Nell'interesse del dott. Oscar Magi, nella  qualita'  di  giudice
monocratico  della  IV  sezione  penale  del  Tribunale  di   Milano,
rappresentato e difeso giusta delega margine del  presente  atto  dal
prof. avv. Federico Sorrentino ed elettivamente domiciliato presso il
suo studio in Roma, lungotevere delle Navi, n. 30, nei confronti  del
Presidente del Consiglio dei ministri in relazione: 
        alle due lettere del Presidente del  Consiglio  dei  ministri
del 15 novembre 2008 (USG/2.SP/556/50/347 e USG/2.SP/557/50/347), con
cui e' stato confermato il segreto di  Stato  opposto  dai  testimoni
sig.ri Giuseppe Scandone e Lorenzo Murgolo nel  corso  delle  udienze
dibattimentali rispettivamente del 15 e del 29 ottobre 2008  relative
al processo a carico di Adier  Monica  Courteney  ed  altri  pendente
dinanzi la IV sezione penale del  Tribunale  di  Milano  con  n.  RG.
5335/07, nonche', ove occorra, 
        alla lettera del Presidente del Consiglio  datata  6  ottobre
2008 (N. 6000.1/42025/GAB). 
                              F a t t o 
    1. - Il giudice ricorrente e' titolare del processo a  carico  di
Adler Monica Courteney ed altri relativo ai  reati  di  sequestro  di
persona aggravato e di favoreggiamento personale,  meglio  conosciuto
come relativo al sequestro «Abu Omar». 
    Tale procedimento e' ormai ben  noto  a  codesta  Corte,  essendo
pendenti  cinque  ricorsi  per  conflitto  di  attribuzione  ad  esso
relativi  (quattro  proposti  in  via  principale  e   uno   in   via
incidentale), la cui discussione e'  fissata  per  l'udienza  del  10
marzo 2009. 
    Infatti,  sebbene  nel  corso  delle  indagini   e   dell'udienza
preliminare relative al procedimento de quo  non  sia  stato  opposto
alcun segreto di Stato (almeno, secondo le procedure stabilite  dalla
legge), il Presidente del Consiglio, all'indomani  dell'adozione  del
decreto  di  rinvio  a  giudizio,  ha  promosso  due   conflitti   di
attribuzione - il primo nei confronti della Procura, il  secondo  nei
confronti   del   g.i.p-g.u.p.   -   contestando   l'acquisizione   e
l'utilizzazione di fonti di prova ritenute coperte da  segreto  (r.g.
nn. 2 e 3/2007). 
    La Procura e il g.i.p. hanno, quindi, a loro volta contestato  la
sussistenza  del  potere  del  Presidente  del  Consiglio   d'inibire
l'esercizio  delle  funzioni  giurisdizionali  al  di   fuori   delle
procedure legali, nonche' di  disporre  la  secretazione  di  atti  e
notizie riguardanti le c.d. extraordinary renditions - nel cui ambito
s'iscrive il sequestro Abu Omar - da ritenersi  eversive  dell'ordine
costituzionale (ricorso  della  Procura  r.g.  n.  6/2007  e  ricorso
incidentale del g.i.p. nel giudizio r.g. n. 3/2007). 
    Un ulteriore conflitto e' stato infine sollevato  dal  Presidente
del Consiglio  nei  confronti  del  giudice  odierno  ricorrente,  in
relazione alla decisione di riaprire il processo  -  rimasto  sospeso
per quasi un anno in attesa di una decisione di codesta ecc.ma  Corte
- e di  ammettere  le  testimonianze  di  alcuni  appartenenti  o  ex
appartenenti ai Servizi di informazione e sicurezza indicate dal p.m. 
    2. - Nel costituirsi dinanzi a codesta ecc.ma Corte nel conflitto
da ultimo citato, il giudice odierno ricorrente aveva  osservato  che
l'ammissione delle suddette testimonianze  non  poteva,  di  per  se'
stessa, cagionare un  disvelamento  di  notizie  secretate,  restando
fermo il dovere dei testimoni, penalmente sanzionato (art. 261 c.p.),
di astenersi dal  rivelare  tali  informazioni  e  di  attivare,  ove
necessario, il meccanismo legale di  tutela  del  segreto  di  Stato,
fondato sull'opposizione e sulla successiva conferma  del  Presidente
del Consiglio (art. 202 c.p.p.). 
    Deve allora evidenziarsi  che  nella  realta'  dei  fatti  si  e'
verificato  esattamente  cio',  di  tal  che  appare  definitivamente
provato che la mera  ammissione  dei  testimoni  non  avrebbe  potuto
cagionare alcun pregiudizio all'interesse della segretezza. 
    3. - In particolare, all'udienza del 15 ottobre 2008,  la  difesa
dell'imputato dott. Mancini  depositava  copia  di  una  lettera  del
Presidente del Consiglio datata 6 ottobre 2008 (N.  6000.1/42025/GAB)
- inoltrata a tutti gli appartenenti o  ex  appartenenti  ai  Servizi
chiamati a testimoniare - con cui veniva ricordato che sul fatto  del
sequestro di Abu Omar non esiste  segreto  di  Stato,  mentre  rimane
coperto da segreto «ogni e qualsiasi rapporto fra servizi italiani  e
servizi  stranieri  nel   quadro   della   tutela   delle   relazioni
internazionali» con conseguente dovere  per  suddetti'  testimoni  di
opporre il segreto di Stato in relazione a «qualsiasi rapporto fra  i
servizi italiani e stranieri ancorche' in qualche  modo  collegato  o
collegabile con il fatto  storico  meglio  noto  come  sequestro  Abu
Omar». 
    4. - Sempre all'udienza del 15 ottobre, il  teste  sig.  Giuseppe
Scandone (ex agente del S.I.S.Mi.), richiamandosi alla  sopra  citata
lettera/direttiva del Presidente del Consiglio, opponeva  il  segreto
di Stato  in  relazione  ad  una  domanda  rivoltagli  dal  difensore
dell'imputato Gen.  Pollari,  avente  ad  oggetto  la  sua  eventuale
conoscenza di direttive o ordini, impartiti da detto imputato, tesi a
vietare ai suoi sottoposti il ricorso a mezzi illeciti  di  contrasto
del  terrorismo   internazionale   e,   in   particolare,   le   c.d.
extraordinary renditions. 
    A fronte dell'opposizione del segreto, la difesa del Gen. Pollari
chiedeva  al  giudice  di  attivare  la  procedura  d'interpello  del
Presidente del Consiglio di cui all'art. 202 c.p.p. 
    A tale richiesta aderivano le difese di altri imputati, mentre si
opponeva  il  p.m.,  che  chiedeva  al  giudice  di   dichiarare   la
«eversivita' dell'ordinamento costituzionale» dei reati  oggetto  del
giudizio ed evidenziava che il Presidente del Consiglio si  era  gia'
pronunciato sui limiti del segreto di Stato, da ultimo con la lettera
depositata alla medesima udienza dalla difesa del dott. Mancini. 
    5. - Con ordinanza del 22 ottobre, il giudice rilevava  che,  per
concorde ammissione dei numerosi testimoni ascoltati e per  esplicita
affermazione del Presidente del Consiglio, sulla vicenda relativa  al
sequestro Abu Omar non risulta essere stato apposto ed opposto  alcun
segreto di Stato e,  pertanto,  «anche  l'eventuale  declaratoria  di
eversivita' dell'ordinamento  costituzionale  del  reato  contestato,
nulla toglierebbe o aggiungerebbe alla possibilita' di  perseguimento
del reato in questione». 
    Evidenziava poi che, data la rilevanza probatoria  dell'esistenza
e della portata di ordini o direttive interne al  S.I.S.Mi.,  emanate
dall'allora  direttore  in  materia  di  renditions,   non   appariva
superfluo  chiedere  al  Presidente  del  Consiglio  di  chiarire  se
l'estensione del segreto comprendesse anche tali ordini e  direttive.
Infatti, «una cosa e' vietare la divulgazione  di  atti  e  documenti
riguardanti rapporti intrattenuti a livello politico tra Stati o  con
organi informativi  di  altri  Stati  ed  altra  cosa  e'  negare  la
conoscibilita' di ordini o direttive date come  interna  corporis  da
parte di persone imputate nel presente procedimento del  fatto  reato
su cui; per concorde ammissione, non esiste segreto di Stato. Perche'
delle due, l'una: o l'inesistenza del segreto sul fatto del sequestro
deve consentire l'accertamento del reato in tutte le  sue  componenti
per tutti i suoi presunti partecipanti, ovvero  tale  ''dichiarazione
di inesistenza'' risulta un mero espediente retorico per impedire  un
reale approfondimento dei fatti di causa, fatti la cui  gravita'  non
puo' sfuggire a  nessuna  delle  parti  chiamate  a  valutarli  ed  a
consentirne la compiuta valutazione». 
    Per queste ragioni, ai sensi dell'art.  202  c.p.p.,  il  giudice
chiedeva al Presidente del Consiglio di confermare «se siano  coperte
da Segreto di Stato direttive o ordini impartiti dal Generale Nicolo'
Pollari; nell'ambito delle sue prerogative di massima  autorita'  del
S.I.S.Mi. nel periodo indicato nel capo  di  imputazione,  ai  propri
sottoposti tese ad impedire l'uso di mezzi o  modalita'  illecite  da
parte  dei  medesimi   nell'opera   di   contrasto   del   terrorismo
internazionale e, in  particolare,  nell'attivita'  cosiddetta  delle
renditions». 
    6. - All'udienza del 22 ottobre, il teste sig.  Lorenzo  Murgolo,
anch'egli richiamandosi alla lettera/direttiva del  6  ottobre  2008,
opponeva il segreto di Stato a fronte della richiesta, rivoltagli dal
p.m., di ripetere quanto  gia'  riferito  nel  corso  delle  indagini
preliminari in ordine ad alcuni suoi colloqui  con  l'imputato  dott.
Mancini e relativi al coinvolgimento di quest'ultimo nel sequestro  e
alla sua  partecipazione  ad  una  riunione  con  «gli  americani»  a
Bologna. 
    Con ordinanza  del  29  ottobre,  il  giudice  -  evidenziata  la
rilevanza probatoria delle circostanze in relazione  alle  quali  era
stato opposto il  segreto  -  richiedeva  allora  al  Presidente  del
Consiglio di confermare: «e sia legittima l'opposizione  del  segreto
di Stato da parte del teste Murgolo Lorenzo in  ordine  alla  domanda
relativa alla  sua  conoscenza  di  quanto  confidenzialmente  a  lui
riferito dall'imputato Marco Mancini in ordine al ruolo rivestito  da
quest'ultimo nel sequestro Abu Omar». 
    Oltre alla richiesta di conferma del segreto opposto  dal  teste,
il  giudice  chiedeva  chiarimenti  su  «cosa  debba  intendersi  per
''circostanze relative a qualsiasi rapporto tra  servizi  italiani  e
stranieri collegate o collegabili'' al fatto storico meglio noto come
''sequestro Abu Omar'', circostanze che,  nella  missiva  inviata  da
questa Presidenza in data 6 ottobre 2008 n. 6000.1/4205 GAS ai  testi
ed imputati appartenenti o appartenuti a  Servizi  di  Sicurezza,  si
affermano coperte da segreto di Stato». 
    In merito a tale missiva, il giudice, infatti, osservava: 
        « (...) se da un lato si conferma che sul fatto del sequestro
Abu Omar non vi e' segreto di Stato,  dall'altro  con  l'affermazione
che in merito  all'attivita'  dei  servizi  segreti  e  sui  rapporti
intrattenuti con altri servizi alleati il segreto  esiste  in  quanto
tali attivita'  siano  collegate  o  collegabili  con  il  fatto  del
sequestro, si fa rientrare dalla finestra  quello  che  si  e'  fatto
uscire dalla porta; non si capisce, infatti, come sia  possibile  per
l'a.g. accertare l'esistenza e la commissione, da  parte  di  persone
individuate come imputati, del reato in questione se nessuna  domanda
puo' essere posta ai testi in merito alla  collegabilita'  del  fatto
con le condotte degli  imputati  medesimi;  in  particolare,  non  si
comprende  come  un  testimone  che  ha  reso,  evidentemente,  ampie
dichiarazioni sui fatti di causa  in  sede  di  indagini  preliminari
senza che nessuno opponesse il segreto (e tanto meno il teste), possa
poi trincerarsi dietro una nuova opposizione per  il  solo  fatto  di
aver ricevuto una circolare di assai incerta interpretazione; 
        perche'  (...)  i  fatti,  i  comportamenti  o  le   condotte
collegate o ricollegabili al fatto reato del  sequestro  non  possono
(se la logica ha un senso) essere coperte da un segreto che non copra
il fatto  reato  medesimo;  tali  comportamenti,  fatti  o  documenti
dovrebbero invece considerarsi coperti da segreto solo in quanto  non
ricollegate o ricollegabili al fatto del sequestro in esame. 
        (...) l'inciso finale  della  lettera  circolare  di  cui  si
discute (...) appare carente  proprio  in  termini  di  mera  logica,
perche' copre con un supposto segreto fatti, notizie o  comportamenti
che, per il solo fatto di  essere  collegati  o  collegabili  con  il
sequestro in parola, tale copertura non potrebbero avere, essendo  il
fatto del sequestro ''non coperto'' dal medesimo segreto. 
        Anche perche' (...) una cosa sono i  rapporti  internazionali
tra servizi o fra Stati, ed altra cosa e' la concreta commissione  di
un fatto reato che, per unanime valutazione, non e' coperto da  alcun
segreto  di  alcun  genere:  perche'  non  puo',  dirsi  che  su   un
fatto/reato, non esiste segreto e poi non  consentire  l'accertamento
del  fatto  medesimo  in  tutte  le  sue  componenti,   oggettive   e
soggettive. Sarebbe un po' come dire che di un reato e' conoscibile e
accertabile solo il mero fatto storico ma non le sue  cause,  non  le
condotte che lo hanno posto in essere, non le sue eventuali cause  di
giustificazione (...) ». 
    7. - Con due note del 15 novembre, il  Presidente  del  Consiglio
rispondeva ai due interpelli,  confermando  il  segreto  opposto  dal
testi e precisando i limiti entro i quali - ad avviso  dell'Esecutivo
- dovrebbe muoversi l'Autorita' giudiziaria. 
    La conferma del segreto opposto dai  testi  veniva  motivata  dal
Presidente  del  Consiglio   con   l'esigenza   di   «preservare   la
credibilita'   del   servizio   nell'ambito   dei    suoi    rapporti
internazionali  con  gli  organismi   collegati»;   in   quanto   «la
divulgazione di notizie rivelatrici anche di parti soltanto  di  tali
rapporti, esporrebbe i nostri  servizi  al  rischio  concreto  di  un
ostracismo  informativo  da  parte  degli  omologhi  stranieri;   con
evidenti  negativi  contraccolpi  nello  svolgimento   dell'attivita'
informativa presente e futura». Inoltre, con specifico riferimento al
segreto opposto dal teste  Scandone  in  ordine  all'esistenza  e  al
contenuto di direttive o ordini impartiti dal gen.  Pollari  relativi
alle c.d. renditions, la conferma del segreto era motivata anche  sul
rilievo che esso  si  fonda  sulla  «esigenza  di  riserbo  che  deve
tutelare gli interna corporis di ogni servizio, ponendo al riparo  da
indebita pubblicita' le sue modalita' organizzative ed operative». 
    In merito ai chiarimenti sollecitati  dallo  stesso  giudice,  il
Presidente  del  Consiglio  affermava  che  non  vi  sarebbe   alcuna
contraddizione  nell'affermare  l'insussistenza   del   segreto   sul
fatto-reato e la segretezza invece del rapporto fra Servizi  italiani
e stranieri «ancorche' in qualche modo collegato o collegabile con il
fatto storico meglio  noto  come  sequestro  Abu  Omar».  Secondo  il
Presidente del Consiglio, infatti, «l'Autorita' giudiziaria e' libera
di indagare, accertare e giudicare il fatto reato de qua, non coperto
da segreto, con tutti i mezzi di prova consentiti.  Fra  tali  mezzi,
peraltro, non possono essere ricompresi - perche' coperti da  segreto
- quelli  che  hanno  tratto  ai  rapporti  fra  servizi  italiani  e
stranieri». 
    8. - A fronte di tali affermazioni, che rendono  di  fatto  assai
arduo il concreto e pieno esercizio dei  poteri  giurisdizionali,  il
giudice titolare del processo de qua promuove  il  presente  ricorso,
per le seguenti ragioni di 
                            D i r i t t o 
I) Sull'ammissibilita' del ricorso. 
    Sotto il profilo soggettivo e' pacifica, nella giurisprudenza  di
codesta  ecc.ma  Corte,  la   legittimazione   dei   singoli   organi
giurisdizionali a essere parte  di  un  conflitto  in  quanto  organi
«competenti  a  dichiarare  definitivamente,   nell'esercizio   delle
relative  funzioni,  la  volonta'  del  potere   cui   appartengono».
Altrettanto  pacifica  e'  la  legittimazione  del   Presidente   del
Consiglio dei ministri a resistere al presente conflitto  «in  quanto
organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere
cui appartiene in ordine  alla  tutela,  apposizione,  opposizione  e
conferma del segreto di Stato, non solo in base alla legge 24 ottobre
1977, n. 801, ma anche alla stregua delle norme costituzionali che ne
definiscono le attribuzioni» (da ultimo, ordinanza 25 giugno 2008, n.
230). 
    Sotto il profilo oggettivo, il presente  ricorso  ha  ad  oggetto
l'illegittima compressione delle attribuzioni  e  dei  poteri  propri
dell'autorita' giudiziaria, di cui agli artt. 101 e ss. Costituzione,
derivante:  a)  dall'affermazione,  da  parte  del   Presidente   del
Consiglio, dell'esistenza di una preclusione, nel  giudizio  de  quo,
all'utilizzazione di tutti i mezzi di  prova  «che  hanno  tratto  ai
rapporti fra servizi italiani e stranieri»,  b)  dalla  conferma  del
segreto opposto dal teste  Scandone  in  ordine  all'esistenza  e  al
contenuto di direttive o ordini impartiti dal gen.  Pollari  relativi
alle c.d. renditions; c) dalla conferma del segreto opposto dal teste
Murgolo in merito  ad  alcuni  suoi  colloqui  con  l'imputato  dott.
Mancini e relativi all'eventuale coinvolgimento di  quest'ultimo  nel
sequestro  e  alla  sua  partecipazione  ad  una  riunione  con  «gli
americani» a Bologna (colloqui di cui il medesimo  teste  aveva  gia'
riferito nel corso delle indagini preliminari). 
Nel merito, violazione degli artt. 101 e ss. Costituzione. 
    Premessa: La disciplina del segreto di Stato  si  fonda  sulla  -
difficile ma necessaria - ricerca di un punto di' equilibrio tra  due
interessi parimenti essenziali e insopprimibili della  collettivita':
da  un  lato,  la   tutela   giurisdizionale   dei   diritti   e   la
perseguibilita' dei reati e, dall'altro, la sicurezza dello Stato. 
    In deroga al principio generale di  conoscibilita'  dei  fatti  e
degli atti da parte dell'autorita' giudiziaria,  l'opposizione  e  la
conferma del segreto di Stato  -  per  le  finalita'  e  nelle  forme
previste dalla legge - determinano allora un importante  limite  alla
«naturale» potesta' del giudice di acquisire e  utilizzare  fonti  di
prova su cui fondare il proprio libero convincimento. 
    Tuttavia,  proprio  perche'  il   potere   di   secretazione   e'
suscettibile d'incidere, in via eccezionale, sul pieno esplicarsi  di
una funzione essenziale dello Stato di' diritto, il suo esercizio non
e' affatto «sciolto da qualsiasi vincolo», ma  deve  correlarsi  alla
tutela di un bene  costituzionalmente  protetto,  nonche'  essere  in
qualche  modo  «controllabile»  e  rispettare   alcuni   fondamentali
principi e, in particolare, quelli di  legalita',  correttezza  e  di
lealta', nonche' proporzionalita' (recte di «ragionevole rapporto  di
mezzo a fine», per usare la formula di cui alla sentenza  n.  86  del
1977). 
    Tanto premesso, si evidenzia che,  nella  complessa  e  dibattuta
vicenda che ha dato origine al presente conflitto, un punto fermo  e'
costituito dalla non secretazione del sequestro Abu  Omar  in  quanto
fatto-reato. 
    Cio' e' stato, infatti, ripetutamente affermato dagli imputati  e
dai testimoni e, soprattutto, dal Presidente del  Consiglio,  con  la
lettera del 6 ottobre e con i due atti di conferma  del  15  novembre
u.s., di cui qui si discute. 
    D'altro canto,  il  giudice  ricorrente  si  e'  sempre  mostrato
consapevole della  necessita'  di  delimitare  con  molta  attenzione
l'oggetto del giudizio e di evitare che in esso confluiscano  notizie
che esulano dall'accertamento del reato e  attengono,  invece,  altre
attivita' svolte dagli imputati in qualita' di  agenti  dei  Servizi,
ovvero rapporti di carattere generale  o  istituzionale  tra  Servizi
italiani  ed  esteri,  ovvero  ancora  l'organizzazione  interna  dei
medesimi Servizi. E' infatti evidente che tali informazioni sono -  e
devono restare - riservate e, per questa ragione, il giudice ha posto
in  essere  ogni  cautela  per  impedire  il  loro  disvelamento   In
particolare, ha disposto che l'esame dei  testimoni  appartenenti  ai
Servizi avvenisse a porte chiuse, ha  da  subito  avvertito  che  non
sarebbero  state  autorizzate  «domande  generiche  o  meno  tese   a
ricostruire la tela dei piu' ampi rapporti C.I.A./S.I.S.Mi. che  poco
interessa l'attuale  vicenda  processuale»  (cfr.  ordinanza  del  14
maggio 2008) ed ha costantemente ribadito l'obbligo dei testimoni  di
astenersi dal deporre su circostanze coperte da segreto).. 
    Pare allora potersi affermare che  Presidente  del  Consiglio  ed
autorita' giudiziaria concordano (quanto meno): 
        sul  fatto  che  il  sequestro  di  Abu   Omar,   in   quanto
fatto-reato, non e' coperto da segreto di Stato; 
        sul rilievo che vi sono tuttavia delle notizie preliminari  a
tale fatto-reato, di cui deve essere garantita la segretezza. 
    Il conflitto sorge allora nel momento in cui si rende  necessario
individuare in concreto la linea di confine tra cio' che e' segreto e
cio' che non lo e', nonche' definire il significato  dell'espressione
«fatto-reato» non secretato. 
    Da  ultimo,  nella  lettera/direttiva  del  6  ottobre  2008,  il
Presidente del Consiglio ha  infatti  affermato  la  sussistenza  del
segreto su «qualsiasi rapporto fra i  servizi  italiani  e  stranieri
ancorche' in qualche  modo  collegato  o  collegabile  con  il  fatto
storico meglio noto come, sequestro Abu Omar». 
    Il significato di tale ultima frase e'  stato  poi  ulteriormente
«chiarito» con gli atti di conferma  del  15  novembre:  «l'Autorita'
giudiziaria e' libera di indagare, accertare  e  giudicare  il  fatto
reato de quo, non coperto da segreto, con  tutti  i  mezzi  di  prova
consentiti», ad eccezione di quelli «che hanno tratto ai rapporti fra
servizi italiani e stranieri». 
    Tali espressioni inducono a ritenere che, per il  Presidente  del
Consiglio, l'ambito di operativita' del segreto sarebbe  tanto  ampio
da ricomprendere - oltre all'organizzazione interna dei Servizi e  ai
loro rapporti  di  carattere  istituzionale  e  generale  -  anche  i
comportamenti  dei   singoli   agenti,   oggi   imputati,   ancorche'
preordinati alla commissione del delitto de quo. 
    Coerentemente  con  tale  impostazione,  egli  ha  confermato  il
segreto opposto dal teste  Scandone  in  ordine  all'esistenza  e  al
contenuto di direttive o ordini impartiti dal gen.  Pollari  relativi
alle c.d. renditions, nonche' il segreto opposto dal teste Murgolo in
ordine ad  alcuni  suoi  colloqui  con  l'imputato  dott.  Mancini  e
relativi all'eventuale coinvolgimento di quest'ultimo nel sequestro e
alla sua partecipazione ad una riunione con «gli americani» a Bologna
(colloqui, peraltro, gia' riferiti ai p.m. nel corso  delle  indagini
preliminari). 
    In buona sostanza, con tali atti di conferma, il  Presidente  del
Consiglio sembra voler precludere  al  giudice  anche  l'accertamento
sulla sussistenza o meno di elementi costitutivi del fatto-reato:  la
domanda del p.m. al teste Murgolo era, infatti, volta  a  provare  le
condotte  poste  in  essere  dall'imputato  Mancini   e   preordinate
all'ideazione ed esecuzione del  sequestro  (ovviamente,  secondo  la
ricostruzione dell'accusa); mentre la domanda  rivolta  dalla  difesa
del  Gen.  Pollari  al  teste  Scandone  mirava   a   dimostrare   la
contrarieta' dell'imputato alla  pratica  delle  c.d.  renditions  e,
quindi, la sua estraneita' al reato. In proposito, deve  evidenziarsi
che non veniva richiesta l'esibizione ditali ordini o direttive,  ne'
si chiedeva al teste di rivelarne il contenuto nei dettagli,  di  tal
che il segreto opposto ha riguardato  esclusivamente  l'esistenza  di
tali atti e l'orientamento generale in essi espresso. 
    E' peraltro evidente che, in una vicenda processuale in cui tutti
gli  imputati  sono  agenti  o  ex  agenti  dei  Servizi  italiani  e
americani, precludere al giudice l'acquisizione e l'utilizzazione  di
tutti i mezzi di prova che «hanno tratto» al rapporti tra tali agenti
«ancorche' collegati  o  collegabili»  alla  commissione  del  reato,
significa  precludere  all'Autorita'  giudiziaria  di  accertare   le
responsabilita' degli agenti/imputati, inibendole  di  conoscere  del
«fatto-reato», che pure si afferma non essere secretato. 
    Le affermazioni del  Presidente  del  Consiglio  appaiono  allora
intrinsecamente contraddittorie. La  logica  consente,  infatti,  due
sole alternative: o il fatto-reato  non  e'  coperto  da  segreto  ed
allora non  lo  sono  neanche  le  condotte  degli  imputati  che  ne
costituiscono gli elementi  costitutivi;  oppure  il  fatto-reato  e'
secretato. E' del resto evidente che, per il giudice, il sequestro di
Abu Omar non ha nessuna importanza in quanto mero fatto  storico,  ma
acquista rilievo solo se, e nei limiti in cui, egli  puo'  conoscerne
in quanto reato, ovvero come esito di condotte umane e volontarie  e,
pertanto, fonte di responsabilita'. 
    Per queste ragioni il giudice  ritiene  necessario  rivolgersi  a
codesta Corte, al fine di sollecitarne  l'intervento  per  orientarlo
nella conduzione e  nella  decisione  del  giudizio  e  definire  con
maggior chiarezza i confini delle sue attribuzioni costituzionalmente
garantite. 
    In particolare, pur condividendo in astratto  l'affermazione  del
Presidente del Consiglio in merito alla  necessita'  di  tutelare  la
riservatezza  dei  rapporti  istituzionali  tra  Servizi  italiani  e
stranieri e della loro organizzazione interna, egli ritiene che  tale
esigenza  di  riservatezza  non  puo'  tradursi  in  una  sostanziale
vanificazione del  suo  potere/dovere  di  accertare  e  valutare  le
condotte degli imputati e le loro responsabilita'.  Cio',  in  quanto
siffatta  preclusione  si  porrebbe  in  contrasto  con  i   seguenti
principi: 
I) Il principio di legalita'. 
    Codesta Corte - sotto la vigenza della legge  n.  801/1977  -  ha
evidenziato che tale disciplina «non delinea(va)  alcuna  ipotesi  di
immunita'   sostanziale   collegata   all'attivita'    dei    servizi
informativi» (sentenza n. 110/1998). 
    La legge n. 124/2007 ha, invece,  previsto  un'esimente  speciale
per gli agenti dei Servizi, ma ha altresi' esplicitato che  essa  non
opera per i «delitti diretti a mettere in  pericolo  o  a  ledere  la
vita, l'integrita' fisica, la personalita' individuale,  la  liberta'
personale, la liberta' morale, la salute o  l'incolumita'  di  una  o
piu' persone» (art. 17). 
    L'art. 40, comma 3, della legge n. 124/2007 statuisce poi che non
possono  essere  oggetto  di  segreto  «atti,  notizie  o   documenti
concernenti le condotte poste in essere da appartenenti ai servizi di
informazione  per  la  sicurezza  in  violazione   della   disciplina
concernente  la  speciale  causa  di  giustificazione  prevista   per
attivita'  del  personale  dei  servizi  di   informazione   per   la
sicurezza». 
    In altre parole: poiche' non e' concepibile  che  un'attivita'  a
tutela dello Stato sia svolta con  metodi  che  contrastino  con  gli
stessi principi su cui esso si fonda -  e,  in  particolare,  con  il
riconoscimento dei diritti inviolabili della persona - gli agenti dei
Servizi che commettano  un  delitto  contro  «la  vita,  l'integrita'
fisica,  la  personalita'  individuale,  la  liberta'  personale,  la
liberta' morale, la salute o l'incolumita» devono risponderne dinanzi
all'autorita' giudiziaria e il loro operato non puo' essere in nessun
caso «coperto» da segreto di Stato. 
    Invero, si  tratta  di  un  principio  gia'  vigente  nel  nostro
ordinamento - che non prevedeva, infatti, garanzie funzionali per gli
agenti  dei  Servizi  -   riaffermato   pero'   con   particolare   e
significativa forza proprio nel momento in cui una  simile,  limitata
garanzia e' stata introdotta. Ne' puo'  ignorarsi  che  la  legge  n.
124/2007 e' successiva alla proposizione dei primi tre  conflitti  di
attribuzione relativi a questa vicenda (nn.  2,  3  e  6  del  2007),
cosicche' non puo' non leggersi tra le  righe  di  queste  norme  una
chiara presa di posizione del Parlamento anche sul caso Abu Omar. 
    Appare allora difficilmente conciliabile  con  il  chiaro  tenore
della legge e con lo spirito ad essa sotteso l'inibizione - derivante
dagli atti di conferma del 15 novembre -  del  potere  dell'autorita'
giudiziaria  di  accertare  la  sussistenza  o  meno  degli  elementi
costitutivi del reato de quo e, in particolare, di'  conoscere  fatti
che proverebbero l'attiva partecipazione al delitto  di  un  imputato
(testimonianza  di  Murgolo),  ovvero  l'estraneita'  di   un   altro
(testimonianza di Scandone). Invero, siffatta preclusione rischia  di
tradursi  in   una   sostanziale   «copertura»   dell'operato   degli
agenti/imputati  e,  in  definitiva,  in  una   sorta   di   garanzia
d'impunita', fondata sulla mera  circostanza  di  appartenere  ad  un
Servizio d'informazione, sconosciuta al nostro ordinamento. 
    In definitiva, la limitazione dei poteri del giudice  prospettata
dal Presidente del Consiglio (divieto di acquisire e utilizzare mezzi
di prova che «che hanno tratto ai rapporti  fra  servizi  italiani  e
stranieri») e' tanto ampia da  poter  impedire  l'accertamento  delle
responsabilita' oggetto del giudizio. 
    Di qui il dubbio che l'apposizione del segreto  -  pur  formulata
come inerente a singoli mezzi di prova - si estenda al reato, che non
e', invece, secretabile per l'espressa previsione di legge  e,  ancor
prima, in ragione dell'inderogabilita' della garanzia  costituzionale
dei diritti inviolabili. 
II) Il principio di proporzionalita'. 
    La conferma del segreto e' motivata dal Presidente del  Consiglio
in relazione all'esigenza di «preservare la credibilita' del servizio
nell'ambito  dei  suoi  rapporti  internazionali  con  gli  organismi
collegati» in quanto «la divulgazione di notizie rivelatrici anche di
parti soltanto di tali  rapporti;  esporrebbe  i  nostri  servizi  al
rischio concreto di un ostracismo informativo da parte degli omologhi
stranieri,  con  evidenti  negativi  contraccolpi  nello  svolgimento
dell'attivita' informativa presente e futura» Inoltre, con  specifico
riferimento  al  segreto  opposto  dal  teste  Scandone   in   ordine
all'esistenza e al contenuto di direttive o ordini impartiti dal gen.
Pollari relativi alle c.d. renditions, la  conferma  del  segreto  e'
motivata anche con riferimento alla «esigenza  di  riserbo  che  deve
tutelare gli interna corporis di ogni servizio, ponendo al riparo  da
indebita pubblicita' le sue modalita' organizzative ed operative». 
    Si  tratta  di  finalita'  pienamente  legittime,  per   il   cui
perseguimento pero' non appare affatto  necessario  sacrificare,  con
tanta incisivita', i poteri dell'autorita' giudiziaria. Al  contrario
il rispetto del principio di proporzionalita' sembrerebbe imporre una
distinzione tra: 
        informazioni inerenti modalita'  organizzative  ed  operative
dei Servizi, ovvero rapporti di carattere  generale  e  istituzionale
con i Servizi stranieri, comprese  ovviamente  eventuali  intese  che
definiscano linee di condotta condivise, da un lato, 
        e  condotte  concretamente  poste  in  essere   dai   singoli
agenti/imputati e che  abbiano  avuto  incidenza  causale  sul  fatto
criminoso, dall'altro. 
    Le  prime  devono  rimanere  riservate:  di  cio'  e'  fortemente
convinto lo stesso giudice ricorrente,  che  mai  ne  ha  violato  la
segretezza e, al contrario, ha  posto  in  essere  tutte  le  cautele
necessarie per evitarne il disvelamento. 
    Le seconde,  invece,  devono  essere  conoscibili  dall'autorita'
giudiziaria, non essendovi alcuna incompatibilita' tra garanzia della
riservatezza  delle  istituzioni  e  conoscibilita'  delle   condotte
delittuose  poste  in  essere  da  singoli  soggetti  che   ad   esse
appartengono: tali condotte, infatti, proprio per il  loro  carattere
eventualmente illegale, si pongono al  di  fuori  di  quella  cornice
istituzionale che puo' essere -  e  deve  essere  -  destinataria  di
tutela. 
    Diversamente, gli atti di conferma del 15 novembre non rispettano
tale criterio distintivo, ne' - piu' in generale -  il  principio  di
«ragionevole rapporto di mezzo a fine». 
    In particolare, deve ricordarsi che il segreto opposto  dal  sig.
Scandone aveva ad oggetto la sua eventuale conoscenza di direttive  o
ordini impartiti dal gen.  Pollari  ai  propri  sottoposti  «tese  ad
impedire l'uso di mezzi o modalita' illecite da  parte  dei  medesimi
nell'opera  di  contrasto  del  terrorismo   internazionale   e,   in
particolare, nell'attivita'  cosiddetta  delle  renditions».  Non  si
vede, allora, ne' quale grave compromissione della «credibilita'  del
servizio»  ne'  quale  «indebita  pubblicita»  delle  sue  «modalita'
organizzative ed operative» sarebbe  derivata  da  una  risposta  del
teste, sia che fosse stata negativa (con l'acquisizione  della  prova
che il sig. Scandone non conosceva simili direttive  o  ordini),  sia
che fosse stata positiva  (con  l'acquisizione  della  prova  che  il
direttore del S.I.S.Mi. aveva imposto  ai  suoi  agenti  il  rispetto
della legalita', come impone la legge). 
    Quanto al segreto opposto  dal  sig.  Murgolo,  esso  ha  poi  ad
oggetto quanto a lui riferito dall'imputato Mancini in  relazione  al
ruolo dallo stesso evetualmente rivestito nel reato. In questo  caso,
si   e'   assolutamente   fuori   dell'ambito   delle    informazioni
legittimamente secretabili, trattandosi di comportamenti  individuali
inerenti la commissione di un reato. 
III) Il principio dell'anteriorita' della secretazione. 
    Quanto alla conferma del segreto opposto dal teste Murgolo,  deve
evidenziasi che esso ha ad oggetto quanto dallo stesso gia'  riferito
nel corso delle indagini preliminari. 
    Appartiene pero'  alla  logica,  prima  ancora  che  al  diritto,
l'osservazione che una notizia e' segreta  sin  tanto  che  essa  non
venga rivelata ed il mero fatto della rivelazione e' di per se stesso
idoneo a trasformare una notizia da segreta a conosciuta (e, infatti,
il legislatore ha configurato il delitto di rivelazione  di'  segreti
di Stato come reato istantaneo  ed  ha  imposto  anche  alla  persona
ascoltata nel corso delle  indagini  preliminari  -  e  non  solo  al
testimone  -  l'obbligo  di  astenersi  dal  rispondere  su   domande
concernenti un segreto di Stato e di fare formale opposizione). 
    Non solo. Il nostro ordinamento non conosce - e anzi rifiuta - la
figura della secretazione successiva. 
    Gia' la legge n. 801/1977 presupponeva, infatti, il principio per
cui la secretazione di una notizia dev'essere  antecedente  alla  sua
acquisizione da parte dell'autorita' giudiziaria e,  piu'  volte,  in
sede di lavori  preparatori  era  stata  evidenziata  l'esigenza  che
l'apposizione del segreto avvenga «prima ed  a  prescindere  dall'uso
processuale  della  stessa  (notizia),  al  fine   di   evitare   che
l'Esecutivo opportunamente ed arbitrariamente copra  del  segreto  ex
post cio' che ad esso  e'  scomodo  o  dannoso  in  relazione  ad  un
processo determinato» (cosi' la relazione introduttiva della proposta
di legge Balzamo, Accame e Aniasi). 
    La legge  n.  124/2007  ha  ora  ulteriormente  esplicitato  tale
principio,  introducendo,   come   suo   corollario,   l'obbligo   di
annotazione del segreto (ove possibile) sugli atti, documenti o  cose
che ne sono oggetto. 
    I fatti oggetto della testimonianza del sig. Murgolo, pertanto: 
        o non erano segreti all'epoca delle dichiarazioni  da  questi
rese ai p.m.; ma allora non possono esserlo  divenuti  solo  ora,  in
forza di una secretazione ex post; 
        oppure erano gia' all'epoca coperti da segreto; ma, anche  in
tal caso,  non  lo  sono  piu'  in  ragione  del  loro  disvelamento,
configurandosi tuttavia il reato di cui all'art. 261 c.p. 
    Invero,  stupisce  non  poco  il  silenzio  del  Presidente   del
Consiglio su tale  aspetto  dell'opposizione,  nonche'  la  soluzione
adottata, per cui, da un lato, si conferma il segreto in relazione  a
fatti ormai rivelati e, dall'altro, non si prende nessuna  iniziativa
nei confronti del teste, che a quei fatti ha ormai dato pubblicita'. 
IV) Violazione del principio di correttezza e lealta'. 
    IV.1) Il potere di secretazione, importando, nell'interesse  alla
sicurezza dello Stato,  una  preclusione  al  pieno  esercizio  della
funzione giurisdizionale - e, quindi, una limitazione all'altrettanto
fondamentale interesse alla giustizia -  deve  essere  esercitato  in
modo chiaro, esplicito ed univoco. 
    Al contrario, nel caso  di  specie,  sebbene  il  Presidente  del
Consiglio contesti «decisamente» l'esistenza di ambiguita' nelle  sue
precedenti affermazioni, e' un dato di fatto che tutti i giudici  che
si sono occupati del  «caso  Abu  Omar»  hanno  avuto  seri  problemi
nell'individuare i contorni del segreto di Stato ed i  confini  delle
proprie attribuzioni. 
    Per questa ragione,  il  giudice  ricorrente,  nel  formulare  il
secondo  interpello,  ha   altresi'   esplicitamente   richiesto   al
Presidente  del  Consiglio  una  risposta   finalmente   chiara   sul
discrimine tra fatti conoscibili e fatti secretati. Cio', in nome  di
quel dialogo leale e corretto che dovrebbe improntare i rapporti  tra
poteri dello Stato e che  costituisce  imprescindibile  garanzia  per
ciascuno di essi. 
    Tuttavia, l'affermazione del Presidente del Consiglio -  per  cui
il «fatto reato» non e' segreto, mentre lo sono i «mezzi di prova ...
che hanno tratto ai rapporti fra  servizi  italiani  e  stranieri»  -
inserita nello specifico contesto del processo Abu Omar  continua  ad
essere alquanto oscura o, meglio, assume un significato solo se letta
nel senso di estendere il segreto anche agli eventuali  comportamenti
dei  singoli  agenti/imputati  e  preordinati  alla  commissione  del
delitto de quo. 
    Ma se cosi' e', l'affermata non segretezza del «fatto  reato»  si
risolve in una sorta di artificio retorico volto a mascherare,  nella
forma, l'effettiva portata della segretazione  che,  nella  sostanza,
diviene tanto ampia da comportare il rischio di uno  svuotamento  del
potere/dovere del giudice di conoscere il reato nelle sue  componenti
oggettive e soggettive: perche'  quanto  afferma  il  Presidente  del
Consiglio e' un po' «come dire che  di  un  reato  e'  conoscibile  e
accertabile solo il mero fatto storico ma non le sue  cause,  non  le
condotte che lo hanno posto in essere, non le sue eventuali cause  di
giustificazione» (cosi' l'ordinanza del 22 ottobre 2008). 
    Siffatte espressioni, quindi,  anziche'  portare  la  piu'  volte
richiesta chiarezza e certezza, lasciano ancora una volta il  giudice
in balia di interpretazioni soggettive  e  mutevoli,  esponendolo  al
rischio di  gravi  responsabilita',  in  evidente  contrasto  con  il
principio di correttezza e lealta'. 
    IV.2) Con specifico riferimento all'atto di conferma del  segreto
opposto  dal  teste  Murgolo,  deve  poi   evidenziasi   un'ulteriore
anomalia. 
    A  fronte  di  una  richiesta   relativa   alla   segretezza   di
informazioni attinenti il ruolo eventualmente rivestito dall'imputato
Mancini nel sequestro Abu Omar, il Presidente del  Consiglio  afferma
che la questione e' in realta' un'altra: se  esiste  il  segreto  sui
rapporti tra detto Imputato e «gli americani». 
    Tale spostamento del  fulcro  della  questione  consente  poi  al
Presidente del Consiglio di motivare  la  conferma  del  segreto  con
l'esigenza di «preservare la credibillta'  del  servizio  nell'ambito
dei suoi rapporti internazionali con gli organismi collegati». 
    Sia  dall'interpello  del  giudice,  sia  dal  verbale  d'udienza
emergeva, invece, in modo assai chiaro che la testimonianza richiesta
dal  p.m.  non  verteva  affatto  sui  rapporti  internazionali   del
S.I.S.Mi.  con  gli  organismi  collegati,  ma   aveva   ad   oggetto
esclusivamente quanto riferito  al  teste  dall'imputato  Mancini  in
ordine ad un suo personale coinvolgimento nella commissione del reato
Infatti, il p.m.  dott.  Pomarici  spiegava  al  teste  «noi  non  le
chiediamo su a sua conoscenza in ordine ai rapporti fra la  C.I.A.  e
il S.I.S.Mi., anche in ordine alle renditions e cosi' via,  argomento
che risulta tutelato da segreto di Stato apposto dal  Presidente  del
Consiglio. Noi le chiediamo invece di riferire su  quanto  ha  saputo
confidenzialrnente dall'attuale  imputato  Marco  Mancini,  che  sono
dichiarazioni che non hanno niente a che vedere con  i  rapporti  tra
C.I.A. e S.I.S.Mi. Cioe' il fatto storico su cui Lei  e'  chiamato  a
testimoniare non e' sui rapporti tra C.I.A. e  S.I.S.Mi.,  bensi'  su
quello che le ha riferito Mancini».. 
                         Istanza Istruttoria 
    Il ricorrente non e' a conoscenza  ne'  delle  comunicazioni  del
Presidente del Consiglio al Comitato parlamentare  per  la  sicurezza
della Repubblica  degli  atti  qui  impugnati,  ne'  delle  eventuali
pronunce  adottate  dal  Comitato   parlamentare   in   ordine   alla
legittimita' degli stessi. 
    Pertanto, si richiede a codesta ecc.ma Corte  di  voler,  in  via
istruttoria, ai sensi degli artt. 13 della  legge  n.  87/1953  e  12
delle norme integrative, ordinare al Comitato la  trasmissione  delle
eventuali comunicazioni del Presidente del Consiglio,  nonche'  delle
relative determinazioni adottate. 
    Si  chiede,  altresi',  che  venga  ordinata  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri l'esibizione: 
        degli atti che appongono il segreto sulle circolari  e  sugli
ordini impartiti dal gen. Pollari tesi a vietare ai  suoi  sottoposti
il  ricorso  a   mezzi   illeciti   di   contrasto   del   terrorismo
internazionale e, in particolare, le c.d. extraordinary renditions; 
        degli atti che appongono il  segreto  sui  comportamenti  del
dott. Mancini collegati al sequestro Abu Omar. 
    In proposito, si evidenzia che  il  segreto  di  Stato  non  puo'
essere opposto a codesta ecc.ma Corte e il giudizio ad essa demandato
non  puo'  prescindere  dalla  verifica  dell'esistenza  degli   atti
appositivi, in assenza dei quali  sarebbero  sicuramente  illegittime
sia l'opposizione, sia la conferma del segreto. 
(1) In particolare, ha disposto che l'esame dei testimoni appartenenti ai
Servizi avvenisse a porte chiuse, ha  da  subito  avvertito  che  non
sarebbero  state  autorizzate  «domande  generiche  o  meno  tese   a
ricostruire la tela dei piu' ampi rapporti C.I.A./S.I.S.Mi. che  poco
interessa l'attuale  vicenda  processuale»  (cfr.  ordinanza  del  14
maggio 2008) ed ha costantemente ribadito l'obbligo dei testimoni  di
astenersi dal deporre su circostanze coperte da segreto). 
(2) Infatti, il p.m.  dott.  Pomarici  spiegava  al  teste  «noi  non  le
chiediamo su a sua conoscenza in ordine ai rapporti fra la  C.I.A.  e
il S.I.S.Mi., anche in ordine alle renditions e cosi' via,  argomento
che risulta tutelato da segreto di Stato apposto dal  Presidente  del
Consiglio. Noi le chiediamo invece di riferire su  quanto  ha  saputo
confidenzialrnente dall'attuale  imputato  Marco  Mancini,  che  sono
dichiarazioni che non hanno niente a che vedere con  i  rapporti  tra
C.I.A. e S.I.S.Mi. Cioe' il fatto storico su cui Lei  e'  chiamato  a
testimoniare non e' sui rapporti tra C.I.A. e  S.I.S.Mi.,  bensi'  su
quello che le ha riferito Mancini».