LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica, presso il Tribunale di Cagliari, nei confronti di: 1) Contu Daniele nato il 28 febbraio 1982 avverso sentenza del 10 ottobre 2006 Tribunale di Cagliari. Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso; Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal consigliere Foti Giacomo; Udito il Procuratore Generale in persona del dott. d'Ambrosio che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso. O s s e r v a Con sentenza del 10 ottobre 2006, il Tribunale di Cagliari, in composizione monocratica, ha applicato a Contu Daniele la pena, concordata tra le parti, ex artt. 444 e segg. c.p.p., di mesi undici di reclusione ed euro 3.000,00 di multa per il delitto previsto dagli art. 81, cpv. c.p. e 73 del d.P.R. n. 309/1990, riconosciuta l'attenuante di cui al quinto comma con giudizio di prevalenza sulla recidiva contestata. Avverso tale sentenza ricorre il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Cagliari che: a) deduce violazione di legge, specificamente degli artt. 69, comma 4. c.p., come modificato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251, e 444, comma 1-bis c.p.p., per avere il giudice valutato l'attenuante di cui al quinto comma dell'art. 73 del citato d.P.R. in termini di prevalenza sulla recidiva contestata ex art. 99, comma 4, c.p., laddove il predetto art. 69, come sopra modificato, limita al solo giudizio di equivalenza (o di subvalenza delle attenuanti rispetto alle aggravanti) il bilanciamento tra circostanze allorche' ricorra la recidiva reiterata; in conseguenza di cio', il giudice ha applicato una pena inferiore al minimo edittale previsto (sei anni di reclusione ed euro 17.333,33 di multa, ex art. 73 del citato d.P.R., come modificato dalla legge n. 49/2006), che, se correttamente applicato, non avrebbe neanche consentito l'accesso al patteggiamento, atteso il limite di cui all'art. 444, comma 1-bis c.p.p.; b) solleva eccezione di incostituzionalita' dell'art. 69, comma 4, c.p. per contrasto con gli artt. 3, 25 comma 2, 27 commi 1 e 3 della Costituzione. Chiede, quindi, in via principale e preliminare, che questa Corte dichiari non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., come novellato dall'art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251, per contrasto con le citate norme costituzionali, con conseguente sospensione del giudizio e trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; in subordine, l'annullamento della sentenza impugnata. Il ricorso del p.g. e', nel merito, certamente fondato e tuttavia osserva la Corte che del tutto legittimo e' il dubbio circa la conformita' dell'art. 69, comma 4, come sopra novellato, al dettato costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione. L'attenuante prevista dal comma 5 dell'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990 ha la specifica funzione di contenere in concreto le pene, particolarmente severe, previste per la violazione delle fattispecie descritte nella predetta norma, e dunque di rendere il trattamento sanzionatorio piu' adeguato alla fattispecie contestata ed all'offensivita' della condotta in concreto accertata. Per principio costituzionale, d'altra parte, la pena irrogata deve sempre rispondere al criterio di adeguatezza all'effettiva offensivita' della singola condotta di reato e deve mostrarsi coerente rispetto alle finalita' rieducative attribuite alla sanzione penale. Il legislatore, quindi, che e' certamente libero di determinare la qualita' e la quantita' di detta sanzione, nel concreto esercizio di tale potere discrezionale deve comunque rispettare il principio di ragionevolezza, e dunque evitare di dar luogo a disparita' di trattamento palesemente irragionevoli, e deve graduare la pena in termini tali da garantirne le finalita' rieducative. Orbene, la nuova formulazione dell'art. 69 pone, a giudizio della Corte, seri dubbi di costituzionalita' per violazione degli artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione. In realta', come esattamente osserva il p.g. ricorrente, la disposizione che vieta al giudice di ritenere la prevalenza delle attenuanti sulla recidiva reiterata e, in conseguenza, di irrogare ai recidivi reiterati pene inferiori ai minimi edittali, appare in contrasto con il principio di ragionevolezza sotto vari profili. Da un lato perche', imponendo di applicare lo stesso paradigma sanzionatorio al reato attenuato ed a quello non attenuato, finisce con il punire allo stesso modo violazioni della medesima norma incriminatrice di gravita' e portata offensiva diverse, nel caso di specie, finisce con il punire lo spaccio di lieve entita' con la stessa pena prevista per lo spaccio non lieve; dall'altro, perche' punisce in maniera diversa fatti in realta' del tutto identici, a seconda che l'autore sia, o non, recidivo reiterato. La recidiva reiterata verrebbe, quindi, a configurare una condizione di pericolosita' presunta, un vero e proprio status che giustifica un piu' grave trattamento sanzionatorio a prescindere dalla valutazione delle circostanze del caso concreto, in violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. La stessa presunzione di pericolosita', peraltro, secondo la giurisprudenza costituzionale si presenta ragionevole e legittima solo quando si fondi su valutazioni obiettive ed uniformi, ponendosi, in caso contrario, in contrasto con il citato art. 3 poiche' finisce con il determinare l'indiscriminata applicazione di misure identiche in situazioni differenti. L'automatismo sanzionatorio che la norma censurata introduce appare, quindi, in contrasto con i richiamati principi, poiche' determina l'indiscriminata omologazione di tutti i recidivi reiterati di cui presume in via assoluta la pericolosita', a prescindere dal titolo dei delitti oggetto delle precedenti condanne, dal titolo del reato per cui si procede e dal tempo trascorso rispetto ai delitti gia' giudicati; in tal guisa non assicurando l'uguaglianza delle pene sotto il profilo della proporzione rispetto alle personali responsabilita'. D'altra parte, ancorando l'aggravamento del trattamento sanzionatorio alla recidiva reiterata ed alla presunzione assoluta di pericolosita' ad essa collegata, ed imponendo l'irrogazione di pene elevate anche per fatti di modesta entita', ovvero a soggetti in concreto non o scarsamente pericolosi, si finisce con il violare i principi fissati dall'art. 27, terzo comma della Costituzione. In realta', se e' vero che alla pena deve attribuirsi una duplice funzione, retributiva e rieducativa, senza che l'una possa essere rimossa a vantaggio dell'altra, ne consegue la necessita' dell'individualizzazione della sanzione penale poiche' solo l'adeguamento della risposta punitiva al caso concreto, che tenga conto dell'effettiva entita' e delle specifiche esigenze del singolo caso, contribuisce a finalizzare la pena stessa nella prospettiva dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione. Viceversa, la norma censurata appare incoerente rispetto al sistema sopra delineato poiche' non consente al giudice di adeguare la pena al caso concreto, imponendogli l'applicazione di pene sproporzionate rispetto all'entita' del fatto, in tal modo frustrando la funzione rieducativa della sanzione penale, in quanto avvertita come ingiusta e sproporzionata, e le sue finalita' di prevenzione generale e speciale (Corte cost. n. 50/1980 e n. 299/1992). Il dubbio di incostituzionalita', d'altra parte, appare rilevante nel caso di specie, e dunque ammissibile la prospettata questione, in relazione non solo all'entita' della pena da infliggere in concreto, ma anche alla stessa possibilita' di accesso al regime del patteggiamento, atteso il limite di cui all'art. 444, comma 1-bis, c.p.p.