto alla doverosa esecuzione in sede cautelare del provvedimento medesimo anche esso cautelare». «Ai fini in esame e' ininfluente la circostanza che, a seguito dell'esito positivo della rinnovata valutazione, l'appellato sia poi stato ammesso alle prove orali e che, superatele, abbia poi conseguito l'idoneita». «Invero che la misura cautelare, non configura comunque mai una radicale consumazione del potere amministrativo». «E' vero che a seguito della pronuncia cautelare possono essere posti in essere dalla p.a. anche ulteriori atti che hanno come presupposto logico e giuridico il nuovo provvedimento adottato in esecuzione dell'ordinanza cautelare adottata in primo grado (C.d.s., A.P. n. 3/2003), che, temporaneamente, tiene luogo della valutazione positiva mancata e incide anche sulla efficacia dell'atto impugnato di produrre effetti giuridici (CC., s.u., 24 giugno 2004, n. 11750), ma e' altresi' vero che l'effetto caducante dell'eventuale decisione di riforma in appello si estende comunque a tutti gli ulteriori atti adottati dall'Amministrazione a seguito della sostituzione del provvedimento annullato in primo grado». «Occorre inoltre considerare che nella specie l'amministrazione non ha rinunciato al ricorso ed ha proposto appello perche' ha ritenuto di dovere tutelare la par condicio degli esaminandi che nella sua valutazione sarebbe stata illegittimamente violata se alcuni candidati venissero sottoposti a diverso trattamento, venissero sottratti alla propria commissione naturale, ed ottenessero una dilazione di tempi». «La richiesta improcedibilita' per cessazione della materia del contendere o per sopravvenuta carenza di interesse pertanto non puo' essere accolta, di fronte alla chiara volonta' dell'amministrazione di pervenire alla decisione nel merito». «In definitiva, va escluso che in primo grado potesse ritenersi sopravvenuta la cessazione della materia del contendere tra le parti, o che in questo grado di giudizio possa ritenersi sussistente una qualche carenza di interesse del Ministero appellante alla decisione dell'appello. Va percio' accolto il motivo di appello, rivolto avverso la statuizione di cessazione della materia del contendere recata dalla sentenza impugnata e respinte le eccezioni di improcedibilita' o inammissibilita' dell'appello per carenza di interesse». «L'appellato ... contesta le ragioni poste a base dell'avversario appello e eccepisce, in particolare, la improcedibilita' dello stesso, per il sopravvenire del d.l. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, in legge 17 agosto 2005, n. 168 (Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalita' di settori della pubblica amministrazione), che all'art. 4 (Elezioni degli organi degli ordini professionali e disposizioni in materia di abilitazione e di titolo professionale) cosi' statuisce: ... «2-bis. Conseguono ad ogni effetto l'abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d'esame, scritte ed orali previste dal bando, anche se l'ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela». «Questo collegio ritiene di dover sollevare d'ufficio ... questione di legittimita' costituzionale del comma 2-bis dell'art. 4 del d.l. 30 giugno 2005, n. 115, convertito, con modificazioni, in legge 17 agosto 2005, n. 168, per la violazione degli artt. 3, 24, 25, 101 comma 2, 104, primo comma, 111, secondo comma e 113». ... «La norma introduce ... una sostanziale equiparazione tra giudizio di merito e giudizio cautelare, principio peraltro assolutamente estraneo al giudizio amministrativo, come a quello civile e penale. Peraltro di fronte alla lettera della norma, non sarebbe possibile ricercare altra possibile diversa soluzione conforme a Costituzione. Non sembra cioe' possibile fare ricorso ai poteri interpretativi che la legge riconosce, specie in un contesto in cui, oltre alla ratio legis di consolidare comunque l'esito delle prove, si appalesa univoca alla lettura la frase ''provvedimenti giurisdizionali''. Infine, data la novita' della norma, neppure si possono ipotizzare problemi di scelta fra contrastanti indirizzi giurisprudenziali allo stato inesistenti». ... «Va quindi sollevata la questione di legittimita' costituzionale sotto i seguenti profili: 1. - Violazione dell'art. 3 Cost. (principio di eguaglianza)». «Con legge cost. 23 novembre 1999, n. 2, e' stato inserito nell'art. 111 della Costituzione, il principio del giusto processo, stabilendo che «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parita', davanti a un giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata»». «La norma tutela i diritti della persona umana e definisce il giudice come un organo del processo, inteso come strumento di giustizia. Infatti, le parti hanno il diritto di agire e di difendersi in ogni stato e grado del giudizio, il giudice deve essere terzo e imparziale e deve giudicare nel contraddittorio delle parti, che non e', come si era pensato, una componente del diritto (delle parti) alla difesa, ma un limite al potere del giudice, piu' precisamente, uno ''strumento operativo del giudice''. La garanzia e' data dal processo, che deve essere ''giusto'' e deve comprendere le impugnazioni». «Viene quindi in rilievo il pari interesse della parte ad ottenerne il controllo di effettiva rispondenza allo schema legale di riferimento, ad evitare che, ove il provvedimento sia in concreto adottato in difformita' da detto schema, si abbia una ingiustificata, e non altrimenti rimediabile, violazione dell'iter processuale: la misura cautelare, strumentale ad un'azione di merito avente un mero contenuto nella norma, se avulsa dal giudizio stesso di merito, comporta la violazione del principio di eguaglianza e del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.)». «La Corte costituzionale ha affermato che e' manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale, per violazione dell'art. 3 Cost., della inammissibilita' del ricorso straordinario per cassazione, a norma dell'art. 111 Cost., avverso l'ordinanza cautelare, poiche' essa riconosce la misura invocata e attribuisce a tale ordinanza i connotati di provvisorieta' e non decisorieta' propri del provvedimento cautelare, destinato a perdere efficacia a seguito della decisione di merito ed inidoneo a produrre effetti; di diritto sostanziale e processuale con autorita' di giudicato, proprio per assicurare una maggiore garanzia a tutela degli interessi delle parti (Corte costituzionale, 4 luglio 2002, n. 312; 6 dicembre 2002, n. 525)». «La norma sospettata di illegittimita', sicuramente viola tali parametri, ne' e' stato previsto, con la disciplina introdotta, alcuno strumento di controllo». «Rientrerebbe nel potere discrezionale del legislatore valutare il livello di tutela da attribuire avverso i provvedimenti che non abbiano la forma di sentenza o che dal loro contenuto non possano ad essa essere assimilati per gli effetti di cui all'art. 111 Cost.». «Ne' la questione prospettata pone problemi di interpretazione del sistema normativo, la cui soluzione spetti alla giurisprudenza comune, inerendo invero ai principi di inviolabilita' del diritto costituzionale alla tutela giudiziaria e di parita' spettanti alle parti processuali, che sono riconducibili agli artt. 3, 24, 113 Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali». «Al fine di conciliare il carattere accentrato del controllo di costituzionalita' delle leggi con il principio di effettivita' della tutela giurisdizionale, non puo' escludersi, quando gli interessi in gioco lo richiedano, una forma limitata di controllo diffuso che consenta la concessione del provvedimento di sospensione dell'atto impugnato, rinviando alla fase di merito, al quale il provvedimento cautelare e' strumentalmente collegato, il controllo della Corte costituzionale con effetti erga omnes (Corte costituzionale, 10 maggio 2002, n. 179)». «Infatti, seppur non sussiste alcun vincolo per il legislatore a regolarne il rapporto con il giudizio di merito e, in particolare, a limitarne la liberta' di variamente articolare il rapporto di strumentalita' dei provvedimenti interinali rispetto alla decisione nel merito, non puo' essere eliminata del tutto». «Ne' il diverso criterio direttivo della rapidita' del procedimento cautelare, giustifica l'omogeneita' necessaria a rendere comparabili le rispettive discipline ai fini dello scrutinio di legittimita' costituzionale in relazione al principio di eguaglianza». «La misura cautelare e' provvedimento esecutivo, ma non acquista quella particolare stabilita' che deriva dal giudicato e, quindi, non configura una radicale consumazione del potere amministrativo: la teorizzazione di una consumazione del potere amministrativo come conseguenza dell'ordinanza sarebbe logicamente contraddittoria con la riconosciuta e reciproca influenza tra procedimento e processo, in quanto farebbe venir meno in radice la stessa possibilita' di orientare, con l'ordinanza cautelare, una futura azione amministrativa che non sia interamente predeterminata nei contenuti». «Il dovere di tutelare la par condicio degli esaminandi, verrebbe meno se alcuni candidati usufruissero di diverso trattamento, venissero sottratti alla propria commissione naturale, ed ottenessero una dilazione di tempi, attraverso la teorizzazione degli effetti irreversibili dell'ordinanza cautelare, violando cosi' il diritto di eguaglianza». «2. - Violazione degli artt. 24 e 111 cost. (principio dell'integrita' e tutela del contraddittorio)». «Deve essere assicurato il diritto di esercitare il contraddittorio, in modo da contemperare l'esigenza di celerita' con la garanzia dell'effettivita' del contraddittorio, che puo' essere assicurato solo attraverso lo schema del processo complessivamente considerato, e cio' sia nei confronti delle parti presenti in giudizio, sia di eventuali terzi controinteressati». «Puo' anche configurarsi la dedotta violazione dell'art. 24 Cost., cosi' come dell'art. 111 Cost., in quanto l'applicazione senza eccezioni della norma, puo' causare lesione all'evocato principio della parita' delle parti, ne costituisce coerente attuazione, proprio al fine di impedire che il terzo possa trarre vantaggio dalla scelta di intervenire tardivamente, e dell'art. 3 Cost., sotto il profilo della irragionevolezza della norma impugnata rispetto ai rimedi approntati dagli art. 274, 344 e 404 c.p.c., giacche' siffatti rimedi non si sostituiscono ma si aggiungono alla facolta' del terzo di tutelare il diritto in via ordinaria e la radicale eterogeneita' di presupposti e di effetti di essi (strutturalmente diversi tra loro e rispetto all'intervento volontario) rende irragionevole la disciplina». «Nel caso di procedure a numero chiuso, dato che viene trascurata la posizione di quei concorrenti che, in quanto posposti al ricorrente stesso, non trovano posto nel novero dei vincitori pur essendo risultati abili, altrettanto chiare non sono le conseguenze processuali di questo ''conseguimento ad ogni effetto'' del titolo o dell'abilitazione del candidato che abbia ottenuto, per effetto della sospensiva, l'ammissione con riserva alle prove concorsuali successive». «La Corte ha stabilito che il processo civile, informato all'operativita' del principio dispositivo, si svolge su un piano di parita' delle parti secondo il principio del contraddittorio e che il convincimento del giudice subisce di regola la mediazione dell'impulso delle parti (Corte costituzionale nn. 326/1997, 51/1998, e ordinanza n. 356 del 1997)». «Tali principi, ripetutamente affermati in numerose pronunce, riguardano anche quello amministrativo (ordinanze nn. 126/1998, 304/1998, 168/2000, 220/2000, 167/2001) e si ritiene che vadano confermati anche nel caso in esame, perche' la norma non solo li viola apertamente, non essendovi identita' tra provvedimento cautelare e processo, ma viene a mancare del tutto la cognizione piena del processo di merito e l'eventuale possibilita' di un'impugnazione, dal momento che il giudice del cautelare giudica in un processo non a cognizione piena». «Va ricordato che la Corte costituzionale, con sentenza n. 427 del 1999 ha ritenuto infondata la q.l.c. dell'art. 19 commi 2 e 3 d.l. 25 marzo 1997 n. 67, conv. nella legge 23 maggio 1997 n. 135, nella parte in cui dispone che il giudice amministrativo, puo' decidere immediatamente la controversia, ancorche' sia stato chiamato a pronunciarsi su domanda cautelare. In effetti l'art. 19 e' preordinato ad accelerare lo svolgimento dei processi amministrativi, in vista soprattutto dell'obbiettivo di ridurre la durata a volte eccessiva dei provvedimenti cautelari, mentre il processo poteva essere tempestivamente definito. Il giudice e' tenuto a verificare l'esistenza delle condizioni indefettibili per l'emanazione di una sentenza o decisione che definiscano il giudizio; tali condizioni sono l'integrita' del contraddittorio, la completezza delle prove necessarie, gli adempimenti processuali per la tutela del diritto di difesa di tutte le parti. La definizione della lite importa il superamento della domanda cautelare e postula un'effettiva completa tutela giurisdizionale, solo rispettando le superiori condizioni indefettibili che rispondono a fondamentali esigenze di rilievo costituzionale». «Ma la norma in sospetto di illegittimita', pare introdurre un nuovo modello procedimentale di processo che porta ad una decisione con efficacia di giudicato non come esito di un giudizio a cognizione piena, nascente come variante di un procedimento cautelare e alla quale il legislatore ha avuto cura di imporre il rispetto delle condizioni indefettibili del processo». «Il potere di operare la conversione del rito e' esercitabile ex officio, anche in caso di mancata prestazione dell'assenso o addirittura di manifestazione del dissenso delle parti, ovvero ove la definizione del giudizio sopravvenga prima dei termini previsti per la costituzione in giudizio e per la produzione dei documenti da parte della Amministrazione, ma in presenza dei presupposti: 1) della fissazione della camera di consiglio per la decisione della domanda cautelare entro il termine non abbreviato; 2) della integrita' del contraddittorio; 3) della completezza dell'Istruttoria; della audizione delle parti costituite (C.d.S., sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4487; sez. VI, 26 giugno 2001, n. 3463). Nulla di tutto cio' si verifica nel caso in specie, venendo attribuita valenza di ''giudicato'' ad un provvedimento, nella specie anche travolto dall'appello cautelare, che resta quindi privato della sua natura collocazione in un giudizio finale a cognizione piena. Sebbene la sentenza n 427 del 1999 non abbia riscontrato dubbi di costituzionalita' una volta rispettati i parametri di integrita' del contraddittorio, completezza dell'istruttoria e tutti gli adempimenti a carico delle parti non pare invece che identica affermazione possa essere fatta in riferimento alla norma in esame e pare invece possano sussistere dubbi in ordine alla conformita' di essa ai principi costituzionali di cui agli artt. 24 e 111 Cost., non essendo stato rispettato ne' l'inserimento in procedimento comunque a cognizione finale piena ne' assicurato il rispetto dei parametri indicati dalla Corte». «La tutela ha il carattere della provvisorieta' dei provvedimenti cautelari anzi la stessa essenza caratterizza la efficacia sino al provvedimento definitivo (merito), assicurando un assestamento provvisorio della lite, esaurendo i loro effetti con la emanazione della sentenza di merito». «Ne deriva che necessariamente, attesa la strumentalita', il thema decidendum del processo cautelare si distingue dal processo di merito». «Il ricorrente individua il contenuto del provvedimento potendo anche mancare la collaborazione di tutti i soggetti e attivita' degli stessi nella costruzione del processo inteso come rapporto e la valutazione del giudice puo' essere solo strumentale ai fini del cautelare altrimenti si attuerebbe una duplicazione di giudizio con l'anticipazione della fase del merito». «Ed infatti i presupposti tipici della tutela cautelare sono il fumus boni iuris e il periculum in mora. Il giudice accerta la probabilita' dell'esistenza del diritto mentre la esistenza viene demandata al merito». «Il periculum in mora consiste nella probabilita' del danno per la durata del giudizio di merito, e secondo la nuova norma, venuto meno il giudizio di merito verrebbe meno il presupposto. Probabilmente viene meno anche il processo, venuto meno il doppio binario, non puo' affermarsi un giustizialismo di tempestivita', giustificato da un percorso procedimentale che attribuisce effetti interinali-definitivi collegati agli atti del procedimento ma scollegati dal giudicato che sicuramente non e' sussumibile nel principio costituzionale di giusto processo (art. 111 Cost.). Una giustizia senza giusto processo non porta ad una decisione giusta». «La pronuncia estintiva del giudizio richiede comunque un'iniziativa di parte; ed in mancanza, non essendo configurabili poteri di ufficio in ordine all'esistenza dei requisiti richiesti dalla norma». «3. - Violazione dell'art. 25 cost. (Principio della precostituzione del giudice naturale)». «Pare anche attinente il parametro in riferimento all'art. 25 Cost., venendo in rilievo, la questione relativa alla precostituzione del giudice». «Infatti, il ''giudice naturale precostituito per legge'' e' quello competente in base agli ordinari criteri dettati dal codice di rito, tra i quali vi e' il foro stabilito per accordo delle parti ai sensi dell'art. 28 c.p.c., accordo che puo' realizzarsi anche successivamente all'instaurazione della lite, mediante un comportamento concludente, quale la mancata, intempestiva o incompleta proposizione dell'eccezione di incompetenza». «Non puo' allora ritenersi costituzionalmente conforme al precetto dell'art. 25 Cost la norma dell'art. 38 c.p.c., come vive nell'interpretazione consolidata della Corte di cassazione, in quanto rende sufficiente l'accordo di soltanto due delle parti in causa a radicare la competenza dinanzi a un giudice che non sarebbe competente in base agli ordinari criteri. Se l'art. 28 c.p.c. individua come ''giudice precostituito per legge'' anche quello adito su accordo delle parti, l'unico accordo, preventivo o successivo, non in contrasto con l'art. 25 cost. e' quello tra tutte le parti in causa». «Se una sola delle parti, o un terzo contro interessato subisce un processo dinanzi a un giudice diverso da quello individuato dalla legge, viene distolta dal ''giudice naturale'' e viene irragionevolmente limitata nel proprio diritto di difesa, in quanto non le e' consentito di esplicare attivita' difensiva volta ad ottenere che il processo sia trattato dal giudice competente in base agli ordinari criteri, si ha una irragionevolezza della compressione delle garanzie previste dagli artt. 24 e 25 Cost.». «Il precetto costituzionale implica che il giudice debba essere precostituito secondo criteri generali ed astratti stabiliti dalla legge, ma esclude che siffatti criteri possano essere formulati dal legislatore in relazione al contenuto della domanda che la parte, nella sua discrezionalita', decida di volta in volta di azionare». «Il principio di precostituzione per legge del giudice naturale, di cui all'art. 25, comma 1, cost. non consente che la scelta del giudice resti rimessa ad una parte; in tema di riparto di giurisdizione il principio del giudice naturale, e' rispettato quando, la regola di competenza sia prefissata rispetto all'insorgere della controversia». «Nel caso di regolamento di competenza, il tribunale amministrativo, ove ritenga manifestamente fondata l'eccezione di incompetenza, non puo' accogliere l'istanza cautelare presentata dal ricorrente, essendo privo di potestas decidendi, essendo la causa trasmigrata davanti al giudice che fin dall'origine era competente in ordine alla controversia sia per la tutela cautelare, sia per quella di merito, competenze che - in linea di principio - devono ritenersi intimamente connesse, scindibili solo al fine di assicurare una tutela interinale immediata e provvisoria, idonea a salvaguardare gli effetti della futura pronuncia, cautelare o di merito, a seconda dei casi (Corte cost., 2 marzo 2005, n. 82)». «4. - Violazione degli artt. 24, 111 e 113 Cost., in riferimento all'impugnabilita' e al riesame». «La norma non affronta neppure il delicato problema dell'impugnabilita' o del riesame del provvedimento giurisdizionale che sembrerebbe essere inimpugnabile una volta prodotti gli effetti del superamento delle prove». «Si avrebbe una ordinanza sospensiva in un giudizio ancora in vita che non e' idonea a costituire il giudicato, ma produce effetti definitivi e quindi non e' impugnabile». «Si avrebbe una situazione di immutabilita' definitiva non accompagnata dal giudicato perche' non effetto di sentenza e quindi insuscettibile di giudizio di ottemperanza». «Ed infatti, il giudizio di ottemperanza concerne sentenze passate in giudicato, al fine di evitare che l'amministrazione possa arbitrariamente sottrarsi alle pronunce giurisdizionali (Corte costituzionale, 25 marzo 2005, n. 122)». «Viene a mancare alle parti la possibilita' del riesame, cioe' la loro impugnabilita', che sicuramente lascia il dubbio della correttezza costituzionale, essendo venuto meno il giudizio di merito che garantiva l'impugnabilita' garantito dall'art. 111 cost. dal momento che l'efficacia era condizionata alla instaurazione della causa di merito, essa non e' fonte di una statuizione definitiva e decisoria e, dunque, non e' soggetta al ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost.». «Ne' puo' ritenersi che il legislatore, nella sua discrezionalita', possa prevedere l'impugnabilita', ovvero escluderla, senza che tale scelta, oltre che irragionevole, possa comportare lesione dell'art. 24 Cost., dal momento che da essa discende, ove non fosse consentita l'impugnabilita', un potenzialmente grave ostacolo all'esercizio del diritto di azione garantito dal medesimo art. 24 Cost. (e in causa di irragionevole durata del processo: art. 111 comma 2 Cost.)». «Nell'ipotesi che la rivalutazione delle prove (riesame elaborati, interrogazione e formalita' conclusive) si concluda entro breve tempo, e' chiaro che non vi e' spazio per un appello avverso l'ordinanza cautelare». «Ma, questa ipotesi contraddice il principio dell'appellabilita' dei provvedimenti cautelari e introduce sicuramente una disparita' di trattamento rispetto all'ipotesi in cui l'appello cautelare abbia bloccato in tempo la rivalutazione delle prove, non escludibile in via di principio». «Diversamente opinando, si dovrebbe ritenere che l'appello stesso proposto dinanzi al Consiglio di Stato, debba essere rigettato, al fine di mantenere in vita il provvedimento di primo grado, verificandosi l'effetto estintivo, come per il giudizio di primo grado». «Nel caso che non si concluda la procedura di rivalutazione, resterebbe da determinare il contenuto il giudizio di appello cautelare». «Sembrerebbe scontato, secondo i principi generali, che il giudice di appello, debba accogliere tempestivamente l'appello e l'ordinanza cautelare impugnata ne risulterebbe caducata, con conseguente blocco delle operazioni concorsuali che fossero state nel frattempo avviate in forza dell'ordinanza stessa». «La non garanzia del doppio grado di giurisdizione (111 e 113 Cost.), si porrebbe comunque in contrasto con i principi comunitari, che prevedono un doppio grado di giurisdizione, mirante a migliorare la tutela giurisdizionale dei singoli e a preservare la qualita' e l'efficacia della tutela giurisdizionale nell'ordinamento giuridico comunitario (Corte giustizia CE, 17 dicembre 1998, n. 185)». 3. - Tornando a trattare piu' specificamente del caso odierno - che differisce da quello teste' richiamato (oltre che per il gia' ricordato difetto di rilevanza, accertato dall'ord. di Corte cost. n. 312/2006) essenzialmente perche' in quello gia' devoluto alla Corte la ripetizione delle prove d'esame era stata disposta con ordinanza cautelare; mentre in quello odierno e' stata ordinata con sentenza di merito, va sciolta, a questo punto, la riserva che si era formulata in punto di rilevanza della questione di legittimita' costituzionale che si va a sollevare. 3.1. - Come e' noto e si e' gia' detto, il comma 2-bis dell'art. 4 del d.l. 30 giugno 2005, n. 115 (la cui rubrica, stante la norma che qui si censura, con ironia afferma di recare «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalita' di settori della pubblica amministrazione», introducendo invece un vulnus a principi costituzionali), cosi' dispone: «Conseguono ad ogni effetto l'abilitazione professionale o il titolo per il quale concorrono i candidati, in possesso dei titoli per partecipare al concorso, che abbiano superato le prove d'esame scritte ed orali previste dal bando, anche se l'ammissione alle medesime o la ripetizione della valutazione da parte della commissione sia stata operata a seguito di provvedimenti giurisdizionali o di autotutela». Poiche', nel caso concretamente qui in esame, la ricorrezione delle prove scritte, in cui il candidato ricorrente in primo grado non aveva conseguito la sufficienza, e il successivo superamento delle prove orali sono avvenuti - in doverosa esecuzione della sentenza di primo grado, che e' provvisoriamente esecutiva ex art. 33, legge n. 1034/1971, cit. - dopo la proposizione dell'appello (7 dicembre 2007), ma prima che il giudice di secondo grado potesse esaminare il gravame anche solo in fase cautelare, la vigenza del cit. comma 2-bis, comportando il definitivo conseguimento dell'abilitazione professionale da parte del ricorrente in prime cure, farebbe cessare ex lege ogni interesse dell'Amministrazione appellante alla decisione del presente appello, che ora dovrebbe percio' essere dichiarato improcedibile. Per completezza di esame, si osserva che, quasi analogamente, se il superamento delle prove fosse avvenuto - com'e' occorso in altri casi - nelle more tra il deposito della sentenza di primo grado e la stessa presentazione dell'appello (in certe vicende si rileva un'accelerazione della ricorrezione che potrebbe apparire sorprendente, se non fosse semplicemente desolante), la ricordata definitivizzazione degli effetti imposta dal cit. comma 2-bis, facendo cessare l'interesse all'appello ancor prima della sua proposizione, avrebbe reso il gravame tout court inammissibile. Ancora, se (come nelle ipotesi di cui ai precedenti paragrafi 2 e 2.1) il superamento delle prove fosse avvenuto in base a un'ordinanza cautelare di primo grado, analoghe statuizioni di improcedibilita' o di inammissibilita' andrebbero riferite all'appello cautelare; mentre, in modo ancor piu' sconcertante, sarebbe lo stesso ricorso di primo grado - ossia quello stesso atto processuale che, all'esito di una cognizione solo sommaria, era stato la causa del rinnovo della valutazione e delle prove - a divenire tout court improcedibile, restando definitivamente preclusa, in ogni sede, la formulazione del giudizio a cognizione piena (che, invece, dovrebbe costituire il nucleo essenziale e irrinunciabile della tutela giurisdizionale, cui tutte le parti e dunque anche ciascuna di esse hanno un diritto pieno, non sopprimibile dalla legge ordinaria). 3.2. - Ebbene, in tutti questi casi (che, complessivamente, consentono di ribadire l'irragionevolezza della ratio posta a base del comma 2-bis), la declaratoria di incostituzionalita' del cit. comma 2-bis manterrebbe sempre procedibile e ammissibile l'appello, tanto di merito quanto cautelare, nonche' lo stesso ricorso di primo grado che non sia stato ancora deciso prima della ricorrezione. Con piu' specifico riferimento al caso qui in esame, mentre l'appello in trattazione dovrebbe essere senz'altro dichiarato improcedibile, per quanto si e' detto, nell'attuale vigenza del cit. comma 2-bis, viceversa l'auspicato accoglimento della questione di illegittimita' costituzionale sollevata con la presente ordinanza manterrebbe intatta la procedibilita' del gravame in esame e pronunciarsi sulla fondatezza dei motivi di impugnazione che esso propone; renderebbe dunque possibile la somministrazione di una tutela giurisdizionale completa che, come si dira' meglio oltre, nel giudizio amministrativo non puo' mai esaurirsi nel solo giudizio davanti al giudice regionale, ex art. 125 cost. (cfr., sul punto, Corte cost. 1° febbraio 1982, n. 8). In riferimento al caso di specie, dunque, non sembrano sussistere dubbi circa la rilevanza nel giudizio a quo della questione sollevata; infatti, solo in caso di suo accoglimento il Consiglio potrebbe esimersi dall'applicare la norma sospettata di incostituzionalita'; che, altrimenti, precluderebbe ogni pronuncia sul merito dell'appello, imponendone la definizione in rito con declaratoria di improcedibilita' dello stesso. 4. - Una volta verificata la rilevanza della questione proposta, e' a dirsi della sua non manifesta infondatezza. In primo luogo - poiche' la norma puo' trovare applicazione sia per effetto di un'ordinanza cautelare (di primo o secondo grado) che di una sentenza di merito di primo grado (com'e' nel caso di specie), e che la ripetizione delle prove con esito favorevole puo' intervenire sia prima che dopo la proposizione del gravame, ma in ambo i casi senza che il relativo giudice abbia la materiale possibilita' di conoscere, in sede cautelare o di merito, di esso - si reiterano con la presente ordinanza tutte le censure che erano state proposte con l'ord. 28 luglio 2006, n. 479, di questo Consiglio, che la Corte costituzionale non pote' tuttavia prendere in esame per la gia' ricordata ragione di rito. Tali censure sono quelle esposte nel superiore paragrafo 2.1. 5. - la norma che qui si rimette (art. 4, comma 2-bis, cit.) risulta altresi' in contrasto con l'art. 125, secondo comma, della Costituzione. Proprio nell'odierna vicenda, il cit. comma 2-bis impedisce in radice lo svolgimento del giudizio di appello, imponendone in rito una declaratoria di improcedibilita' quale conseguenza di un fatto che la parte appellante non avrebbe potuto impedire, se non che violando la legge (art. 33, legge n. 1034/1971, cit.) e verosimilmente commettendo altresi' il reato di cui all'art. 328 c.p. La disposizione sospettata di incostituzionalita' renderebbe, dunque, definitiva e inappellabile una sentenza del T.a.r. Siffatto effetto, a ben vedere, si verifica (almeno potenzialmente) in tutti i casi di accoglimento in prime cure di ricorsi avverso l'esito negativo degli esami e concorsi cui il cit. comma 2-bis si riferisce: infatti, tra il momento di deposito della sentenza di accoglimento (dalla quale deriva un obbligo di ricorrezione immediata, integrando essa un atto che «per ragioni di giustizia ... deve essere compiuto senza ritardo» ex art. 328 c.p.) e quello di proposizione dell'appello (stanti gli incombenti pratici che questo presuppone), ovvero comunque quello in cui il gravame sia effettivamente preso in esame dal giudice (avuto riguardo ai tempi occorrenti per la notifica, per il deposito nonche', concretamente, per la fissazione e la trattazione dell'affare), trascorre di norma un tempo maggiore (come dimostrato anche dalla vicenda in esame) di quello occorrente per la ripetizione delle prove e la formulazione del relativo esito. Sicche' la norma in esame finisce quasi sempre (ma basterebbe che cio' accadesse talvolta, purche' non eccezionalmente) con il rendere, nelle materie e negli ambiti cui essa si riferisce, definitiva e non sindacabile in appello la sentenza di accoglimento del T.a.r. I tribunali amministrativi regionali vengono percio' a operare, in tali ambiti, come giudici di unico grado, proprio in conseguenza degli effetti della norma posta dal comma 2-bis in discorso. Orbene, siffatta evenienza contrasta con il ricordato parametro costituito dall'art. 125, secondo comma, della Costituzione, che in effetti configura i tribunali amministrativi regionali quali «organi di giustizia amministrativa di primo grado». In nessun caso - per pacifico orientamento dottrinale e giurisprudenziale - essi possono essere trasformati dal legislatore ordinario in giudici di unico grado. In tal senso e' nitida e chiara anche l'interpretazione offerta da Corte cost., 1° febbraio 1982, n. 8, che di seguito si ricorda. «E' invero, giurisprudenza costante di questa Corte che l'istituto del doppio grado di giurisdizione non ha rilevanza costituzionale (da ultimo sentenza n. 62/1981), ma nei casi che formano oggetto delle ordinanze di cui in epigrafe la giurisprudenza stessa non puo' essere applicata, in quanto si tratta di questioni attinenti alla giurisdizione amministrativa la quale trova nella stessa Carta costituzionale una disciplina differenziata». «Infatti l'art. 125, secondo comma, esplicitamente stabilisce che i tribunali amministrativi da istituire (e poi istituiti con la legge 6 dicembre 1971, n. 1034 ''Istituzione dei tribunali amministrativi regionali'') sono giudici di primo grado, soggetti pertanto al giudizio di appello dinanzi al Consiglio di Stato». «Il che trova spiegazione nei caratteri propri della giurisdizione amministrativa ordinaria, che verte particolarmente nella sfera del pubblico interesse e rende, quindi, opportuno il riesame delle pronunce dei tribunali di primo grado da parte del Consiglio di Stato, che trovasi al vertice del complesso degli organi costituenti la giurisdizione stessa». «Non v'ha, quindi, dubbio che nel settore in parola il principio del doppio grado di giurisdizione abbia rilevanza costituzionale». «Il problema da risolvere, pertanto, e' quello di accertare se questo principio copra il solo processo di merito ovvero anche il processo incidentale cautelare, consistente nel decidere se sussistano gravi ragioni per sospendere la esecuzione dell'atto amministrativo impugnato dinanzi al T.a.r. in attesa della pronuncia sul merito del gravame che acclara definitivamente la legittimita' o meno di tale atto». «Ad avviso della Corte la risposta al quesito deve essere affermativa». «La giurisprudenza di questa Corte medesima (sentenze numeri 284 del 1974 e 227 del 1975), infatti, ha posto in luce il carattere essenziale del procedimento cautelare e la intima compenetrazione sua con il processo di merito nell'ambito della giustizia amministrativa, nella quale maggiormente si avverte la necessita' di un istituto, quale appunto il procedimento cautelare, che consenta di anticipare, sia pure a titolo provvisorio, l'effetto tipico del provvedimento finale del giudice, permettendo che questo intervenga re adhuc integra e possa consentire in concreto la soddisfazione dell'interesse che risulti nel processo meritevole di tutela». «E' del resto noto che la pronuncia incidentale sulla domanda di sospensione della esecuzione dell'atto amministrativo impugnato, quale che ne sia il contenuto, e' suscettibile di incidere in maniera decisiva sulle conseguenze delle pronunce di merito del giudice e, quindi, anche se indirettamente, sulla tutela sostanziale delle parti e sugli interessi che entrano nel processo amministrativo, in modo particolare sul pubblico interesse: la pronuncia incidentale, invero, come puo' pregiudicare (se negativa) l'interesse del privato ricorrente, cosi', in non pochi casi (se positiva), puo' pregiudicare la soddisfazione del pubblico interesse, anche se di altissimo rilievo, che l'atto amministrativo impugnato aveva ritenuto di realizzare in un determinato modo». «Date queste premesse e considerando, quindi, la necessita' che le opposte posizioni del privato e della p.a. trovino la piu' piena e completa valutazione da parte del giudice amministrativo, e' da ritenere che il principio del doppio grado di giurisdizione, e quindi la possibilita' di un riesame del provvedimento decisorio del giudice di primo grado da parte del Consiglio di Stato, trovi applicazione anche nei riguardi del processo cautelare». «L'art. 125 Cost., d'altro canto, non contiene limitazione alcuna dalla quale possa dedursi che esso si riferisca esclusivamente alle pronunce di merito». «E' vero, poi, che l'art. 28 della legge n. 1034 del 1971, nel trattare dell'appello menziona esplicitamente solo le sentenze dei tt.aa.rr.: ma, a parte la considerazione che esso si porrebbe in contrasto con la citata norma costituzionale ove fosse da interpretare restrittivamente, sta di fatto che la giurisprudenza amministrativa ravvisa tale disposizione come relativa a tutti i provvedimenti di carattere decisorio del giudice di primo grado, fra i quali e' indubbiamente compresa la ordinanza che pone termine al procedimento cautelare». 5.1. - Giova aggiungere che, per i fini che qui vengono in rilievo, la violazione dell'art. 125, secondo comma, della Costituzione sarebbe identicamente sussistita anche ove la Corte non avesse ritenuto riferibile la costituzionalizzazione del doppio grado del giudizio amministrativo anche al processo cautelare; qui si censura infatti il cit. comma 2-bis per contrasto con il richiamato parametro costituzionale in quanto impedisce al Consiglio di Stato di conoscere nel merito dell'appello avverso una sentenza del T.a.r., il che da' luogo a una situazione, di contrasto con l'art. 125 Cost. assai piu' grave ed eclatante di quella dichiarata con la cit. sentenza di Corte cost. n. 8 del 1982. Si precisa infine, per mera completezza, che i pochi ed eccezionali casi in cui la legge configura (legittimamente) ipotesi di giurisdizione amministrativa di unico grado (cfr. art. 37, commi secondo e terzo, della legge n. 1034 del 1971) sono quelli in cui l'unico grado di giudizio si svolge davanti al Consiglio di Stato; nel rispetto, dunque, delle prerogative attribuite a tale Organo dall'art. .103 cost. (che costituisce un ulteriore parametro che concorre a comprovare la fondatezza della prospettata censura di illegittimita' costituzionale) e senza alcuna incidenza su tali vicende del cit. art. 125 Cost., che impone al legislatore ordinario di non configurare il giudizio davanti al t.a.r. come di unico grado, affinche' esso non sia svincolato dal controllo del Consiglio di Stato (cfr. Corte cost., ord. 31 marzo 1988, n. 395). 6. - Il comma 2-bis si rimette altresi' per contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 103, 111 e 113 della Costituzione. 6.1. - In violazione dell'art. 3, primo comma, Cost., la norma che si rimette confligge in modo radicale con i principi di ragionevolezza e di proporzionalita' che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha enucleato dal ricordato principio fondamentale della Costituzione. Com'e' noto, tali principi postulano che la legge tratti in modo uguale le situazioni eguali; nonche' disciplini in modi adeguatamente e proporzionalmente differenziati le situazioni diverse. Orbene, pur nell'ambito di quella ragionevole indeterminatezza che necessariamente contraddistingue l'applicazione concreta di siffatti principi, sembrano in radice inammissibili gli effetti normativi che il cit. comma 2-bis implica, in esclusiva dipendenza dei tempi (piu' o meno rapidi) con cui l'amministrazione dia esecuzione alla sentenza (o ordinanza) del giudice amministrativo di primo grado, rispetto a quelli di proposizione e decisione dell'appello (questi ultimi, peraltro, del tutto sottratti alla disponibilita' delle parti; nonche', al di la' di certi limiti, perfino al giudice, perche' dipendenti da situazioni oggettive e incoercibili). Secondo che l'esecuzione della sentenza di primo grado sia compiuta piu' o meno sollecitamente, la parte soccombente in prime cure potra' ottenere, o meno, la decisione di merito sull'appello. Orbene, trattandosi all'evidenza di circostanze di fatto solo casualmente diverse, e' del tutto irragionevole e sproporzionato il trattamento radicalmente opposto che - in termini di ammissibilita' e procedibilita' dell'appello - deriva dall'applicazione del cit. comma 2-bis a due situazioni sostanzialmente uguali, quali vanno considerate quelle in cui l'esecuzione della sentenza di primo grado si completi prima, ovvero dopo, rispetto al momento in cui il giudice di appello e' posto in grado di provvedere (in sede cautelare o anche nel merito) sulla sentenza gravata. Che non si tratti di situazioni proporzionalmente diverse, cui sia percio' applicabile un trattamento normativo - ai ricordati fini - adeguatamente differenziato e' dimostrato, se non altro, dal fatto che la generale previsione di esecutivita' della sentenza di primo grado recata dal cit. art. 33 legge n. 1034/1971 postula, concettualmente e praticamente, la provvisorieta' di ogni attivita' che venga posta in essere in forza di tale ultima norma, giacche' essa altrimenti si risolverebbe in un banale grimaldello atto a scardinare la stessa impugnabilita' delle sentenze e, con essa, l'intero diritto processuale. Se e' vero che Corte cost. 6 febbraio 2007, n. 26, ha chiarito - ma a diverso proposito - che «non contraddice, comunque, il principio di parita' l'eventuale differente modulazione dell'appello ... purche' essa avvenga nel rispetto del canone della ragionevolezza, con i corollari di adeguatezza e proporzionalita', che si sono a piu' riprese ricordati», e che «le eventuali menomazioni del potere di impugnazione debbano comunque rappresentare - ai fini del rispetto del principio di parita' -soluzioni normative sorrette da una ragionevole giustificazione, nei termini di adeguatezza e proporzionalita' dianzi lumeggiati», cio' che in effetti, nel caso di specie, difetta totalmente e' proprio ogni considerazione della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalita' della previsione normativa che qui si rimette all'esame del giudice delle leggi. Non e' dato cogliere, infatti, in che risieda la ragionevolezza di una norma che subordina tout court l'ammissibilita' o la procedibilita' di un gravame - volto a verificare, precisamente, la corrispondenza, o meno, a diritto del provvedimento giurisdizionale di primo grado in forza del quale e' stata operata la ripetizione delle prove di un esame - alla maggiore o minore velocita' con cui tale ripetizione venga portata a compimento, rispetto a quella con cui il giudice di appello riesca a provvedere sulle domande propostegli dalle parti in causa. 6.2. - In violazione dell'art. 24 Cost., la norma che si rimette lede, per la parte pubblica, il diritto di difesa in grado di appello nell'ambito del giudizio amministrativo. Anche a voler ipoteticamente prescindere (ma non si vede come) dalla gia' riscontrata (con parole tratte da Corte cost. n. 8 del 1982, cit.) costituzionalizzazione del doppio grado di giudizio per le sentenze dei tt.aa.rr., la violazione dell'art. 24, secondo comma, Cost. sussisterebbe egualmente per l'eclatante lesione che deriva dalla norma impugnata al diritto di difesa in grado di appello della sola parte pubblica. Non e' infatti ipotizzabile che, secundum eventum litis, una sola parte venga privata del diritto di appello; laddove l'altra parte, se non avesse ottenuto in prime cure l'utilita' invocata, avrebbe senz'altro potuto reiterare le proprie tesi davanti al Consiglio di Stato. Si e' gia' visto che la necessita' del «rispetto del principio di parita' delle parti» e' stata anche posta a base - sebbene in tutt'altro ambito rispetto a quello qui in esame - della declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, resa da Corte cost. n. 26/2007, cit. 6.3. - In violazione dell'art. 25 Cost. - anche in combinato disposto con gli artt. 103 e 125 Cost., che individuano nel Consiglio di Stato il necessario fulcro della tutela giurisdizionale degli interessi legittimi e in particolari materie indicate dalla legge anche dei diritti soggettivi tra cittadini e pubblica amministrazione; la quale tutela non puo' svolgersi, per volonta' di una sola delle parti in causa, esclusivamente davanti al T.a.r. - la norma che si rimette distoglie la parte pubblica dal suo giudice naturale precostituito per legge che, in questa materia, e' in grado di appello il Consiglio di Stato. 6.4. - In violazione dell'art. 111 Cost. la norma che si rimette lede il principio di parita' delle parti nell'ambito del giusto processo: alla stregua di quanto si e' gia' detto, il comma 2-bis sottrae alla sola parte pubblica - al di fuori di ogni criterio di ragionevolezza - il diritto di sottoporre la statuizione (cautelare o di merito) del giudice di prime cure che l'abbia vista soccombente al giudice di appello; laddove, nel caso inverso, consente alla controparte privata la normale appellabilita' di sentenze e ordinanze che non abbiano accolto le sue domande. 6.5. - Infine, in violazione dell'art. 113, secondo comma, Cost., la norma che si rimette lede il principio di non limitabilita' della tutela giurisdizionale a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. Essa infatti preclude l'impugnazione (talora anche solo quella cautelare, e comunque sempre quella di merito, secondo quanto si e' gia' detto) della parte pubblica in relazione alla circostanza, del tutto estrinseca e casuale, che sia stata piu' rapidamente eseguita la statuizione di primo grado (cautelare o anche di merito) rispetto ai tempi occorrenti per la pronuncia sull'appello; nonche' limita, conseguentemente, solo alla categoria delle sentenze e ordinanze reiettive delle istanze formulate dalla parte ricorrente in primo grado la piena e incondizionata appellabilita' delle statuizioni rese dal giudice di prime cure. 7. - In conclusione, il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' di cui in dispositivo, che pertanto, con la presente ordinanza, viene sollevata e rimessa al vaglio del giudice delle leggi. Il giudizio e' sospeso fino alla pronuncia di quest'ultimo.