Sentenza 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito dell'approvazione della delibera del 14  maggio  2009
della  Commissione  parlamentare  per  l'indirizzo  generale   e   la
vigilanza dei  servizi  radiotelevisivi,  recante:  «Disposizioni  in
materia di comunicazione politica, messaggi autogestiti, informazione
e tribune della concessionaria del servizio radiotelevisivo  pubblico
relativo alle campagne per i referendum popolari  aventi  ad  oggetto
l'abrogazione di alcune disposizioni  del  testo  unico  delle  leggi
sull'elezione della Camera dei deputati, approvato  con  decreto  del
Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e del testo  unico
delle leggi sull'elezione del Senato della Repubblica, approvato  con
decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, indetti per i giorni 21
e 22 giugno 2009», promosso da Giovanni Guzzetta,  Mariotto  Giovanni
Battista Segni e Natale Maria Alfonso D'Amico, nella loro qualita' di
promotori e presentatori di tre richieste di referendum popolare, con
ricorso notificato il 3 giugno 2009, depositato in cancelleria  il  4
giugno 2009 ed iscritto al n. 6 del  registro  conflitti  tra  poteri
dello Stato 2009, fase di merito; 
    Udito nella  udienza  pubblica  del  9  giugno  2009  il  giudice
relatore Ugo De Siervo; 
    Uditi l'avvocato Francesco Saverio Marini per Giovanni  Guzzetta,
Mariotto Giovanni Battista Segni e Natale  Maria  Alfonso  D'Amico  e
l'avvocato  dello  Stato  Massimo  Giannuzzi   per   la   Commissione
parlamentare per l'indirizzo generale  e  la  vigilanza  dei  servizi
radiotelevisivi. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - I signori  Giovanni  Guzzetta,  Mariotto  Giovanni  Battista
Segni  e  Natale  Maria  Alfonso  D'Amico,  nella  loro  qualita'  di
promotori e presentatori delle tre richieste di referendum elettorali
indetti per i giorni 21 e 22 giugno 2009,  hanno  presentato  ricorso
per conflitto di attribuzione tra poteri dello  Stato  nei  confronti
della  Commissione  parlamentare  per  l'indirizzo  generale   e   la
vigilanza dei servizi radiotelevisivi, per la dichiarazione  che  non
spettava alla predetta Commissione adottare le disposizioni contenute
negli artt. 5, commi 4 e 7, e 7, commi 1 e 3, della delibera  del  14
maggio 2009 della medesima  Commissione,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale n. 115  del  20  maggio  2009,  recante:  «Disposizioni  in
materia di comunicazione politica, messaggi autogestiti, informazione
e tribune della concessionaria del servizio radiotelevisivo  pubblico
relativo alle campagne per i referendum popolari  aventi  ad  oggetto
l'abrogazione di alcune disposizioni  del  testo  unico  delle  leggi
sull'elezione della Camera dei deputati, approvato  con  decreto  del
Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e del testo  unico
delle leggi sull'elezione del Senato della Repubblica, approvato  con
decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, indetti per i giorni 21
e 22 giugno 2009», in quanto lesiva delle attribuzioni costituzionali
di cui agli articoli 21, 48 e 75  della  Costituzione,  come  attuati
dall'art. 4, comma 2, lettera d), della legge 22 febbraio 2000, n. 28
(Disposizioni per la parita' di  accesso  ai  mezzi  di  informazione
durante le campagne elettorali e referendarie e per la  comunicazione
politica) in combinato disposto con l'art. 52, secondo  comma,  della
legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme  sui  referendum  previsti  dalla
Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo). 
    I ricorrenti, in particolare, affermano che l'art. 5, commi  4  e
7,  riguardante  la  disciplina  delle  tribune  referendarie  e   le
ulteriori  trasmissioni  di  comunicazione  politica  diverse   dalle
tribune «eventualmente  disposte  dalla  RAI»,  non  prevederebbe  la
partecipazione  di  rappresentanti   del   Comitato   promotore   dei
referendum, assicurandone e garantendone la presenza «soltanto  nella
eventualita' in cui  alla  trasmissione  prenda  parte  piu'  di  una
persona per ciascuna delle indicazioni di voto». 
    I rappresentanti del Comitato promotore lamentano poi che  l'art.
7, commi 1 e 3, concernente i notiziari diffusi dalla RAI e tutti gli
altri programmi a contenuto informativo  o  di  approfondimento,  pur
stabilendo il criterio della «parita' di trattamento  fra  i  diversi
soggetti» politici, non contemplerebbe tra i soggetti beneficiari  di
siffatta parita' di trattamento  il  Comitato  promotore,  prevedendo
invece che «sia assicurato l'equilibrio e  il  contradditorio  fra  i
soggetti favorevoli o contrari alla consultazione». 
    In particolare, i ricorrenti lamentano che i predetti articoli 5,
commi 4 e  7,  e  7,  commi  1  e  3,  violerebbero  le  attribuzioni
costituzionali loro spettanti in base agli articoli 21, 48 e 75 Cost.
e alle loro norme attuative, ovvero l'art. 4, comma  2,  lettera  d),
della legge n. 28 del 2000  in  combinato  disposto  con  l'art.  52,
secondo comma, della legge n. 352 del 1970. 
    La legge n. 28  del  2000  stabilisce,  per  quanto  riguarda  la
comunicazione politica radiotelevisiva, che «per  il  referendum  gli
spazi sono ripartiti in misura uguale fra i favorevoli e  i  contrari
al quesito referendario», mentre l'art. 52, secondo comma,  legge  n.
352  del   1970   prevederebbe,   per   la   medesima   comunicazione
radiotelevisiva,  che  ai  promotori  del  referendum  debba   essere
riconosciuta una posizione pari a quella  attribuita  «ai  partiti  o
gruppi politici rappresentati in Parlamento». 
    Le   due   norme   attuative   del   principio   del   pluralismo
dell'informazione  determinerebbero  una   «indubbia   posizione   di
garanzia»   dei   promotori   del   referendum   nell'attivita'    di
comunicazione  politico-referendaria.  In  particolare,  l'art.   52,
secondo comma, della legge n. 352 del 1970, secondo i  rappresentanti
del Comitato promotore, recherebbe una garanzia di  accesso  a  spazi
pari a quelli riservati ai  rappresentanti  dei  gruppi  parlamentari
favorevoli al referendum,  che  non  possono  considerarsi  idonei  a
sostituire i promotori dei referendum. 
    La delibera della Commissione parlamentare agli art. 5, commi 4 e
7 e 7, commi 1 e 3, sarebbe illegittima laddove non  prevede  che  ai
promotori del referendum debbano essere destinati spazi  comunicativi
e informativi uguali e della stessa importanza in termini  di  indici
medi di ascolto rispetto a  quelli  che  l'emittente  attribuira'  ad
esponenti di gruppi politici favorevoli al referendum. 
    I  ricorrenti  non  contestano  la   mancata   previsione   della
contestualita' della presenza dei  rappresentanti  dei  gruppi  e  di
quelli del Comitato promotore nell'ambito della stessa  trasmissione,
ma la mancanza nella delibera della Commissione della  previsione  di
una concreta partecipazione dei rappresentanti del Comitato promotore
che deve essere  «almeno  equivalente,  sebbene  non  necessariamente
contestuale,  a  quella  dei  rappresentanti  dei   gruppi   politici
parlamentari favorevoli al referendum». 
    La  parita'  degli  spazi  da  garantire  ai  rappresentanti  del
Comitato promotore  rispetto  agli  esponenti  politici  deve  essere
intesa, secondo i ricorrenti e alla luce degli  artt.  21,  48  e  75
Cost., in senso concreto e sostanziale e non gia' meramente  formale;
parita' che non si raggiungerebbe con  la  previsione  di  un  eguale
numero di partecipazioni dei rappresentanti del Comitato promotore  e
di quelli dei gruppi politici favorevoli al referendum se  gli  spazi
concessi fossero tutti «secondari», in termini di collocazione oraria
nel palinsesto o di indici medi di ascolto. Parita' di partecipazione
che le disposizioni della delibera oggetto di conflitto non sarebbero
in grado di garantire vista la mancanza di specifiche  previsioni  di
dettaglio. 
    La  parita'  di  partecipazione  e   trattamento   ai   programmi
televisivi di informazione e comunicazione politico-referendaria, nel
senso sopra esposto, sarebbe da considerare,  secondo  i  ricorrenti,
puntuale attuazione  dei  principi  di  cui  all'art.  75  Cost.  che
disciplina   l'istituto    referendario    considerato    «pressoche'
unanimamente» quale correttivo del sistema parlamentare. 
    I ricorrenti chiedono, quindi, che  la  Corte  dichiari  che  non
spettava alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e  la
vigilanza  dei  servizi  radiotelevisivi  adottare  le   disposizioni
contenute negli artt. 5, commi 4 e  7,  e  7,  commi  1  e  3,  della
delibera adottata nella seduta del  14  maggio  2009  e  che  annulli
conseguentemente le disposizioni impugnate, nella parte in  cui  esse
non  prevedono  che  ai  promotori  del  referendum  debbano   essere
complessivamente  destinati   i   medesimi   spazi   comunicativi   e
informativi e della stessa importanza in termini di  indici  medi  di
ascolto, di quelli che l'emittente attribuira' ad esponenti di gruppi
politici parlamentari favorevoli al referendum. 
    2. - Con  ordinanza  n.  172  del  2009  il  conflitto  e'  stato
dichiarato ammissibile e l'udienza pubblica e'  stata  fissata  al  9
giugno 2009, previo riconoscimento della inapplicabilita' dei termini
processuali previsti dagli artt. 25 e 26 della legge 11  marzo  1953,
n.  87,  in  quanto  l'osservanza  di  essi  avrebbe   prodotto   una
irrimediabile lesione dei diritti costituzionali coinvolti. 
    3. - Si e' costituita in giudizio la Commissione parlamentare per
l'indirizzo generale e  la  vigilanza  dei  servizi  radiotelevisivi,
chiedendo  che  il  ricorso  sia  dichiarato  improcedibile,   quanto
all'art. 5, commi 1 e 4, ed infondato, quanto all'art. 7, commi  1  e
3. 
    In ordine all'art. 5, la difesa  della  Commissione  parlamentare
osserva che il calendario delle tribune referendarie approvato  dalla
RAI assicura la presenza di un rappresentante del Comitato  promotore
a ciascuna di esse,  sicche'  sarebbe  venuto  meno  l'interesse  dei
ricorrenti a coltivare, per tale parte, il ricorso. 
    Quanto  all'art.  7,  la  Commissione  parlamentare  ritiene  che
l'espressione «soggetti politici»  che  vi  ricorre  debba  ritenersi
riferita anche ai promotori del referendum, ai quali sarebbe  percio'
garantita parita' di trattamento. 
    Infine, sarebbe priva di fondamento la pretesa dei ricorrenti  di
godere dei medesimi spazi assegnati  ai  gruppi  parlamentari  «anche
nella programmazione destinata all'informazione e all'approfondimento
dei temi cui si riferiscono i quesiti referendari». 
    L'art. 52 della  legge  n.  352  del  1970  avrebbe  ad  oggetto,
infatti, i soli «spazi di propaganda», ovvero le tribune referendarie
e i messaggi autogestiti, mentre i programmi disciplinati dall'art. 7
della delibera della Commissione parlamentare debbono uniformarsi  al
solo principio costituzionale inteso a realizzare il pluralismo delle
fonti cui attingere conoscenze e notizie. 
    In assenza di disposizioni  di  legge,  percio',  la  Commissione
parlamentare godrebbe  di  ampia  discrezionalita'  in  materia,  nei
limiti della idoneita' e della congruita' della  scelta  rispetto  al
fine da perseguire. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Giovanni Guzzetta, Mariotto Giovanni Battista Segni e Natale
Maria Alfonso D'Amico,  quali  promotori  e  presentatori  delle  tre
richieste di referendum abrogativi indetti  per  i  giorni  21  e  22
giugno 2009, hanno sollevato conflitto  di  attribuzione  tra  poteri
dello  Stato  nei  confronti  della  Commissione   parlamentare   per
l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi  radiotelevisivi,  ai
fini dell'annullamento degli artt. 5, commi 4 e 7, e 7, commi 1 e  3,
della delibera  del  14  maggio  2009,  con  cui  la  Commissione  ha
disciplinato forme e modi della programmazione radiotelevisiva  della
RAI dedicata alla campagna referendaria. 
    Tali  disposizioni  sono  giudicate  lesive  delle   attribuzioni
costituzionali dei ricorrenti, di cui agli articoli 21, 48 e 75 della
Costituzione, come attuati, a parere  dei  ricorrenti,  dall'art.  4,
comma  2,  lettera  d),  della  legge  22  febbraio   2000,   n.   28
(Disposizioni per la parita' di  accesso  ai  mezzi  di  informazione
durante le campagne elettorali e referendarie e per la  comunicazione
politica), in combinato disposto con l'art. 52, secondo comma,  della
legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme  sui  referendum  previsti  dalla
Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), «nella parte
in cui non prevedono che ai promotori del referendum  debbano  essere
complessivamente  destinati   i   medesimi   spazi   comunicativi   e
informativi e della stessa importanza in termini di  indici  medi  di
ascolto, di quelli che l'emittente attribuira' ad esponenti di gruppi
politici parlamentari favorevoli al referendum». 
    2.  -  Preliminarmente   va   confermata   l'ammissibilita'   del
conflitto,  gia'   affermata   in   via   di   sommaria   delibazione
nell'ordinanza n. 172 del 2009. 
    Infatti, quanto al profilo soggettivo, va riconosciuta, anche  in
relazione  alle  attivita'   preordinate   all'esercizio   del   voto
referendario, sia la competenza  dei  promotori  della  richiesta  di
referendum abrogativo a dichiarare definitivamente la volonta'  della
frazione del corpo  elettorale  titolare  del  potere  di  iniziativa
referendaria ex art. 75 Cost., sia la  competenza  della  Commissione
parlamentare per l'indirizzo generale  e  la  vigilanza  dei  servizi
radiotelevisivi a dichiarare definitivamente, in materia che  attiene
agli indirizzi per  l'informazione  e  la  propaganda  attraverso  il
servizio pubblico  radiotelevisivo,  la  volonta'  della  Camera  dei
deputati e del Senato della Repubblica (sentenze n. 502 del 2000 e n.
49 del 1998). 
    Inoltre, deve ritenersi sussistente anche  il  profilo  oggettivo
del conflitto,  poiche'  gli  atti  di  indirizzo  delle  Camere  nei
confronti  del  servizio  pubblico  radiotelevisivo  sono  intesi  ad
assicurare, in tale servizio,  la  realizzazione  del  principio  del
pluralismo (sentenze n. 420 del 1994  e  n.  112  del  1993)  e  sono
pertanto espressione di una attribuzione costituzionale, si' che ogni
limitazione   della   facolta'   di    partecipare    ai    programmi
radiotelevisivi sui referendum che dovesse risultarne,  potrebbe,  in
astratto,  ledere  l'integrita'  delle  attribuzioni  che  spetta  ai
Comitati promotori tutelare. 
    3.  -  L'art.  5,  comma  4,  della  delibera  della  Commissione
parlamentare di cui si tratta stabilisce che «qualora  alle  tribune»
referendarie «prenda parte piu' di una  persona  per  ciascuna  delle
indicazioni di voto, una di quelle che  sostengono  l'indicazione  di
voto favorevole deve intervenire in  rappresentanza  di  un  Comitato
promotore»,  mentre  il  comma  7  di   tale   disposizione   estende
quest'ultimo precetto alle «ulteriori trasmissioni  di  comunicazione
politica». 
    I ricorrenti lamentano che, per effetto di cio',  essi  avrebbero
la garanzia di intervenire «soltanto nella eventualita' in  cui  alla
trasmissione prenda parte piu' di  una  persona  per  ciascuna  delle
indicazioni di voto», mentre, in caso contrario,  sarebbe  consentito
alla  RAI  escludere  i  rappresentanti   del   Comitato   promotore,
riservando interamente ai gruppi parlamentari lo  spazio  che  spetta
alla parte favorevole all'approvazione dei quesiti referendari. 
    Nel costituirsi  in  giudizio,  la  Commissione  parlamentare  ha
chiesto che il ricorso, per tale parte, sia dichiarato improcedibile,
poiche' il  timore  paventato  dai  ricorrenti  si  sarebbe  rivelato
smentito  dai  fatti:  il  calendario  delle   tribune   referendarie
approvato  dalla  RAI  ha,  infatti,  previsto  la  presenza  di   un
rappresentante del Comitato promotore in tutte tali tribune. 
    All'udienza  pubblica  la  difesa  dei  ricorrenti   ha   aderito
espressamente a tale richiesta, dichiarando che non persiste piu'  il
proprio interesse a contestare l'adozione, da parte della Commissione
parlamentare, dell'art. 5, commi 4 e 7. 
    Pertanto,  essendo  venuto  meno  nella  pendenza  del   giudizio
l'interesse   alla   doglianza,   questa   Corte   deve    dichiarare
improcedibile il ricorso, per la parte ad essa relativo. 
    4.  -  L'art.  7,  comma  1,  della  delibera  della  Commissione
parlamentare stabilisce che «nel  periodo  di  vigenza  del  presente
provvedimento i  notiziari  diffusi  dalla  RAI  e  tutti  gli  altri
programmi a contenuto informativo o di approfondimento si  conformano
con particolare rigore,  per  quanto  riguarda  i  temi  oggetto  dei
quesiti  referendari,  ai   criteri   di   tutela   del   pluralismo,
dell'imparzialita',     dell'indipendenza,     della     completezza,
dell'obiettivita' e  della  parita'  di  trattamento  fra  i  diversi
soggetti politici». 
    I  ricorrenti  ritengono  che  le  proprie   attribuzioni   siano
menomate, poiche' non vi sarebbe modo di  ricomprendere  i  promotori
del referendum  tra  i  «soggetti  politici»  cui  tale  disposizione
assicura «parita' di trattamento». 
    Tale convincimento parrebbe basarsi sul testo dell'art.  3  della
delibera  in  questione,  che  espressamente  distingue  il  Comitato
promotore  dai   «soggetti   politici   che   costituiscano   gruppo»
parlamentare. Tuttavia, questa interpretazione e' priva di fondamento
ove si consideri  il  complessivo  quadro  normativo,  essenzialmente
caratterizzato dalla legge n. 28 del 2000. 
    Infatti, l'art. 1 di questa  legge,  che  promuove  e  disciplina
l'accesso ai mezzi di informazione garantendo parita' di  trattamento
«a tutti i soggetti  politici»,  anche  con  riguardo  alle  campagne
referendarie (art. 1, comma 2,  della  legge  n.  28  del  2000),  si
riferisce  espressamente  ai  Comitati  referendari   come   naturali
protagonisti di esse (cio' e' reso evidente nell'art. 4  della  legge
n. 28 del 2000). 
    Inoltre, questa  Corte  ha  gia'  affermato  che  «l'essenza  del
principio desumibile in  materia  dalla  Costituzione,  [...]  e'  la
necessaria  democraticita'  del  processo  politico  referendario   e
l'esigenza che in esso sia offerta dal servizio  pubblico  televisivo
la  possibilita'  che  i  soggetti  interessati,   anche   attraverso
organizzazioni costituite in vista della consultazione  referendaria,
partecipino  alla  informazione  e  alla   formazione   dell'opinione
pubblica» (sentenza n. 49 del 1998). 
    Pertanto, in difetto di un'espressa previsione contraria, non  vi
e' modo per contestare la qualita'  politica  dell'azione  esercitata
dai Comitati promotori, in quanto  finalizzata  alla  promozione  dei
quesiti presso il corpo elettorale. 
    Si deve conseguentemente ritenere che la Commissione parlamentare
all'art. 7, comma 1, della delibera si sia uniformata  al  linguaggio
del legislatore, includendo i Comitati promotori del referendum tra i
«soggetti politici», cui spetta parita' di trattamento. 
    Cosi' interpretato  l'art.  7,  comma  1,  della  delibera  della
Commissione  non  reca  alcuna  menomazione  delle  attribuzioni  dei
ricorrenti. 
    «Quanto poi all'art. 7, comma 3, questa disposizione  prevede  la
possibilita'  anche  di  programmi  imperniati  sull'esposizione   di
valutazioni ed opinioni»: in questo caso, si prescrive  che  vi  «sia
assicurato  l'equilibrio  ed  il  contradditorio   fra   i   soggetti
favorevoli o  contrari  alla  consultazione,  includendo  fra  questi
ultimi anche coloro che si esprimono per l'astensione o  per  la  non
partecipazione al voto». 
    La scelta in tal modo operata dalla Commissione parlamentare  non
puo' peraltro consentire  che  tali  programmi  di  «approfondimento»
sfuggano alla applicazione delle regole  ispirate  al  principio  del
pluralismo informativo, concernenti l'accesso alle trasmissioni anche
dei diversi soggetti di cui all'art. 3 della  delibera  parlamentare,
salva solo la possibile limitazione del numero  dei  partecipanti  al
dibattito (art. 7, parte finale del comma 3 della delibera). 
    Non solo il comma 3 dell'art. 7 deve  interpretarsi,  in  accordo
con quanto stabilito in via generale  nel  precedente  comma  1,  nel
senso che tra i «soggetti» ivi indicati siano ricompresi  i  Comitati
promotori del referendum, ma resta fermo, anche per tali programmi di
approfondimento, che  i  Comitati  non  possono  essere  discriminati
rispetto agli  altri  soggetti  di  cui  all'art.  3  della  delibera
parlamentare. 
    Ove, pertanto, i particolari programmi disciplinati dall'art.  7,
comma 3, della delibera siano  caratterizzati  dalle  «esposizioni  e
valutazioni», i responsabili di tali  programmi,  devono  operare  in
modo tale che i rappresentanti dei Comitati promotori  non  ne  siano
esclusi sistematicamente. 
    In  questo  senso,  l'adozione   da   parte   della   Commissione
parlamentare dell'art. 7, commi 1 e 3, non ha dato  luogo  ad  alcuna
lesione  delle  attribuzioni   costituzionali   dei   promotori   dei
referendum. 
    5. - I ricorrenti hanno chiesto che questa Corte dichiari che non
spettava alla Commissione adottare gli artt. 5, commi 4  e  7,  e  7,
commi 1 e 3, della delibera del 14 maggio 2009, «nella parte  in  cui
non  prevedono  che  ai  promotori  del  referendum  debbano   essere
complessivamente  destinati   i   medesimi   spazi   comunicativi   e
informativi e della stessa importanza in termini di  indici  medi  di
ascolto, di quelli che l'emittente attribuira' ad esponenti di gruppi
politici parlamentari favorevoli al referendum». 
    In altri termini, le attribuzioni dei promotori  sarebbero  state
menomate, in quanto la Commissione parlamentare non avrebbe garantito
loro che «la concreta partecipazione dei rappresentanti del  Comitato
promotore   debba   essere   almeno    equivalente,    sebbene    non
necessariamente contestuale, a quella dei rappresentanti  dei  gruppi
politici parlamentari favorevoli al referendum». 
    Questa Corte ha peraltro gia' sottolineato, quanto al  referendum
abrogativo, «la complessa posizione che l'istituto assume nel sistema
costituzionale: da un lato, manifestazione di sovranita' popolare non
mediata che, in  quanto  tale,  postula  un  dibattito  aperto  nella
societa' civile nel quale abbiano voce, oltre ai promotori, di  norma
favorevoli all'abrogazione, anche i soggetti che si  organizzino  per
esprimere un orientamento contrario; dall'altro, deliberazione su una
legge, che investe, cioe', un prodotto della rappresentanza  politica
e che non puo' pertanto  vedere  esclusi  dal  dibattito  pubblico  i
gruppi parlamentari, riflesso istituzionale del pluralismo  politico,
che del sistema  rappresentativo  costituiscono  struttura  portante»
(sentenze n. 502 del 2000 e n. 49 del 1998). 
    In  conclusione,  le  censure  dei  ricorrenti  sono   in   parte
palesemente   infondate,   la'   dove    auspicano    anche    rigide
predeterminazioni degli orari di trasmissione,  ed  in  parte  venute
meno per sopravvenuta carenza di interesse con riguardo  all'art.  5.
Quanto, invece, all'art. 7  le  censure  si  fondano  su  un  erroneo
presupposto  interpretativo,  da   cui   discenderebbe   la   pretesa
difformita'  dell'art.  7,  commi  1  e  3,  della   delibera   della
Commissione  parlamentare  dal  disegno  costituzionale  in  tema  di
pluralismo informativo. 
    Una volta dimostratasi infondata tale premessa, viene  a  mancare
ogni motivazione idonea ad  illustrare  e  comprovare  la  denunciata
menomazione delle attribuzioni dei promotori.