Nell'interesse del dott. Oscar Magi, nella qualita' di giudice monocratico della IV sezione penale del Tribunale di Milano, rappresentato e difeso giusta delega margine del presente atto dal prof. avv. Federico Sorrentino ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, lungotevere delle Navi, n. 30, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione: alle due lettere del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 novembre 2008 (USG/2.SP/556/50/347 e USG/2.SP/557/50/347), con cui e' stato confermato il segreto di Stato opposto dai testimoni sig.ri Giuseppe Scandone e Lorenzo Murgolo nel corso delle udienze dibattimentali rispettivamente del 15 e del 29 ottobre 2008 relative al processo a carico di Adier Monica Courteney ed altri pendente dinanzi la IV sezione penale del Tribunale di Milano con n. RG. 5335/07, nonche', ove occorra, alla lettera del Presidente del Consiglio datata 6 ottobre 2008 (N. 6000.1/42025/GAB). F a t t o 1. - Il giudice ricorrente e' titolare del processo a carico di Adler Monica Courteney ed altri relativo ai reati di sequestro di persona aggravato e di favoreggiamento personale, meglio conosciuto come relativo al sequestro «Abu Omar». Tale procedimento e' ormai ben noto a codesta Corte, essendo pendenti cinque ricorsi per conflitto di attribuzione ad esso relativi (quattro proposti in via principale e uno in via incidentale), la cui discussione e' fissata per l'udienza del 10 marzo 2009. Infatti, sebbene nel corso delle indagini e dell'udienza preliminare relative al procedimento de quo non sia stato opposto alcun segreto di Stato (almeno, secondo le procedure stabilite dalla legge), il Presidente del Consiglio, all'indomani dell'adozione del decreto di rinvio a giudizio, ha promosso due conflitti di attribuzione - il primo nei confronti della Procura, il secondo nei confronti del g.i.p-g.u.p. - contestando l'acquisizione e l'utilizzazione di fonti di prova ritenute coperte da segreto (r.g. nn. 2 e 3/2007). La Procura e il g.i.p. hanno, quindi, a loro volta contestato la sussistenza del potere del Presidente del Consiglio d'inibire l'esercizio delle funzioni giurisdizionali al di fuori delle procedure legali, nonche' di disporre la secretazione di atti e notizie riguardanti le c.d. extraordinary renditions - nel cui ambito s'iscrive il sequestro Abu Omar - da ritenersi eversive dell'ordine costituzionale (ricorso della Procura r.g. n. 6/2007 e ricorso incidentale del g.i.p. nel giudizio r.g. n. 3/2007). Un ulteriore conflitto e' stato infine sollevato dal Presidente del Consiglio nei confronti del giudice odierno ricorrente, in relazione alla decisione di riaprire il processo - rimasto sospeso per quasi un anno in attesa di una decisione di codesta ecc.ma Corte - e di ammettere le testimonianze di alcuni appartenenti o ex appartenenti ai Servizi di informazione e sicurezza indicate dal p.m. 2. - Nel costituirsi dinanzi a codesta ecc.ma Corte nel conflitto da ultimo citato, il giudice odierno ricorrente aveva osservato che l'ammissione delle suddette testimonianze non poteva, di per se' stessa, cagionare un disvelamento di notizie secretate, restando fermo il dovere dei testimoni, penalmente sanzionato (art. 261 c.p.), di astenersi dal rivelare tali informazioni e di attivare, ove necessario, il meccanismo legale di tutela del segreto di Stato, fondato sull'opposizione e sulla successiva conferma del Presidente del Consiglio (art. 202 c.p.p.). Deve allora evidenziarsi che nella realta' dei fatti si e' verificato esattamente cio', di tal che appare definitivamente provato che la mera ammissione dei testimoni non avrebbe potuto cagionare alcun pregiudizio all'interesse della segretezza. 3. - In particolare, all'udienza del 15 ottobre 2008, la difesa dell'imputato dott. Mancini depositava copia di una lettera del Presidente del Consiglio datata 6 ottobre 2008 (N. 6000.1/42025/GAB) - inoltrata a tutti gli appartenenti o ex appartenenti ai Servizi chiamati a testimoniare - con cui veniva ricordato che sul fatto del sequestro di Abu Omar non esiste segreto di Stato, mentre rimane coperto da segreto «ogni e qualsiasi rapporto fra servizi italiani e servizi stranieri nel quadro della tutela delle relazioni internazionali» con conseguente dovere per suddetti' testimoni di opporre il segreto di Stato in relazione a «qualsiasi rapporto fra i servizi italiani e stranieri ancorche' in qualche modo collegato o collegabile con il fatto storico meglio noto come sequestro Abu Omar». 4. - Sempre all'udienza del 15 ottobre, il teste sig. Giuseppe Scandone (ex agente del S.I.S.Mi.), richiamandosi alla sopra citata lettera/direttiva del Presidente del Consiglio, opponeva il segreto di Stato in relazione ad una domanda rivoltagli dal difensore dell'imputato Gen. Pollari, avente ad oggetto la sua eventuale conoscenza di direttive o ordini, impartiti da detto imputato, tesi a vietare ai suoi sottoposti il ricorso a mezzi illeciti di contrasto del terrorismo internazionale e, in particolare, le c.d. extraordinary renditions. A fronte dell'opposizione del segreto, la difesa del Gen. Pollari chiedeva al giudice di attivare la procedura d'interpello del Presidente del Consiglio di cui all'art. 202 c.p.p. A tale richiesta aderivano le difese di altri imputati, mentre si opponeva il p.m., che chiedeva al giudice di dichiarare la «eversivita' dell'ordinamento costituzionale» dei reati oggetto del giudizio ed evidenziava che il Presidente del Consiglio si era gia' pronunciato sui limiti del segreto di Stato, da ultimo con la lettera depositata alla medesima udienza dalla difesa del dott. Mancini. 5. - Con ordinanza del 22 ottobre, il giudice rilevava che, per concorde ammissione dei numerosi testimoni ascoltati e per esplicita affermazione del Presidente del Consiglio, sulla vicenda relativa al sequestro Abu Omar non risulta essere stato apposto ed opposto alcun segreto di Stato e, pertanto, «anche l'eventuale declaratoria di eversivita' dell'ordinamento costituzionale del reato contestato, nulla toglierebbe o aggiungerebbe alla possibilita' di perseguimento del reato in questione». Evidenziava poi che, data la rilevanza probatoria dell'esistenza e della portata di ordini o direttive interne al S.I.S.Mi., emanate dall'allora direttore in materia di renditions, non appariva superfluo chiedere al Presidente del Consiglio di chiarire se l'estensione del segreto comprendesse anche tali ordini e direttive. Infatti, «una cosa e' vietare la divulgazione di atti e documenti riguardanti rapporti intrattenuti a livello politico tra Stati o con organi informativi di altri Stati ed altra cosa e' negare la conoscibilita' di ordini o direttive date come interna corporis da parte di persone imputate nel presente procedimento del fatto reato su cui; per concorde ammissione, non esiste segreto di Stato. Perche' delle due, l'una: o l'inesistenza del segreto sul fatto del sequestro deve consentire l'accertamento del reato in tutte le sue componenti per tutti i suoi presunti partecipanti, ovvero tale ''dichiarazione di inesistenza'' risulta un mero espediente retorico per impedire un reale approfondimento dei fatti di causa, fatti la cui gravita' non puo' sfuggire a nessuna delle parti chiamate a valutarli ed a consentirne la compiuta valutazione». Per queste ragioni, ai sensi dell'art. 202 c.p.p., il giudice chiedeva al Presidente del Consiglio di confermare «se siano coperte da Segreto di Stato direttive o ordini impartiti dal Generale Nicolo' Pollari; nell'ambito delle sue prerogative di massima autorita' del S.I.S.Mi. nel periodo indicato nel capo di imputazione, ai propri sottoposti tese ad impedire l'uso di mezzi o modalita' illecite da parte dei medesimi nell'opera di contrasto del terrorismo internazionale e, in particolare, nell'attivita' cosiddetta delle renditions». 6. - All'udienza del 22 ottobre, il teste sig. Lorenzo Murgolo, anch'egli richiamandosi alla lettera/direttiva del 6 ottobre 2008, opponeva il segreto di Stato a fronte della richiesta, rivoltagli dal p.m., di ripetere quanto gia' riferito nel corso delle indagini preliminari in ordine ad alcuni suoi colloqui con l'imputato dott. Mancini e relativi al coinvolgimento di quest'ultimo nel sequestro e alla sua partecipazione ad una riunione con «gli americani» a Bologna. Con ordinanza del 29 ottobre, il giudice - evidenziata la rilevanza probatoria delle circostanze in relazione alle quali era stato opposto il segreto - richiedeva allora al Presidente del Consiglio di confermare: «e sia legittima l'opposizione del segreto di Stato da parte del teste Murgolo Lorenzo in ordine alla domanda relativa alla sua conoscenza di quanto confidenzialmente a lui riferito dall'imputato Marco Mancini in ordine al ruolo rivestito da quest'ultimo nel sequestro Abu Omar». Oltre alla richiesta di conferma del segreto opposto dal teste, il giudice chiedeva chiarimenti su «cosa debba intendersi per ''circostanze relative a qualsiasi rapporto tra servizi italiani e stranieri collegate o collegabili'' al fatto storico meglio noto come ''sequestro Abu Omar'', circostanze che, nella missiva inviata da questa Presidenza in data 6 ottobre 2008 n. 6000.1/4205 GAS ai testi ed imputati appartenenti o appartenuti a Servizi di Sicurezza, si affermano coperte da segreto di Stato». In merito a tale missiva, il giudice, infatti, osservava: « (...) se da un lato si conferma che sul fatto del sequestro Abu Omar non vi e' segreto di Stato, dall'altro con l'affermazione che in merito all'attivita' dei servizi segreti e sui rapporti intrattenuti con altri servizi alleati il segreto esiste in quanto tali attivita' siano collegate o collegabili con il fatto del sequestro, si fa rientrare dalla finestra quello che si e' fatto uscire dalla porta; non si capisce, infatti, come sia possibile per l'a.g. accertare l'esistenza e la commissione, da parte di persone individuate come imputati, del reato in questione se nessuna domanda puo' essere posta ai testi in merito alla collegabilita' del fatto con le condotte degli imputati medesimi; in particolare, non si comprende come un testimone che ha reso, evidentemente, ampie dichiarazioni sui fatti di causa in sede di indagini preliminari senza che nessuno opponesse il segreto (e tanto meno il teste), possa poi trincerarsi dietro una nuova opposizione per il solo fatto di aver ricevuto una circolare di assai incerta interpretazione; perche' (...) i fatti, i comportamenti o le condotte collegate o ricollegabili al fatto reato del sequestro non possono (se la logica ha un senso) essere coperte da un segreto che non copra il fatto reato medesimo; tali comportamenti, fatti o documenti dovrebbero invece considerarsi coperti da segreto solo in quanto non ricollegate o ricollegabili al fatto del sequestro in esame. (...) l'inciso finale della lettera circolare di cui si discute (...) appare carente proprio in termini di mera logica, perche' copre con un supposto segreto fatti, notizie o comportamenti che, per il solo fatto di essere collegati o collegabili con il sequestro in parola, tale copertura non potrebbero avere, essendo il fatto del sequestro ''non coperto'' dal medesimo segreto. Anche perche' (...) una cosa sono i rapporti internazionali tra servizi o fra Stati, ed altra cosa e' la concreta commissione di un fatto reato che, per unanime valutazione, non e' coperto da alcun segreto di alcun genere: perche' non puo', dirsi che su un fatto/reato, non esiste segreto e poi non consentire l'accertamento del fatto medesimo in tutte le sue componenti, oggettive e soggettive. Sarebbe un po' come dire che di un reato e' conoscibile e accertabile solo il mero fatto storico ma non le sue cause, non le condotte che lo hanno posto in essere, non le sue eventuali cause di giustificazione (...) ». 7. - Con due note del 15 novembre, il Presidente del Consiglio rispondeva ai due interpelli, confermando il segreto opposto dal testi e precisando i limiti entro i quali - ad avviso dell'Esecutivo - dovrebbe muoversi l'Autorita' giudiziaria. La conferma del segreto opposto dai testi veniva motivata dal Presidente del Consiglio con l'esigenza di «preservare la credibilita' del servizio nell'ambito dei suoi rapporti internazionali con gli organismi collegati»; in quanto «la divulgazione di notizie rivelatrici anche di parti soltanto di tali rapporti, esporrebbe i nostri servizi al rischio concreto di un ostracismo informativo da parte degli omologhi stranieri; con evidenti negativi contraccolpi nello svolgimento dell'attivita' informativa presente e futura». Inoltre, con specifico riferimento al segreto opposto dal teste Scandone in ordine all'esistenza e al contenuto di direttive o ordini impartiti dal gen. Pollari relativi alle c.d. renditions, la conferma del segreto era motivata anche sul rilievo che esso si fonda sulla «esigenza di riserbo che deve tutelare gli interna corporis di ogni servizio, ponendo al riparo da indebita pubblicita' le sue modalita' organizzative ed operative». In merito ai chiarimenti sollecitati dallo stesso giudice, il Presidente del Consiglio affermava che non vi sarebbe alcuna contraddizione nell'affermare l'insussistenza del segreto sul fatto-reato e la segretezza invece del rapporto fra Servizi italiani e stranieri «ancorche' in qualche modo collegato o collegabile con il fatto storico meglio noto come sequestro Abu Omar». Secondo il Presidente del Consiglio, infatti, «l'Autorita' giudiziaria e' libera di indagare, accertare e giudicare il fatto reato de qua, non coperto da segreto, con tutti i mezzi di prova consentiti. Fra tali mezzi, peraltro, non possono essere ricompresi - perche' coperti da segreto - quelli che hanno tratto ai rapporti fra servizi italiani e stranieri». 8. - A fronte di tali affermazioni, che rendono di fatto assai arduo il concreto e pieno esercizio dei poteri giurisdizionali, il giudice titolare del processo de qua promuove il presente ricorso, per le seguenti ragioni di D i r i t t o I) Sull'ammissibilita' del ricorso. Sotto il profilo soggettivo e' pacifica, nella giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, la legittimazione dei singoli organi giurisdizionali a essere parte di un conflitto in quanto organi «competenti a dichiarare definitivamente, nell'esercizio delle relative funzioni, la volonta' del potere cui appartengono». Altrettanto pacifica e' la legittimazione del Presidente del Consiglio dei ministri a resistere al presente conflitto «in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volonta' del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in base alla legge 24 ottobre 1977, n. 801, ma anche alla stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni» (da ultimo, ordinanza 25 giugno 2008, n. 230). Sotto il profilo oggettivo, il presente ricorso ha ad oggetto l'illegittima compressione delle attribuzioni e dei poteri propri dell'autorita' giudiziaria, di cui agli artt. 101 e ss. Costituzione, derivante: a) dall'affermazione, da parte del Presidente del Consiglio, dell'esistenza di una preclusione, nel giudizio de quo, all'utilizzazione di tutti i mezzi di prova «che hanno tratto ai rapporti fra servizi italiani e stranieri», b) dalla conferma del segreto opposto dal teste Scandone in ordine all'esistenza e al contenuto di direttive o ordini impartiti dal gen. Pollari relativi alle c.d. renditions; c) dalla conferma del segreto opposto dal teste Murgolo in merito ad alcuni suoi colloqui con l'imputato dott. Mancini e relativi all'eventuale coinvolgimento di quest'ultimo nel sequestro e alla sua partecipazione ad una riunione con «gli americani» a Bologna (colloqui di cui il medesimo teste aveva gia' riferito nel corso delle indagini preliminari). Nel merito, violazione degli artt. 101 e ss. Costituzione. Premessa: La disciplina del segreto di Stato si fonda sulla - difficile ma necessaria - ricerca di un punto di' equilibrio tra due interessi parimenti essenziali e insopprimibili della collettivita': da un lato, la tutela giurisdizionale dei diritti e la perseguibilita' dei reati e, dall'altro, la sicurezza dello Stato. In deroga al principio generale di conoscibilita' dei fatti e degli atti da parte dell'autorita' giudiziaria, l'opposizione e la conferma del segreto di Stato - per le finalita' e nelle forme previste dalla legge - determinano allora un importante limite alla «naturale» potesta' del giudice di acquisire e utilizzare fonti di prova su cui fondare il proprio libero convincimento. Tuttavia, proprio perche' il potere di secretazione e' suscettibile d'incidere, in via eccezionale, sul pieno esplicarsi di una funzione essenziale dello Stato di' diritto, il suo esercizio non e' affatto «sciolto da qualsiasi vincolo», ma deve correlarsi alla tutela di un bene costituzionalmente protetto, nonche' essere in qualche modo «controllabile» e rispettare alcuni fondamentali principi e, in particolare, quelli di legalita', correttezza e di lealta', nonche' proporzionalita' (recte di «ragionevole rapporto di mezzo a fine», per usare la formula di cui alla sentenza n. 86 del 1977). Tanto premesso, si evidenzia che, nella complessa e dibattuta vicenda che ha dato origine al presente conflitto, un punto fermo e' costituito dalla non secretazione del sequestro Abu Omar in quanto fatto-reato. Cio' e' stato, infatti, ripetutamente affermato dagli imputati e dai testimoni e, soprattutto, dal Presidente del Consiglio, con la lettera del 6 ottobre e con i due atti di conferma del 15 novembre u.s., di cui qui si discute. D'altro canto, il giudice ricorrente si e' sempre mostrato consapevole della necessita' di delimitare con molta attenzione l'oggetto del giudizio e di evitare che in esso confluiscano notizie che esulano dall'accertamento del reato e attengono, invece, altre attivita' svolte dagli imputati in qualita' di agenti dei Servizi, ovvero rapporti di carattere generale o istituzionale tra Servizi italiani ed esteri, ovvero ancora l'organizzazione interna dei medesimi Servizi. E' infatti evidente che tali informazioni sono - e devono restare - riservate e, per questa ragione, il giudice ha posto in essere ogni cautela per impedire il loro disvelamento In particolare, ha disposto che l'esame dei testimoni appartenenti ai Servizi avvenisse a porte chiuse, ha da subito avvertito che non sarebbero state autorizzate «domande generiche o meno tese a ricostruire la tela dei piu' ampi rapporti C.I.A./S.I.S.Mi. che poco interessa l'attuale vicenda processuale» (cfr. ordinanza del 14 maggio 2008) ed ha costantemente ribadito l'obbligo dei testimoni di astenersi dal deporre su circostanze coperte da segreto).. Pare allora potersi affermare che Presidente del Consiglio ed autorita' giudiziaria concordano (quanto meno): sul fatto che il sequestro di Abu Omar, in quanto fatto-reato, non e' coperto da segreto di Stato; sul rilievo che vi sono tuttavia delle notizie preliminari a tale fatto-reato, di cui deve essere garantita la segretezza. Il conflitto sorge allora nel momento in cui si rende necessario individuare in concreto la linea di confine tra cio' che e' segreto e cio' che non lo e', nonche' definire il significato dell'espressione «fatto-reato» non secretato. Da ultimo, nella lettera/direttiva del 6 ottobre 2008, il Presidente del Consiglio ha infatti affermato la sussistenza del segreto su «qualsiasi rapporto fra i servizi italiani e stranieri ancorche' in qualche modo collegato o collegabile con il fatto storico meglio noto come, sequestro Abu Omar». Il significato di tale ultima frase e' stato poi ulteriormente «chiarito» con gli atti di conferma del 15 novembre: «l'Autorita' giudiziaria e' libera di indagare, accertare e giudicare il fatto reato de quo, non coperto da segreto, con tutti i mezzi di prova consentiti», ad eccezione di quelli «che hanno tratto ai rapporti fra servizi italiani e stranieri». Tali espressioni inducono a ritenere che, per il Presidente del Consiglio, l'ambito di operativita' del segreto sarebbe tanto ampio da ricomprendere - oltre all'organizzazione interna dei Servizi e ai loro rapporti di carattere istituzionale e generale - anche i comportamenti dei singoli agenti, oggi imputati, ancorche' preordinati alla commissione del delitto de quo. Coerentemente con tale impostazione, egli ha confermato il segreto opposto dal teste Scandone in ordine all'esistenza e al contenuto di direttive o ordini impartiti dal gen. Pollari relativi alle c.d. renditions, nonche' il segreto opposto dal teste Murgolo in ordine ad alcuni suoi colloqui con l'imputato dott. Mancini e relativi all'eventuale coinvolgimento di quest'ultimo nel sequestro e alla sua partecipazione ad una riunione con «gli americani» a Bologna (colloqui, peraltro, gia' riferiti ai p.m. nel corso delle indagini preliminari). In buona sostanza, con tali atti di conferma, il Presidente del Consiglio sembra voler precludere al giudice anche l'accertamento sulla sussistenza o meno di elementi costitutivi del fatto-reato: la domanda del p.m. al teste Murgolo era, infatti, volta a provare le condotte poste in essere dall'imputato Mancini e preordinate all'ideazione ed esecuzione del sequestro (ovviamente, secondo la ricostruzione dell'accusa); mentre la domanda rivolta dalla difesa del Gen. Pollari al teste Scandone mirava a dimostrare la contrarieta' dell'imputato alla pratica delle c.d. renditions e, quindi, la sua estraneita' al reato. In proposito, deve evidenziarsi che non veniva richiesta l'esibizione ditali ordini o direttive, ne' si chiedeva al teste di rivelarne il contenuto nei dettagli, di tal che il segreto opposto ha riguardato esclusivamente l'esistenza di tali atti e l'orientamento generale in essi espresso. E' peraltro evidente che, in una vicenda processuale in cui tutti gli imputati sono agenti o ex agenti dei Servizi italiani e americani, precludere al giudice l'acquisizione e l'utilizzazione di tutti i mezzi di prova che «hanno tratto» al rapporti tra tali agenti «ancorche' collegati o collegabili» alla commissione del reato, significa precludere all'Autorita' giudiziaria di accertare le responsabilita' degli agenti/imputati, inibendole di conoscere del «fatto-reato», che pure si afferma non essere secretato. Le affermazioni del Presidente del Consiglio appaiono allora intrinsecamente contraddittorie. La logica consente, infatti, due sole alternative: o il fatto-reato non e' coperto da segreto ed allora non lo sono neanche le condotte degli imputati che ne costituiscono gli elementi costitutivi; oppure il fatto-reato e' secretato. E' del resto evidente che, per il giudice, il sequestro di Abu Omar non ha nessuna importanza in quanto mero fatto storico, ma acquista rilievo solo se, e nei limiti in cui, egli puo' conoscerne in quanto reato, ovvero come esito di condotte umane e volontarie e, pertanto, fonte di responsabilita'. Per queste ragioni il giudice ritiene necessario rivolgersi a codesta Corte, al fine di sollecitarne l'intervento per orientarlo nella conduzione e nella decisione del giudizio e definire con maggior chiarezza i confini delle sue attribuzioni costituzionalmente garantite. In particolare, pur condividendo in astratto l'affermazione del Presidente del Consiglio in merito alla necessita' di tutelare la riservatezza dei rapporti istituzionali tra Servizi italiani e stranieri e della loro organizzazione interna, egli ritiene che tale esigenza di riservatezza non puo' tradursi in una sostanziale vanificazione del suo potere/dovere di accertare e valutare le condotte degli imputati e le loro responsabilita'. Cio', in quanto siffatta preclusione si porrebbe in contrasto con i seguenti principi: I) Il principio di legalita'. Codesta Corte - sotto la vigenza della legge n. 801/1977 - ha evidenziato che tale disciplina «non delinea(va) alcuna ipotesi di immunita' sostanziale collegata all'attivita' dei servizi informativi» (sentenza n. 110/1998). La legge n. 124/2007 ha, invece, previsto un'esimente speciale per gli agenti dei Servizi, ma ha altresi' esplicitato che essa non opera per i «delitti diretti a mettere in pericolo o a ledere la vita, l'integrita' fisica, la personalita' individuale, la liberta' personale, la liberta' morale, la salute o l'incolumita' di una o piu' persone» (art. 17). L'art. 40, comma 3, della legge n. 124/2007 statuisce poi che non possono essere oggetto di segreto «atti, notizie o documenti concernenti le condotte poste in essere da appartenenti ai servizi di informazione per la sicurezza in violazione della disciplina concernente la speciale causa di giustificazione prevista per attivita' del personale dei servizi di informazione per la sicurezza». In altre parole: poiche' non e' concepibile che un'attivita' a tutela dello Stato sia svolta con metodi che contrastino con gli stessi principi su cui esso si fonda - e, in particolare, con il riconoscimento dei diritti inviolabili della persona - gli agenti dei Servizi che commettano un delitto contro «la vita, l'integrita' fisica, la personalita' individuale, la liberta' personale, la liberta' morale, la salute o l'incolumita» devono risponderne dinanzi all'autorita' giudiziaria e il loro operato non puo' essere in nessun caso «coperto» da segreto di Stato. Invero, si tratta di un principio gia' vigente nel nostro ordinamento - che non prevedeva, infatti, garanzie funzionali per gli agenti dei Servizi - riaffermato pero' con particolare e significativa forza proprio nel momento in cui una simile, limitata garanzia e' stata introdotta. Ne' puo' ignorarsi che la legge n. 124/2007 e' successiva alla proposizione dei primi tre conflitti di attribuzione relativi a questa vicenda (nn. 2, 3 e 6 del 2007), cosicche' non puo' non leggersi tra le righe di queste norme una chiara presa di posizione del Parlamento anche sul caso Abu Omar. Appare allora difficilmente conciliabile con il chiaro tenore della legge e con lo spirito ad essa sotteso l'inibizione - derivante dagli atti di conferma del 15 novembre - del potere dell'autorita' giudiziaria di accertare la sussistenza o meno degli elementi costitutivi del reato de quo e, in particolare, di' conoscere fatti che proverebbero l'attiva partecipazione al delitto di un imputato (testimonianza di Murgolo), ovvero l'estraneita' di un altro (testimonianza di Scandone). Invero, siffatta preclusione rischia di tradursi in una sostanziale «copertura» dell'operato degli agenti/imputati e, in definitiva, in una sorta di garanzia d'impunita', fondata sulla mera circostanza di appartenere ad un Servizio d'informazione, sconosciuta al nostro ordinamento. In definitiva, la limitazione dei poteri del giudice prospettata dal Presidente del Consiglio (divieto di acquisire e utilizzare mezzi di prova che «che hanno tratto ai rapporti fra servizi italiani e stranieri») e' tanto ampia da poter impedire l'accertamento delle responsabilita' oggetto del giudizio. Di qui il dubbio che l'apposizione del segreto - pur formulata come inerente a singoli mezzi di prova - si estenda al reato, che non e', invece, secretabile per l'espressa previsione di legge e, ancor prima, in ragione dell'inderogabilita' della garanzia costituzionale dei diritti inviolabili. II) Il principio di proporzionalita'. La conferma del segreto e' motivata dal Presidente del Consiglio in relazione all'esigenza di «preservare la credibilita' del servizio nell'ambito dei suoi rapporti internazionali con gli organismi collegati» in quanto «la divulgazione di notizie rivelatrici anche di parti soltanto di tali rapporti; esporrebbe i nostri servizi al rischio concreto di un ostracismo informativo da parte degli omologhi stranieri, con evidenti negativi contraccolpi nello svolgimento dell'attivita' informativa presente e futura» Inoltre, con specifico riferimento al segreto opposto dal teste Scandone in ordine all'esistenza e al contenuto di direttive o ordini impartiti dal gen. Pollari relativi alle c.d. renditions, la conferma del segreto e' motivata anche con riferimento alla «esigenza di riserbo che deve tutelare gli interna corporis di ogni servizio, ponendo al riparo da indebita pubblicita' le sue modalita' organizzative ed operative». Si tratta di finalita' pienamente legittime, per il cui perseguimento pero' non appare affatto necessario sacrificare, con tanta incisivita', i poteri dell'autorita' giudiziaria. Al contrario il rispetto del principio di proporzionalita' sembrerebbe imporre una distinzione tra: informazioni inerenti modalita' organizzative ed operative dei Servizi, ovvero rapporti di carattere generale e istituzionale con i Servizi stranieri, comprese ovviamente eventuali intese che definiscano linee di condotta condivise, da un lato, e condotte concretamente poste in essere dai singoli agenti/imputati e che abbiano avuto incidenza causale sul fatto criminoso, dall'altro. Le prime devono rimanere riservate: di cio' e' fortemente convinto lo stesso giudice ricorrente, che mai ne ha violato la segretezza e, al contrario, ha posto in essere tutte le cautele necessarie per evitarne il disvelamento. Le seconde, invece, devono essere conoscibili dall'autorita' giudiziaria, non essendovi alcuna incompatibilita' tra garanzia della riservatezza delle istituzioni e conoscibilita' delle condotte delittuose poste in essere da singoli soggetti che ad esse appartengono: tali condotte, infatti, proprio per il loro carattere eventualmente illegale, si pongono al di fuori di quella cornice istituzionale che puo' essere - e deve essere - destinataria di tutela. Diversamente, gli atti di conferma del 15 novembre non rispettano tale criterio distintivo, ne' - piu' in generale - il principio di «ragionevole rapporto di mezzo a fine». In particolare, deve ricordarsi che il segreto opposto dal sig. Scandone aveva ad oggetto la sua eventuale conoscenza di direttive o ordini impartiti dal gen. Pollari ai propri sottoposti «tese ad impedire l'uso di mezzi o modalita' illecite da parte dei medesimi nell'opera di contrasto del terrorismo internazionale e, in particolare, nell'attivita' cosiddetta delle renditions». Non si vede, allora, ne' quale grave compromissione della «credibilita' del servizio» ne' quale «indebita pubblicita» delle sue «modalita' organizzative ed operative» sarebbe derivata da una risposta del teste, sia che fosse stata negativa (con l'acquisizione della prova che il sig. Scandone non conosceva simili direttive o ordini), sia che fosse stata positiva (con l'acquisizione della prova che il direttore del S.I.S.Mi. aveva imposto ai suoi agenti il rispetto della legalita', come impone la legge). Quanto al segreto opposto dal sig. Murgolo, esso ha poi ad oggetto quanto a lui riferito dall'imputato Mancini in relazione al ruolo dallo stesso evetualmente rivestito nel reato. In questo caso, si e' assolutamente fuori dell'ambito delle informazioni legittimamente secretabili, trattandosi di comportamenti individuali inerenti la commissione di un reato. III) Il principio dell'anteriorita' della secretazione. Quanto alla conferma del segreto opposto dal teste Murgolo, deve evidenziasi che esso ha ad oggetto quanto dallo stesso gia' riferito nel corso delle indagini preliminari. Appartiene pero' alla logica, prima ancora che al diritto, l'osservazione che una notizia e' segreta sin tanto che essa non venga rivelata ed il mero fatto della rivelazione e' di per se stesso idoneo a trasformare una notizia da segreta a conosciuta (e, infatti, il legislatore ha configurato il delitto di rivelazione di' segreti di Stato come reato istantaneo ed ha imposto anche alla persona ascoltata nel corso delle indagini preliminari - e non solo al testimone - l'obbligo di astenersi dal rispondere su domande concernenti un segreto di Stato e di fare formale opposizione). Non solo. Il nostro ordinamento non conosce - e anzi rifiuta - la figura della secretazione successiva. Gia' la legge n. 801/1977 presupponeva, infatti, il principio per cui la secretazione di una notizia dev'essere antecedente alla sua acquisizione da parte dell'autorita' giudiziaria e, piu' volte, in sede di lavori preparatori era stata evidenziata l'esigenza che l'apposizione del segreto avvenga «prima ed a prescindere dall'uso processuale della stessa (notizia), al fine di evitare che l'Esecutivo opportunamente ed arbitrariamente copra del segreto ex post cio' che ad esso e' scomodo o dannoso in relazione ad un processo determinato» (cosi' la relazione introduttiva della proposta di legge Balzamo, Accame e Aniasi). La legge n. 124/2007 ha ora ulteriormente esplicitato tale principio, introducendo, come suo corollario, l'obbligo di annotazione del segreto (ove possibile) sugli atti, documenti o cose che ne sono oggetto. I fatti oggetto della testimonianza del sig. Murgolo, pertanto: o non erano segreti all'epoca delle dichiarazioni da questi rese ai p.m.; ma allora non possono esserlo divenuti solo ora, in forza di una secretazione ex post; oppure erano gia' all'epoca coperti da segreto; ma, anche in tal caso, non lo sono piu' in ragione del loro disvelamento, configurandosi tuttavia il reato di cui all'art. 261 c.p. Invero, stupisce non poco il silenzio del Presidente del Consiglio su tale aspetto dell'opposizione, nonche' la soluzione adottata, per cui, da un lato, si conferma il segreto in relazione a fatti ormai rivelati e, dall'altro, non si prende nessuna iniziativa nei confronti del teste, che a quei fatti ha ormai dato pubblicita'. IV) Violazione del principio di correttezza e lealta'. IV.1) Il potere di secretazione, importando, nell'interesse alla sicurezza dello Stato, una preclusione al pieno esercizio della funzione giurisdizionale - e, quindi, una limitazione all'altrettanto fondamentale interesse alla giustizia - deve essere esercitato in modo chiaro, esplicito ed univoco. Al contrario, nel caso di specie, sebbene il Presidente del Consiglio contesti «decisamente» l'esistenza di ambiguita' nelle sue precedenti affermazioni, e' un dato di fatto che tutti i giudici che si sono occupati del «caso Abu Omar» hanno avuto seri problemi nell'individuare i contorni del segreto di Stato ed i confini delle proprie attribuzioni. Per questa ragione, il giudice ricorrente, nel formulare il secondo interpello, ha altresi' esplicitamente richiesto al Presidente del Consiglio una risposta finalmente chiara sul discrimine tra fatti conoscibili e fatti secretati. Cio', in nome di quel dialogo leale e corretto che dovrebbe improntare i rapporti tra poteri dello Stato e che costituisce imprescindibile garanzia per ciascuno di essi. Tuttavia, l'affermazione del Presidente del Consiglio - per cui il «fatto reato» non e' segreto, mentre lo sono i «mezzi di prova ... che hanno tratto ai rapporti fra servizi italiani e stranieri» - inserita nello specifico contesto del processo Abu Omar continua ad essere alquanto oscura o, meglio, assume un significato solo se letta nel senso di estendere il segreto anche agli eventuali comportamenti dei singoli agenti/imputati e preordinati alla commissione del delitto de quo. Ma se cosi' e', l'affermata non segretezza del «fatto reato» si risolve in una sorta di artificio retorico volto a mascherare, nella forma, l'effettiva portata della segretazione che, nella sostanza, diviene tanto ampia da comportare il rischio di uno svuotamento del potere/dovere del giudice di conoscere il reato nelle sue componenti oggettive e soggettive: perche' quanto afferma il Presidente del Consiglio e' un po' «come dire che di un reato e' conoscibile e accertabile solo il mero fatto storico ma non le sue cause, non le condotte che lo hanno posto in essere, non le sue eventuali cause di giustificazione» (cosi' l'ordinanza del 22 ottobre 2008). Siffatte espressioni, quindi, anziche' portare la piu' volte richiesta chiarezza e certezza, lasciano ancora una volta il giudice in balia di interpretazioni soggettive e mutevoli, esponendolo al rischio di gravi responsabilita', in evidente contrasto con il principio di correttezza e lealta'. IV.2) Con specifico riferimento all'atto di conferma del segreto opposto dal teste Murgolo, deve poi evidenziasi un'ulteriore anomalia. A fronte di una richiesta relativa alla segretezza di informazioni attinenti il ruolo eventualmente rivestito dall'imputato Mancini nel sequestro Abu Omar, il Presidente del Consiglio afferma che la questione e' in realta' un'altra: se esiste il segreto sui rapporti tra detto Imputato e «gli americani». Tale spostamento del fulcro della questione consente poi al Presidente del Consiglio di motivare la conferma del segreto con l'esigenza di «preservare la credibillta' del servizio nell'ambito dei suoi rapporti internazionali con gli organismi collegati». Sia dall'interpello del giudice, sia dal verbale d'udienza emergeva, invece, in modo assai chiaro che la testimonianza richiesta dal p.m. non verteva affatto sui rapporti internazionali del S.I.S.Mi. con gli organismi collegati, ma aveva ad oggetto esclusivamente quanto riferito al teste dall'imputato Mancini in ordine ad un suo personale coinvolgimento nella commissione del reato Infatti, il p.m. dott. Pomarici spiegava al teste «noi non le chiediamo su a sua conoscenza in ordine ai rapporti fra la C.I.A. e il S.I.S.Mi., anche in ordine alle renditions e cosi' via, argomento che risulta tutelato da segreto di Stato apposto dal Presidente del Consiglio. Noi le chiediamo invece di riferire su quanto ha saputo confidenzialrnente dall'attuale imputato Marco Mancini, che sono dichiarazioni che non hanno niente a che vedere con i rapporti tra C.I.A. e S.I.S.Mi. Cioe' il fatto storico su cui Lei e' chiamato a testimoniare non e' sui rapporti tra C.I.A. e S.I.S.Mi., bensi' su quello che le ha riferito Mancini».. Istanza Istruttoria Il ricorrente non e' a conoscenza ne' delle comunicazioni del Presidente del Consiglio al Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica degli atti qui impugnati, ne' delle eventuali pronunce adottate dal Comitato parlamentare in ordine alla legittimita' degli stessi. Pertanto, si richiede a codesta ecc.ma Corte di voler, in via istruttoria, ai sensi degli artt. 13 della legge n. 87/1953 e 12 delle norme integrative, ordinare al Comitato la trasmissione delle eventuali comunicazioni del Presidente del Consiglio, nonche' delle relative determinazioni adottate. Si chiede, altresi', che venga ordinata al Presidente del Consiglio dei ministri l'esibizione: degli atti che appongono il segreto sulle circolari e sugli ordini impartiti dal gen. Pollari tesi a vietare ai suoi sottoposti il ricorso a mezzi illeciti di contrasto del terrorismo internazionale e, in particolare, le c.d. extraordinary renditions; degli atti che appongono il segreto sui comportamenti del dott. Mancini collegati al sequestro Abu Omar. In proposito, si evidenzia che il segreto di Stato non puo' essere opposto a codesta ecc.ma Corte e il giudizio ad essa demandato non puo' prescindere dalla verifica dell'esistenza degli atti appositivi, in assenza dei quali sarebbero sicuramente illegittime sia l'opposizione, sia la conferma del segreto. (1) In particolare, ha disposto che l'esame dei testimoni appartenenti ai Servizi avvenisse a porte chiuse, ha da subito avvertito che non sarebbero state autorizzate «domande generiche o meno tese a ricostruire la tela dei piu' ampi rapporti C.I.A./S.I.S.Mi. che poco interessa l'attuale vicenda processuale» (cfr. ordinanza del 14 maggio 2008) ed ha costantemente ribadito l'obbligo dei testimoni di astenersi dal deporre su circostanze coperte da segreto). (2) Infatti, il p.m. dott. Pomarici spiegava al teste «noi non le chiediamo su a sua conoscenza in ordine ai rapporti fra la C.I.A. e il S.I.S.Mi., anche in ordine alle renditions e cosi' via, argomento che risulta tutelato da segreto di Stato apposto dal Presidente del Consiglio. Noi le chiediamo invece di riferire su quanto ha saputo confidenzialrnente dall'attuale imputato Marco Mancini, che sono dichiarazioni che non hanno niente a che vedere con i rapporti tra C.I.A. e S.I.S.Mi. Cioe' il fatto storico su cui Lei e' chiamato a testimoniare non e' sui rapporti tra C.I.A. e S.I.S.Mi., bensi' su quello che le ha riferito Mancini».