Ordinanza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 3-ter, comma  2
(recte comma 3), del decreto legislativo 30  dicembre  1992,  n.  502
(Riordino  della   disciplina   in   materia   sanitaria,   a   norma
dell'articolo 1 della  legge  23  ottobre  1992,  n.  421),  aggiunto
dall'art. 3, comma 3, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n.  229
(Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario  nazionale,  a
norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419), promosso
con ordinanza del  26  novembre  2007  dal  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio su ricorso proposto da Donato Di Maio  contro  il
Ministero della salute ed altri, iscritta  al  n.  264  del  registro
ordinanze del  2008  e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 37, 1ª serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 3 dicembre  2008  il  giudice
relatore Sabino Cassese. 
    Ritenuto che il Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio,
sezione III-quater, con ordinanza del 26 novembre del 2007  (r.o.  n.
264 del 2008), ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 3-ter, comma 2 (recte comma 3), del decreto legislativo  30
dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della  disciplina   in   materia
sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23  ottobre  1992,  n.
421), aggiunto dall'art. 3,  comma  3,  del  decreto  legislativo  19
giugno 1999, n. 229 (Norme  per  la  razionalizzazione  del  Servizio
sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30  novembre
1998, n. 419) per violazione dell'art. 97 della Costituzione; 
        che l'art. 3-ter, comma 3, del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede
che: «Il collegio sindacale dura in carica tre anni ed e' composto da
cinque membri, di cui due designati dalla regione, uno designato  dal
Ministro del tesoro, del bilancio e della  programmazione  economica,
uno dal Ministro della sanita' e uno dalla  Conferenza  dei  sindaci;
per le  aziende  ospedaliere  quest'ultimo  componente  e'  designato
dall'organismo  di  rappresentanza  dei  comuni.  I  componenti   del
collegio sindacale sono scelti tra  gli  iscritti  nel  registro  dei
revisori  contabili  istituito  presso  il  Ministero  di  grazia   e
giustizia, ovvero tra i funzionari  del  Ministero  del  tesoro,  del
bilancio e della programmazione economica che abbiano esercitato  per
almeno tre anni le funzioni di revisori dei conti o di componenti dei
collegi sindacali»; 
        che il Tribunale rimettente riferisce che il  ricorrente  nel
giudizio principale, in un primo momento designato dal Ministro della
salute  e  nominato   quale   componente   del   collegio   sindacale
dell'azienda ospedaliera «Ospedale di Circolo di Busto  Arsizio»,  ha
impugnato il provvedimento  con  cui  il  Ministro  della  salute  ha
revocato il provvedimento di designazione, nonche' i provvedimenti di
designazione e nomina del  nuovo  componente,  controinteressato  nel
giudizio principale; 
        che il giudice a quo riferisce, altresi',  che  nel  giudizio
principale si e' costituito il Ministero della salute,  chiedendo  il
rigetto del ricorso; 
        che il Tribunale rimettente,  dopo  aver  affermato,  in  via
pregiudiziale,  la  propria  giurisdizione  sulla   controversia   in
oggetto, osserva che la norma censurata  disciplina  in  maniera  del
tutto sommaria la modalita' di designazione dei membri  del  collegio
sindacale e non specifica alcunche' relativamente  alle  «guarentigie
di status dei suoi componenti»; 
        che tali lacune, secondo il rimettente,  avrebbero  l'effetto
di attribuire all'amministrazione un potere arbitrario di revoca e di
designazione di componenti dei collegi sindacali; 
        che, infatti, ritiene il rimettente che «in  un  sistema  nel
quale la designazione e' avvenuta non in base a trasparenti procedure
comparative ma sulla base di una  totalmente  immotivata  cooptazione
dell'organo politico dei prescelti, non possa non essere riconosciuto
al nuovo  vertice  politico  un  corrispondente  potere  di  revocare
arbitrariamente  le   nomine,   altrettanto   arbitrarie,   del   suo
predecessore»; 
        che, di  conseguenza,  ove  si  ritenesse  costituzionalmente
legittimo un simile sistema normativo, dovrebbe «ammettersi  che,  in
caso di mutamento dei vertici politici o, comunque,  del  venir  meno
del rapporto fiduciario, la revoca della rappresentanza istituzionale
del soggetto designante debba essere ritenuta [...]  comunque  sempre
discrezionalmente ammissibile, previo l'indennizzo  di  cui  all'art.
21-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241 [...] al di fuori  dei
casi di dimissioni, decadenza o decesso»; 
        che in cio', ad avviso del giudice a quo, «sta  la  rilevanza
della questione» nel giudizio principale; 
        che, in punto di non  manifesta  infondatezza,  il  Tribunale
rimettente   reputa   che    le    disposizioni    censurate    siano
costituzionalmente illegittime, da un lato, perche' non prevedono  la
necessita' di una procedura di selezione «tecnica e neutrale dei piu'
capaci» che  consenta  la  designazione  «indipendentemente  da  ogni
considerazione per gli orientamenti politici  dei  vari  concorrenti»
(e' citata la sentenza n. 104 del 2007) e, dall'altro lato, in quanto
non contengono una specifica disposizione che inibisca una revoca  ad
libitum, dal momento che una tale possibilita' di revoca,  «sia  pure
latente», appare contrastare  con  il  dettato  costituzionale  nella
parte in cui non garantisce il «principio di continuita'  dell'azione
amministrativa» di controllo (e' citata la sentenza n. 103 del 2007); 
        che nel giudizio costituzionale e' intervenuto il  Presidente
del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
infondata; 
        che l'Avvocatura generale dello  Stato  innanzitutto  osserva
che i criteri indicati dalla norma censurata per delimitare  l'ambito
dei soggetti  che  possono  essere  designati  quali  componenti  del
collegio sindacale delle aziende sanitarie locali  escludono  che  la
scelta sia espressione di «poteri assolutamente discrezionali»; 
        che,  in  secondo  luogo,  la  difesa   erariale   nega   che
l'esercizio del potere  di  revoca  sia  «libero»  solo  perche'  non
specificamente e concretamente disciplinato dalle  norme  denunciate,
atteso che esso e' comunque assoggettato ai principi generali sanciti
dalla  legge  sul  procedimento  amministrativo  e,  in  particolare,
all'obbligo di motivazione; 
        che, infine, l'Avvocatura generale dello Stato rileva come il
giudice  rimettente  abbia   omesso   di   precisare   il   contenuto
dell'eventuale    pronuncia    additiva    richiesta    alla    Corte
costituzionale,  limitandosi  a  prospettare  l'illegittimita'  della
norma censurata per il fatto che essa «nulla prevede in  ordine  alla
revoca della carica di membro del collegio sindacale». 
    Considerato che il Tribunale amministrativo regionale del  Lazio,
sezione III-quater, ha sollevato, con riferimento all'art.  97  della
Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
3-ter, comma 2 (recte comma 3), del decreto legislativo  30  dicembre
1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma
dell'articolo 1 della  legge  23  ottobre  1992,  n.  421),  aggiunto
dall'art. 3, comma 3, del decreto legislativo 19 giugno 1999, n.  229
(Norme per la razionalizzazione del Servizio sanitario  nazionale,  a
norma dell'articolo 1 della legge  30  novembre  1998,  n.  419),  in
quanto contenente una disciplina  delle  modalita'  di  designazione,
nomina e revoca dei componenti dei collegi  sindacali  delle  aziende
sanitarie locali priva, da un lato, di  «ogni  indicazione  circa  la
necessita' di una "procedura di selezione tecnica e neutrale dei piu'
capaci" che consenta cioe' la designazione "indipendentemente da ogni
considerazione per gli orientamenti politici dei  vari  concorrenti"»
e, dall'altro lato, di specifiche disposizioni  «che  inibiscano  una
revoca ad libitum» degli incarichi; 
        che  il  rimettente   muove   da   un   erroneo   presupposto
interpretativo, atteso  che,  dal  carattere  asseritamente  lacunoso
della disciplina statale sulla  designazione  e  sulle  «garanzie  di
status» dei componenti dei collegi sindacali, trae  il  convincimento
che l'amministrazione disponga di  un  potere  arbitrario  di  revoca
dall'incarico, esercitabile ad libitum e anche al di fuori  dei  casi
di cessazione dalla carica espressamente previsti dalla legge; 
        che, in realta',  la  circostanza  che  le  designazioni  dei
membri del collegio sindacale non  siano  l'esito  di  una  procedura
selettiva, o che  manchino  specifiche  disposizioni  sul  potere  di
revoca degli  incarichi,  non  comporta  la  conseguenza  su  cui  il
rimettente  fonda  la  rilevanza   della   questione   nel   giudizio
principale; 
        che,  infatti,  i  poteri  di  designazione  e   revoca   dei
componenti dei collegi sindacali, che hanno presupposti diversi,  non
possono essere esercitati  arbitrariamente  dall'amministrazione,  ma
restano  comunque  sottoposti  alle   regole   generali   sull'azione
amministrativa, alla  cui  stregua  il  giudice  amministrativo  puo'
sindacarne gli atti di esercizio; 
        che,  pertanto,   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.