Sentenza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 91,  commi  1,
lettera d), 2 e 6, 95, comma 5, prima parte, 96, 101, comma  7,  104,
commi 3 e 4, 113, comma 1, 114, commi  1  e  2,  e  116  del  decreto
legislativo 3 aprile 2006, n.  152  (Norme  in  materia  ambientale),
promossi dalle  Regioni  Emilia-Romagna  (n.  2  ricorsi),  Calabria,
Toscana, Piemonte, Umbria, Liguria, Abruzzo, Puglia, Campania, Marche
e Basilicata, con ricorsi notificati il 24 aprile, l'8, il 12-21,  il
12-27, il 12 ed il 13 giugno 2006, depositati in  cancelleria  il  27
aprile, il 10, il 14, il 15, il 16, il 17, il 20,  il  21  ed  il  23
giugno 2006, ed iscritti ai numeri 56, 68, 69, 70, 72,  73,  74,  75,
76, 78, 79 e 80 del registro ricorsi dell'anno 2006. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri nonche' gli atti di  intervento  dell'Associazione  Italiana
per il World Wide Fund for Nature  (WWF  Italia)  -  Onlus,  e  della
Biomasse Italia s.p.a. ed altre; 
    Udito nell'udienza pubblica del 5 maggio 2009 il Giudice relatore
Maria Rita Saulle; 
    Uditi gli avvocati Giandomenico Falcon,  Franco  Mastragostino  e
Luigi Manzi per  la  Regione  Emilia-Romagna,  Maria  Grazia  Bottari
Gentile per la Regione Calabria, Lucia Bora e  Guido  Meloni  per  la
Regione Toscana, Luigi Manzi per la  Regione  Piemonte,  Giandomenico
Falcon e Luigi Manzi per la Regione Umbria, Giandomenico  Falcon  per
la Regione Liguria, Fabrizio Lofoco per la Regione  Puglia,  Vincenzo
Cocozza per la Regione Campania, Gustavo  Visentini  per  la  Regione
Marche, Alessandro Giadrossi per l'Associazione Italiana per il World
Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus, e l'avvocato  dello  Stato
Giuseppe Fiengo per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con separati ricorsi, il primo notificato il 24 aprile  2006
e depositato il successivo 27 aprile  (registro  ricorsi  n.  56  del
2006), il secondo notificato  il  13  giugno  2006  e  depositato  il
successivo 16 giugno (registro ricorsi n. 73 del  2006),  la  Regione
Emilia-Romagna ha, fra  l'altro,  impugnato,  dapprima,  l'art.  101,
comma 7,  del  d.lgs.  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in  materia
ambientale), per violazione degli artt. 76 e 117, terzo comma,  della
Costituzione, e, successivamente, gli artt. 96, 104,  commi  3  e  4,
113, comma 1, e 114, comma 1, del medesimo  decreto  legislativo,  in
riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost. 
    1.1. - Quanto all'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del  2006,
la difesa regionale premette che la norma  impugnata  «assimila  alle
acque  reflue  domestiche  gli  scarichi  derivanti   dalle   imprese
agricole», includendo in esse «anche quelle che svolgono attivita' di
trasformazione o valorizzazione dei prodotti agricoli,  purche'  tale
attivita', inserita con carattere di normalita'  e  complementarieta'
funzionale nel ciclo produttivo  aziendale,  riguardi  materia  prima
lavorata  proveniente  in   misura   prevalente   dall'attivita'   di
coltivazione dei terreni di  cui  si  abbia  a  qualunque  titolo  la
disponibilita». 
    Nel ricorso si evidenzia in  particolare  che,  a  differenza  di
quanto previsto in precedenza dall'art. 28, comma 7, lettera c),  del
decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela
delle  acque  dall'inquinamento   e   recepimento   della   direttiva
91/271/CEE concernente il trattamento delle  acque  reflue  urbane  e
della direttiva  91/676/CEE  relativa  alla  protezione  delle  acque
dall'inquinamento  provocato  dai  nitrati   provenienti   da   fonti
agricole), il quale fissava un «criterio certo», in quanto fondato su
un «preciso rapporto minimo tra materia prima derivante dalla propria
produzione e  materia  prima  derivante  da  produzioni  altrui»,  la
disposizione  impugnata  ne  avrebbe  introdotto  uno  discrezionale,
imperniato sul «concetto elastico di "misura prevalente"». 
    L'art. 101, comma 7,  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  pertanto,
secondo la ricorrente, provocherebbe «una riduzione  del  livello  di
tutela delle acque», contraddicendo i principi e i criteri  direttivi
fissati dall'art. 1, comma 8, lettera a), e dal successivo  comma  9,
lettera b), della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega  al  Governo
per il riordino, il coordinamento e l'integrazione della legislazione
in materia ambientale e misure di diretta applicazione), concernenti,
rispettivamente,  l'obiettivo  del  «miglioramento   della   qualita'
dell'ambiente,    della    protezione     della     salute     umana,
dell'utilizzazione accorta e razionale  delle  risorse  naturali»,  e
quello di «pianificare, programmare e attuare  interventi  diretti  a
garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici superficiali  e
sotterranei, previa ricognizione degli stessi». 
    Sotto altro profilo, osserva sempre la  ricorrente,  il  medesimo
articolo  inciderebbe  negativamente  anche   sulle   funzioni   gia'
attribuite alla Regione dalla legislazione di settore e dal d.lgs. 31
marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi
dello Stato alle Regioni ed agli enti locali, in attuazione del  capo
I della legge 15 marzo 1997, n. 59), e cio',  ancora  una  volta,  in
violazione del «preciso vincolo posto dalla legge di delega». 
    1.2. - Con riguardo alla asserita violazione dell'art. 117, terzo
comma, Cost., la Regione Emilia-Romagna afferma che l'art. 101, comma
7,  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,   potendo   «provocare   effetti
irreversibili sul controllo dei reflui e sulla qualita' delle acque»,
arrecherebbe pregiudizio agli «interessi pubblici ambientali  che  la
Regione ha in carico, sia pure non in via  esclusiva»,  nonche'  alla
tutela del territorio e  della  salute  umana;  interessi  rientranti
nella competenza  legislativa  concorrente  della  Regione  ai  sensi
dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    1.3. - Con riguardo all'art. 96 del d.lgs. n. 152  del  2006,  la
Regione Emilia-Romagna premette che il comma 1 di  tale  disposizione
riscrive l'art. 7 del r.d. 11 dicembre 1933,  n.  1775  (Testo  unico
delle disposizioni  di  legge  sulle  acque  e  impianti  elettrici),
concernente il procedimento per  il  rilascio  delle  concessioni  di
acqua pubblica. 
    In particolare,  la  ricorrente  evidenzia  che  il  nuovo  testo
dispone che le domande relative sia  alle  grandi  sia  alle  piccole
derivazioni siano trasmesse alle Autorita' di bacino territorialmente
competenti le quali, entro il termine rispettivamente di novanta e di
quaranta  giorni,  «comunicano  il  proprio  parere   vincolante   al
competente Ufficio istruttore in  ordine  alla  compatibilita'  della
utilizzazione con le previsioni del Piano  di  tutela,  ai  fini  del
controllo sull'equilibrio del bilancio idrico o idrologico, anche  in
attesa di approvazione del Piano anzidetto», disponendo altresi' che,
«decorsi  i  predetti  termini  senza  che  sia  intervenuta   alcuna
pronuncia, il Ministro dell'ambiente e della  tutela  del  territorio
nomina un commissario ad acta che provvede entro i  medesimi  termini
decorrenti dalla data della nomina». 
    Nel  ricorso  si  assume  che  «le   competenze   della   Regione
Emilia-Romagna»  risulterebbero  «concretamente   incise»   da   tale
disposizione,  considerato  che  la  Regione  avrebbe  «adottato  una
propria disciplina procedimentale» - con la legge regionale 21 aprile
1999, n. 3  (Riforma  del  sistema  regionale  e  locale)  e  con  il
successivo regolamento regionale 20 novembre 2001, n. 41 (Regolamento
per la disciplina del procedimento di concessione di acqua  pubblica)
- in attuazione del conferimento  di  funzioni  operato  dagli  artt.
86-89 del d.lgs. n.112 del 1998. 
    Inoltre, osserva la ricorrente, la previsione secondo la quale le
nuove Autorita' di  bacino  esprimono  sulle  grandi  derivazioni  un
parere vincolante in un termine  che  passa  da  quaranta  a  novanta
giorni e che, «in caso di mancata espressione  del  parere  medesimo,
non operi piu' il silenzio assenso, ma si proceda alla nomina  di  un
commissario  ad  acta»  che  dispone  di  altri  novanta  giorni  per
esprimersi  comporterebbe,  altresi',  una  «enorme  dilatazione  dei
tempi, in [...]  contrasto  con  gli  obiettivi  di  semplificazione»
stabiliti dall'art. 1, comma 9, lettera b), della legge  n.  308  del
2004. 
    1.4. - Quanto osservato con riguardo  al  comma  1  varrebbe,  ad
avviso della Regione Emilia-Romagna, anche «in relazione  agli  altri
commi dell'art. 96» del d.lgs. n.  152  del  2006,  in  quanto  essi,
contenendo   una   «disciplina   analitica   e   dettagliata»,    non
rispetterebbero quanto affermato  dalla  Corte  costituzionale  -  in
particolare, fra le altre, nella sentenza n. 31 del  2006  -  secondo
cui «alla luce del nuovo testo dell'art. 118 Cost., dopo  la  riforma
del titolo V della parte II, l'attribuzione alle Regioni ed agli enti
locali delle funzioni  amministrative  in  materia  e'  sorretta  dal
principio di sussidiarieta». 
    Cio' posto, non sarebbe legittimo, ad avviso della  Regione,  che
lo  «Stato  emani  in   materia   norme   legislative   che   entrano
analiticamente  nel  dettaglio»,  sottoponendo  «l'uso   dei   poteri
normativi che residuano alla Regione» a  direttive  delle  quali  non
sarebbero indicate «ne' l'autorita' competente ne'  le  modalita'  di
emanazione», e in una materia - quella delle  derivazioni  d'acqua  -
che non risulterebbe «contemplata nell'oggetto della delega». 
    Per queste ragioni, l'art. 96 si porrebbe  in  contrasto,  «nella
sua interezza», con gli artt. 76, 117 e 118 Cost. 
    1.5. - Con riguardo alle disposizioni degli artt. 104, commi 3  e
4, 113, comma 1, e  114,  comma  1,  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
concernenti misure di tutela  delle  acque,  la  ricorrente  osserva,
preliminarmente, che esse risulterebbero accomunate da  una  identica
illegittima impostazione dei rapporti  tra  autonomia  legislativa  e
amministrativa regionale e «direzione statale». 
    1.6. - In particolare, quanto al citato art. 104, comma  3,  esso
attrarrebbe al «livello ministeriale  compiti  di  autorizzazione  di
scarichi risultanti dall'estrazione di idrocarburi nelle  unita'  del
sottosuolo da cui sono stati estratti», laddove  l'art.  89,  lettera
i), del d.lgs. n. 112  del  1998  ne  prevedeva  l'attribuzione  alle
Regioni, con conseguente violazione sia del «riparto di  attribuzioni
gia' fissato dal legislatore statale antecedentemente  alla  riforma»
operata con legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche  al
titolo V della parte seconda della Costituzione), sia  del  «criterio
direttivo» stabilito al comma 8 dell'art. 1 della legge  n.  308  del
2004, nel quale sarebbe richiamato l'assetto delle competenze di  cui
al d.lgs. n. 112 del 1998, prescrivendone la «inderogabilita». 
    1.7. - Per altro verso, il comma 4 dello stesso art.  104,  nella
parte in cui prescrive che  «l'autorita'  competente,  dopo  indagine
preventiva anche finalizzata alla verifica dell'assenza  di  sostanze
estranee, puo' autorizzare gli  scarichi  nella  stessa  falda  delle
acque utilizzate per il  lavaggio  e  la  lavorazione  degli  inerti,
purche' i relativi fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed
inerti naturali ed il loro scarico non comporti  danneggiamento  alla
falda   acquifera»   risulterebbe,   ad    avviso    della    Regione
Emilia-Romagna, in contrasto con l'art. 4, comma 3,  della  direttiva
17 dicembre 1979, n. 80/68/CEE (Direttiva del  Consiglio  concernente
la protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento provocato  da
certe sostanze pericolose), che consentirebbe agli  Stati  membri  di
autorizzare gli scarichi consistenti nella reiniezione  nella  stessa
falda solo «delle acque utilizzate per scopi geotermici, delle  acque
di infiltrazione di miniere o cave, o delle acque pompate  nel  corso
di determinati lavori di ingegneria civile», non  anche  delle  acque
utilizzate per il lavaggio e la lavorazione degli inerti. 
    1.8. - Con riguardo all'art. 113, comma 1, del d.lgs. n. 152  del
2006, la ricorrente premette che esso assegna alle Regioni i  compiti
di «disciplinare» e di «attuare»: a)  le  forme  di  controllo  degli
scarichi di acque  meteoriche  di  dilavamento  provenienti  da  reti
fognarie separate; b) i casi in cui  puo'  essere  richiesto  che  le
immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate  tramite
altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni. 
    Tuttavia,  osserva  la  ricorrente,  l'esercizio  delle  predette
funzioni  risulta  subordinato  al  «previo  parere   del   Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio», realizzando in tal modo
una sottoposizione della  Regione,  anche  nell'esercizio  delle  sue
funzioni   normative,   ad   ingerenze   esercitate    dall'autorita'
amministrativa statale in violazione dell'«assetto  delle  competenze
posto dagli artt. 117 e 118  Cost.»,  nonche'  degli  «stessi  limiti
prescritti dalla legge di delega». 
    1.9. - Del pari, ad avviso della  Regione  Emilia-Romagna,  anche
l'art. 114, comma 1, nel disciplinare  la  restituzione  delle  acque
utilizzate per la produzione idroelettrica, sottoporrebbe l'autonomia
normativa  regionale  al  «previo  parere»  del  suddetto  Ministero,
risultando  percio'  affetta  dai  medesimi  vizi   di   legittimita'
costituzionale dedotti in relazione all'art. 113. 
    1.10. - La Regione Emilia-Romagna (registro  ricorsi  n.  56  del
2006) ha, inoltre, proposto istanza di sospensione in  via  cautelare
dell'esecuzione dell'atto impugnato (art. 101, comma 7, del d.lgs. n.
152 del 2006), ai sensi dell'art. 35 della legge 11 marzo 1953, n. 87
(Norme  sulla  costituzione   e   sul   funzionamento   della   Corte
costituzionale), come sostituito dall'art. 9  della  legge  5  giugno
2003, n. 131 (Disposizioni per l'adeguamento  dell'ordinamento  della
Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). 
    In ordine a detta istanza, questa Corte si  e'  gia'  pronunciata
con ordinanza di non luogo a provvedere n. 245 del 21 giugno 2006. 
    2.  -  Nei  giudizi  instaurati  con  i  ricorsi  della   Regione
Emilia-Romagna non si e' costituito il Presidente del  Consiglio  dei
ministri  a  seguito  della  rinuncia  all'intervento  specificamente
deliberata dal Consiglio dei ministri nella  riunione  del  9  giugno
2006. 
    3. - Con ricorso notificato  l'8  giugno  2006  e  depositato  il
successivo 10 giugno, la Regione Calabria (registro ricorsi n. 68 del
2006) ha impugnato, fra gli altri, gli artt. 91, commi 2  e  6,  101,
comma 7, 113, comma 1, 114, comma 1, e 116  del  d.lgs.  n.  152  del
2006, per violazione degli artt. 76, 114, 117, primo e terzo comma, e
118 Cost. e del principio di leale collaborazione. 
    3.1. - Con un primo gruppo di censure, la difesa regionale deduce
la violazione del «riparto di competenze normative e  amministrative»
fra Stato e Regioni, premettendo che dalla lettura dell'art.  73  del
decreto legislativo impugnato, il quale individua  gli  obiettivi  da
perseguire nella  disciplina  generale  per  la  tutela  delle  acque
superficiali, marine e sotterranee, emergerebbe  la  riconducibilita'
della relativa disciplina ad un insieme di  titoli  competenziali  di
diversa natura, tra i quali si dovrebbe riconoscere la  prevalenza  a
quello relativo al «governo  del  territorio»,  pur  non  mancando  i
richiami a quelli  relativi  alla  «tutela  dell'ambiente»  e  «della
salute». 
    3.2. - In particolare, la difesa regionale censura l'art. 116 del
d.lgs. n. 152 del 2006, secondo cui «le  Regioni  [...]  integrano  i
Piani di tutela di cui all'articolo 121 con i  programmi  di  misure»
che sono «sottoposti per l'approvazione all'Autorita' di bacino»,  la
quale  ultima,  «qualora  le  misure  non  risultino  sufficienti   a
garantire il raggiungimento degli obiettivi previsti», e' chiamata  a
individuare le cause e ad indicare «alle Regioni le modalita' per  il
riesame  dei  programmi,  invitandole  ad  apportare  le   necessarie
modifiche,  fermo  restando  il  limite  costituito   dalle   risorse
disponibili». 
    Detta disposizione, ad avviso della Regione, rivelerebbe  «l'idea
di un'autonomia regionale che viene collocata "sotto tutela" da parte
di  un  ente»  -  l'Autorita'  di  bacino  -  «riconducibile,   nella
composizione e nelle funzioni, alla sfera di diretta influenza  dello
Stato», e cio' in contrasto con gli artt. 114 e 118 Cost. 
    3.3. - Con un secondo gruppo  di  censure,  la  Regione  Calabria
lamenta la violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nonche'  dell'art.
76 Cost., in relazione all'art. 1, comma 8, della legge  n.  308  del
2004, «nella parte in cui impone al legislatore delegato il  rispetto
delle attribuzioni che delle Regioni e degli enti locali sono proprie
in virtu' del decreto legislativo n. 112 del 1998», e del  d.lgs.  n.
152  del  1999,  dal  momento  che  «la  ratio  inequivocabile  della
disposizione redatta dal legislatore delegante» sarebbe stata «quella
di impedire ogni "ritorno indietro" rispetto alle  acquisizioni  gia'
consolidate in capo alle autonomie territoriali». 
    3.4.  -   In   primo   luogo,   dunque,   la   Regione   denuncia
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 91, comma 2, del d.lgs.  n.
152 del 2006, il quale attribuisce al Ministro dell'ambiente e  della
tutela del territorio, sentita la Conferenza Stato-Regioni, il potere
di emanare un decreto con il quale  individuare  le  «ulteriori  aree
sensibili» rispetto a quelle inserite nell'elenco di cui al  comma  1
del medesimo articolo. 
    Osserva, al riguardo, la ricorrente che la  funzione  concernente
detta individuazione era gia' stata trasferita alle Regioni dall'art.
18, comma 4, del d.lgs. n. 152 del  1999,  «in  piena  coerenza»  con
l'art. 80, comma 1, lettera n), del  d.lgs.  n.  112  del  1998,  che
attribuiva allo Stato unicamente «la definizione dei criteri generali
per la elaborazione dei piani regionali di risanamento delle acque». 
    Secondo  la  ricorrente,  quindi,   la   disposizione   impugnata
realizzerebbe «un'indebita riattrazione allo Stato» della  competenza
in ordine alla individuazione delle «ulteriori  aree  sensibili»,  la
cui illegittimita' non risulterebbe  superata  dalla  previsione  del
«previo parere (oltretutto non  vincolante)  in  sede  di  Conferenza
Stato-Regioni». 
    3.5. - Con riferimento all'art. 101, comma  7,  lettera  c),  del
d.lgs. n. 152 del 2006, la Regione Calabria rileva come esso assimili
alle acque reflue domestiche gli  scarichi  «provenienti  da  imprese
[...]  che  esercitano  anche  attivita'  di  trasformazione   o   di
valorizzazione della produzione agricola, inserita con  carattere  di
normalita'  e  complementarieta'  funzionale  nel  ciclo   produttivo
aziendale  e  con  materia  prima  lavorata  proveniente  in   misura
prevalente dall'attivita' di coltivazione dei terreni di cui si abbia
a qualunque titolo la disponibilita». 
    La difesa regionale  osserva  che,  nella  normativa  precedente,
l'art. 28, comma 7, lettera c), del d.lgs. n. 152 del 1999  prevedeva
una analoga assimilazione,  «fissando,  pero',  un  preciso  rapporto
minimo  (due  terzi)  tra  materia  prima  derivante  dalla   propria
produzione e materia prima derivante da produzioni  altrui».  Con  la
disposizione impugnata, invece, secondo  la  ricorrente,  si  sarebbe
sostituito il criterio  certo  precedentemente  individuato  con  «un
concetto [...] elastico quale e' quello della  "misura  prevalente"»,
che potrebbe «prestarsi ad una certa (anche marcata) discrezionalita'
applicativa», idonea a determinare livelli di  tutela  meno  rigorosi
delle acque del corpo recettore. 
    Sulla base di queste argomentazioni, la Regione  Calabria  deduce
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 101, comma 7, del d.lgs. n.
152 del 2006  per  contrasto  sia  con  gli  «obiettivi  di  qualita»
stabiliti a livello comunitario, in violazione dell'art.  117,  primo
comma, Cost., sia con quelli di miglioramento  dell'ambiente  fissati
tra i «principi e criteri direttivi generali» dall'art. 1,  comma  8,
lettera a), della legge n. 308 del 2004, in violazione  dell'art.  76
Cost. 
    3.6. - Quanto all'art. 113 del d.lgs. n. 152 del 2006, in tema di
«acque meteoriche di  dilavamento  e  acque  di  prima  pioggia»,  la
Regione osserva che il testo dell'articolo impugnato pur riproducendo
quello dell'art. 39 del d.lgs. n. 152 del  1999,  secondo  il  quale,
«nell'ottica della prevenzione di rischi idraulici ed ambientali,  le
Regioni erano chiamate a disciplinare le  forme  di  controllo  degli
scarichi di acque  meteoriche  di  dilavamento  provenienti  da  reti
fognarie separate ed i casi in  cui  puo'  essere  richiesto  che  le
immissioni delle acque meteoriche di dilavamento, effettuate  tramite
altre condotte separate, siano sottoposte a particolari prescrizioni,
ivi  compresa  l'eventuale   autorizzazione»,   nondimeno   introduce
l'obbligo, per le Regioni, di  richiedere  il  parere  del  Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio. 
    Ad avviso della ricorrente, detta innovazione determinerebbe  sia
un «arretramento» della autonomia delle Regioni  -  collocandole  «in
una  posizione  di  subalternita',   nell'azione   di   governo   del
territorio, rispetto alle determinazioni  di  organi  statali»  -  in
violazione dei precetti contenuti  nelle  legge  di  delega,  sia  un
condizionamento  dell'«attivita'  legislativa  delle   Regioni»,   in
contrasto con il disposto dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    3.7. -  Sulla  base  delle  medesime  argomentazioni  svolte  con
riferimento  all'art.  113,  comma  1,  la  Regione  Calabria  deduce
altresi' l'illegittimita' costituzionale dell'art. 114, comma 1,  del
d.lgs. n. 152 del 2006. Detta disposizione prevede che  «le  Regioni,
previo  parere  del  Ministero  dell'ambiente  e  della  tutela   del
territorio, adottano apposita disciplina in materia  di  restituzione
delle acque utilizzate per la  produzione  idroelettrica,  per  scopi
irrigui e impianti di potabilizzazione, nonche' delle acque derivanti
da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed
estrazione di idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o  il
raggiungimento degli obiettivi di qualita' di cui al titolo II  della
parte terza del [...] decreto» legislativo n. 152 del 2006. 
    La difesa regionale rileva che  «una  previsione  sostanzialmente
identica era contenuta nell'art. 40, comma 1, del d.lgs. n.  152  del
1999, nel quale,  pero',  difettava  un  qualunque  riferimento  alla
necessita' di acquisire il parere del Ministero dell'ambiente e della
tutela del territorio». Si sarebbe, pertanto, «nuovamente in presenza
dell'introduzione di una forma  di  anomala  "tutela"  di  un  organo
statale nei confronti dell'ente regionale,  in  stridente  dissonanza
con le prescrizioni della legge di  delega,  ma  soprattutto  con  il
quadro costituzionale successivo alla  riforma  del  titolo  V  della
parte II della Costituzione». 
    3.8. - La Regione Calabria deduce, inoltre, che l'art. 91,  comma
6,  del  d.lgs.  n.  152  del  206,  in  tema  di  «aree  sensibili»,
attribuendo «al Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio
il compito di provvedere, con proprio decreto, alla reidentificazione
delle  aree  sensibili  e  dei   rispettivi   bacini   drenanti   che
contribuiscono all'inquinamento delle  aree  sensibili»,  decreto  da
adottare  «sentita  la  Conferenza  Stato-Regioni»,   violerebbe   il
principio  di  «leale  cooperazione».  Infatti,  l'incidenza  che  il
decreto ministeriale avrebbe sul «governo del  territorio»  regionale
renderebbe indefettibile la adozione di una intesa, la quale soltanto
consentirebbe alle Regioni «di  far  adeguatamente  valere  i  propri
interessi». 
    4. - Con ricorso notificato il 12-21 giugno 2006 e depositato  il
successivo 14 giugno (registro ricorsi n. 69 del  2006),  la  Regione
Toscana ha impugnato, fra gli altri, gli artt. 91, commi 2 e 6,  113,
comma 1, 114, comma 1,  e  116  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  per
violazione degli artt. 117 e 118  Cost.  e  del  principio  di  leale
cooperazione. 
    4.1. - La Regione ricorrente osserva preliminarmente  che  l'art.
91, comma 1,  del  citato  decreto  legislativo  effettua  una  prima
individuazione delle cosi' dette «aree sensibili», ovvero delle  aree
particolarmente esposte ad inquinamento. Il  comma  2,  poi,  demanda
l'individuazione  di  «ulteriori   aree   sensibili»   al   Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio,  sentita  la  Conferenza
Stato-Regioni. Parallelamente,  il  comma  6  dello  stesso  articolo
riconosce al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio il
potere  di  procedere,  sentita  la  Conferenza  Stato-Regioni,  alla
«reidentificazione» delle aree  sensibili  e  dei  rispettivi  bacini
drenanti che contribuiscono all'inquinamento delle aree medesime. 
    Ad avviso della Regione Toscana,  l'ambito  di  intervento  della
norma, pur se astrattamente riconducibile  alla  «materia  ambiente»,
risulterebbe  tuttavia   suscettibile   di   interventi   legislativi
regionali,  in  considerazione  della  naturale  incidenza  di   tale
funzione sulle politiche del territorio e sulla tutela della  salute,
rientranti  nella  competenza  legislativa   concorrente   regionale.
Conseguentemente, secondo la ricorrente, l'art. 91, commi 2 e 6,  del
d.lgs. n. 152 del 2006, «nella  parte  in  cui  non  prevede  che  il
processo codecisionale sia garantito attraverso un'intesa fra Stato e
Regioni», limitandosi a prescrivere un mero  obbligo  di  sentire  la
Conferenza Stato-Regioni, violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. 
    4.2. - Passando alle censure concernenti gli artt. 113, comma  1,
e 114, comma 1, del d.lgs.  n.  152  del  2006,  la  Regione  Toscana
premette che la prima delle suddette disposizioni  prevede  che,  «ai
fini  della  prevenzione  dei  rischi  idraulici  ed  ambientali,  le
Regioni, previo parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio, disciplinano  e  attuano  le  forme  di  controllo  degli
scarichi di acque  meteoriche  di  dilavamento  provenienti  da  reti
fognarie separate nonche' i casi in cui  le  immissioni  delle  acque
meteoriche   di   dilavamento   siano   sottoposte   a    particolari
prescrizioni,  ivi  compresa  l'eventuale   autorizzazione».   Quanto
all'art. 114, comma 1, prosegue la ricorrente, esso dispone  che  «le
Regioni, previo parere del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio, adottino apposita disciplina in materia  di  restituzione
delle acque utilizzate per la  produzione  idroelettrica,  per  scopi
irrigui e  in  impianti  di  potabilizzazione,  nonche'  delle  acque
derivanti da sondaggi o perforazioni diversi da quelli relativi  alla
ricerca ed  estrazione  di  idrocarburi,  al  fine  di  garantire  il
mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualita'  di  cui
al decreto medesimo». 
    Ad  avviso  della  difesa  regionale,  le  norme  richiamate  non
chiarirebbero la natura  del  «parere»  statale,  cosicche',  ove  si
dovesse riconoscere allo stesso una natura obbligatoria e vincolante,
«esso si tradurrebbe  in  un'indebita  ingerenza  dello  Stato  nelle
determinazioni regionali finalizzate alla cura di  interessi  che  la
Costituzione ha affidato  alle  Regioni  medesime,  in  relazione  al
governo del territorio», in violazione dell'art. 117 Cost. 
    Osserva, al riguardo, la ricorrente che «la subordinazione  della
potesta' legislativa o regolamentare regionale  ad  atti  statali  di
natura  amministrativa»  non  troverebbe  riconoscimento  in   alcuna
disposizione costituzionale, risultando, al  contrario,  «inibita  in
radice alla fonte secondaria statale  la  possibilita'  di  vincolare
l'esercizio della potesta' legislativa» regionale. 
    Le  medesime  argomentazioni,   ad   avviso   della   ricorrente,
varrebbero anche per il comma 1 dell'art. 114, nel quale  l'attivita'
legislativa regionale risulterebbe indirizzata, oltre che  a  dettare
una disciplina «nell'ambito del "governo del territorio"  (uso  delle
risorse idriche) e nella materia della "tutela ambientale",  anche  a
tutelare  interessi  piu'   propriamente   attinenti   alla   materia
dell'"agricoltura"», materia, quest'ultima, demandata alla competenza
legislativa residuale delle Regioni. 
    Pertanto, secondo la Regione  Toscana,  la  subordinazione  della
potesta' legislativa ad atti di  natura  amministrativa  (tanto  piu'
trattandosi  di  pareri)  risulterebbe  incompatibile  con  l'attuale
riparto di competenze legislative fra Stato e Regioni. 
    4.3. - La difesa  regionale  deduce,  altresi',  l'illegittimita'
costituzionale  dell'art.  116  del  d.lgs.  n.  152  del  2006   per
violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del  principio  della  leale
collaborazione. 
    La ricorrente premette  che  la  disposizione  stabilisce  l'iter
procedurale per l'adozione dei «programmi di misura» e «delle  misure
supplementari» definite dall'allegato 11 alla parte terza del  d.lgs.
n. 152 del 2006. 
    In base a tale previsione, rileva la ricorrente, «i programmi  di
misura sono predisposti dalle Regioni e sottoposti per l'approvazione
all'Autorita' di bacino (statale).  Qualora  l'Autorita'  ritenga  le
misure previste non sufficienti a garantire il  raggiungimento  degli
obiettivi previsti, ne individua le cause e indica  alle  Regioni  le
modalita' per il riesame,  invitandole  ad  apportare  le  necessarie
modifiche». 
    Ad avviso della ricorrente, la procedura in esame, pur prevedendo
un coinvolgimento  dei  livelli  di  governo  regionali,  chiamati  a
predisporre i programmi di misura e le misure supplementari, di fatto
attribuirebbe  allo  Stato,   attraverso   l'Autorita'   di   bacino,
l'approvazione  finale  dei  programmi  e  delle   misure   medesime,
realizzando  in  tal   modo   un'attrazione   statale   di   funzioni
amministrative in forza di «meccanismi unilaterali di  soluzione  dei
conflitti», anziche' di «modelli concertativi aderenti  al  principio
di leale collaborazione». 
    Pertanto, secondo la Regione Toscana, il citato art. 116,  «nella
parte in cui prevede l'approvazione  dei  programmi  e  delle  misure
supplementari da parte dell'Autorita'  di  bacino»,  si  porrebbe  in
contrasto con gli invocati parametri costituzionali. 
    5. - Si e' costituito il Presidente del Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che il ricorso sia dichiarato infondato. 
    5.1. - In particolare la difesa  erariale  osserva,  quanto  alle
censure rivolte nei confronti dell'art. 91, commi  2  e  6,  che  «il
procedimento di individuazione e' procedura  di  accertamento  e  non
implica (o non dovrebbe implicare)  valutazioni  di  discrezionalita'
amministrativa. Il  sentire  la  Conferenza  comporta  una  legittima
acquisizione di  elementi  ed  esperienze,  il  concordare  con  essa
implica   invece   un   inammissibile   uso    di    discrezionalita'
amministrativa». 
    5.2. - Quanto alle censure concernenti gli artt. 113, comma 1,  e
114 comma 1, ad avviso della difesa erariale, il parere  non  sarebbe
vincolante o lo sarebbe «come tutti  gli  altri  pareri  che  debbono
essere superati  da  una  motivazione  stringente».  Le  disposizioni
impugnate si limiterebbero, infatti, «a porre un principio di cautela
in settori» (come quelli della disciplina delle  acque  meteoriche  e
del  recupero  delle  acque   utilizzate   per   la   produzione   di
elettricita') nei quali, «in rapporto all'importanza degli  interessi
in gioco, anche di valenza  nazionale,  ed  alla  complessita'  delle
soluzioni in  astratto  adottabili,  le  potesta'  regionali  debbono
essere  utilizzate  tenendo  conto  dell'opinione  di  un   organismo
centrale». 
    5.3. - Quanto all'art. 116,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato
osserva che «la sottoposizione dei programmi di  misure,  soprattutto
laddove implicano interventi modificativi dello  stato  di  un  corso
d'acqua,  all'autorita'   di   distretto   non   e'   ragionevolmente
contestabile». Si tratterebbe, semmai, «di una  doglianza  "derivata"
dalla precedente (contrastata) contestazione della composizione delle
autorita' di distretto,  quasi  a  voler  mantenere  da  parte  della
Regione Toscana in ogni  settore  una  sorta  di  autoreferenzialita'
nell'ambito della regione stessa». 
    6. - Con ricorso notificato il 12-27 giugno 2006 e depositato  il
successivo 15 giugno (registro ricorsi n. 70 del  2006),  la  Regione
Piemonte ha impugnato, fra gli altri, gli artt. 91, commi 2 e 6,  96,
104, comma 1, 113, comma 1, 114, comma 1, e 116 del d.lgs. n. 152 del
2006, per violazione degli artt. 2, 5, 76, 97, 114, 117, 118,  119  e
120 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione. 
    6.1. - La difesa regionale premette  che,  con  riferimento  alla
sezione  II  della  parte  III  riguardante  la  tutela  delle  acque
dall'inquinamento   «anche   sotto    l'aspetto    degli    strumenti
pianificatori  e  gestionali»,  sarebbe   evidente   l'interrelazione
esistente fra  le  materie  «tutela  dell'ambiente»  e  «governo  del
territorio» e di gestione dei vari settori di «attivita'  antropiche»
di competenza concorrente e residuale della Regione. Cio'  nondimeno,
osserva la ricorrente, detto  settore  di  disciplina  sarebbe  stato
oggetto di «significative innovazioni», non giustificate da  esigenze
di coordinamento ed «anzi apportatrici di elementi di  contraddizione
[...] ed improntate ad un accentramento dei compiti [...] nella  sede
ministeriale», cosi' determinando una «compressione del  ruolo  delle
Regioni e delle autonomie locali». 
    6.2. - In particolare, i  motivi  di  censura  sopra  evidenziati
andrebbero rivolti, in primo luogo, nei confronti dell'art. 91, commi
2 e 6, nel quale «vengono individuate nuove competenze  ministeriali,
per il  cui  esercizio  viene  genericamente  sentita  la  Conferenza
Stato-Regioni», laddove, invece, ad avviso della ricorrente,  sarebbe
stato appropriato  il  conseguimento  di  un'intesa  con  le  Regioni
territorialmente interessate. 
    6.3. - In secondo luogo, l'art. 96 del d.lgs. n.  152  del  2006,
secondo  la  Regione  Piemonte,  regolerebbe  con   disposizioni   di
dettaglio «procedimenti attinenti alla gestione del  demanio  idrico»
che rientrerebbero nelle competenze gia' trasferite alle Regioni  dal
d.lgs. n. 112 del 1998, «in coerenza con  il  dettato  dell'art.  118
della Costituzione». In tal modo, ad avviso della ricorrente,  da  un
lato, verrebbero private di efficacia le  regolamentazioni  regionali
gia' esistenti come, ad esempio, il d.P.G.r. 29 luglio 2003, n.  10/R
(Disciplina dei procedimenti di concessione di derivazione  di  acqua
pubblica), che avrebbe adeguato le procedure  del  r.d.  11  dicembre
1933, n. 1775 (Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque  e
impianti elettrici), ai principi della semplificazione amministrativa
e del  coordinamento  delle  attivita'  di  prelievo  idrico  con  le
pianificazioni  di  tutela  ambientale.  Dall'altro,   risulterebbero
«attratte nella competenza  ministeriale  senza  giustificato  motivo
funzioni di rilievo locale, quali l'intervento per  l'espressione  di
parere  sulle  piccole  derivazioni  d'acqua  con  la  nomina  di  un
commissario ad acta da parte del Ministro dell'ambiente». 
    6.4.   -   In   terzo   luogo,   la   Regione   Piemonte   deduce
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 104, comma 3, del d.lgs. n.
152 del 2006,  il  quale  assegnerebbe  «senza  giustificato  motivo»
l'attribuzione «dell'autorizzazione dello scarico di acque risultanti
dall'estrazione di idrocarburi nelle unita' geologiche profonde» alla
«competenza ministeriale», anziche' a quella regionale. 
    6.5. - Gli artt. 113, comma 1, e 114, comma 2, del d.lgs. n.  152
del 2006 risulterebbero, del pari, illegittimi in quanto «la potesta'
normativa  regionale  sulla  disciplina  delle  acque  meteoriche  di
dilavamento e sulla disciplina di restituzione delle acque»  verrebbe
«inopinatamente   subordinata    e    condizionata    ad    attivita'
amministrativa   ministeriale   "previo    parere    del    Ministero
dell'ambiente"». 
    6.6. - Quanto agli artt. 116 e 121, comma 2, del  d.lgs.  n.  152
del 2006, la  difesa  regionale  deduce  che,  nella  parte  in  cui,
rispettivamente,  sottopongono  «all'approvazione  dell'Autorita'  di
bacino il programma di misure integrativo del piano di tutela di  cui
all'art. 121» e prevedono che le «Regioni  trasmettano  il  piano  di
tutela al Ministro dell'ambiente "per le verifiche  di  competenza"»,
evidenzierebbero  «una  logica  di  subordinazione   delle   potesta'
regionali di pianificazione e programmazione [...] alla  supervisione
ed [...] al controllo di organismi ed organi statali»,  in  contrasto
sia con il riparto costituzionale delle competenze sia con il  quadro
complessivo delle rispettive  attribuzioni  amministrative  scaturite
dal d.lgs. n. 112 del 1998. 
    7. - Con atto depositato in data 6 luglio 2006, si e'  costituito
in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso
sia dichiarato inammissibile o, comunque, infondato, riservandosi  di
depositare successive memorie illustrative. 
    Preliminarmente, a confutazione della tesi di  fondo  prospettata
dalla Regione Piemonte, la difesa erariale osserva che il «cosiddetto
carattere trasversale  della  materia  ambientale,  se  legittima  la
possibilita'  delle  Regioni  di  provvedere  attraverso  la  propria
legislazione  esclusiva  o  concorrente  (governo   del   territorio,
agricoltura, sanita', edilizia etc.) su temi che hanno riflessi sulla
materia  ambientale»,  non  costituirebbe  per  contro  «limite  alla
competenza esclusiva dello Stato  a  stabilire  regole  omogenee  nel
territorio nazionale per  procedimenti  e  competenze  che  attengono
specificamente alla tutela dell'ambiente  ed  alla  salvaguardia  del
territorio». 
    In particolare, ad avviso della difesa erariale, la  legislazione
statale,  pur  potendo  tener  conto  delle  «incidenze  dirette   ed
indirette  delle   proprie   leggi   sugli   assetti   normativi   ed
organizzativi delle Regioni», non risulterebbe tuttavia «condizionata
ad una intesa forte, oltretutto di difficile perseguibilita' in  sede
di redazione di testi normativi di notevole complessita' ed impatto». 
    8. - Con ricorso notificato il 13 giugno  2006  e  depositato  il
successivo 16 giugno (registro ricorsi n. 72 del  2006),  la  Regione
Umbria ha impugnato, fra gli altri, gli artt. 95, comma 5, 96 e  101,
comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli  artt.  76,
117 e 118 Cost. 
    8.1.  -  La  ricorrente  premette  che   l'art.   95,   rubricato
«Pianificazione del bilancio idrico», al comma 5 stabilisce che, «per
le finalita'  di  cui  ai  commi  l  e  2,  le  Autorita'  concedenti
effettuano il censimento  di  tutte  le  utilizzazioni  in  atto  nel
medesimo corpo idrico sulla base dei criteri  adottati  dal  Ministro
dell'ambiente e della tutela  del  territorio  con  proprio  decreto,
previa intesa con la Conferenza permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le Regioni e le province autonome di Trento e di  Bolzano»,  e
che  «le   medesime   Autorita'   provvedono   successivamente,   ove
necessario,   alla   revisione   di   tale   censimento,   disponendo
prescrizioni o limitazioni temporali o quantitative, senza  che  cio'
possa dar luogo alla corresponsione  di  indennizzi  da  parte  della
pubblica amministrazione,  fatta  salva  la  relativa  riduzione  del
canone demaniale di concessione». 
    Ad  avviso  della  Regione  Umbria,  la  materia  della   «tutela
quantitativa   della   risorsa   idrica   e   della    pianificazione
dell'utilizzazione di essa» rientrerebbe nella competenza  regionale,
come dimostrerebbe  lo  stesso  d.lgs.  n.  152  del  2006  il  quale
attribuisce alle Regioni il compito di elaborare il Piano  di  tutela
delle acque (art. 121, commi 2 e 5, del d.lgs. n. 152 del 2006). 
    La norma impugnata, dunque, introducendo  la  necessita'  di  non
meglio precisati «criteri» che devono essere prefissati  con  decreto
ministeriale - e cosi' modificando la  disciplina  dettata  dall'art.
22, comma 6, d.lgs.  n.  152  del  1999,  che  gia'  consentiva  alle
Autorita' concedenti di limitare le utilizzazioni idriche  -,  da  un
lato, paralizzerebbe l'applicabilita' della norma «fino  all'adozione
dei  criteri  in  questione»,  dall'altro,  lederebbe  le  competenze
regionali, in violazione degli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost. 
    Inoltre, prosegue la ricorrente, poiche'  non  si  comprenderebbe
«l'utilita» dei menzionati criteri ministeriali, l'art. 95, comma  5,
prima parte, violerebbe altresi' l'art. 76  Cost.,  in  relazione  ai
principi di  «economicita»  e  di  «semplificazione»  rispettivamente
fissati agli artt. 1, comma 9, e 1, comma 9, lettera b), della  legge
n. 308 del 2004. Detta violazione dell'art. 76 Cost. si  tradurrebbe,
ad avviso della ricorrente, «in lesione delle  competenze  regionali,
dato che  la  previsione  dei  criteri  ministeriali  costituisce  un
vincolo  per  l'attivita'  amministrativa  regionale»,  interferendo,
pertanto, con «l'autonomia normativa della Regione». 
    8.2. - Quanto all'art. 96 del d.lgs. n. 152 del 2006, concernente
il procedimento per il rilascio delle concessioni di acqua  pubblica,
la Regione Umbria propone questioni  di  legittimita'  costituzionale
identiche  a  quelle  sollevate  dalla  Regione   Emilia-Romagna   in
riferimento agli artt. 117, 118 e 76  Cost.  e  riportate  supra,  ai
paragrafi n. 1.3. e n. 1.4., segnalando, in particolare, di aver gia'
adottato una propria disciplina procedimentale con la legge regionale
24 febbraio 2006, n. 5 (Piano regolatore regionale degli acquedotti -
Norme  per  la  revisione  e  l'aggiornamento  del  Piano  regolatore
generale degli acquedotti e modificazione della  legge  regionale  23
dicembre 2004, n. 33), in attuazione  del  conferimento  di  funzioni
operato con il d.lgs. n. 112 del 1998. 
    8.3. - Anche con riguardo all'art. 101, comma 7,  del  d.lgs.  n.
152 del 2006, la Regione Umbria propone questione identica  a  quella
sollevata  dalla  Regione  Emilia-Romagna  e  riportata   supra,   ai
paragrafi n. 1.1. e n. 1.2. 
    9. - Con ricorso notificato il 13 giugno  2006  e  depositato  il
successivo 16 giugno, la Regione Liguria ha impugnato, fra gli altri,
gli artt. 91, comma 1, lettera d), 91 comma 2, 96, 113,  comma  1,  e
114, comma 1, del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli  artt.
5, 76, 117 e 118 Cost. 
    9.1. - Quanto all'art. 91, comma  1,  lettera  d),  che  dichiara
«aree sensibili» le aree  costiere  «dell'Adriatico-Nord  occidentale
dalla foce dell'Adige al confine meridionale del comune di Pesaro e i
corsi d'acqua ad essi afferenti per un tratto di 10 chilometri  dalla
linea  di  costa»,  la  Regione  Liguria  deduce   che   tale   norma
contrasterebbe con l'allegato  2,  lettera  a),  della  direttiva  21
maggio 1991, n. 91/271/CEE (Direttiva del  Consiglio  concernente  il
trattamento delle acque reflue urbane), che non prevede il limite dei
10 chilometri, cosi' violando l'art. 117, primo comma, Cost. 
    Inoltre, posto che, ad avviso  della  ricorrente,  la  previsione
impugnata sottrarrebbe parte dei corsi d'acqua alla  categoria  delle
«aree sensibili», essa si porrebbe in contrasto anche con «l'art.  1,
comma 8, lettere a), b) e f), della legge n. 308 del 2004». 
    9.2. - Quanto al comma 2 del medesimo art. 91, il quale affida al
Ministro dell'ambiente e della  tutela  del  territorio,  sentita  la
Conferenza  Stato-Regioni,  di  individuare   con   proprio   decreto
«ulteriori aree sensibili», esso violerebbe l'art. 118, primo  comma,
Cost., poiche', ad avviso della Regione Liguria, non  sussisterebbero
ragioni  di  esercizio  unitario  che  giustifichino  la   competenza
statale. Anzi, con tale previsione, lo Stato si sarebbe riappropriato
di funzioni amministrative gia' decentrate a  livello  regionale,  in
particolare, dall'art. 18, comma 4,  del  d.lgs.  n.  152  del  1999,
nonche' dal d.lgs. n. 112 del 1998 - posto  che  l'art.  80  di  tale
ultimo decreto non menzionava il poteri di individuazione delle  aree
sensibili fra i «compiti di rilievo nazionale» -,  confermando  cosi'
«l'impianto centralistico dell'intero decreto legislativo». 
    Sulla base di queste considerazioni, la norma impugnata,  secondo
la  Regione  Liguria,  determinerebbe,  al  contempo,  la  violazione
dell'art. 5 Cost., il quale  impone  di  «"promuovere"  le  autonomie
locali», nonche' dell'art. 76 Cost., in relazione all'art.  1,  comma
8, della legge n. 308 del  2004,  che  prescrive  il  rispetto  delle
attribuzioni delle Regioni e degli  enti  locali,  come  definite  ai
sensi dell'art. 117 Cost., della legge n. 59 del 1997 e del d.lgs. n.
112 del 1998. 
    Inoltre, qualora si ritenessero  infondate  le  suddette  censure
svolte nei confronti  dell'art.  91,  comma  2,  la  Regione  Liguria
deduce,  in  via  subordinata,  che  esso  risulterebbe  comunque  in
contrasto con l'art. 118 Cost., nella parte in cui prevede il  parere
della   Conferenza   Stato-Regioni   anziche'   un'intesa,   giacche'
quest'ultima si renderebbe necessaria in base ai principi fissati  da
questa Corte in relazione ai casi di «chiamata in sussidiarieta». 
    9.3. - Quanto all'art. 96 del d.lgs. n. 152 del 2006,  la  difesa
della   Regione   Liguria   prospetta   questioni   di   legittimita'
costituzionale   identiche   a   quelle   sollevate   dalle   Regioni
Emilia-Romagna  e  Umbria,  riportate  supra,   rispettivamente,   ai
paragrafi n. 1.3., n. 1.4. e n. 8.2. 
    9.4. - Quanto agli artt. 113, comma 1, e 114, comma 1, del d.lgs.
n. 152 del 2006 la difesa della  Regione  Liguria  propone  questioni
identiche a quelle sollevate dalla Regione Emila-Romagna e  riportate
supra ai paragrafi n. 1.8. e n. 1.9. 
    10. - Con ricorso notificato il 12 giugno 2006  e  depositato  il
successivo 17 giugno (registro ricorsi n. 75 del  2006),  la  Regione
Abruzzo ha impugnato, fra gli altri, l'art. 101, comma 7, del  d.lgs.
n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 76 e  117,  terzo  comma,
Cost., proponendo questione identica a quella sollevata dalla Regione
Emila-Romagna e dalla Regione Umbria, rispettivamente riportate supra
ai paragrafi n. 1.1., n. 1.2. e n. 8.3. 
    10.1.  -  La  Regione  Abruzzo  propone,  altresi',  istanza   di
sospensione in via cautelare dell'esecuzione dell'art. 101, comma  7,
del d.lgs. n.  152  del  2006  ritenendo  sussistenti  le  condizioni
previste le condizioni previste dall'art. 35 della legge  n.  87  del
1953, come sostituito dall'art. 9 della legge n.  131  del  2003.  In
particolare, ad avviso della  ricorrente,  la  disciplina  introdotta
dall'articolo impugnato comporterebbe il rischio  di  un  pregiudizio
irreparabile agli «interessi pubblici ambientali che la Regione ha in
carico, sia pure non in via esclusiva»,  in  materia  di  tutela  del
territorio e della salute, rientranti  nelle  competenze  legislative
concorrenti fissate dall'art. 117, terzo comma, Cost. 
    11. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006  e  depositato  il
successivo 20 giugno (registro ricorsi n. 76 del  2006),  la  Regione
Puglia ha impugnato - con contestuale istanza di sospensione  in  via
cautelare  dell'esecuzione  delle  disposizioni  medesime  ai   sensi
dell'art. 35 della legge n. 87 del 1953 come sostituito  dall'art.  9
della legge n. 131 del 2003 - gli artt. 91, comma 2, 101, comma 7,  e
104 del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione  degli  artt.  5,  76,
117, terzo comma, e 118 Cost. 
    11.1. - L'art. 91 del d.lgs. n. 152 del 2006 - concernente,  come
si e' detto, il potere del Ministro dell'ambiente e della tutela  del
territorio, sentita la Conferenza Stato-Regioni,  di  individuare  le
cosiddette «aree sensibili», nonche', «entro centottanta giorni dalla
data di entrata in vigore della parte terza» del decreto  legislativo
in questione, di  reidentificare  le  «ulteriori  aree  sensibili»  -
costituirebbe,  ad  avviso  della  Regione  Puglia,  una   previsione
illogica ed irrazionale, posto che tale funzione non potrebbe  essere
affidata unicamente ad un decreto ministeriale  -  sia  pure  emanato
dopo aver sentito la Conferenza Stato-Regioni - ma dovrebbe, in  ogni
caso, scaturire da una effettiva concertazione con la Regione nel cui
ambito territoriale tali aree sono situate. 
    Al riguardo, la ricorrente segnala di aver gia'  provveduto  alla
individuazione delle aree sensibili, emanando la  legge  regionale  6
dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), proprio  al
fine  di  garantire  e  di   promuovere   la   conservazione   e   la
valorizzazione del proprio patrimonio naturale ed ambientale. 
    Conseguentemente,  disciplinando   «funzioni   rientranti   nelle
materie attribuite alle Regioni dall'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,
ovvero» del «governo del territorio» e della «valorizzazione dei beni
ambientali», la disposizione impugnata si porrebbe in contrasto  «con
il riparto di competenze fra lo Stato e le Regioni», nonche'  «con  i
principi generali e di adeguatezza»  sanciti  dagli  artt.  5  e  118
Cost., ed indicati dalla legge di delega n. 308 del 2004. 
    11.2. - Quanto all'art. 101 del d.lgs. n. 152 del 2006, la difesa
regionale rileva che, al comma 7, esso  assimila  alle  acque  reflue
domestiche  anche  quelle  provenienti  da  imprese  zootecniche   ed
agricole, che potrebbero essere notevolmente inquinanti e dannose per
l'ambiente. Il  successivo  art.  104,  inoltre,  osserva  ancora  la
ricorrente,  pone  il  divieto  di  scarico   diretto   nelle   acque
sotterranee  e  nel  sottosuolo,  introducendo  pero'  una  serie  di
importanti deroghe a tale divieto, che possono essere autorizzate dal
Ministro dell'ambiente, anche  senza  richiedere  il  consenso  o  il
parere regionale. 
    Conseguentemente, il combinato disposto degli artt. 101, comma 7,
e  104  del  d.lgs.  n.  152  del  2006  introdurrebbe   un   «potere
autorizzatorio esclusivo del Ministro, da esercitarsi in relazione  a
qualsiasi ipotesi di scarico diretto  di  acque  reflue»,  nonostante
che, ad avviso della Regione Puglia, un tale  «potere  di  controllo»
non potrebbe non fondarsi in ambito regionale. 
    Alla luce  di  tali  considerazioni,  le  disposizioni  impugnate
risulterebbero anch'esse lesive, in  primo  luogo,  dell'«assetto  di
competenze garantito dell'art. 117 Cost.», in quanto  non  terrebbero
conto «del potere normativo regionale  in  materia  di  "governo  del
territorio" e di "tutela della salute"», che potrebbe estendersi fino
a giustificare misure piu' rigorose  di  quelle  previste  a  livello
statale, anche in considerazione della peculiarita'  territoriali  di
ogni singola Regione. 
    In  secondo  luogo,  posto  che  le  disposizioni  in   questione
ridurrebbero le funzioni amministrative in precedenza attribuite alle
Regioni dalla legislazione statale di settore,  esse  violerebbero  i
«principi generali di sussidiarieta' e di  valorizzazione  del  ruolo
delle autonomie locali». 
    12. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006  e  depositato  il
successivo 21 giugno (registro ricorsi n. 78 del  2006),  la  Regione
Campania ha impugnato, fra gli altri, l'art. 101, comma 7, del d.lgs.
n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 76 e 117, primo  e  terzo
comma, Cost. 
    12.1. - Con il primo  motivo,  la  difesa  regionale  deduce  che
l'art. 101, comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006 assimila  alle  acque
reflue domestiche gli  scarichi  derivanti  dalle  imprese  agricole,
includendo in queste ultime anche quelle che  svolgono  attivita'  di
trasformazione o valorizzazione dei prodotti agricoli,  purche'  tale
attivita', inserita con carattere di normalita'  e  complementarieta'
funzionale nel ciclo produttivo  aziendale,  riguardi  materia  prima
lavorata  proveniente  in  misura   prevalente   dall'attivita'.   di
coltivazione dei terreni di  cui  si  abbia  a  qualunque  titolo  la
disponibilita'. 
    La «flessibilita»  del  criterio  introdotto  dalla  disposizione
impugnata, secondo la Regione  Campania,  comporterebbe  un'impropria
classificazione degli scarichi delle imprese agricole, che esercitano
anche attivita' di trasformazione dei prodotti agricoli, ponendosi in
contrasto sia con l'art. 1, comma 8, lettera a), della legge  n.  308
del  2004,  che  stabilisce  l'obiettivo  del  «miglioramento   della
qualita'  dell'ambiente,  della  protezione   della   salute   umana,
dell'utilizzazione accorta e razionale delle risorse  naturali»,  sia
con il successivo comma 9, lettera b),  del  medesimo  articolo,  che
pone l'obiettivo di «pianificare, programmare  e  attuare  interventi
diretti a garantire la tutela  e  il  risanamento  dei  corpi  idrici
superficiali e sotterranei, previa ricognizione degli stessi». 
    Inoltre,  la  medesima  disposizione  determinerebbe   anche   la
violazione dell'«ulteriore criterio» posto dalla legge n. 308 de 2004
«del  rispetto  delle  attribuzioni  gia'  conferite  alle   Regioni,
giacche' sin dalla legislazione di settore e dal decreto  legislativo
n. 112 del 1998 queste funzioni» sarebbero state loro «riconosciute». 
    13. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006  e  depositato  il
successivo 21 giugno (registro ricorsi n. 79 del  2006),  la  Regione
Marche ha impugnato, fra gli altri, gli artt. 91, commi 2 e  6,  113,
comma 1, 114, comma 1,  e  116  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  per
violazione degli artt. 117 e 118  Cost.  e  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    13.1. - La difesa regionale rileva, in primo luogo, che l'art. 91
del d.lgs. n. 152 del 2006 stabilisce, al comma 2, che  il  Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio,  sentita  la  Conferenza
Stato-Regioni, individua le cosiddette «aree sensibili»; e, al  comma
6,  che  lo  stesso   Ministero,   sempre   sentita   la   Conferenza
Stato-Regioni, procede alla «reidentificazione delle aree sensibili e
dei bacini drenanti che contribuiscono all'inquinamento  delle  aree»
medesime. 
    La Regione Marche, pur riconoscendo che  l'ambito  di  intervento
della   norma   richiamata   sarebbe   riconducibile   alla   materia
dell'ambiente - di competenza legislativa esclusiva statale ai  sensi
dell'art. 117, secondo comma, lettera  s),  Cost.  -  cio'  nondimeno
osserva che dalla individuazione delle aree sensibili discenderebbero
importanti conseguenze a livello di politiche  del  territorio  (come
nel caso della scelta di sistemi depurativi), che  atterrebbero  piu'
propriamente alla  materia  del  «governo  del  territorio»  e  della
«tutela  della  salute»,  rientranti  nella  competenza   legislativa
concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Conseguentemente, ad avviso della difesa regionale, la previsione
di un mero obbligo statale di «sentire» la  Conferenza  Stato-Regioni
risulterebbe insufficiente, essendo invece necessaria  l'acquisizione
di una vera e propria «intesa» con la stessa. 
    Cio', soggiunge la Regione  Marche,  «in  conformita'  anche  con
l'orientamento piu' volte espresso dalla Corte costituzionale in base
al  quale,  qualora  per  esigenze  di  esercizio  unitario   vengano
attratte,   insieme   alla    funzione    amministrativa,    funzioni
legislative», deve essere dato  il  dovuto  risalto  alle  «attivita'
concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che
devono  essere  condotte  in  base  al  principio  di  lealta»  (come
affermato testualmente nella sentenza n. 303 del 2003). 
    Ad  avviso  della  Regione  Marche,   dunque,   la   disposizione
violerebbe gli artt. 117 e 118 Cost. «nella parte in cui non  prevede
che il processo codecisionale sia garantito attraverso un'intesa  fra
Stato e Regioni». 
    13.2. - Quanto agli artt. 113 e 114 del d.lgs. n. 152  del  2006,
la ricorrente lamenta che  essi  subordinano  la  potesta'  normativa
regionale in tema di «acque meteoriche  di  dilavamento  e  acque  di
prima  pioggia»  nonche'  in  tema  di  «restituzione   delle   acque
utilizzate per la produzione idroelettrica, per scopi  irrigui  e  in
impianti di potabilizzazione», ad  un  previo  parere  del  Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio. 
    Tali disposizioni,  pertanto,  prevedendo  la  necessita'  di  un
parere statale obbligatorio «in grado  quindi  di  limitare  o,  piu'
precisamente, subordinare lo svolgimento» dell'attivita'  legislativa
regionale, violerebbero l'art. 117 Cost. 
    13.3. - La Regione Marche, inoltre, censura l'art. 116 del d.lgs.
n.  152  del  2006,  il  quale  disciplina  l'iter  procedurale   per
l'adozione dei «programmi di misura» destinati ad integrare  i  piani
di tutela, stabilendo che  essi  sono  predisposti  dalla  Regioni  e
sottoposti per l'approvazione all'Autorita' di bacino, la quale  puo'
invitare la Regione, qualora le misure non risultino  sufficienti  al
raggiungimento degli obiettivi, ad apportare le dovute modifiche. 
    La procedura in questione, secondo la ricorrente, pur  prevedendo
un  coinvolgimento  dei  livelli  regionali,  che   predispongono   i
programmi, attribuirebbe  di  fatto  le  determinazioni  finali  allo
Stato,  attraverso  l'Autorita'  di  bacino,  cui  e'  demandata   la
approvazione dei  programmi  medesimi,  con  la  conseguenza  che  il
modello  procedimentale  previsto  non  consentirebbe  un   confronto
paritario fra i vari interessi coinvolti, in violazione  degli  artt.
117 e 118 Cost., nonche' del principio della leale cooperazione. 
    14. - Con ricorso notificato il 13 giugno 2006  e  depositato  il
successivo 23 giugno (registro ricorsi n. 80 del  2006),  la  Regione
Basilicata ha impugnato, fra gli altri,  l'art.  101,  comma  7,  del
d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione dell'art. 76 Cost. 
    14.1. - Ad avviso della ricorrente, la disposizione,  equiparando
ai fini della disciplina e  delle  autorizzazioni  degli  scarichi  i
reflui domestici a quelli derivanti dalle imprese agricole, in  forza
di un criterio indeterminato  -  prevedendo  che  rientrino  in  tale
disciplina gli scarichi provenienti anche  da  imprese  agricole  che
svolgono attivita' di trasformazione o  valorizzazione  dei  prodotti
agricoli,  purche'  tale  attivita',  inserita   con   carattere   di
normalita'  e  complementarieta'  funzionale  nel  ciclo   produttivo
aziendale,  riguardi  materia  prima  lavorata  prodotta  in   misura
prevalente dall'attivita' di coltivazione dei terreni -  rimetterebbe
ad una valutazione discrezionale della p.a. la inclusione, o meno, di
singole fattispecie nel campo applicativo della  norma,  diversamente
da quanto disposto in precedenza con l'art. 28, comma 7, lettera  c),
del d.lgs. n. 152 del 1999, il quale fissava invece un criterio certo
di distinzione. 
    Conseguentemente, ad avviso della difesa regionale, la previsione
censurata, autorizzando di fatto i produttori ad osservare livelli di
trattamento  meno  rigorosi  rispetto  al  passato,  si  porrebbe  in
contrasto sia con l'art. 1, comma 8, lettera a), della legge  n.  304
del 2008, che pone l'obiettivo di garantire «il  miglioramento  della
qualita'  dell'ambiente,  della   protezione   della   salute   umana
all'utilizzazione accorta e razionale delle  risorse  naturali»,  sia
con il successivo comma 9, lettera  b),  concernente  l'obiettivo  di
«pianificare, programmare ed attuare interventi diretti  a  garantire
la tutela ed  il  risanamento  dei  corpi  idrici  e  superficiali  e
sotterranei, previa ricognizione degli stessi». 
    15. - In tutti i giudizi, ad eccezione di quello introdotto dalla
Regione Calabria, e' intervenuta l'Associazione italiana per il World
Wide Fund for Nature (WWF Italia) - Onlus,  chiedendo  che  la  Corte
accolga i ricorsi proposti dalle citate Regioni ricorrenti. 
    In prossimita' dell'udienza  di  discussione,  l'Associazione  ha
depositato memorie  con  le  quali  insiste  nelle  conclusioni  gia'
rassegnate negli atti di intervento. 
    16. - Nel  giudizio  introdotto  con  il  ricorso  della  Regione
Piemonte, hanno spiegato intervento ad opponendum la Biomasse  Italia
S.p.a., la Societa' Italiana Centrali Termoelettriche - SICET S.r.l.,
la Ital Green Energy S.r.l e la E.T.A. - Energie Tecnologie  Ambiente
S.p.a.,   chiedendo   che   la    Corte    costituzionale    dichiari
l'inammissibilita' e comunque l'infondatezza delle questioni promosse
dalla Regione Piemonte. 
    17. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica tutte le  Regioni,  ad
eccezione  del  Piemonte,  dell'Abruzzo  e  della  Basilicata,  hanno
depositato memorie  ad  integrazione  delle  motivazioni  svolte  nei
ricorsi a  sostegno  delle  singole  questioni  di  costituzionalita'
sollevate, ponendo in evidenza, fra l'altro, gli  effetti  di  alcune
modifiche sopravvenute nelle more del presente giudizio, riguardo  ad
alcune delle norme impugnate. 
    In particolare, le difese regionali  osservano  che  l'art.  101,
comma 7, e' stato modificato ad  opera  dell'art.  2,  comma  8,  del
d.lgs. 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori  disposizioni  correttive  ed
integrative del d.lgs. 3  aprile  2006,  n.  152,  recante  norme  in
materia  ambientale),  e  che,  tuttavia,  tale   ius   superveniens,
estendendo ulteriormente la possibilita' di assimilazione dei  reflui
domestici a quelli provenienti da determinate categorie  di  imprese,
avrebbe non solo confermato ma addirittura aggravato  le  ragioni  di
censura  svolte  sulla  formulazione  originaria   della   norma   in
questione. 
    Quanto alla ulteriore modifica che ha investito l'art. 104, comma
3, ad opera dell'art. 7, comma 6, del d.lgs. 16  marzo  2009,  n.  30
(Attuazione della direttiva  2006/118/CE,  relativa  alla  protezione
delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal  deterioramento),  il
quale ha restituito alle Regione il potere  di  autorizzazione  dello
scarico di acque  risultanti  dall'estrazione  di  idrocarburi  nelle
unita' del sottosuolo da cui sono stati estratti, le difese regionali
osservano di aver interesse comunque a che la Corte si pronunci sulla
norma contenuta nella formulazione  precedente,  posto  che  essa  ha
avuto applicazione. 
                       Considerato in diritto 
    1. -  Le  Regioni  Emilia-Romagna  (con  due  distinti  ricorsi),
Calabria,  Toscana,  Piemonte,  Umbria,  Liguria,  Abruzzo,   Puglia,
Campania, Marche e Basilicata, hanno proposto in via principale,  tra
l'altro, questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 91, 95,
96, 101, 104, 113, 114 e 116 del decreto legislativo 3  aprile  2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), in riferimento agli artt. 2, 5,
76, 97, 114, 117,  118,  119,  120  della  Costituzione,  nonche'  al
principio di leale collaborazione. 
    Le Regioni Puglia, Emilia-Romagna  ed  Abruzzo  hanno,  altresi',
chiesto la sospensione dell'efficacia, la prima, degli artt. 91, 101,
comma 7, e 104 del d.lgs. n. 152 del 2006, la seconda e la terza, del
solo art. 101, comma 7, del medesimo decreto legislativo. 
    1.1.  -  In  particolare,  le  ricorrenti  hanno  prospettato  le
seguenti censure: 
        a) la Regione Emilia-Romagna ha impugnato gli artt. 96, comma
1, 101, comma 7, 104 commi 3 e 4, 113, comma 1, e 114, comma  1,  del
d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 76, 117, 118 Cost; 
        b) la Regione Calabria ha impugnato gli artt. 91, commi  2  e
6, 101, comma 7, 113, comma 1, 114, comma 1, e 116 del d.lgs. n.  152
del 2006, per violazione degli artt. 76,  114,  117,  primo  e  terzo
comma, e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione; 
        c) la Regione Toscana ha impugnato gli artt. 91, commi 2 e 6,
113, comma 1, 114, comma 1, e 116 del d.lgs. n.  152  del  2006,  per
violazione degli artt. 117 e 118  Cost.  e  del  principio  di  leale
collaborazione; 
        d) la Regione Piemonte ha impugnato gli artt. 91, commi  2  e
6, 96, 104, comma 3, 113, comma 1, 114, comma 1, e 116 del d.lgs.  n.
152 del 2006, per violazione degli artt. 2, 5, 76, 97, 114, 117, 118,
119, 120 Cost., nonche' del principio di leale collaborazione; 
        e) la Regione Umbria ha impugnato gli artt. 95, comma 5,  96,
comma 1, e 101, comma 7, del d.lgs. del d.lgs. n. 152 del  2006,  per
violazione degli artt. 76, 117, 118 Cost.; 
        f) la Regione Liguria ha impugnato gli  artt.  91,  comma  1,
lettera d), 91 comma 2, 96, comma 1, 113, comma 1, e  114,  comma  1,
del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 5, 76,  117  e
118 Cost.; 
        g) la Regione Abruzzo ha impugnato l'art. 101, comma  7,  del
d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 76  e  117,  terzo
comma, Cost.; 
        h) la Regione Puglia ha impugnato gli artt. 91, comma 2, 101,
comma 7, e 104 del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt.
5, 76, 117, terzo comma, e 118 Cost.; 
        i) la Regione Campania ha impugnato l'art. 101, comma 7,  del
d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli artt. 76 e 117, primo  e
terzo comma, Cost.; 
        l) la Regione Marche ha impugnato gli artt. 91, commi 2 e  6,
113, comma 1, 114, comma 1, e 116 del d.lgs. n.  152  del  2006,  per
violazione degli artt. 117,  118  Cost.  e  del  principio  di  leale
collaborazione; 
        m) la Regione Basilicata ha impugnato l'art.  101,  comma  7,
del d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione dell'art. 76 Cost. 
    2. - In ragione  della  loro  connessione  oggettiva,  i  ricorsi
devono essere riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia. 
    3. - Riservate a separate decisioni  le  ulteriori  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate con i medesimi ricorsi, in  via
preliminare occorre premettere che questa Corte, con ordinanza  letta
nell'udienza pubblica del 5 maggio  2009  e  allegata  alla  presente
sentenza,  ha  dichiarato  inammissibile  l'intervento  in   giudizio
dell'Associazione italiana per il World Wide  Fund  for  Nature  (WWF
Italia)  -  Onlus,  della  Biomasse  Italia  S.p.a.,  della  Societa'
Italiana Centrali Termoelettriche - SICET S.r.l.,  della  Ital  Green
Energy S.r.l. e della E.T.A. Energie Tecnologie Ambiente  S.p.a.,  in
applicazione dell'orientamento della  giurisprudenza  costituzionale,
secondo cui il giudizio di costituzionalita'  in  via  principale  si
svolge «esclusivamente fra soggetti titolari di potesta' legislativa,
fermi restando per i soggetti privi  di  tale  potesta'  i  mezzi  di
tutela dello loro  posizioni  soggettive,  anche  costituzionali,  di
fronte a questa Corte in via incidentale» (da ultimo sentenza n.  405
del 2008). 
    4. -  Preliminarmente,  devono  essere  esaminati  i  profili  di
inammissibilita' delle censure prospettate. 
    5. - In primo luogo,  va  dichiarata  la  inammissibilita'  delle
questioni  di  legittimita'  sollevate  dalla  Regione  Piemonte  nei
confronti degli artt. 91, 96, 104, comma 3,  113,  comma  1,  e  114,
comma 1, 116 del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 2,
5, 76, 97, 114, 117, 118, 119, 120 Cost.,  nonche'  al  principio  di
leale collaborazione. 
    Tutte le censure richiamate risultano affette dal medesimo  vizio
di genericita', in quanto non sorrette  da  un'autonoma  e  specifica
motivazione  in  relazione  a   ciascuno   dei   numerosi   parametri
costituzionali, di volta in volta, indistintamente invocati. 
    6. - Deve  essere  dichiarata  la  inammissibilita'  anche  della
questione  di  legittimita'  costituzionale,  sollevata  dalla   sola
Regione Liguria, dell'art. 91, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 152
del 2006, in riferimento agli artt. 117, primo  comma,  e  76  Cost.,
nella parte in cui qualifica come «aree sensibili» le  aree  costiere
«dell'Adriatico-Nord occidentale dalla  foce  dell'Adige  al  confine
meridionale del comune di Pesaro e i corsi d'acqua ad essi  afferenti
per un tratto di 10 chilometri dalla linea di costa». 
    Secondo la ricorrente, tale previsione, da un lato, violerebbe la
lettera a) dell'allegato  2,  della  direttiva  21  maggio  1991,  n.
91/271/CEE (Direttiva del Consiglio concernente il trattamento  delle
acque reflue urbane), la quale non prevede tale  limite;  dall'altro,
si porrebbe in  contrasto  con  i  principi  e  i  criteri  direttivi
stabiliti dall'art. 1, comma 8, lettere a), b) e f), della  legge  n.
308 del 2004, sottraendo parte dei corsi d'acqua alla categoria delle
cosiddette «aree sensibili». 
    Al riguardo, e' sufficiente rilevare che la norma e'  inidonea  a
produrre alcun tipo di effetto sul territorio della Regione Liguria. 
    Conseguentemente tale censura e'  inammissibile  per  difetto  di
interesse al ricorso. 
    7. - Del pari inammissibile, per  genericita'  della  motivazione
posta  a  fondamento  dei  prospettati  profili   di   illegittimita'
costituzionale, e' la censura sollevata  dalla  Regione  Liguria  nei
confronti dell'art. 91, comma 2, del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  in
riferimento all'art. 118 Cost. 
    Infatti, la ricorrente si e' limitata a dedurre, in  relazione  a
tale specifico parametro, che «non sussistono  ragioni  di  esercizio
unitario che giustifichino la competenza statale». 
    Al riguardo va ribadito  che,  come  costantemente  affermato  da
questa Corte, «nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  in  via
principale l'esigenza di una adeguata  motivazione  dell'impugnazione
si pone in  termini  anche  piu'  pregnanti  che  in  quello  in  via
incidentale (ex plurimis: sentenze n. 428, n. 120 e n. 2 del 2008; n.
430  del  2007)»,  cosicche'   «la   mancata   esplicitazione   delle
argomentazioni, anche minime, atte a suffragare la  censura  proposta
e' causa di inammissibilita'  della  questione  di  costituzionalita'
sollevata» (cosi' sentenza n. 38 del 2007). 
    8.  -  Per  lo  stesso   motivo   deve   essere   dichiarata   la
inammissibilita'  della  censura  sollevata  dalla  medesima  Regione
Liguria nei confronti del successivo art.  96,  in  riferimento  agli
artt. 117 e 118 Cost. 
    9. - Anche le questioni di legittimita'  costituzionale  proposte
dalle Regioni Emilia-Romagna ed Umbria  nei  confronti  del  medesimo
art. 96, comma 1, del d.lgs. n. 152 del  2006,  in  riferimento  agli
artt.  117  e  118  Cost.,  sono  inammissibili,  perche'  del  tutto
generiche. 
    In entrambi i casi, infatti,  le  ricorrenti  non  hanno  fornito
alcuna  specificazione  ne'  in  ordine  al  motivo   della   dedotta
illegittimita' della  lamentata  «sovrapposizione»  della  disciplina
statale  a  quella  regionale,  ne'  in  ordine  alle  ragioni  della
ipotizzata violazione del principio di sussidiarieta'. 
    10. -  Deve  essere  dichiarata  l'inammissibilita'  anche  delle
censure sollevate nei confronti dell'art. 101, comma 7, del d.lgs. n.
152  del  2006,  dalle  Regioni  Emilia-Romagna,  Calabria,   Umbria,
Abruzzo, Campania, Basilicata, in riferimento agli artt. 117, primo e
terzo comma, e 76 Cost.,  quest'ultimo  in  relazione  alla  asserita
violazione  degli  obiettivi   di   «miglioramento   della   qualita'
dell'ambiente,    della    protezione     della     salute     umana,
dell'utilizzazione  accorta  e  razionale  delle  risorse  naturali»,
nonche' di «pianificare, programmare e attuare interventi  diretti  a
garantire la tutela e il risanamento dei corpi idrici superficiali  e
sotterranei, previa ricognizione  degli  stessi»;  obiettivi  fissati
dall'art. 1, comma 8, lettera a), e dalla lettera b)  del  successivo
comma 9 della legge di delega n. 308 del 2004. 
    In particolare, ad avviso delle ricorrenti, l'art. 101, comma  7,
del d.lgs. n. 152 del 2006 - il  quale  assimila  alle  acque  reflue
domestiche gli scarichi derivanti dalle imprese agricole,  includendo
in  tale  categoria  anche   quelle   che   svolgono   attivita'   di
trasformazione o valorizzazione dei prodotti agricoli,  purche'  tale
attivita' riguardi  materia  prima  lavorata  proveniente  in  misura
prevalente   dall'attivita'   di   coltivazione   dei    terreni    -
determinerebbe   un   peggioramento   del   livello   di   protezione
dell'ambiente,  con  particolare  riguardo  alle  caratteristiche  di
qualita' delle acque del corpo recettore. 
    Cio' in violazione sia del riparto  di  competenze  fra  Stato  e
Regioni di cui  all'art.  117  Cost.,  sia  dell'art.  76  Cost.  per
contrasto - oltre che con gli  «obiettivi  di  qualita»  stabiliti  a
livello comunitario - con i menzionati principi e i criteri direttivi
della legge di delega n. 308 del 2004. 
    Al riguardo, va  osservato  che,  con  riferimento  all'art.  117
Cost., le ricorrenti si sono limitate a dedurre in maniera  assertiva
la lesione delle proprie attribuzioni  costituzionali,  senza  alcuna
specifica individuazione delle medesime. 
    Con riferimento all'art. 76 Cost., le singole censure si  fondano
su  una  pretesa  riduzione  delle  proprie  attribuzioni   derivante
dall'ipotizzato carattere  peggiorativo,  per  la  tutela  dei  corpi
idrici recettori, della misura introdotta con l'art.  101,  comma  7,
del  d.lgs.  n.  152  del  2006  rispetto  a  quella  precedentemente
contemplata dall'art. 28, comma 7, lettera c), del d.lgs.  11  maggio
1999, n. 152 (Disposizioni sulla tutela delle acque dall'inquinamento
e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernente  il  trattamento
delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa  alla
protezione  delle  acque  dall'inquinamento  provocato  dai   nitrati
provenienti   da   fonti   agricole),   decreto    da    considerarsi
indirettamente richiamato dalla legge di delega n. 308 del 2004. 
    Tuttavia, anche sotto questo aspetto, non risulta assolto l'onere
di precisare adeguatamente quali  attribuzioni  costituzionali  delle
Regioni,  ad  avviso  delle  ricorrenti,  risulterebbero  lese  dalla
previsione censurata; cio' a prescindere  dall'interpretazione  della
norma di delega con riferimento al richiamo  del  precedente  decreto
legislativo (sentenza n. 225 del 2009). 
    10.1. - Ad identiche conclusioni  deve  pervenirsi  nei  riguardi
della censura formulata dalla Regione Calabria in merito al  medesimo
art. 101, comma 7, per contrasto, oltre che con gli artt. 117,  terzo
comma, e  76  Cost.  (in  relazione  ai  quali  valgono  le  medesime
considerazioni appena svolte), anche con  l'art.  117,  primo  comma,
Cost. 
    La Regione, infatti, si e' limitata, sotto tale ultimo profilo, a
dedurre  genericamente  la  violazione  di  non  meglio   specificati
«obiettivi di qualita» stabiliti a livello comunitario. 
    11. - Risultano inammissibili anche le censure prospettate  dalla
Regione Emilia-Romagna, in riferimento agli artt. 117 e  76  Cost.  -
quest'ultimo in relazione all'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del
2004 -, nei confronti dell'art. 104, comma 3, del d.lgs. n.  152  del
2006. 
    11.1. - La norma impugnata, in  deroga  al  divieto  generale  di
«scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo»  stabilito
al  comma  1  della  medesima   disposizione,   attrae   al   livello
ministeriale la possibilita' di  autorizzare  «lo  scarico  di  acque
risultanti dall'estrazione di  idrocarburi  nelle  unita'  geologiche
profonde da cui gli stessi idrocarburi sono stati estratti, oppure in
unita' dotate delle stesse caratteristiche, che contengano o  abbiano
contenuto idrocarburi, indicando le modalita' dello scarico». 
    Ad avviso  della  ricorrente,  tale  previsione  risulterebbe  in
contrasto con gli artt. 76 e 117 Cost., in quanto determinerebbe  una
riduzione delle attribuzioni amministrative regionali, posto che,  in
precedenza, ai sensi degli artt. 86-89 del d.lgs. n. 112 del 1998, il
potere di autorizzare tale tipo di scarico spettava alla Regione. 
    11.2. - Preliminarmente all'esame della  questione,  va  rilevato
che, nelle more del presente  giudizio,  l'art.  104,  comma  3,  del
d.lgs. n. 152 del 2006 e' stato  modificato  ad  opera  dell'art.  7,
comma 6, del d.lgs. 16 marzo 2009, n. 30 (Attuazione della  direttiva
2006/118/CE,  relativa  alla  protezione  delle   acque   sotterranee
dall'inquinamento e dal deterioramento), il quale ha restituito  alle
Regioni il potere di autorizzazione dello scarico di acque risultanti
dall'estrazione di idrocarburi nelle unita'  del  sottosuolo  in  cui
erano presenti. 
    Come correttamente osservato dalla difesa  regionale,  nonostante
la natura satisfattiva del citato ius superveniens, non e' cessata la
materia del contendere sulla questione,  tenuto  conto  che,  per  la
natura di dettaglio della disposizione in esame, non puo'  escludersi
che, limitatamente al periodo della sua  vigenza,  essa  abbia  avuto
concreta applicazione. 
    Pertanto, questa Corte si  deve  pronunciare  sulla  formulazione
dell'art. 104, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, antecedente  alla
citata modifica normativa e vigente al momento dell'instaurazione del
presente giudizio. 
    11.3. - Sebbene non sia intervenuta la cessazione  della  materia
del contendere  per  le  ragioni  innanzi  precisate,  tuttavia  deve
ritenersi che la ricorrente non abbia interesse alla impugnazione, in
quanto la norma, nella sua originaria formulazione, ha assicurato  il
coinvolgimento regionale attraverso il meccanismo dell'intesa,  oltre
che con il «con il Ministro delle attivita' produttive», anche con le
Regioni interessate. 
    Di  qui  la  inammissibilita'  della  censura  per   difetto   di
interesse. 
    12. - Altrettanto inammissibile e' la questione  sollevata  dalla
sola Regione Emilia-Romagna relativamente all'art. 104, comma 4,  del
d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui prevede la possibilita' di
autorizzare «gli scarichi nella stessa falda delle  acque  utilizzate
per il lavaggio e la lavorazione degli  inerti,  purche'  i  relativi
fanghi siano costituiti esclusivamente da acqua ed inerti naturali». 
    In particolare, la Regione deduce,  al  riguardo,  la  violazione
dell'art. 4 della direttiva 17 dicembre 1979, n. 80/68/CEE (Direttiva
del Consiglio  concernente  la  protezione  delle  acque  sotterranee
dall'inquinamento provocato da certe sostanze pericolose),  il  quale
consentirebbe  agli  Stati  membri  di   autorizzare   gli   scarichi
consistenti nella reiniezione nella stessa falda  solo  «delle  acque
utilizzate per scopi geotermici,  delle  acque  di  infiltrazione  di
miniere o cave, o delle acque pompate nel corso di determinati lavori
di ingegneria civile». 
    A   prescindere    dall'omessa    indicazione    del    parametro
costituzionale che si ritiene violato, la  censura  e'  inammissibile
per l'indeterminatezza della motivazione, in quanto la ricorrente non
ha  specificato  quali  attribuzioni  regionali  verrebbero  lese  in
dipendenza della violazione della suddetta disciplina comunitaria. 
    13. - Parimenti inammissibile  e'  la  questione  proposta  dalla
Regione Calabria nei confronti dell'art. 116 del d.lgs.  n.  152  del
2006, in riferimento agli artt. 114 e  118  Cost.,  posto  che  sotto
entrambi i profili essa risulta motivata sulla base di considerazioni
del tutto generiche in ordine al presunto carattere teleologico della
disposizione censurata. 
    14. - Ancora, va esclusa la  ammissibilita'  della  questione  di
legittimita'  costituzionale  sollevata  dalla  Regione  Puglia   nei
confronti del combinato disposto degli artt. 101, comma 7, e 104  del
d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli artt. 117 e 118 Cost., in
quanto  la  ricorrente,  oltre  a  non   fornire   alcuna   specifica
argomentazione in ordine alla pretesa  violazione  del  principio  di
sussidiarieta' e della  «valorizzazione  del  ruolo  delle  autonomie
locali», adduce a sostegno della  ipotizzata  lesione  dell'art.  117
Cost. una motivazione indeterminata e, con rifermento  all'art.  101,
comma  7,  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,   anche   intrinsecamente
contraddittoria. 
    La Regione, invero,  si  duole  del  fatto  che  la  legislazione
statale detti livelli di tutela ambientale meno rigorosi  rispetto  a
quelli previgenti e al  contempo  ne  afferma  il  contrasto  con  la
propria sfera di potesta' legislativa nelle materie del «governo  del
territorio» e  «della  tutela  della  salute»,  nelle  quali,  sempre
secondo la ricorrente, sarebbe consentito al legislatore regionale di
introdurre misure piu' rigorose di quelle statali. 
    La ricorrente, dunque, non si fa carico di argomentare in  ordine
alle ragioni dell'asserito contrasto tra i contenuti normativi  delle
disposizioni  impugnate  (in  combinato  disposto  fra  loro)  e   la
affermata competenza legislativa  regionale  di  dettare  livelli  di
tutela piu' elevati. 
    15. - A questo punto e' possibile passare ad esaminare i  profili
di  merito  delle  rimanenti  censure   prospettate   dalle   Regioni
ricorrenti. 
    16.  -  Considerato  che  numerose  tra  le  questioni  proposte,
sollevate in riferimento agli artt. 76, 117 e  118  Cost.,  risultano
argomentate sulla  base  della  violazione  dei  principi  e  criteri
direttivi fissati dall'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del  2004,
appare opportuno, prima di esaminare i singoli  profili  di  censura,
precisarne la portata ed il contenuto. 
    In particolare, il menzionato art. 1, comma 8, della legge n. 308
del 2004 prevede, tra i criteri e principi  direttivi  della  delega,
quello per il quale «i decreti legislativi  di  cui  al  comma  1  si
conformano, nel rispetto dei principi e  delle  norme  comunitarie  e
delle competenze per materia delle amministrazioni  statali,  nonche'
delle attribuzioni delle regioni e degli enti locali,  come  definite
ai sensi dell'articolo 117 della Costituzione, della legge  15  marzo
1997, n. 59, e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e fatte
salve le norme statutarie e le relative  norme  di  attuazione  delle
regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento  e  di
Bolzano, e del principio di sussidiarieta». 
    16.1. - Al riguardo,  va  ribadito  che  l'interpretazione  della
legge di delega di cui si tratta, tenuto  conto  della  eterogeneita'
delle fonti cui essa fa riferimento,  deve  basarsi  sul  «preminente
rilievo» che, tra loro, va riconosciuto  alle  fonti  costituzionali,
rispetto al quale il richiamo alle fonti ordinarie e'  da  intendersi
«nel senso che esso e' operante nella misura in cui  le  disposizioni
delle suddette fonti subcostituzionali siano coerenti  con  il  nuovo
assetto del  riparto  delle  competenze».  In  tale  contesto  assume
particolare  importanza  il  riferimento,   contenuto   nella   norma
delegante, al principio di sussidiarieta', utilizzando il quale  puo'
essere considerato validamente operante il precedente  riparto  delle
competenze in materia di tutela dell'ambiente risultante tanto  dalla
legge n. 59 del 1997,  quanto  dal  d.lgs.  n.  112  del  1998.  Cio'
comporta che la valutazione di conformita' a Costituzione delle nuove
disposizioni del d.lgs. n. 152  del  2006,  oggetto  di  impugnazione
regionale, deve essere condotto, alla luce dell'insieme  dei  criteri
direttivi della delega legislativa (sentenze n.  225  e  n.  232  del
2009). 
    16.2. - Dalle considerazioni che precedono discende  che  non  e'
sufficiente, al fine di ritenere  illegittima  una  disposizione  del
d.lgs. n. 152  del  2006  per  contrasto  con  i  principi  enunciati
dall'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004, la mera  deduzione
dell'effetto riduttivo delle attribuzioni regionali della  disciplina
posta dal d.lgs. n. 152 rispetto a quella contenuta nel d.lgs. n. 112
del 1998, ma e' necessario specificare in quale  ambito  il  suddetto
effetto si e' prodotto. 
    17. - Devono  essere  dichiarate  non  fondate  le  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate  nei  confronti  dell'art.  91,
commi 2 e 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, dalla Regione Calabria -  in
riferimento agli artt. 117, 118 e 76 Cost. e al  principio  di  leale
collaborazione -, dalla Regione Toscana - in riferimento  agli  artt.
117 e 118 Cost. e al  principio  di  leale  collaborazione  -,  dalla
Regione Liguria (con riguardo al solo comma 2) - in riferimento  agli
artt. 5 e 76 Cost. -, dalla Regione  Puglia  (con  riguardo  al  solo
comma 2) - in riferimento agli artt. 5, 76, 117, terzo comma,  e  118
Cost. -, nonche' dalla Regione Marche, in riferimento agli artt.  117
e 118 Cost. 
    La  disposizione  impugnata  prevede  che  spetta  al   Ministero
dell'ambiente e della tutela del territorio,  sentita  la  Conferenza
Stato-Regioni, l'individuazione di «ulteriori aree sensibili»  (comma
2),  nonche',  con  cadenza  quadriennale,  il  parallelo  potere  di
«reidentificazione delle  aree  sensibili  e  dei  rispettivi  bacini
drenanti che contribuiscono  all'inquinamento  delle  aree  medesime»
(comma 6). 
    Le ricorrenti deducono, in primo luogo, la violazione degli artt.
117 e 118 Cost., nonche' del principio di  leale  collaborazione,  in
quanto, posto che dalla individuazione delle aree territoriali -  che
richiedono una tutela particolare ed ulteriore  -  qualificate  «aree
sensibili», discenderebbe un'incisione diretta  sulle  politiche  del
governo del territorio (oltre che sulla materia  della  tutela  della
salute), le relative funzioni dovrebbero essere rimesse ad un decreto
ministeriale da adottarsi non semplicemente «sentita»  la  Conferenza
Stato-Regioni, bensi' previa  acquisizione  di  una  vera  e  propria
«intesa». Cio' al fine di garantire una effettiva  concertazione  con
la Regione nel cui ambito territoriale tali aree sono  specificamente
situate. 
    In secondo luogo, per le ricorrenti,  la  disposizione  impugnata
violerebbe altresi' l'art. 76 Cost., per contrasto con i principi e i
criteri direttivi di cui all'art. 1, comma 8, della legge n. 308  del
2004, poiche' realizzerebbe un'indebita riattrazione allo Stato della
competenza  concernente  la  individuazione  delle  «ulteriori   aree
sensibili»; funzione gia' trasferita alle Regioni dall'art. 18, comma
4, del d.lgs. n. 152 del 1999. 
    Ad avviso della Regione Liguria, inoltre,  detta  allocazione  in
capo allo Stato «di funzioni amministrative gia' decentrate a livello
regionale»  rappresenterebbe  una  «"marcia  indietro"  nel  processo
autonomistico» in violazione anche dell'art. 5 Cost. 
    17.1. - A parte l'evidente inconferenza del richiamo  all'art.  5
Cost.,  deve  osservarsi,  con  riferimento  agli  altri  profili  di
illegittimita' costituzionale dedotti, che la disposizione  censurata
ha  assegnato  un   ruolo   primario   alla   funzione   statale   di
individuazione delle  cosiddette  «aree  sensibili»,  precedentemente
riconosciuta solo alle  Regioni  sulla  base  del  sistema  normativo
delineato dai decreti legislativi n. 112 del 1998 e n. 152 del 1999. 
    In particolare, l'art. 80, comma 1, lettera n), del d.lgs. n. 112
del 1998 assegnava allo  Stato  compiti  di  «normazione  generale  e
tecnica», nonche' di «elaborazione sistematica delle  informazioni  e
dei  dati  conoscitivi  raccolti  dalle  pubbliche  amministrazioni»,
mentre il successivo art. 81,  comma  1,  disponeva  il  conferimento
«alle  Regioni  e  agli  enti   locali»   di   «tutte   le   funzioni
amministrative  non  espressamente  indicate   negli   articoli   che
precedono». 
    Inoltre, l'art. 18 del d.lgs. n.  152  del  1999  assegnava  alle
Regioni  il  potere  di   identificazione   delle   aree   sensibili,
prescrivendo  che  avvenisse,  «sulla  base  dei  criteri   stabiliti
nell'allegato 6» dello stesso decreto n.  152  del  1999  «e  sentita
l'Autorita' di bacino». 
    17.2. - La scelta operata con il decreto legislativo n.  152  del
2006 e' stata, invece, quella di  introdurre  un  duplice  potere  di
individuazione delle aree sensibili: quello statale, disciplinato  ai
commi 2  e  6  della  disposizione  impugnata,  e  quello  regionale,
stabilito al comma 4 del medesimo  articolo,  secondo  il  quale  «le
Regioni, sulla  base  dei  criteri  di  cui  al  comma  1  e  sentita
l'Autorita' di bacino, entro un anno dalla data di entrata in  vigore
della parte terza del presente decreto, e  successivamente  ogni  due
anni, possono designare ulteriori aree sensibili  ovvero  individuare
all'interno delle aree indicate nel comma 2 i corpi  idrici  che  non
costituiscono aree sensibili». 
    17.3. - Premesso che l'ambito di intervento della norma censurata
e' ascrivibile alla materia dell'ambiente, attribuita alla competenza
legislativa esclusiva dello Stato ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., l'allocazione delle funzioni amministrative
operata con la disposizione impugnata risulta, invero, coerente anche
con il principio di sussidiarieta'. 
    Al  riguardo,  si   rileva,   infatti,   che   la   funzione   di
individuazione  delle  aree  maggiormente  esposte  al   rischio   di
inquinamento deve rispondere a criteri uniformi ed omogenei, dovendo,
al contempo, tener conto anche delle peculiarita' territoriali  sulle
quali viene ad incidere. 
    Sotto entrambi i profili, la  disposizione  impugnata  offre  una
soluzione non costituzionalmente illegittima,  posto  che  la  citata
funzione amministrativa statale  di  individuazione  (da  esercitarsi
previa acquisizione del parere  della  Conferenza  Stato-Regioni)  si
affianca a quella delle Regioni le quali, oltre a poter  designare  a
propria volta «ulteriori aree sensibili» rispetto a  quelle  indicate
dallo  Stato,  possono  altresi'  indicare,  nell'ambito  delle  aree
definite ai sensi del comma 2, i corpi idrici  che,  secondo  propria
valutazione, non possono rientrare in detta categoria. 
    Quanto  al  potere  statale  di  «reidentificazione»  delle  aree
medesime, disciplinato al successivo comma 6, esso risulta  connotato
da una natura eminentemente ricognitiva a cadenza periodica, che  non
comporta,  pertanto,   alcuna   modifica   sostanziale   dell'assetto
allocativo delineato dai commi 2 e 4 che lo precedono. 
    18. - Deve essere respinta, altresi', la  censura  sollevata,  in
riferimento agli artt. 76, 117 e 118 Cost., dalla sola Regione Umbria
nei confronti dell'art. 95, comma 5, del d.lgs. n. 152 del  2006,  in
base al quale e' assegnato alle «Autorita' concedenti» il  potere  di
effettuare «il censimento di  tutte  le  utilizzazioni  in  atto  nel
medesimo corpo idrico sulla base dei criteri  adottati  dal  Ministro
dell'ambiente e della tutela  del  territorio  con  proprio  decreto,
previa intesa con la Conferenza permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le regioni e le province autonome di  Trento  e  di  Bolzano»,
nonche' quello di procedere, «ove necessario», alla  «revisione»  del
censimento medesimo. 
    Secondo  la  ricorrente,  la   disposizione   censurata   avrebbe
modificato la disciplina dettata dall'art. 22, comma 6, del d.lgs. n.
152 del 1999, che gia' consentiva alle medesime Autorita'  concedenti
di limitare le utilizzazioni idriche,  cosi'  violando  non  solo  le
competenze regionali (in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost.), ma
anche  i  principi  di  «economicita»  e  «semplificazione»   dettati
dall'art. 1, comma 9, lettera b), della legge n.  308  del  2004,  in
violazione dell'art. 76 Cost. 
    18.1. - In primo luogo, risulta erronea la premessa posta a  base
dei profili di censura svolti con riferimento agli artt.  117  e  118
Cost., secondo la quale la materia della «tutela  quantitativa  della
risorsa idrica e della  pianificazione  dell'utilizzazione  di  essa»
andrebbe  ascritta  ad  una   (non   meglio   precisata)   competenza
legislativa concorrente  regionale,  dal  momento  che  essa  rientra
senz'altro nella materia «tutela dell'ambiente». 
    18.2. - In secondo luogo, anche a prescindere  dalla  genericita'
del  ricorso  in  ordine  alla  dedotta  «lesione  delle   competenze
regionali» ad opera della disposizione impugnata, deve osservarsi, in
relazione alla asserita violazione dell'art. 76 Cost. - per contrasto
con l'incipit dell'art. 1, comma 9, nonche' con  la  lettera  b)  del
medesimo comma 9, della legge n. 308 del 2004 -, che la  disposizione
impugnata subordina l'adozione dei criteri ministeriali in  questione
ad una «previa intesa» con la Conferenza permanente  per  i  rapporti
tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e  Bolzano.
Conseguentemente, risulta assicurata la  partecipazione  del  sistema
delle autonomie regionali al procedimento di elaborazione dei criteri
medesimi nella forma della codecisione paritaria. 
    19. -  Del  pari  non  fondate  sono  le  censure  sollevate  nei
confronti degli artt. 113, comma 1, e 114, comma 1, del d.lgs. n. 152
del 2006. 
    19.1. -  La  prima  delle  disposizioni  impugnate  assegna  alle
Regioni i compiti di «disciplinare» e/o di «attuare»: a) le «forme di
controllo  degli  scarichi  di  acque   meteoriche   di   dilavamento
provenienti da reti fognarie separate»; b) «i casi in cui puo' essere
richiesto che le immissioni delle acque  meteoriche  di  dilavamento,
effettuate  tramite  altre  condotte  separate,  siano  sottoposte  a
particolari prescrizioni, ivi compresa  l'eventuale  autorizzazione».
La seconda disposizione prevede che le «Regioni,  previo  parere  del
Ministero dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio,  adottano
apposita disciplina in materia di restituzione delle acque utilizzate
per la produzione idroelettrica, per scopi irrigui e in  impianti  di
potabilizzazione,  nonche'  delle  acque  derivanti  da  sondaggi   o
perforazioni diversi da quelli relativi alla ricerca ed estrazione di
idrocarburi, al fine di garantire il mantenimento o il raggiungimento
degli obiettivi di qualita' di cui al titolo II della parte terza del
presente decreto». 
    Entrambe   le   previsioni   violerebbero,   per    le    Regioni
Emilia-Romagna e Liguria, gli artt. 76,  117  e  118  Cost.;  per  la
Regione Calabria, gli artt. 76 e 117 Cost.; per le Regioni Toscana  e
Marche, l'art. 117 Cost.. 
    Ad  avviso  delle  ricorrenti,  infatti,  tali  previsioni,   pur
attribuendo alle Regioni la competenza a  disciplinare  le  forme  di
controllo degli scarichi in questione, subordinerebbero  il  relativo
procedimento normativo ad un «parere» del Ministro. 
    19.2. - Invero - nonostante la formulazione ambigua  delle  norme
in questione, nelle quali vengono indistintamente accomunate funzioni
normative e amministrative  -  non  puo'  essere  condivisa  la  tesi
prospettata dalle ricorrenti e fatta oggetto delle  censure,  secondo
cui la competenza normativa attribuita alle Regioni risulterebbe,  in
entrambi i casi, illegittimamente condizionata al previo  parere  del
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio. 
    Sulla   base   del   canone   dell'interpretazione   conforme   a
Costituzione, infatti, non solo non puo' essere  riconosciuta  natura
vincolante  al  parere  in  argomento,  ma,  soprattutto,  esso  deve
intendersi riferito alla sola  funzione  amministrativa  e  non  gia'
anche a quella normativa. 
    19.3. - In considerazione della natura non vincolante del parere,
infine, deve escludersi  che  la  norma  censurata  determini  alcuna
sostanziale riduzione del potere amministrativo ad esso condizionato,
con  conseguente  infondatezza  anche  delle  questioni  proposte  in
relazione a profili di illegittimita' attinenti alla violazione degli
artt. 118 e 76 Cost. 
    20.  -  Restano  da  esaminare  le  questioni   di   legittimita'
costituzionale concernenti gli artt. 96, comma 1, e 116 del d.lgs. n.
152 del 2006, tutte incentrate, prevalentemente, sul ruolo  rivestito
dall'Autorita' di bacino territorialmente competente nell'ambito  dei
procedimenti   amministrativi    rispettivamente    regolati    dalle
disposizioni impugnate e sulla asserita  illegittimita'  di  esso  in
riferimento  sia  all'art.  76  Cost.  (per  contrasto  sia  con  gli
obiettivi di semplificazione posti dall'art. 1, comma 9,  lettera  b,
della legge n. 308 del 2004,  e  con  quelli  di  mantenimento  delle
attribuzioni regionali gia' delegate dal d.lgs. n. 112 del 1998) sia,
piu' in generale, per violazione del riparto di competenze  stabilito
dall'art. 117 Cost., nonche' dei  principi  di  sussidiarieta'  e  di
leale collaborazione. 
    Le questioni non sono fondate. 
    20.1. - In particolare, quanto al citato art.  96,  comma  1,  le
Regioni Umbria, Emilia-Romagna e Liguria lamentano che la  previsione
determinerebbe un aggravio del procedimento di concessione  di  acqua
pubblica, perche' subordina il rilascio della concessione  al  parere
vincolante della Autorita' di bacino (organo, oggi, di natura statale
in quanto privo di alcuna rappresentanza regionale), cosi'  menomando
il potere gia' spettante alle Regioni ai sensi degli artt. 86-89  del
d.lgs. n. 112 del 1998, in violazione dell' art. 76. 
    20.2. - Sul punto, occorre richiamare quanto  gia'  affermato  da
questa Corte con la sentenza n. 232 del 2009, secondo cui «se e' vero
[...]  che  le   competenze   di   tale   nuovo   organismo   possono
indirettamente avere conseguenze su ambiti  materiali  di  competenza
concorrente (come il governo del territorio), e' anche  vero  che  il
coinvolgimento  delle  Regioni  e'  assicurato»  da  quanto  previsto
dall'art. 63 del d.lgs.  n.  152  del  2006,  in  base  al  quale  e'
necessaria «la partecipazione dei Presidenti delle  Regioni  e  delle
Province autonome il cui  territorio  e'  interessato  dal  distretto
idrografico di cui di volta  in  volta  si  tratta,  alla  Conferenza
istituzionale  permanente  (art.  63,  comma  4),  principale  organo
dell'Autorita' di bacino, che assomma le  vaste  competenze  elencate
nel comma 5 dello stesso art. 63». 
    Inoltre,  la  redistribuzione  delle  competenze   amministrative
operata dalla norma impugnata risulta coerente,  per  i  motivi  gia'
illustrati (supra, paragrafo n. 16.1.), con l'attuazione dei  criteri
direttivi della legge di delega n. 308 del 2004. 
    Non sussiste, pertanto, la  denunziata  violazione  dell'art.  76
Cost. 
    20.3. - Quanto all'art. 116  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  le
Regioni Toscana e Marche lamentano che tale  norma,  pur  attribuendo
loro la competenza a predisporre i «programmi di misure» -  ossia  di
quelle  misure  reputate  necessarie  per  la  tutela  qualitativa  e
quantitativa del sistema idrico -,  subordinandone  l'efficacia  alla
approvazione alla Autorita' di bacino medesima (non  sufficientemente
rappresentativa degli interessi regionali), di fatto  affiderebbe  il
vero potere  decisionale  in  ordine  ad  esse  a  detto  organo,  in
violazione degli artt. 117 e 118  Cost.  e  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    20.4. - Si osserva,  al  riguardo,  che  la  normativa  impugnata
consente, in effetti, allo Stato di concorrere, attraverso il  parere
delle Autorita' di bacino al quale la  Regione  si  deve  conformare,
alla determinazione di scelte fortemente incidenti sul  «governo  del
territorio», e, piu' in generale, sulle politiche del territorio,  di
competenza regionale. 
    Tale previsione, nondimeno, per gli stessi motivi evidenziati  in
relazione all'art. 96 del d.lgs. n. 152 del 2006 e coerentemente  con
quanto gia' affermato da questa Corte con  la  sentenza  n.  232  del
2009, non risulta in contrasto ne' con i principi di sussidiarieta' e
di leale collaborazione, ne' con il riparto di competenze fra Stato e
Regioni. 
    Infatti, occorre considerare che i programmi di misure di  tutela
dei corpi idrici integrano i piu' ampi piani di tutela  delle  acque,
ponendosi con essi in un rapporto di stretto collegamento. 
    La previsione della sottoposizione  di  detti  programmi  ad  una
approvazione da parte dell'Autorita' di bacino, dunque, risponde alla
duplice necessita' di demandare ad un organo idoneo - per struttura e
composizione  -  a  valutare  la  coerenza  del  quadro   complessivo
dell'attivita' di programmazione derivante dai concorrenti  strumenti
di pianificazione in  materia  di  tutela  delle  acque,  nonche'  di
assicurare una adeguata partecipazione, al relativo  procedimento  di
formazione, delle Regioni nel cui territorio debbono  essere  attuate
le misure di tutela in questione. 
    21. - Deve dichiararsi, infine,  non  luogo  a  provvedere  sulle
istanze  di  sospensione  avanzate,  rispettivamente,  dalla  Regione
Puglia, nei confronti degli artt. 91, 101, comma 7, e 104 del  d.lgs.
n. 152 del 2006, e dalla Regione Abruzzo, nei confronti del solo art.
101, comma 7, del medesimo decreto legislativo, essendo stato  deciso
il merito dei ricorsi. 
    Quanto alla istanza di  sospensione  in  via  cautelare  proposta
dalla Regione Emilia-Romagna, questa Corte si e' gia' pronunciata con
ordinanza di non luogo a provvedere n. 245 del 2006.