Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato
e difeso per legge dall'Avvocatura generale dello Stato presso i  cui
uffici e' domiciliato in Roma alla via dei Portoghesi, 12; 
    Contro la  Regione  Liguria,  in  persona  del  Presidente  della
Regione  pro  tempore,  per   la   declaratoria   di   illegittimita'
costituzionale degli art. 8, commi 1 e 3, 9 comma 1, 10 comma  1,  12
comma 1 della l.r. 9 aprile 2009, n. 10, pubblicata nel B.U.R.  n.  6
del 15 aprile 2009, recante Norme in materia  di  bonifiche  di  siti
contaminati, come da delibera del Consiglio dei ministri in  data  12
giugno  2009  e  sulla  base  di  quanto  specificato   nell'allegata
relazione del Ministro per i rapporti con le regioni. 
    Sul B.U.R. della Liguria  n.  6  del  15  aprile  2009  e'  stata
pubblicata la legge regionale 9 aprile 2009, n. 10, recante «Norme in
materia di bonifiche di siti contaminati». 
    Il  Governo  ritiene  che  tale  legge  sia   censurabile   nelle
disposizioni contenute negli art. 8, commi 1 e 3, 9 comma 1, 10 comma
1,  12  comma  1  e  pertanto  propone  questione   di   legittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 117,  secondo  comma  lettera
s), ai sensi dell'art. 127, primo comma Cost., per i seguenti 
                             M o t i v i 
    La legge regionale della Liguria n. 6 del  15  aprile  2009,  che
detta  norme  in  materia  di  bonifica  dei  siti  contaminati,   in
attuazione delle disposizioni  statali  contenute  nella  Parte  IV -
Titolo V del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152  «Norme  in
materia   ambientale»,    presenta    aspetti    di    illegittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 117, secondo  comma,  lettera
s) relativamente ad alcune  previsioni  che  si  presentano  difformi
dalle norme statali di riferimento. 
    In via preliminare, si deve  rilevare  che  la  disciplina  della
tutela dell'ambiente e  dei  rifiuti,  come  da  ultimo  ribadito  da
codesta ecc.ma Corte costituzionale (sent. n. 10/2009 e  61/2009,  n.
277/2008 e 62/2008), e'  riconducibile  alla  competenza  legislativa
esclusiva statale di cui all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s)
della Costituzione e che «la disciplina  ambientale,  che  scaturisce
dall'esercizio di  una  competenza  esclusiva  dello  Stato  viene  a
funzionare come un  limite  alla  disciplina  che  le  Regioni  e  le
Province autonome dettano in altre materie di  loro  competenza,  per
cui queste ultime non possono in alcun modo derogare o peggiorare  il
livello di tutela ambientale stabilito dallo Stato»  (sent.  nn.  378
del 2007, 62 e 104 del 2008). 
    Pertanto, tale competenza esclusiva si traduce in  una  normativa
statale volta a garantire un quadro di uniformita' e  certezza  della
disciplina  del  bene  ambiente  in  quanto  interesse  «primario»  e
«assoluto»  (cfr.  sent.  n.  151  del  1986  e  n.  641  del  1987).
Nell'ambito di esclusiva competenza  statale  in  materia  di  tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema rientra la  definizione  dei  livelli
uniformi di protezione ambientale (sent. n. 104/2008). 
    Le regioni debbono rispettare  la  normativa  statale  di  tutela
dell'ambiente pur potendo stabilire, per il raggiungimento  dei  fini
propri delle loro competenze (in materia di tutela della  salute,  di
governo del territorio, di valorizzazione dei beni ambientali, etc.),
livelli di tutela piu' elevati (sentenze n. 30 e 12  del  2009,  105,
104 e 62 del 2008), con cio' incidendo sul bene ambiente, ma al  fine
non di  tutelare  l'ambiente,  gia'  salvaguardato  dalla  disciplina
statale, bensi' di disciplinare adeguatamente gli oggetti delle  loro
competenze.  Si  tratta  cioe'  di  un  potere  insito  nelle  stesse
competenze attribuite alle regioni, che vengano a contatto con quella
dell'ambiente, ai fini della loro completa e piena esplicazione. 
    E', dunque, in questo senso che puo' intendersi  l'ambiente  come
una  «materia  trasversale»  (come  ripetutamente   affermato   dalla
giurisprudenza di codesta Corte;  per  tutte,  sentenza  n.  246  del
2006), mentre non puo' certo dirsi  che  la  materia  ambientale  non
sarebbe una «materia»  in  senso  tecnico  (sent.  n.  104/2008).  Al
contrario, l'ambiente e' un bene giuridico che,  ai  sensi  dell'art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, spetta allo Stato
disciplinare come un'entita' organica, dettando cioe' norme di tutela
che hanno ad oggetto il tutto e  le  singole  componenti  considerate
come parte del tutto  (sent.  n.  104/2008)  e  che  funge  anche  da
discrimine tra la materia esclusiva statale e  le  altre  materie  di
competenza regionale. 
    Cio' premesso si presentano illegittime, per violazione dell'art.
117, secondo comma lettera s) della Costituzione, le  seguenti  norme
regionali: 
1) Art. 8, comma 1 della l.r. n. 10/2009. 
    La  norma  contenuta  nell'art.  8,  comma  1,   che   disciplina
l'anagrafe dei siti da bonificare, non fa menzione, nell'ambito della
propria elencazione, dei siti sottoposti a  «ripristino  ambientale»,
in contrasto con la disciplina statale contenuta nell'art. 251, comma
1, del decreto legislativo n. 152/2006 che individua  puntualmente  i
contenuti dell'Anagrafe dei siti oggetto del procedimento di bonifica
stabilendo  che  essa  contiene  l'elenco  dei  siti  sottoposti   ad
intervento di bonifica e ripristino  ambientale  La  distinzione  tra
bonifica e ripristino e ambientale e' chiaramente delineata dall'art.
240, comma 1, lettere p) e q) del d.lgs. n.  152/2006  che  definisce
per: p) bonifica: l'insieme degli interventi  atti  ad  eliminare  le
fonti di inquinamento  e  le  sostanze  inquinanti  o  a  ridurre  le
concentrazioni delle stesse presenti  nel  suolo,  nel  sottosuolo  e
nelle acque sotterranee ad un livello uguale o  inferiore  ai  valori
delle  concentrazioni  soglia  di  rischio  (CSR);  q)  ripristino  e
ripristino ambientale: gli interventi di riqualificazione  ambientale
e paesaggistica, anche costituenti complemento  degli  interventi  di
bonifica  o  messa  in  sicurezza  permanente,  che   consentono   di
recuperare il sito alla effettiva e  definitiva  fruibilita'  per  la
destinazione d'uso  conforme  agli  strumenti  urbanistici.,  nonche'
degli interventi realizzati nei siti medesimi,  l'individuazione  dei
soggetti cui compete la bonifica e degli  enti  pubblici  di  cui  la
Regione intende avvalersi,  in  caso  di  inadempienza  dei  soggetti
obbligati,  ai  fini  dell'esecuzione   d'ufficio,   fermo   restando
l'affidamento delle opere necessarie mediante gara  pubblica,  ovvero
il ricorso alle procedure dell'art. 242 d.lgs. n. 152/2006. 
2) Art. 8, comma 3 della l.r. n. 10/2009. 
    Parimenti difforme si presenta il comma 3 dell'art. 8 della legge
regionale laddove, nell'elencare i soggetti cui  e'  necessario  dare
comunicazione dell'inclusione dei siti  nell'anagrafe,  non  menziona
l'Ufficio tecnico erariale competente, come previsto al comma  2  del
citato art. 251 del decreto legislativo n. 152/2006. 
    L'Anagrafe  dei  siti  da  bonificare  rappresenta  lo  strumento
predisposto dalle regioni per il monitoraggio degli interventi  nelle
aree inquinate nel proprio territorio. 
    L'art. 8, commi 1  e  3  della  legge  n.  10/2009  ridimensiona,
quindi, i contenuti e gli scopi informativi dell'Anagrafe dei siti da
bonificare, rispetto a quanto stabilito dall'art. 251 del  d.lgs.  n.
152/2006, con cio' riducendo gli  standard  di  tutela  dell'ambiente
fissati  dalla  normativa  statale  in  modo  uniforme  su  tutto  il
territorio nazionale. 
3) Art. 9, comma 1 della l.r. n. 10/2009. 
    L'art. 9, comma 1, della  l.r.  in  esame,  rubricato  «Procedure
amministrative ordinarie», nel descrivere la procedura amministrativa
da  attuare  in  caso  di  evento  contaminante,  non  prevede,  come
richiesto dall'art. 242, comma 1 del d.lgs. n. 152/2006, che l'evento
possa anche essere potenziale.  La  citata  norma  statale,  infatti,
disciplina le procedure operative ed amministrative  da  attivare  in
caso di un evento «che sia potenzialmente in grado di contaminare  il
sito», il cui verificarsi puo'  essere,  per  l'appunto,  anche  solo
potenziale e  di  non  certa  concretizzazione.  La  conseguenza  del
mancato riferimento alla potenzialita' della contaminazione e' che il
responsabile  dell'inquinamento  metterebbe  in  opera  la  procedura
prevista dalla norma solo in caso di reale verificazione  dell'evento
inquinante e non anche nel caso del solo possibile verificarsi  dello
stesso, in contrasto quindi con l'art. 242, comma  1  del  d.lgs.  n.
152/2006  ed  abbassando  cosi'  il  livello  di  tutela   ambientale
garantito dalla legge statale. 
4) Art. 10 comma 1 della l.r. n. 10/2009. 
    La norma  contenuta  nell'art.  10  rubricato  «siti  industriali
dismessi»,  al  comma  1  definisce   questi   ultimi   quali   «aree
caratterizzate   dalla   cessazione   dell'attivita'   e   ricomprese
nell'Anagrafe di cui all'art. 8 (Anagrafe dei siti  da  bonificare)».
Diversamente, la dizione della nonna statale contenuta  al  comma  1,
lettera h) dell'art. 240, del decreto legislativo n. 152/2006 recita,
«sito dismesso: un sito in cui sono cessate le attivita' produttive». 
    La disposizione regionale differisce da quella  statale  poiche',
da un lato, ai fini dell'individuazione di un sito dismesso  aggiunge
la condizione dell'inclusione nell'Anagrafe, mentre tale elemento non
compare nella disposizione del d.lgs. n. 152/2006 e, dall'altro lato,
descrive in modo generico l'attivita' svolta nel sito,  che,  invece,
l'art. 240, del d.lgs. n.  152/2006  individua  specificamente  nelle
sole attivita' produttive. Cio' potrebbe  comportare  la  conseguenza
che un sito il quale secondo la normativa statale sarebbe qualificato
come sito  dismesso  potrebbe  non  essere  tale  per  la  disciplina
regionale e viceversa, vanificando in tal  modo  la  finalita'  della
previsione in capo allo Stato della competenza a stabilire standard e
criteri uniformi in materia di rifiuti. 
5) Art. 12, comma 1 della l.r. n. 10/2009. 
    La disposizione di cui all'art. 12, rubricato «Acque  di  falda»,
al comma 1, prevede che il prelievo delle acque di falda nel corso di
interventi di bonifica ed utilizzate in cicli produttivi in esercizio
nel  sito  stesso  «non  necessita  di  concessione  di   derivazione
d'acqua». Tale disposizione, per  un  senso,  ripropone  la  medesima
rubrica della corrispondente disciplina  statale  contenuta  all'art.
243, del d.lgs. n. 152/2006, ma non ne riporta i contenuti poiche' si
limita a, disciplinare la fase di prelievo delle acque senza  curarsi
di regolare la successiva fase di scarico e, per altro verso, dispone
una deroga  priva  di  fondamento  normativo  al  principio  generale
fissato dall'art. 17 del regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775,  il
quale dispone che «...Salvo quanto previsto dall'art. 93 e dal  comma
2,  e'  vietato  derivare  o  utilizzare  acqua  pubblica  senza   un
provvedimento    autorizzativo    o    concessorio     dell'autorita'
competente...». La concessione o autorizzazione appare, infatti, come
uno   strumento   amministrativo   necessario   per    valutare    la
compatibilita' della progettata estrazione di acqua di falda  con  la
conservazione dell'integrita' della risorsa idrica sotterranea e  del
sottosuolo in cui questa si inserisce. 
    Sulla base di quanto dedotto le citate norme regionali,  dettando
disposizioni difformi dalla normativa nazionale  vigente,  presentano
profili di  illegittimita'  per  violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s) della Costituzione ai sensi del quale lo  Stato  ha
legislazione  esclusiva   in   materia   di   tutela   dell'ambiente,
dell'ecosistema e di rifiuti. 
    Il perseguimento di finalita' di tutela ambientale da  parte  del
Legislatore regionale puo' ammettersi solo ove esso  sia  un  effetto
indiretto  e  marginale  della  disciplina  adottata  dalla   regione
nell'esercizio di una propria legittima competenza e,  comunque,  non
si ponga in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che
proteggono l'ambiente (sentenza n. 431 del 2007). 
    Codesta ecc.ma Corte, infine, con la sentenza n. 214/2008 ha gia'
dichiarato l'illegittimita' di norme regionali in  tema  di  bonifica
dei siti inquinati che dettavano principi e si ponevano in  contrasto
con quanto statuito dal Legislatore statale nel d.lgs. n. 152/2006. 
(1) La distinzione tra bonifica e ripristino e ambientale e'  chiaramente
delineata dall'art. 240, comma 1, lettere  p)  e  q)  del  d.lgs.  n.
152/2006 che definisce per: p) bonifica: l'insieme  degli  interventi
atti ad eliminare le fonti di inquinamento e le sostanze inquinanti o
a ridurre le concentrazioni delle  stesse  presenti  nel  suolo,  nel
sottosuolo e nelle acque sotterranee ad un livello uguale o inferiore
ai valori delle concentrazioni soglia di rischio (CSR); q) ripristino
e  ripristino  ambientale:   gli   interventi   di   riqualificazione
ambientale  e  paesaggistica,  anche  costituenti  complemento  degli
interventi  di  bonifica  o  messa  in  sicurezza   permanente,   che
consentono  di  recuperare  il  sito  alla  effettiva  e   definitiva
fruibilita'  per  la  destinazione  d'uso  conforme  agli   strumenti
urbanistici.