Sentenza 
nel giudizio per conflitto di attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
sorto a seguito delle deliberazioni della Camera dei deputati  del  2
maggio 2007, relative alla insindacabilita', ai sensi  dell'art.  68,
primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dai deputati
Mario  Borghezio  ed  altri,  promosso   dal   Giudice   dell'udienza
preliminare del Tribunale di  Verona  con  ricorso  notificato  il  9
gennaio 2009, depositato in cancelleria in pari data ed  iscritto  al
n. 10 del registro conflitti tra poteri dello  Stato  2008,  fase  di
merito. 
    Visto l'atto di costituzione della Camera dei deputati; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  21  aprile  2009  il  giudice
relatore Paolo Maddalena; 
    Udito l'avvocato Massimo Luciani per la Camera dei deputati. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con  ricorso  depositato  il  24  aprile  2008,  il  Giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di  Verona  ha   sollevato
conflitto di attribuzione «in ordine al corretto uso  del  potere  di
decidere  con   riguardo   alla   ricorrenza   dei   presupposti   di
applicabilita' dell'art. 68, primo comma,  della  Costituzione,  come
esercitato dalla Camera dei deputati con le  delibere  del  2  maggio
2007 relativamente  al  procedimento  penale»,  pendente  dinanzi  al
medesimo GUP, «a carico dei deputati Mario Borghezio, Umberto  Bossi,
Enrico Cavaliere, Giacomo Chiappori,  Giancarlo  Pagliarini,  Luigino
Vascon, Roberto Maroni e Roberto Calderoli». 
    Il ricorrente precisa che nei confronti dei suddetti  deputati  -
dopo essere intervenuta sentenza di proscioglimento per  i  reati  di
cui agli artt. 241, 283 e 271 del codice penale,  non  piu'  previsti
dalla   legge   come   tali   a   seguito   della   declaratoria   di
incostituzionalita' recata dalla sentenza n. 243 del 2001 della Corte
costituzionale e della successiva  novella  legislativa  24  febbraio
2006, n. 85 (Modifiche al  codice  penale  in  materia  di  reati  di
opinione)  -  residua  la  richiesta  di  rinvio   a   giudizio   per
l'imputazione «del reato di cui agli  artt.  81  c.p.,  1  d.lgs.  14
febbraio 1948, n. 43 per avere,  con  piu'  azioni  esecutive  di  un
medesimo  disegno  criminoso   promosso,   costituito,   diretto,   e
partecipato - con molte altre persone, alcune identificate  ed  altre
da identificare - ad una associazione di carattere militare con scopi
politici, denominata "camicie verdi", poi  confluita  in  altra  piu'
complessa  struttura  denominata  GNP  (guardia  nazionale   padana),
organizzata secondo precise regole di ammissione e reclutamento degli
aderenti - tutti dotati di uniforme costituita da una  camicia  verde
con  maniche  lunghe  recante  un  particolare  stemma  sulla  manica
sinistra e sul taschino sinistro  -  e  di  inquadramento  in  gruppi
territoriali gerarchicamente  organizzati,  con  l'individuazione  di
responsabili locali tenuti a seguire rigorosamente le  direttive  del
"capo" o delle persone da lui delegate, e a  riferire  periodicamente
sull'attivita' compiuta in esecuzione di tali direttive; associazione
contigua al movimento politico Lega Nord ed avente lo scopo di meglio
attuare e di rendere praticabili le proclamate finalita' politiche di
tale  movimento  di   creazione   di   nuove   realta'   statuali   -
rappresentandone, in  qualche  modo,  le  istituzioni  di  polizia  e
militari - mediante la creazione  di  una  struttura  gerarchicamente
organizzata ed opportunamente addestrata  per  un  eventuale  impiego
collettivo in azioni di violenza e  minaccia  -  peraltro  presentate
come azioni di legittima difesa  di  pretesi  diritti  violati  -  ed
utilizzata,  anche,  per  intimidire  gli  aderenti   contrari   alle
direttive politiche dei vertici del movimento, e quindi impedirne  la
partecipazione al dibattito interno, e cosi' imporre,  attraverso  la
riduzione al silenzio  dei  dissenzienti,  all'interno  dello  stesso
movimento Lega Nord una precisa linea politica; con l'aggravante  del
possesso di armi, essendo state  rinvenute  numerose  armi,  peraltro
legittimamente detenute, munizioni ed esplosivo nelle  abitazioni  di
vari aderenti all'associazione - In Verona in un  periodo  ricompreso
tra giugno e settembre 1996 e anche successivamente». 
    Espone ancora il GUP del Tribunale di Verona: 
        che la Corte costituzionale, con ordinanza n. 102  del  2007,
richiamata la propria sentenza di inammissibilita' n. 267  del  2005,
«ha dichiarato inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato sollevato da questo Giudice nei confronti  del
Senato della Repubblica  in  relazione  alle  deliberazioni  adottate
dall'Assemblea nella seduta del 31 gennaio 2001  (doc.  IV-quater  n.
60)  con  le  quali  e'  stato  ritenuto  che  i  fatti  oggetto  del
procedimento penale in epigrafe a carico dei senatori Vito  Gnutti  e
Francesco  Speroni  concernono  opinioni  espresse  da   membri   del
Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni e, in quanto tali, sono
insindacabili» e  cio'  in  quanto  il  conflitto  contro  la  stessa
delibera del Senato e' stato «riproposto nel corso della stessa  fase
del giudizio e dall'identico giudice, ossia dal GUP»; 
        che, pertanto, nei confronti dei senatori Gnutti e Speroni e'
stata pronunciata all'udienza preliminare del 31 marzo 2008  sentenza
di non doversi procedere,  ai  sensi  dell'art.  129  del  codice  di
procedura penale e dell'art. 6, comma 8, della legge 20 giugno  2003,
n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione
nonche' in materia  di  processi  penali  nei  confronti  delle  alte
cariche dello Stato), per difetto della condizione di procedibilita',
per essere stati gli imputati «ritenuti immuni ai sensi dell'art. 68,
comma primo, della Costituzione»; 
        che, successivamente, con ordinanza del 9  ottobre  2006,  lo
stesso GUP rimetteva gli atti, ai sensi degli artt. 3, commi 4  e  5,
della legge n. 140 del 2003 e 68, primo comma, Cost.,  al  Parlamento
italiano in relazione alla posizione dei deputati innanzi indicati ed
al Parlamento europeo in riferimento all'analoga  posizione  di  Gian
Paolo Gobbo, parlamentare europeo; 
        che, con decisione del 24 ottobre 2007, il Parlamento europeo
riteneva  di  «non  difendere  l'immunita'  ne'   i   privilegi   del
parlamentare europeo On. Gian Paolo  Gobbo,  reputando  che  i  fatti
attribuitigli non siano coperti da immunita' parlamentare»; 
        che, con nota del 4 maggio 2007, il Presidente  della  Camera
dei deputati comunicava «che l'Assemblea, nella seduta del  2  maggio
2007, ha approvato la relazione doc. IV-quater n. 9, deliberando  che
i fatti per i quali e' in corso il presente processo penale a  carico
di  Mario  Borghezio,  Umberto  Bossi,  Enrico   Cavaliere,   Giacomo
Chiappori, Giancarlo Pagliarini, Luigino  Vascon,  Roberto  Maroni  e
Roberto Calderoli, deputati all'epoca dei fatti, concernono  opinioni
espresse da membri del Parlamento nell'esercizio delle loro funzioni,
ai sensi dell'art. 68, comma primo, della Costituzione». 
    Cio' premesso, il ricorrente sostiene che, non essendo stata  mai
investita la Corte costituzionale «della risoluzione di un  conflitto
di attribuzione contro la delibera della Camera dei deputati  con  la
quale, in data 2 maggio 2007,  i  fatti  addebitati  ai  parlamentari
Mario Borghezio, Umberto Bossi, Enrico Cavaliere, Giacomo  Chiappori,
Giancarlo  Pagliarini,  Luigino  Vascon,  Roberto  Maroni  e  Roberto
Calderoli, sono stati ritenuti insindacabili ai  sensi  dell'art.  68
primo comma della Costituzione», sussisterebbe, nel caso  di  specie,
l'interesse a ricorrere, non potendo spiegare effetti  nei  confronti
dei  deputati  anzidetti  le  declaratorie  di  inammissibilita'  dei
ricorsi con cui era stato sollevato conflitto contro il Senato  della
Repubblica - e di cui alla sentenza n. 267 del 2005 e alla  ordinanza
n. 102 del 2007 di questa Corte - concernenti unicamente le posizioni
dei senatori Gnutti e Speroni, allora imputati. 
    Assume, quindi, il GUP che, nel caso in esame, «il ricorso  viene
proposto contro la Camera dei deputati e avverso la  delibera  del  2
maggio 2007, ossia avverso un atto nuovo e  distinto  dalla  delibera
all'epoca adottata da un altro  ramo  del  Parlamento,  e  cioe'  dal
Senato della Repubblica, e che si ritiene viziato da incompetenza». 
    Il ricorrente, dopo aver descritto i fatti addebitati ai  singoli
imputati, nonche' i risultati delle indagini promosse a loro  carico,
ricorda che la Giunta per le autorizzazioni della Camera dei deputati
ha segnatamente affermato, nella  proposta  di  insindacabilita'  poi
approvata dall'Assemblea nella  seduta  del  2  maggio  2007,  quanto
segue: «La Giunta ha constatato, a sua volta, che oggi le  specifiche
condotte ascritte ai singoli deputati imputati  consistono  nell'aver
contribuito a costituire, potenziare e dirigere il gruppo associativo
Camicie Verdi o Guardia Nazionale Padana, teorizzandone le finalita',
coordinando   le   modalita'   di    impiego    degli    appartenenti
all'associazione, provocando l'adesione di terzi a detta associazione
ed a suoi scopi attraverso un'attivita' di diffusione del  programma.
In particolare (...) la Guardia Nazionale Padana e' stata  costituita
a sostegno delle iniziative nonche' a difesa delle istituzioni  della
cosiddetta Repubblica Federale Padana, e cioe' i citati Parlamento  e
Governo nonche' il cosiddetto Comitato di Liberazione della  Padania.
Orbene, a giudizio unanime della Giunta e' apparso che tali  condotte
(al di la' di una valutazione  di  merito  che  potrebbe  per  alcuni
inclinare  al  folkloristico   e   per   altri   al   cattivo   gusto
istituzionale)  possano  agevolmente  ricondursi  al   novero   delle
manifestazioni   pubbliche   tutelate    dall'articolo    21    della
Costituzione, dei momenti di riunione e associazione partitica di cui
agli articoli 17, 18 e 49 della Costituzione stessa e  in  definitiva
delle opinioni espresse in connessione con la  funzione  parlamentare
ai sensi dell'articolo 68, primo comma, della Costituzione. E'  noto,
infatti, che la Lega Nord nelle legislature XIII e  XIV  ha  avanzato
numerose proposte di legge volte a introdurre in Italia una forma  di
Stato marcatamente federalista, fino a chiedere e  a  ottenere  nella
XIV legislatura per il deputato Bossi la  titolarita'  del  Ministero
delle riforme istituzionali e a concorrere  all'approvazione  di  una
modifica costituzionale che, a  detta  della  stragrande  maggioranza
dell'opinione pubblica italiana, andava sotto il nome di devolution e
come tale e' stata sottoposta a referendum confermativo del 25  e  26
giugno 2006». Peraltro, nella stessa relazione  si  pone  in  risalto
conclusivamente: « [...]  per  completezza,  si  puo'  osservare  che
l'associazione delle Camicie Verdi altro  non  era  che  un  servizio
d'ordine, simile a quelli organizzati dai partiti  in  occasione  dei
comizi e delle manifestazioni di piazza ancora oggi  cosi'  frequenti
nella  vita  politica  e  sociale  italiana.  All'evidenza,  la  mera
esistenza e organizzazione di tali servizi d'ordine non costituiscono
di per se' un  attacco  all'integrita'  dello  Stato  e  alla  quiete
pubblica». 
    Secondo il GUP ricorrente,  «gli  atti  integranti  il  reato  di
partecipazione ad una associazione di  tipo  militare,  svolgendo  in
essa  compiti  promozionali,  direttivi  e   organizzativi,   nonche'
sovrintendendo alle adesioni al gruppo da  parte  di  terze  persone,
sono estranei al concetto di opinioni espresse  nell'esercizio  delle
funzioni parlamentari, ancorche' letti nel contesto ideologico da cui
si e' mossa  l'azione  politica  della  Lega  Nord  ed  il  programma
secessionista  cui  i  parlamentari  imputati  hanno   aderito».   Si
tratterebbe,  infatti,  di  «comportamenti  materiali,  che  incidono
direttamente e negativamente sulla sicurezza delle persone, e che per
loro natura sono del tutto avulsi dalla manifestazione del  pensiero,
ossia dalle "opinioni"». 
    Ad avviso del ricorrente, nella proposta della Giunta non sarebbe
stato  adeguatamente  affrontato  «il  tema  della  connessione   tra
l'esercizio  delle  funzioni  parlamentari  e  le  attivita'  svolte,
invece, in  relazione  all'associazione  vietata  dalla  legge»,  ne'
sarebbero state esplicitate le ragioni «per cui  attivita'  materiali
come quelle piu' volte  descritte  nei  paragrafi  superiori  possano
ricondursi alla categoria delle  "opinioni"  espresse  nell'esercizio
delle  funzioni  di  parlamentare»,  limitandosi  a  qualificare   le
condotte oggetto di imputazione come una proiezione di uno  specifico
"disegno politico". Con cio',  la  delibera  di  insindacabilita'  si
sarebbe discostata dai principi espressi dalla  Corte  costituzionale
in piu' di un'occasione circa l'ambito di operativita' della garanzia
prevista dall'art. 68, primo comma, della Costituzione. 
    Difatti, argomenta ancora il ricorrente, pur  potendo  ascriversi
al concetto di opinione «anche  comportamenti  materiali  diretti  ad
illustrare le iniziative svolte nella qualita' di parlamentare»,  non
si potrebbe pero'  fare  riferimento  a  comportamenti  che  incidano
negativamente sui diritti di altri individui, «mentre la  fattispecie
incriminatrice la cui violazione e' addebitata ai  parlamentari,  per
sua natura, crea turbativa all'ordine pubblico  ed  e'  lesiva  della
sicurezza sociale». 
    Inoltre, prosegue il  GUP,  sarebbe  soltanto  una  petizione  di
principio affermare la  sussistenza  di  un  "nesso  funzionale"  con
l'attivita' parlamentare «per il fatto  che  l'associazione  "Camicie
Verdi" persegua il programma politico della Lega Nord, cui i senatori
hanno aderito, [...] poiche' ... lo "scopo politico" e' gia'  di  per
se' un requisito imprescindibile del reato di cui trattasi». Sicche',
la  delibera  della  Giunta  avrebbe  riscontrato   una   connessione
sufficiente «nella semplice posizione politica del  movimento  cui  i
parlamentari appartengono»  e  cio'  in  contrasto  con  il  criterio
giurisprudenziale  che  ravvisa  l'insindacabilita'  degli  atti  del
parlamentare  svolti  extra   moenia   nella   loro   «corrispondenza
sostanziale» di contenuto con atti parlamentari tipici. 
    Secondo  il   ricorrente,   nei   comportamenti   addebitati   ai
parlamentari  Mario  Borghezio,  Umberto  Bossi,  Enrico   Cavaliere,
Giacomo Chiappori,  Giancarlo  Pagliarini,  Luigino  Vascon,  Roberto
Maroni e  Roberto  Calderoli  «manca  del  tutto  la  riproduzione  o
divulgazione di una precedente attivita' parlamentare  rispetto  alla
quale i fatti in  esame  presentino  una  "sostanziale  identita'  di
contenuti" tale  da  comportare  un  "nesso  funzionale"».  Sostiene,
infatti, il medesimo ricorrente, che  i  predetti  parlamentari  «non
avrebbero certamente  svolto  attivita'  di  propaganda,  all'interno
delle Camere, di una associazione  vietata  dalla  legge  -  giacche'
intra moenia essi sono sottoposti alla sorveglianza della  Presidenza
dell'Assemblea  e  delle  Commissioni  -,  ed  e'  allora  del  tutto
irrilevante  che  detta  associazione  fosse  animata   dall'identico
spirito  indipendentista  e  secessionista  che  contraddistingue  il
programma politico del partito di appartenenza». 
    Ne' sarebbe decisiva, sotto il profilo anzidetto, «la circostanza
che i comportamenti incriminati, che la Giunta  riconduce  al  novero
delle  manifestazioni  pubbliche  e  dei  momenti  di   riunione   ed
associazione partitica tutelati dagli artt. 21, 17,  18  e  49  della
Costituzione,  siano  stati  posti  in  essere   fuori   dalla   sede
parlamentare  e  per  tale  motivo  avrebbero  assunto   connotazioni
differenti rispetto a quelli realizzabili all'interno delle Camere». 
    Il ricorrente, dopo aver nuovamente rammentato che il  Parlamento
europeo ha ritenuto i fatti attribuiti al proprio  parlamentare  Gian
Paolo Gobbo «non [...] coperti da immunita'  parlamentare»,  sostiene
che la deliberazione di insindacabilita' della Camera  dei  deputati,
del 2 maggio 2007 si porrebbe «in contrasto col potere ed  il  dovere
di assicurare l'esercizio della funzione  giurisdizionale  attribuito
dalla Costituzione in  capo  agli  uffici  giudiziari»,  sia  per  il
radicale difetto di  riferibilita'  alla  funzione  parlamentare  dei
comportamenti posti in essere dai parlamentari per cui pende il  piu'
volte richiamato procedimento  penale,  sia  «per  avere  fondato  la
decisione sulla base di valutazioni di merito della  vicenda  oggetto
del  presente  processo,   espressamente   riconducendo   all'intento
divulgativo  del  programma  politico  teorizzato  in  Parlamento  la
realizzazione di condotte materiali, quali appunto la promozione,  la
direzione e l'organizzazione di un'associazione vietata dalla  legge,
e,  in  aggiunta,  arrivando  ad  escludere  che  le  Camicie   Verdi
costituissero struttura integrante  la  figura  dell'associazione  di
tipo militare vietata dalla legge». 
    In definitiva, nel ritenere sostanzialmente  che  la  prerogativa
dell'insindacabilita'  copra  «tutti  i  comportamenti  riconducibili
all'attivita' politica latu sensu intesa del parlamentare, e  che  la
sua ricorrenza non e' esclusa anche di fronte a comportamenti che  in
astratto possono rivestire natura illecita»,  la  delibera  impugnata
esorbiterebbe «dall'ambito derogatorio consentito dall'art. 68, primo
comma, Cost., risultando violati, da un lato, anche  gli  artt.  101,
secondo comma, 102, primo comma, e 104, primo comma, Cost.,  posti  a
tutela della titolarita' della funzione giurisdizionale in capo  alla
magistratura e della legalita' ed  indipendenza  del  suo  esercizio;
dall'altro l'art.  3,  primo  comma,  Cost.,  per  la  disparita'  di
trattamento che in tal modo viene introdotta tra cittadini ordinari e
parlamentari, consentendosi  a  questi  ultimi  condotte  in  ipotesi
integranti figure di reato prive  di  qualsiasi  connessione  con  la
funzione parlamentare». 
    2. - Il conflitto e' stato dichiarato ammissibile  con  ordinanza
n.  374  del  14  novembre  2008.  A  seguito  di  essa,  il  Giudice
dell'udienza preliminare del Tribunale di  Verona  ha  notificato  il
ricorso e l'ordinanza alla Camera dei deputati in data 9 gennaio 2009
ed in pari data ha depositato tali atti, con la  prova  dell'avvenuta
notificazione. 
    3. -  Si  e'  costituita  in  giudizio  la  Camera  dei  deputati
chiedendo la  declaratoria  di  inammissibilita',  irricevibilita'  e
improcedibilita' del ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri
e, in subordine, la sua reiezione, con  conseguente  declaratoria  di
spettanza alla stessa Camera  di  «affermare  l'insindacabilita',  ai
sensi dell'art. 68, primo comma, Cost., delle opinioni espresse dagli
Onn. Mario Borghezio e altri, oggetto di procedimento penale pendente
innanzi il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di  Verona,
odierno ricorrente». 
    La    Camera    dei     deputati     deduce,     preliminarmente,
l'inammissibilita' del  conflitto  per  quattro  distinti  ordini  di
ragioni. 
    3.1. - In primo luogo, si sostiene  che,  nell'atto  introduttivo
del giudizio per conflitto, «il  ricorrente  non  ha  operato  alcuna
significativa e rilevante distinzione tra le posizioni soggettive dei
singoli parlamentari ai  quali  si  contesta  l'applicabilita'  della
guarentigia»  di  cui  all'art.  68,  primo   comma,   Cost.,   cosi'
contravvenendo  all'onere  di  completezza  ed  autosufficienza   del
ricorso. 
    La resistente soggiunge  che,  nel  caso  di  specie,  avendo  la
sentenza n. 267  del  2005  di  questa  Corte,  pur  riconoscendo  la
possibilita' di impugnare con un unico ricorso piu' deliberazioni  di
insindacabilita',     gia'     dichiarato      inammissibile      per
«indeterminatezza» di contenuto «un identico conflitto  proposto  nei
confronti del Senato della Repubblica  relativamente  alle  posizioni
dei Senn. Gnutti e  Speroni»,  l'attuale  ricorrente  avrebbe  dovuto
specificare  con  maggior  rigore  le  posizioni   dei   parlamentari
imputati, la' dove queste, invece, sono rimaste  «senza  alcun  reale
distinguo», giacche', oltre a non rimarcarsi  alcuna  differenza  tra
cariche rivestite dagli stessi parlamentari, «si mescolano  attivita'
del tutto diverse tra  loro,  come  la  "complessiva  gestione  degli
associati"; l'attivita' di "promozione, proselitismo, diffusione  del
programma"; "l'organizzazione e direzione della struttura"; senza che
mai dalla lettura del ricorso possa collegarsi univocamente  ad  ogni
singolo deputato una (o piu') di tali attivita». 
    3.2. - Altra ragione di inammissibilita'  viene  ravvisata  nella
«affermazione del ricorrente che il presente conflitto costituirebbe,
in  realta',  la  riproposizione  del  conflitto  gia'  elevato   nei
confronti del Senato della Repubblica» (come si legge a pagina 4  del
ricorso stesso: «Questo Giudice ritiene di riproporre il conflitto di
attribuzione tra i poteri dello Stato nei confronti della Camera  dei
deputati») e dichiarato inammissibile  con  l'ordinanza  n.  102  del
2007. 
    Sebbene il conflitto non sia proposto nei confronti del  medesimo
organo  costituzionale,  ne'  nei  confronti   del   medesimo   atto,
sussisterebbero «gli altri  elementi  indicati  dalla  pronuncia  ora
riportata:  l'identita'  del  procedimento  e  della   sua   fase   e
l'identita' del ricorrente». 
    3.3. - Come terza eccezione di  inammissibilita'  la  Camera  dei
deputati individua  il  fatto  che  «il  ricorrente  non  ha  chiesto
l'annullamento  delle   deliberazioni   della   Camera   oggetto   di
contestazione». 
    La resistente, pur rammentando la giurisprudenza che ha  superato
eccezioni di tal fatta (sentenza n. 342 del 2007), reputa che,  nella
fattispecie, si debba  operare  una  diversa  valutazione,  giacche',
avendo il  ricorso  impugnato  unitariamente  piu'  deliberazioni  di
insindacabilita',  la  sua  «indeterminatezza  e  imprecisione  [...]
rendono del tutto insormontabile il vizio della mancata richiesta  di
annullamento, poiche', a fronte di una pluralita'  di  deliberazioni,
e' ben possibile una diversita' di valutazione di ciascuna  di  esse,
diversita' di valutazione che  deve  trovare  congrua  manifestazione
nella richiesta di annullamento (di una, di  piu',  o  foss'anche  di
tutte le deliberazioni)». 
    3.4.  -  L'ultima  eccezione  di  inammissibilita'  attiene  alla
mancata delimitazione temporale dell'ambito  «dei  fatti  rilevanti»,
risultando dal capo  di  imputazione  la  seguente  indicazione:  «In
Verona in un periodo ricompreso tra giugno e settembre 1996  e  anche
successivamente». 
    Ad avviso della  Camera,  posto  che  la  valutazione  sul  nesso
funzionale «e'  condizionata  alla  sussistenza  di  un  rapporto  di
"sostanziale contestualita'" tra le opinioni manifestate extra moenia
e quelle manifestate negli atti parlamentari tipici» e considerata la
possibilita', riconosciuta dalla giurisprudenza  (sent.  n.  221  del
2006), di utilizzare a tal fine anche atti funzionali che seguono  le
dichiarazioni  extra  moenia,  non  sarebbe  possibile  «identificare
compiutamente  l'ambito  degli   atti   rilevanti   al   fine   della
determinazione dell'esistenza  o  meno  del  nesso  funzionale»,  con
conseguente compromissione del diritto di difesa della controparte. 
    3.5.  -  Tanto  premesso,  la  Camera  dei   deputati   argomenta
diffusamente sull'infondatezza nel merito del ricorso, sostenendo che
tutti i parlamentari imputati «hanno adottato atti tipici di funzione
nei quali sono state manifestate le medesime opinioni che, rese anche
all'esterno, sono ora oggetto di contestazione». 
    In tal senso, si precisa, anzitutto, che  «tutti  i  deputati  in
questione sono stati iscritti al Gruppo Lega Nord della  Camera,  che
ha assunto nella XIII Legislatura la denominazione "Lega Nord  -  per
l'indipendenza  della  Padania",  con   cio'   esplicitandosi   anche
formalmente  l'adesione   ad   un   programma   politico   volto   al
conseguimento di forme assai accentuate  di  indipendenza/autonomia».
La difesa della Camera, al fine di corroborare tale assunto, richiama
(ed  allega)  numerosi  atti  parlamentari  relativi  ad  interventi,
interrogazioni, interpellanze,  mozioni,  risoluzioni  e  ordini  del
giorno  riconducibili  ai  deputati  imputati  nel  giudizio   penale
pendente dinanzi al ricorrente. 
    Pertanto, nella memoria difensiva, si sostiene  che,  dagli  atti
parlamentari  tipici  indicati  e  prodotti,  si  evincerebbe  che  i
suddetti deputati avrebbero «perorato la causa delle Regioni del Nord
e della "Padania",  lamentando  l'invadenza  dei  poteri  centrali  e
reclamando l'esigenza di dare vita a strutture  decisionali  autonome
(come, fra le altre, il "parlamento  della  Padania"),  collegate  al
partito di appartenenza», sicche', le  opinioni  esterne,  contestate
dal  giudice  ricorrente  coinciderebbero  «interamente  con   quelle
rinvenibili negli atti parlamentari tipici». Ad avviso della  Camera,
inoltre, la contestazione ai parlamentari  interessati  dal  capo  di
imputazione di aver «contribuito a costituire, potenziare e  dirigere
il gruppo associativo "Camicie Verdi" o "Guardia  nazionale  padana",
teorizzandone le finalita', coordinando le modalita' di impiego degli
appartenenti all'associazione, provocando l'adesione di terzi a detta
associazione e ai suoi scopi attraverso una "attivita' di  diffusione
del programma", e' proprio di condotte verbali e di opinioni, che qui
si discute, e quindi di pure proiezioni esterne degli atti tipici del
mandato parlamentare». 
    La resistente sostiene, infine, di  non  voler  seguire  la  tesi
della  sufficienza  della  «mera  politicita'  del  contenuto   delle
opinioni di  un  parlamentare,  ovvero  l'esistenza  di  un  contesto
politico in cui esse si inseriscano», per l'applicabilita'  dell'art.
68, primo comma, Cost., puntualizzando, pero', che, ai  fini  di  una
effettivita'  del  principio  di   rappresentativita'   del   mandato
parlamentare,  deve  superarsi  «l'imposizione  di   un   "passaggio"
parlamentare delle opinioni tale che debba necessariamente sussistere
una connessione puntuale tra  singoli  atti  parlamentari  e  singole
opinioni manifestate all'esterno», cosi' da  rendere  sostanzialmente
inoperativi gli artt. 67 e 68 Cost., mentre  e'  necessario  ritenere
che la «proiezione esterna» dell'attivita' parlamentare  «riguardi  i
contenuti della politica  parlamentare  e  non  quelli  del  singolo,
puntuale atto tipico», giacche' «il mandato  rappresentativo  non  si
esaurisce nel compimento  di  atti  "tipici",  ma  si  manifesta  nel
raccordo costante tra rappresentante  e  rappresentato,  nelle  forme
della  comunicazione  democratica  che  assicurano  il  rispetto  del
principio [...] di responsivita' dell'azione dei titolari di  cariche
rappresentative». 
    4. - In prossimita'  dell'udienza,  la  Camera  dei  deputati  ha
depositato memoria illustrativa con la quale, ribadendo le  eccezioni
e difese avanzate ed illustrate nell'atto  di  costituzione,  insiste
nelle conclusioni in precedenza rassegnate. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di  Verona
ha sollevato conflitto di attribuzione fra  poteri  dello  Stato  nei
confronti della Camera dei deputati, in relazione alle  deliberazioni
adottate  dall'Assemblea  nella  seduta  del  2  maggio  2007   (doc.
IV-quater, n. 9), con le quali si e' ritenuto che i fatti per i quali
e' in  corso,  dinanzi  al  medesimo  GUP,  un  giudizio  penale  nei
confronti  dei  deputati  Mario  Borghezio,  Umberto  Bossi,   Enrico
Cavaliere, Giacomo Chiappori, Giancarlo Pagliarini,  Luigino  Vascon,
Roberto Maroni e Roberto Calderoli - per il reato di cui  agli  artt.
81 del codice penale ed 1 del d.lgs. 14 febbraio 1948, n.43  (Divieto
delle associazioni  di  carattere  militare)  -  concernono  opinioni
espresse da membri del Parlamento nell'esercizio delle loro  funzioni
e sono pertanto insindacabili ai sensi  dell'art.  68,  primo  comma,
della Costituzione. 
    2. - In via preliminare, devono essere respinte le  eccezioni  di
inammissibilita' del ricorso sollevate dalla Camera dei deputati, sia
per il fatto che lo stesso giudice confliggente avrebbe affermato che
il ricorso costituisce «la riproposizione del conflitto gia'  elevato
nei confronti del Senato della Repubblica» e dichiarato inammissibile
con l'ordinanza n. 102  del  2007,  sia  perche'  non  sarebbe  stato
richiesto «l'annullamento delle deliberazioni della Camera oggetto di
contestazione». 
    2.1. - Quanto alla prima eccezione, essa si fonda su una  lettura
formalistica del ricorso, giacche'  si  comprende  agevolmente  dalla
lettura complessiva dell'atto che il GUP del Tribunale di  Verona  ha
inteso proporre un conflitto di attribuzione tra poteri  dello  Stato
nuovo e diverso rispetto a quello gia' sollevato contro  le  delibere
di insindacabilita' concernenti i fatti ascritti ai senatori Gnutti e
Speroni e definito, dapprima,  con  sentenza  n.  267  del  2005,  di
inammissibilita', e poi, all'esito di riproposizione,  con  ordinanza
n. 102 del 2007, anch'essa di inammissibilita'. Ed  e',  infatti,  lo
stesso ricorrente ad evidenziare che il presente conflitto attiene ad
ulteriori delibere di insindacabilita' provenienti da  un  differente
organo costituzionale (appunto, la Camera dei deputati) e relative  a
parlamentari  diversi  da  quelli  innanzi  menzionati.  Circostanze,
queste, fatte palesi nel  ricorso,  come,  del  resto,  riconosce  la
stessa resistente. 
    2.2. -  Anche  la  seconda  eccezione  e'  priva  di  fondamento,
giacche', come affermato da questa Corte (sentenza n. 342 del  2007),
soltanto da una valutazione complessiva del ricorso e' dato  desumere
se la  mancata  richiesta  di  annullamento  della  deliberazione  di
insindacabilita' impugnata costituisca una carenza meramente  formale
e come tale non suscettibile di impedire la delibazione  nel  merito.
Nel caso all'esame, emerge evidente, dal tenore dell'intero  ricorso,
la volonta' del giudice confliggente di porre rimedio, attraverso  lo
strumento  del  conflitto,  alla  asserita  lesione   delle   proprie
attribuzioni  giurisdizionali  da  parte   delle   deliberazioni   di
insindacabilita' approvate dalla Camera il 2 maggio 2007. 
    3. - Il ricorso e', comunque, inammissibile. 
    3.1. - Questa Corte, con la gia' ricordata sentenza  n.  267  del
2005, concernente la vicenda, analoga alla  presente,  riguardante  i
senatori Vito Gnutti e Francesco Speroni,  concorrenti  nei  medesimi
reati contestati ai deputati ai quali si riferiscono le deliberazioni
attualmente impugnate, ha dichiarato  inammissibile  il  ricorso  per
conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  proposto  dal
medesimo GUP del Tribunale di  Verona  avverso  le  deliberazioni  di
insindacabilita' del Senato della Repubblica 31 gennaio 2001, per non
aver il ricorrente assolto all'onere «di una  enunciazione  esaustiva
"delle condotte poste in essere dagli imputati" che  prescinda  dalla
tecnica adottata nella formulazione del capo di imputazione  e  dalla
sussistenza  dei  requisiti  minimi  di   indicazione   del   "fatto"
prescritti dal codice di procedura penale». Di qui, l'impossibilita',
in radice, di «stabilire se quella ascrivibile  a  ciascuno  dei  due
parlamentari sia la realizzazione di un  comportamento  di  carattere
materiale o  la  manifestazione  di  una  opinione,  rimanendo  cosi'
preclusa la possibilita' di valutare se ricorrano le  condizioni  per
l'operativita' della prerogativa di cui  all'art.  68,  primo  comma,
della Costituzione». 
    3.2. -  Con  il  presente  ricorso  per  conflitto,  il  GUP  del
Tribunale  di  Verona,  anzitutto,  individua   i   fatti   materiali
addebitati  ai  deputati  Borghezio,  Bossi,  Cavaliere,   Chiappori,
Pagliarini, Vascon, Maroni e Calderoli in forza  di  quanto  indicato
dal capo di imputazione che li riguarda e cioe' quello  attinente  al
reato - l'unico residuato dopo la sentenza di proscioglimento  per  i
reati di cui agli artt. 241, 283 e 271 cod. pen., non  piu'  previsti
dalla   legge   come   tali   a   seguito   della   declaratoria   di
incostituzionalita' recata dalla sentenza n. 243 del 2001  di  questa
Corte e della successiva novella legislativa 24 febbraio 2006, n.  85
(Modifiche al codice penale  in  materia  di  reati  di  opinione)  -
previsto dall'art. 1 del d.lgs.  n.  43  del  1948,  che  punisce  la
promozione, costituzione, organizzazione, direzione e  partecipazione
ad associazioni di carattere militare,  le  quali  perseguano,  anche
indirettamente, scopi politici. 
    Nel  ricorso  vengono  individuate  anche  le   singole   cariche
asseritamente ricoperte da  ciascun  parlamentare  nell'ambito  della
«associazione paramilitare», delineandone, sommariamente, i  compiti;
viene,  altresi',  descritto  il  contenuto  dello  «Statuto»   della
«Guardia Nazionale Padana»  e  rammentati,  brevemente,  i  risultati
delle indagini condotte  dagli  inquirenti,  segnatamente  quanto  al
lavoro   di    reclutamento    ed    impiego    degli    appartenenti
all'associazione, alla struttura organizzativa della stessa  ed  agli
obiettivi che con essa ci si prefiggeva di realizzare,  ipotizzandosi
un collegamento tra siffatta ricostruzione  e  le  singole  posizioni
interessate dal conflitto. 
    Tuttavia, anche nel caso all'esame, il ricorrente non si  sottrae
alla tecnica descrittiva dei comportamenti oggetto di  incriminazione
tramite il mero rinvio  al  capo  di  imputazione,  che  rappresenta,
essenzialmente, il riferimento privilegiato da  cui  poter  attingere
gli elementi individuativi dei fatti ascritti ai  deputati  investiti
dall'imputazione medesima. Peraltro, non puo' sottacersi che, proprio
sotto il profilo descrittivo, il capo di  imputazione  oggetto  della
presente delibazione appare, tra gli altri che originariamente  hanno
riguardato anche le posizioni dei senatori Gnutti e  Speroni,  quello
che maggiormente mira a delineare, piu' che  i  singoli  apporti  dei
concorrenti nel reato, gli aspetti organizzativi ed il modus operandi
complessivo della struttura denominata «Camicie Verdi», poi confluita
nella  piu'  articolata  organizzazione  denominata   «GNP   (guardia
nazionale padana)». Ne deriva che la stessa indicazione della  carica
ricoperta da ciascun  parlamentare  in  seno  alle  «camicie  verdi»,
essendo disgiunta dalla puntuale indicazione dei concreti  compiti  e
funzioni,  non  puo'  soddisfare  l'esigenza   di   specificita'   ed
autosufficienza del ricorso sotto il profilo  della  descrizione  dei
fatti oggetto delle deliberazioni di insindacabilita' impugnate. 
    Ne e' conferma, infine, il fatto che il contenuto dello  statuto,
su cui invece si sofferma il  ricorso,  assume,  pero',  una  valenza
neutrale rispetto alla anzidetta esigenza di  puntualizzazione  delle
condotte ascritte a ciascun parlamentare, posto che essa  rimane  sul
piano   dell'astrattezza   degli   obiettivi   che   l'organizzazione
partecipata dai deputati interessati dal conflitto  si  e'  proposta.
Del pari, opera soltanto in astratto la evidenziazione dei  risultati
delle indagini condotte dagli organi inquirenti, non  trovando  esse,
nella narrativa dell'atto introduttivo  del  presente  giudizio,  una
specifica riconduzione a concrete  e  puntuali  condotte  tra  quelle
oggetto di addebito. 
    3.3. - In  definitiva,  l'esposizione  dei  fatti  contenuta  nel
ricorso non consente  di  valutare  quale  sia  l'effettiva  condotta
ascrivibile a ciascun parlamentare e in  che  termini  la  stessa  si
atteggi e venga a modularsi in relazione al  complessivo  tenore  del
capo di imputazione, impedendo cosi' una delibazione in  ordine  alla
sussistenza delle condizioni  per  l'operativita'  della  prerogativa
della  insindacabilita'  di  cui  all'art.  68,  primo  comma,  della
Costituzione.