IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza. Letto il ricorso ex art. 142 l.fall. (nuovo testo), registrato al n. 6/2007 R.A.C.C. Fall., osserva quanto segue. Il ricorrente, con atto depositato il 12 luglio 2007, premesso che: e' stato dichiarato fallito da questo tribunale il 25 giugno 1990 (Fall. n. 6/90); il suo fallimento e' stato chiuso il 16 aprile 2003; chiede il beneficio dell'esdebitazione. Sono stati raccolti i pareri di legge (tutti positivi) e, risolta la questione pregiudiziale (condanna per delitto rilevante) grazie all'ottenuta riabilitazione penale, il procedimento e' stato riassunto dal Candoni con atto del 1° febbraio 2008. Si deve a questo punto affrontare il tema dell'applicabilita' dell'istituto disciplinato dal testo dell'art. 142 l.fall. (riformato dall'art. 128 del d.lgs. n. 5/2006) ai falliti che abbiano visto svolgersi la procedura concorsuale nei loro confronti interamente sotto l'imperio delle previgenti disposizioni del r.d. n. 267/1942. Gio' prima dell'emanazione del d.lgs. n. 169/2007 (c.d. correttivo della riforma), che ha decisamente innovato sul punto, parte maggioritaria della giurisprudenza di merito riteneva inapplicabile l'esdebitazione ai fallimenti dichiarati prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 5/2006 (cfr. Trib. Vicenza 16 novembre 2006, in Fall., 2007 p. 352; Trib. Sulmona 25 gennaio 2007, in Fall, 2007 p. 592; Trib. Milano, provvedimento rinvenibile sul sito internet dell'ufficio; Trib. Padova, 5 ottobre 2006, inedito; Trib. Torino 27 marzo 2007, inedito). I motivi in sintesi erano: l'art. 150, d.lgs. n. 5/2006 prevede l'ultrattivita' delle previgenti disposizioni della legge fallimentare per tutti i procedimenti aperti prima del 16 luglio 2006 e non ancora definiti a quella data; la riabilitazione ex art. 142 l.fall. (vecchio testo) potra' quindi trovare applicazione in futuro per tutti i fallimenti aperti prima del 16 luglio 2006, purche' la relativa istanza sia stata depositata prima di tale data; l'art. 142 l.fall. (nuovo testo) ha effetti sostanziali e processuali compatibili solo con le procedure interamente rette dalla novella; 1'esdebitazione ha una ratio inconciliabile con l'assetto del fallimento delineato dalle disposizioni previgenti della l.fall.; i terzi sarebbero pregiudicati da un effetto imprevisto all'epoca del sorgere del loro credito. Altra parte della giurisprudenza (cfr. Trib. della Spezia, 5 ottobre 2006, inedito, per cui pero' il termine perentorio di un anno decorre dalla chiusura del fallimento anche se avvenuta prima dell'introduzione del nuovo istituto; Trib. Enna 7 novembre 2006, inedito), invece, riteneva esdebitazione applicabile anche alle procedure gia' chiuse al 16 luglio 2006, in quanto: nel d.lgs. n. 5/2006 non sono state inserite disposizioni transitorie concernenti il nuovo istituto dell'esdebitazione; l'art. 150, d.lgs. n. 5/2006 (in tema di ultrattivita' della legge fallimentare anteriore) si riferisce alle sole procedure di fallimento ancora pendenti alla stessa data ed alle modalita' di loro definizione (quanto a verifica del passivo, liquidazione, distribuzione, ecc.); dunque dal 16 luglio 2006 sono immediatamente ed integralmente applicabili le nuove disposizioni per le procedure gia' chiuse quanto ad altre fasi eventuali che le interessino. Questo collegio ha sempre ritenuto di aderire alla seconda tesi, in quanto: per «procedura di fallimento pendente» al 16 luglio 2006 deve intendersi un fallimento dichiarato prima di tale data ed a quel momento ancora non chiuso ex art. 118 l.fall.; pertanto l'art. 150 d.lgs. n. 5/2006 non si applica ai fallimenti gia' dichiarati chiusi prima del 16 luglio 2006, e dunque non comporta l'effetto di ultrattivita' della legge anteriore a quelle procedure, ormai definite; non vi e' altra disciplina transitoria positiva, ma solo l'art. 153, d.lgs. n. 5/2006, che dispone tout court l'entrata in vigore del medesimo decreto a partire dal 16 luglio 2006, con abrogazione da quel di' di tutte le previgenti disposizioni della l.fall. indicate. Ne consegue che, anche prima dell'emanazione del c.d. «decreto correttivo», l'istituto dell'esdebitazione poteva essere considerato (per via d'interpretazione giurisprudenziale) pienamente vigente ed applicabile anche ai fallimenti chiusi prima della novella, tra cui quello qui in esame. Il dato normativo e' pero' oggi mutato. Il Governo, nell'esercizio della delega prevista dall'articolo 1, comma 5-bis, della legge 14 maggio 2005, n. 80 (possibilita' di emanare disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. n. 5/2006 e del r.d. n. 267/42) ha introdotto nell'ordinamento la seguente disposizione (art. 19, comma 1, d.lgs. n. 169/2007): Disciplina transitoria in materia di esdebitazione 1. Le disposizioni di cui al Capo IX «della esdebitazione» del Titolo II del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e successive modificazioni, si applicano anche alle procedure di fallimento pendenti alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5. Dunque dal 1° gennaio 2008 (con effetto retroattivo dal 16 luglio 2006, come ribadisce l'art. 22, comma 4 del medesimo decreto) e' stabilito positivamente che l'interpretazione maggioritaria e' fallace, in quanto l'esdebitazione puo' essere richiesta anche dai falliti che abbiano visto aprirsi e svolgersi la procedura che li coinvolge sotto il previgente regime. Cio' pero' ad una condizione: che i fallimenti fossero ancora pendenti al 16 luglio 2006; a nulla rilevando che tra quella data e il 1° gennaio 2008 essi fossero stati chiusi. Come notato da autorevole dottrina, la norma transitoria in esame e' chiarissima nell'escludere (tramite semplice ragionamento a contrario) l'applicazione del nuovo istituto ai fallimenti aperti sotto il vecchio regime, ma gia' definiti alla data del 16 luglio 2006. Ritiene allora questo tribunale di sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale delle norme da ultimo richiamate, per loro contrasto con l'art. 3 della Costituzione. In primo luogo va rilevato che il presente incidente sorge effettivamente nel corso di un giudizio vero e proprio e non di un procedimento di altra natura. La norma, della cui legittimita' costituzionale si dubita, viene infatti in applicazione proprio nell'esplicarsi della giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria, che procede bensi' nelle forme del rito in camera di consiglio, ma che decide comunque in ordine a diritti soggettivi delle parti istanti. Sulla sussistenza, nella fattispecie, di un vero giudizio pendente davanti ad una autorita' giudiziaria non sono quindi consentiti dubbi. Inoltre, questo collegio ritiene che il dubbio circa la legittimita' costituzionale della norma citata non sia manifestamente infondato. Appare infatti irragionevole ed ingiustificabile che il legislatore del 2007, introducendo ex professo una disciplina transitoria in materia di esdebitazione (prima assente), stabilisca una disparita' di trattamento fra i falliti le cui procedure si siano chiuse prima del 16 luglio 2006 (che non possono aspirare all'esdebitazione) e i falliti le cui procedure siano ancora pendenti al 16 luglio 2006, posto che in entrambi i casi si tratta di soggetti sottoposti a procedure «definite secondo la legge anteriore», quindi rispettivamente svolte e da svolgersi interamente in base alla disciplina della legge del 1942. La nuova norma transitoria, pur a fronte di una tale uguaglianza di posizioni soggettive concrete, ha esteso retroattivamente l'applicabilita' delle nuove disposizioni concernenti l'esdebitazione solo alle seconde e non anche alle prime; cio' senza apparente giustificazione alcuna, soprattutto in un quadro di evidente favor per il nuovo istituto e considerando che l'istituto puo' applicarsi (dall'1° gennaio 2008) a fallimenti «vecchi», ma chiusi il 17 luglio 2006 e non a fallimenti parimenti «vecchi», ma chiusi il 15 luglio 2006. Il dato cronologico, in questo caso, e' puramente arbitrario, comportando per i falliti la privazione o meno di una via di tutela a seconda della data di chiusura del loro fallimento, elemento non predeterminato ed al limite anche casuale. Ne' pare al collegio che si tratti di un mero dubbio interpretativo, risolubile a favore di un'esegesi maggiormente consona al dettato costituzionale: come detto, l'art. 150 d.lgs. n. 5/2006 non introduceva alcuna norma transitoria sul punto, lasciando libero l'interprete di seguire percorsi piu' o meno fondati sull'art. 11 disp. prel. c.c.; l'aver previsto con precisione una retroazione dell'istituto, tale da renderlo applicabile anche ai fallimenti interamente soggetti alla legge fallimentare del 1942, ma solo se ancora pendenti al 16 luglio 2008 (e non agli altri), appare frutto di un'evidente scelta legislativa, non aggirabile dall'interprete. Per concludere, occorre sottolineare che nella fattispecie il dubbio concerne una norma (il combinato disposto degli artt. 19, comma 1, e 22 comma 4 d.lgs. n. 169/2007) assolutamente rilevante, perche' dalla sua applicazione deriverebbe l'inammissibilita' del ricorso del Candoni. Pertanto risulta inscindibile il nesso fra la decisione della causa a quo e la risoluzione del dubbio di legittimita' costituzionale sopra evidenziato.