Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003), promosso con ordinanza pronunciata il 14 febbraio 2008 dal Tribunale di Spoleto nel procedimento penale a carico di P.U., B.U. ed altri, iscritta al n. 317 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, 1a serie speciale, dell'anno 2008. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella Camera di consiglio del 25 febbraio 2009 il giudice relatore Franco Gallo. Ritenuto che, con ordinanza pronunciata il 14 febbraio 2008, il Tribunale di Spoleto - nel corso di un giudizio penale promosso nei confronti di due «legali rappresentanti» di una societa' in nome collettivo, imputati di reati tributari per evasione dell'IVA e delle imposte dirette relative agli anni dal 1998 al 2000 - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53, 54, 79 e 112 della Costituzione, questioni di legittimita' dell'art. 15, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003), nella parte in cui prevede l'esclusione, ad ogni effetto, della punibilita' per i reati tributari in esso elencati, nel caso di perfezionamento della definizione dei processi verbali di constatazione da cui risultano i reati medesimi; che il giudice rimettente ripropone le medesime questioni da lui gia' sollevate nel corso dello stesso giudizio penale con ordinanza registrata al n. 79 del 2007, dichiarate dalla Corte costituzionale manifestamente inammissibili per incompleta descrizione della fattispecie, con ordinanza n. 251 del 2007; che, in punto di non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo formula le stesse censure a suo tempo prospettate con la precedente ordinanza di rimessione, deducendo che la norma censurata viola: a) l'art. 79 della Costituzione, perche', pur prevedendo, per il caso di «condono» fiscale influente sui suddetti reati tributari, una rinunzia all'esercizio della potesta' punitiva dello Stato talmente ampia e generalizzata da non trovare riscontro in precedenti leggi di «condono» fiscale e da produrre un effetto identico a quello che conseguirebbe all'applicazione di una amnistia o di un indulto, e' contenuta in una legge approvata dal Parlamento a maggioranza semplice e non con la «particolare procedura deliberativa parlamentare, richiedente una maggioranza qualificata», quale prevista per la concessione dell'amnistia o dell'indulto; b) gli artt. 3, 53, 54 e 112 Cost., perche' - in violazione dei limiti fissati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale con le sentenze n. 369 del 1988 e n. 427 del 1995 (in tema di condono edilizio) per la legittimita' costituzionale delle norme che escludono la punibilita' di reati in conseguenza dell'applicazione di misure legislative di «condono» - non trova giustificazione ne' nella necessita' di porre rimedio ad una contingente ed eccezionale «illegalita' di massa» (dato l'intervento di ben due provvedimenti di clemenza in materia tributaria nel corso degli ultimi quindici anni e dato il riordino del diritto penale tributario, realizzato con il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74), ne' nell'esigenza di favorire l'emersione di illeciti tributari «nascosti» (data la definibilita' esclusivamente di carichi fiscali gia' noti all'ufficio tributario e per i quali e' gia' stato comunicato al contribuente un avviso di accertamento, un verbale di constatazione od un invito al contraddittorio), cosi' da costituire solo una manifestazione dell'impotenza dello Stato a reperire adeguate risorse finanziarie ed a porre in essere una adeguata azione di contrasto all'evasione fiscale; che, in punto di rilevanza, il Tribunale rimettente osserva che: a) i predetti due imputati hanno richiesto in giudizio, ai sensi del combinato disposto dell'art. 129 del codice di procedura penale e della norma censurata, l'immediata declaratoria della causa di non punibilita' costituita dal perfezionamento della definizione fiscale del processo verbale di constatazione n. 107 del 16 settembre 2002, redatto dalla Guardia di finanza e dal quale erano emersi i reati contestati; b) detto perfezionamento risulta dalla nota emessa il 7 dicembre 2004 dalla competente amministrazione finanziaria, attestante l'avvenuto pagamento dell'importo previsto dalla legge, e dalla nota del 1° luglio 2003, attestante l'inesistenza di carichi pendenti risultanti dal sistema informativo dell'anagrafe tributaria; che, sempre in punto di rilevanza, il giudice a quo, al fine di colmare le lacune della precedente ordinanza di rimessione, descrive analiticamente i reati addebitati ai due imputati ed osserva che la norma censurata deve essere applicata nel giudizio principale, perche': a) tali reati rientrano nell'elencazione tassativa contenuta nella norma denunciata; b) il condono di cui all'art. 9 della legge n. 289 del 2002 risulta perfezionato dai due imputati in data 15 marzo 2003, come precisato in alcune note dell'ufficio di Spoleto dell'Agenzia delle entrate; c) non sussiste difformita' tra gli importi indicati nel menzionato processo verbale n. 107 del 2002 e quelli oggetto delle note concernenti il condono, redatte dal predetto ufficio dell'Agenzia delle entrate; d) l'esercizio dell'azione penale, promossa in data 15 novembre 2002 con la richiesta di rinvio a giudizio, risulta «notificato» a ciascuno dei due imputati (unitamente all'avviso di fissazione dell'udienza preliminare) rispettivamente in data 19 marzo e 7 aprile 2003; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che «la questione sia dichiarata inammissibile ed infondata»; che in primo luogo, secondo l'Avvocatura generale, la denunciata violazione dell'art. 79 Cost. non sussiste, perche' vi sono profonde differenze tra una «amnistia condizionata» (la quale, ai sensi dell'art. 151 del codice penale, «estingue il reato, e, se vi e' stata condanna, fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie», senza necessita' di concrete manifestazioni di volonta' degli interessati e dell'autorita' amministrativa) e l'esclusione della punibilita' conseguente ad un «condono» (il quale - come rilevato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 196 del 2004, n. 427 del 1995 e n. 369 del 1988, nonche' con l'ordinanza n. 18 del 2006 - costituisce una complessa e varia fattispecie di sanatoria produttiva di effetti estintivi, subordinata a precise condizioni e, in particolare, a manifestazioni di volonta' degli interessati); che in secondo luogo, per la stessa Avvocatura, la questione prospettata in relazione agli altri parametri, cioe' agli artt. 3, 53, 54 e 112 Cost., e' generica e, pertanto, inammissibile; che, piu' in particolare - prosegue la difesa erariale -, la questione riferita agli artt. 54 e 112 Cost. e' inammissibile, perche' di essa non si fa menzione nella parte motiva dell'ordinanza di rimessione; che in terzo luogo, per l'Avvocatura generale dello Stato, in ogni caso: a) la questione riferita all'art. 53 Cost. e' inammissibile anche per difetto di rilevanza e, comunque, non e' fondata, perche' le maggiori pretese tributarie dell'amministrazione finanziaria non sono ancora riscontrate giudizialmente, cosi' che appare adeguata la previsione, contenuta nella norma censurata, di una sorta di «accordo transattivo», mediante il quale la pendenza fiscale e' definita, con effetti estintivi penali, pagando una quota compresa tra il 30 ed il 35 per cento delle maggiori pretese tributarie; b) la questione riferita all'art. 3 Cost. non e' fondata, perche' il condono fiscale di cui alla disposizione censurata non puo' essere posto a raffronto ne' con precedenti leggi in tema di condono fiscale, data la discrezionalita' del legislatore nella scelta - nella specie esercitata in modo non irragionevole - dei mezzi e delle modalita' per la definizione delle contestazioni tributarie; ne' con il condono edilizio, in quanto, mentre quest'ultimo presuppone «una situazione di possibile conflitto con la tutela di altri beni costituzionalmente garantiti (quali l'integrita' del territorio, il paesaggio)», il condono fiscale, invece, «si inserisce nel meccanismo del prelievo delle imposte come un accordo tra (un presunto) debitore d'imposta e lo Stato», al fine di produrre un gettito tributario certo ed immediato, sia pur ridotto rispetto alla pretesa originaria, e di eliminare un contenzioso gravoso, protratto nel tempo e di esito incerto (come sottolineato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 416 del 2000), cosi' da giustificare la denunciata diversita' di disciplina. Considerato che il Tribunale di Spoleto dubita, in riferimento agli artt. 3, 53, 54, 79 e 112 della Costituzione, della legittimita' dell'art. 15, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2003), nella parte in cui prevede l'esclusione, ad ogni effetto, della punibilita' per i reati tributari in esso elencati, nel caso di perfezionamento della definizione dei processi verbali di constatazione da cui risultano i reati medesimi; che, per il giudice rimettente, la disposizione censurata si pone in contrasto con: a) l'art. 79 Cost., perche', pur avendo essa gli stessi effetti di una «amnistia condizionata», e' contenuta in una legge approvata dal Parlamento a maggioranza semplice e non a maggioranza qualificata, come invece richiesto per le leggi di amnistia o indulto; b) gli artt. 3, 53, 54 e 112 Cost., perche' costituisce una manifestazione di impotenza dello Stato a reperire risorse finanziarie ed a contrastare efficacemente l'evasione, non trovando giustificazione ne' nella necessita' di ovviare ad una eccezionale situazione di «illegalita' di massa» (esclusa da precedenti provvedimenti di clemenza in materia tributaria e dal recente riordino del diritto penale tributario di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 ), ne' nell'esigenza di favorire l'emersione di evasioni fiscali (esclusa dalla definibilita' soltanto di carichi fiscali gia' noti all'ufficio tributario); che il giudice a quo - integrando una propria precedente ordinanza, con la quale era stata sollevata, nello stesso giudizio, la medesima questione, poi dichiarata da questa Corte manifestamente inammissibile per incompleta descrizione della fattispecie (ordinanza n. 251 del 2007) - ha compiutamente descritto la fattispecie oggetto del giudizio principale, precisando che: 1) i reati addebitati ai due imputati e risultanti dal processo verbale di constatazione oggetto di condono fiscale perfezionato da tali imputati, ai sensi dell'art. 9 della legge n. 289 del 2002, rientrano nell'elencazione tassativa prevista dalla norma denunciata; 2) detto condono risulta perfezionato in data anteriore a quella della «formale conoscenza», da parte dei contribuenti, dell'esercizio dell'azione penale; che, pertanto, il Tribunale rimettente ha dimostrato di dover fare applicazione, nel giudizio principale, della norma denunciata e che, di conseguenza, le questioni sono rilevanti; che, tuttavia, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 53, 54 e 112 Cost. sono del tutto prive di motivazione e, pertanto, manifestamente inammissibili; che la questione riferita all'art. 79 Cost. e' manifestamente infondata, perche', contrariamente all'assunto da cui muove il rimettente, il condono - come questa Corte ha piu' volte sottolineato a proposito del condono edilizio con argomentazioni valide, sul punto, anche per quello fiscale - ha natura diversa dall'amnistia; che, infatti, «mentre il condono [...] costituisce una complessa e varia fattispecie produttiva di effetti estintivi, che si compone di una serie di fasi [...] ed i cui effetti estintivi del reato sono quindi rimessi alla volonta', per quanto condizionata, degli interessati» e, pertanto, al perfezionamento del «procedimento amministrativo di sanatoria»; l'amnistia, invece, «in quanto misura di clemenza generalizzata, incide direttamente sulla punibilita' astratta, con l'effetto immediato della estinzione del reato senza mediazione fattuale», cosi' che tale effetto e' «da ricondurre all'atto legislativo concessivo dell'amnistia» e comporta l'«obbligo per il giudice di immediata declaratoria di non doversi procedere» (sentenza n. 427 del 1995, che richiama la sentenza n. 369 del 1988 ed e' richiamata dalla sentenza n. 196 del 2004); che del resto, come gia' rilevato da questa Corte, fanno parte dell'ordinamento vigente anche altri atti legislativi che «determinano lo stesso effetto estintivo del reato prodotto dal condono [...]», che non sono qualificabili come leggi di amnistia e «per i quali non sono previste procedure legislative diverse da quelle ordinarie, come, ad esempio, le ipotesi di oblazione introdotte dalla legge n. 689 del 1981, o i casi in cui un fatto cessa (anche temporaneamente) di essere previsto dalla legge come reato, o la previsione di estinzione di reati collegata ad adempimenti richiesti agli autori degli stessi» (sentenza n. 427 del 1995, sopra citata); che l'argomento, meramente fattuale e quantitativo, addotto dal rimettente circa l'ampiezza del condono fiscale disposto dalla legge n. 289 del 2002 non e' sufficiente a far ritenere superate le sopra esposte considerazioni basate sulla diversa natura delle leggi di condono rispetto a quelle di amnistia; che, dunque, l'atto legislativo di concessione di un condono fiscale, ancorche' comporti (a certe condizioni) l'estinzione di reati tributari, non costituisce una legge di amnistia e, pertanto, non deve essere adottato dal legislatore con le maggioranze indicate dall'art. 79 Cost.; che anche la questione riferita all'art. 3 Cost. e' manifestamente infondata; che, per il giudice a quo, l'esclusione della punibilita' di reati tributari a seguito della tempestiva sanatoria fiscale e' irragionevole, perche' non ricorrono, nella specie, gli stessi presupposti richiesti dalla giurisprudenza costituzionale quale condizione di ragionevolezza delle leggi che prevedono l'estinzione di reati urbanistici per effetto della intervenuta rituale sanatoria di abusi edilizi, e cioe': a) l'esistenza di una eccezionale situazione di «illegalita' di massa»; b) l'esigenza di favorire l'emersione degli illeciti; che in tal modo, pero', il rimettente pone a raffronto ipotesi di condono che, pur determinando lo stesso effetto estintivo del reato, restano eterogenee, perche', mentre la normativa sul condono edilizio - anche nel caso in cui esso sia disposto per ragioni contingenti di natura finanziaria - esige necessariamente un peculiare bilanciamento con una pluralita' di interessi costituzionalmente protetti (quali, ad esempio, il governo del territorio, la tutela del paesaggio, dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali); il condono fiscale, invece, e' essenzialmente diretto a soddisfare l'interesse costituzionale all'acquisizione delle disponibilita' finanziarie necessarie a sostenere le pubbliche spese, incentivando la definizione semplificata e spedita delle pendenze fiscali mediante il parziale pagamento del debito tributario; che la rilevata diversita' degli interessi costituzionali coinvolti in ciascuno dei due menzionati tipi di condono esclude che la normativa sul condono fiscale debba rispettare le medesime condizioni di ragionevolezza individuate dalla giurisprudenza di questa Corte per le leggi di condono edilizio; che, pertanto, non e' di per se' irragionevole che la normativa di condono fiscale persegua i soli contingenti e concorrenti obiettivi propri di detto condono, cioe' ridurre il contenzioso (anche potenziale) con i contribuenti e conseguire un immediato introito finanziario, benche' in misura ridotta rispetto a quello astrattamente ricavabile (sulla legittimita' di tali obiettivi del condono fiscale, ex multis, sentenze n. 416 del 2000; n. 321 del 1995, n. 172 del 1986, n. 33 del 1981; ordinanze n. 402 del 2005, n. 550 del 2000, n. 361 del 1992). Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.