Ordinanza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  10,  comma  1,
numero 1), dell'allegato A al regio decreto 8 gennaio  1931,  n.  148
(Coordinamento delle norme sulla disciplina  giuridica  dei  rapporti
collettivi del lavoro con quelle sul trattamento  giuridico-economico
del personale delle ferrovie, tranvie e linee di navigazione  interna
in regime di concessione), promosso dal Tribunale di  La  Spezia  nel
procedimento civile vertente tra R. M. e A.T.C. s.p.a., con ordinanza
del 29 maggio 2008 iscritta al n. 310 del registro ordinanze del 2008
e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  42,  1ยช
serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio dell'11 febbraio 2009 il  giudice
relatore Sabino Cassese. 
    Ritenuto che il Tribunale di La Spezia, giudice  monocratico  del
lavoro, ha sollevato, con riferimento  agli  articoli  3  e  4  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
10, comma 1, numero 1), dell'allegato A al regio  decreto  8  gennaio
1931, n. 148 (Coordinamento delle norme  sulla  disciplina  giuridica
dei  rapporti  collettivi  del  lavoro  con  quelle  sul  trattamento
giuridico-economico del personale delle ferrovie, tranvie e linee  di
navigazione interna in regime di concessione),  nella  parte  in  cui
richiede, per l'ammissione in prova al servizio, il  requisito  della
cittadinanza italiana; 
        che il Giudice rimettente riferisce che  dinanzi  a  esso  un
cittadino extracomunitario, regolarmente soggiornante in  Italia,  ha
esperito contro un'azienda di trasporto pubblico, che in applicazione
della disposizione impugnata aveva rifiutato di assumerlo,  un'azione
civile contro la discriminazione ex art. 44 del  decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), poi convertita in ricorso  ai  sensi  dell'art.  414  del
codice  di   procedura   civile,   chiedendo   l'accertamento   della
discriminazione operata dall'azienda  stessa  e  l'adozione  di  ogni
opportuno provvedimento, segnatamente la condanna al risarcimento del
danno; 
        che il giudice a quo, dopo aver richiamato alcune  previsioni
legislative in materia di immigrazione, condizione dello straniero  e
parita' di trattamento in relazione alla razza e all'origine  etnica,
afferma la vigenza della  disposizione  impugnata,  che  non  sarebbe
stata abrogata dalle menzionate previsioni; 
        che, in ordine alla rilevanza della questione di legittimita'
costituzionale, il Tribunale, che ritiene infondate le altre domande,
osserva che le domande risarcitorie possono essere accolte solo se la
disposizione   impugnata    venga    dichiarata    costituzionalmente
illegittima, mentre in caso contrario esse vanno respinte; 
        che, di conseguenza, nella prospettazione del giudice a  quo,
la rilevanza della questione dipende dalla costruzione di  un'ipotesi
di  illecito  civile  che  non  esisteva  nel  momento  in   cui   il
comportamento dannoso e' stato posto in essere; 
        che, per quanto riguarda la non manifesta infondatezza  della
questione, il rimettente  ritiene  che,  nel  settore  del  trasporto
pubblico locale, il requisito della  cittadinanza  italiana  non  sia
piu' giustificabile alla luce dell'evoluzione  subita  dalle  aziende
operanti nel settore e della natura ormai privatistica  del  rapporto
di lavoro del loro personale; esclude che il requisito  in  questione
possa essere giustificato da un'asserita delicatezza  delle  funzioni
degli autisti di mezzi pubblici e dubita, quindi,  della  conformita'
della  disposizione  impugnata  all'art.  3   Cost.,   per   la   sua
irragionevolezza,  e  all'art.  4  Cost.,  in  quanto   frappone   un
irragionevole  ostacolo  all'effettiva  attuazione  del  diritto   al
lavoro; 
        che nel giudizio dinanzi alla Corte si e' costituita, per  il
Presidente del Consiglio dei ministri,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato, per affermare l'infondatezza della questione, argomentando che
la  disposizione  impugnata  e'  il  risultato  di  una   valutazione
discrezionale, operata dal legislatore, circa il particolare  impatto
dell'attivita' relativa al trasporto pubblico sugli  interessi  della
collettivita', e che essa si armonizza con la previsione dell'art. 10
Cost., che rimette  al  legislatore  ordinario  la  disciplina  della
condizione giuridica dello straniero. 
    Considerato che la dichiarazione di illegittimita' costituzionale
della disposizione impugnata viene invocata dal rimettente per  poter
qualificare  ex  post  un  fatto  come  illecito  e,  quindi,   poter
condannare l'azienda convenuta al risarcimento del danno; 
        che, su queste basi, la condanna non potrebbe comunque essere
pronunciata, perche' una sentenza di  questa  Corte  non  puo'  avere
l'effetto di rendere antigiuridico un comportamento che tale non  era
nel momento in cui e' stato posto in essere; 
        che,  infatti,  come  gia'  affermato  da  questa  Corte,  la
condotta  di  un  soggetto   puo'   essere   assunta   a   fonte   di
responsabilita' civile solo se, nel momento  in  cui  essa  e'  stata
posta in essere, sussisteva un preciso obbligo giuridico  sancito  da
una norma conoscibile dall'agente,  in  quanto  la  colpa  specifica,
consistente nella inosservanza della norma che  pone  una  regola  di
condotta, puo' rilevare nel giudizio a quo solo  se  la  disposizione
era vigente e conoscibile al tempo del fatto  (sentenza  n.  202  del
1991); 
        che,  coerentemente,  il  diritto  vivente,  espresso   dalla
costante  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione,  esclude  che
l'efficacia retroattiva delle sentenze di questa Corte  valga  a  far
ritenere  illecito  il  comportamento  tenuto,   anteriormente   alla
sentenza   di   incostituzionalita',   conformemente    alla    norma
successivamente dichiarata  illegittima  (ex  plurimis,  Cass.,  sez.
lav., 13 novembre 2007, n. 23565). 
        che,   di   conseguenza,   la   questione   di   legittimita'
costituzionale sollevata dal Tribunale non e' rilevante nel  giudizio
principale, nel quale - in  base  alla  prospettazione  dello  stesso
rimettente - la condanna  al  risarcimento  del  danno  non  potrebbe
comunque essere pronunciata; 
        che, pertanto,  la  questione  va  dichiarata  manifestamente
inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.