IL TRIBUNALE Sulla domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo depositata in data 19 marzo 2009 da SAMAR s.r.l. in liquidazione con sede in Mottalciata (Biella), via Martiri della Liberta' n. 68, in persona del liquidatore rag. Fausto Colombo, elettivamente domiciliato in Biella, via Lamarmora, 21 presso gli avv.ti Carlo e Luca Boggio, a tanto ritualmente autorizzato (ai sensi del combinato disposto degli artt. 161 e 152 l.f.) con delibera dell'assemblea straordinaria dei soci in data 27 febbraio 2009 a rogito notaio Massimo Ghirlanda; Esaminata la documentazione acquisita; Sentito il legale rappresentante della societa' ricorrente, comparso all'udienza in camera di consiglio del 2 aprile 2009 (fissata ai sensi dell'art. 162 l.f.); Dato atto che il p.m., al quale veniva comunicato il ricorso (unitamente al decreto di fissazione della predetta udienza di comparizione), non ha inteso depositare alcun parere ne' rassegnare conclusioni in merito alla domanda di concordato; Sciogliendo la riserva assunta all'udienza del 2 aprile 2009, ha pronunciato la seguente ordinanza avente ad oggetto il rilievo d'ufficio della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 163, primo comma, in relazione all'art. 162, secondo comma, e all'art. 160, primo comma, lett. c) (come modificati dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169) del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta amministrativa), per violazione dell'art. 3 Cost. In punto di fatto deve preliminarmente rilevarsi come possano ritenersi adeguatamente documentate sia la qualifica in capo alla societa' ricorrente di imprenditore commerciale soggetto alle disposizioni sul concordato preventivo, la cui attuale ed effettiva «dimensione» patrimoniale, economica e finanziaria supera i parametri definitori previsti dall'art. 1, comma 2, l.f. (come modificato dal d.lgs. n. 169 del 2007), sia la prospettata sussistenza di uno stato di crisi, nella specie qualificabile in termini di insolvenza, desumibile dalla messa in liquidazione della societa' e dal deficit patrimoniale emergente dallo stesso contenuto della proposta di concordato. Risultano, del pari, riscontrate la completezza e la coerenza intrinseca del giudizio in ordine alla fattibilita' del piano concordatario formulato nella relazione, ex art. 161, comma 3, l.f., redatta dal dott. Andrea Foglio Bonda in data 19 marzo 2009 (integrata in data 17 aprile 2009): giudizio che - in quanto ancorato ad una ponderata «validazione esterna» dell'affidabilita' dei dati aziendali e del sistema di rilevazione contabile della societa' ricorrente (anche con riferimento alle perizie di stima delle attivita' immobiliari e mobiliari allegate alla domanda di concordato) ed alla ragionevolezza delle concrete modalita' di esecuzione del piano e dei risultati attesi in termini di entita' e tempi di soddisfazione dei crediti -, risulta idoneo a fornire un adeguato supporto informativo al ceto creditorio chiamato ad esprimere le proprie valutazioni sulla «convenienza» del piano concordatario. Sotto tale profilo non appare superfluo evidenziare come la proposta di concordato, nei termini definitivamente prospettati dalla ricorrente all'esito dell'udienza del 2 aprile 2009 (ed ottemperando alle richieste di chiarimenti formulate, ai sensi dell'art. 162, comma 1, l.f., dal tribunale con decreto del 30 marzo 2009: vd. memoria integrativa depositata il 17 aprile 2009) - risulti riassuntivamente connotata: a) dall'offerta di cessione ai creditori di tutti i beni (aziendali e non) di proprieta' della ricorrente, senza quindi la previsione di apporti finanziari esterni, nel caso di specie «qualificata», con riguardo al preventivato conseguimento di una plusvalenza patrimoniale quantificata nella proposta in € 1.420.000,00 (vd. in dettaglio i dati del rendiconto finanziario previsionale richiamati nella citata memoria del 17 aprile 2009), dalla deliberata autorizzazione dell'esercizio provvisorio (fino al 31 dicembre 2009) quale modalita' di liquidazione del patrimonio aziendale, ex combinato disposto degli artt. 2487 e 2447 c.c. (vd. delibera assemblea straordinaria dei soci in data 27 febbraio 2009); b) dalla mancata suddivisione dei creditori in «classi», risultando invero l'intero ceto creditorio collocato nelle due «categorie» normative dei privilegiati e dei chirografari, le cui prospettive di soddisfacimento in caso di approvazione della proposta (anch'esse criticamente attestate nella relazione integrativa redatta dal dott. Foglio Bonda) risultano indicate in termini di pagamento integrale dei primi (tenendo conto anche del calcolo degli interessi maturandi in corso di procedura) e, quanto ai creditori chirografari, nella percentuale (del 51,64 %) risultante dal valore residuo dei beni offerti in cessione, dopo il pagamento delle spese di procedura e dei creditori privilegiati; esulando dall'ambito delle valutazioni da operare in questa sede quella concernente l'individuazione specifica dei creditori muniti di diritto di voto (art. 177, comma 2, l.f.). Cio' posto, con specifico riferimento alla predetta mancata previsione di una differenziazione dei creditori chirografari, non puo', tuttavia, non rilevarsi come la proposta di concordato denoti un assoluto deficit motivazionale sul punto; e cio' ancorche' l'oggettiva disomogeneita' degli interessi economici (quantomeno) della massa creditoria rappresentata dagli istituti di credito e di quella dei fornitori «ordinari» emerga in modo evidente dalle stesse allegazioni fattuali e documentali della ricorrente. In particolare, indubbia valenza logico-induttiva in tal senso riveste il fatto (implicitamente ammesso dalla societa' ricorrente) dell'avvenuta individuazione del «ceto bancario» quale categoria di creditori destinata a rivestire un ruolo strategico e determinante ai fini della concreta attuazione del pianificato regolamento concordatario dello stato di insolvenza della Samar S.r.l.: ruolo che, invero, gia' nella fase immediatamente precedente al deposito della domanda di concordato, risulta avere di fatto indirizzato (se non addirittura «condizionato») le piu' recenti scelte gestorie e di ingegneria finanziaria degli organi amministrativi della odierna ricorrente, alcune delle quali effettivamente attuate (vd. la complessa operazione di cessione delle quote di partecipazione della Samar S.r.l. nella controllata CED Italia S.p.A., analiticamente illustrata dal legale della societa' nel corso dell'udienza di comparizione del 2 aprile 2009 e descritta nella memoria integrativa depositata in data 17 aprile 2009) Si evidenzia, infatti, nella citata memoria integrativa che «nella prima proposta di risanamento - risalente al settembre 2008 - Samar, recependo quelle stime, chiese alle banche non solo il consolidamento del debito esistente, ma anche «nuova finanza» per circa € 17.200.000, parte della quale - circa € 4.200.000 - avrebbe dovuto essere destinata a far fronte allo sbilancio patrimoniale di Ced Italia a fine 2009 in dipendenza delle perdite stimate (€ 2.550.000 circa) e degli ulteriori oneri di liquidazione (€ 1.650.000 circa dovuti in gran parte alla necessita' di risolvere anzitempo contratti pluriennali di franchising in essere), posto che per il «sistema bancario» non sarebbe stato accettabile rifinanziare la capogruppo (Samar) di una societa' eventualmente fallita (Ced Italia). Sebbene senza prendere formalmente posizione le banche, il legale delle banche, avv. Carlo Alberto Giovanardi, faceva sapere all'avv. Luca Boggio che, per le banche assistite, non era accettabile l'utilizzo della nuova finanza per la copertura di perdite e il finanziamento di una liquidazione societaria, potendo essere utilizzata solo per la continuita' dell'esercizio dell'azienda. Fu cosi' che, preso atto dei (comprensibili) vincoli nei quali si trovavano le banche creditrici nel rifinanziare Samar, si decise di trovare un acquirente per le azioni Ced Italia o per l'azienda da questa posseduta, alfine di trovare la soluzione meno onerosa e piu' rapida tale che rendesse possibile a Samar di accedere al rifinanziamento bancario, condizione necessaria per non cessare l'attivita' aziendale ...». , altre soltanto programmate (vd. proposta di piano di risanamento aziendale e di riequilibrio finanziario del «Gruppo Samar», indirizzata agli istituti di credito, datata 18 settembre 2008 e correlativa relazione di «attestazione» redatta in data 18 dicembre 2008 dal professionista nominato dal Tribunale di Biella ai sensi dell'art. 67, comma 3, lett. d), l.f. nonche' il piano di ristrutturazione definitivo del 24 dicembre 2008) e poi «assorbite» dalla decisione di deliberare la messa in liquidazione della societa' debitrice e la presentazione della presente proposta di concordato preventivo. Del resto, a fronte della prospettata «giuridica» omogeneita' di trattamento della categoria dei creditori chirografari, la oggettiva eterogeneita' degli interessi economici, distintamente riferibili al ceto bancario e alla parte residua della predetta comunita' dei creditori, nel caso di specie trova ulteriore conferma fattuale nelle peculiari modalita' di accesso della societa' debitrice alle fonti di finanziamento offerte nel corso degli anni dai vari istituti di credito e di fatto «congelate» a partire dal mese di maggio 2008: modalita' operative caratterizzate, in sostanza, dall'utilizzo di linee di credito a breve termine su anticipazione di fatture di importazione merci, quale ordinario mezzo di pagamento dei numerosi fornitori stranieri, nei confronti dei quali il gia' manifestatosi comportamento inadempiente da parte della debitrice Samar S.p.A. non puo' non ragionevolmente atteggiarsi - alla stregua del criterio dell'interesse economico indicato dall'art. 160, comma 1, lett. c), ed in funzione delle reali aspettative di recupero delle correlative ed esigibili ragioni creditorie (numericamente maggioritarie e quantitativamente comunque significative, indicate nella relazione ex art. 161, comma 3, l.f., in complessivi € 9.292.440) - in termini «differenziati» e, quindi, di potenziale «conflitto» rispetto alle eventuali strategie di voto sulla proposta di concordato da parte del predetto ceto bancario, titolare della (sola) maggioranza «quantitativa» del credito chirografario concorsuale (€ 34.402.005, a fronte di un totale della predetta massa passiva chirografaria indicato nella relazione ex art. 161, comma 3, l.f. in complessivi € 45.694.449). Rilevata, pertanto, sulla base della documentazione allegata alla domanda di concordato e delle specifiche deduzioni ivi contenute, la sussistenza di indici fattuali di «disomogeneita» di interessi economici caratterizzanti la composizione della categoria dei creditori chirografari (destinatari del piano concordatario, la cui regolarita' formale sotto tutti i restanti presupposti di legalita' e di concreta «fattibilita», criticamente verificata ed attestata nella relazione redatta ai sensi dell'art. 161, comma 3, l.f. dal dott. Andrea Foglio Bonda, come gia' evidenziato, puo' ritenersi ragionevolmente riscontrata), s'impone la pregiudiziale verifica, gia' nella presente fase procedimentale (deputata al riscontro dei presupposti di ammissibilita' della domanda di concordato), della sussistenza in capo a questo tribunale del potere di sindacare la scelta - rimasta in parte qua immutata anche dopo i chiarimenti e le integrazioni documentali forniti all'esito dell'udienza di comparizione dinanzi al collegio del 2 aprile 2009 - della debitrice ricorrente di prospettare detta strutturazione del ceto creditorio (anche) Risulta, invero, controversa in dottrina l'affermazione secondo cui in alcune ipotesi sarebbe auspicabile (se non doverosa) la suddivisione in classi anche dei creditori muniti di prelazione; dovendo essere salvaguardato, in assoluto, anche nei confronti di costoro il principio della omogeneita' delle posizioni economiche, soprattutto nei casi in cui viene prospettato dal debitore un soddisfacimento (sia pure integrale) di tale tipologia di crediti in tempi non specificamente preventivati o comunque, in quanto, ad esempio (come nella fattispecie concreta oggetto del presente giudizio), eziologicamente ancorati al realizzo di beni immobili offerti in cessione ai creditori concorsuali: realizzo, a sua volta, spesso oggettivamente influenzato da imprevedibili variabili di aleatorieta' del mercato, nel caso di specie comunque criticamente valutate nella relazione ex art. 161, comma 3, l.f. allegata alla proposta di concordato presentata dalla Samar S.r.l., sulla base anche della perizia di stima autonomamente richiesta dal professionista incaricato della redazione della predetta relazione. chirografario come «unitaria», senza, appunto, alcuna suddivisione in classi non omogenee: scelta che - ancorche' formalmente legittima, in quanto espressamente consentita dall'art. 160, comma 1, lett. c), l.f. - tuttavia rende rilevante e non manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 163, comma 1, ultima parte, l.f., individuato (ex art. 23, comma 1, legge 11 marzo 1953, n. 87) quale disposizione normativa applicabile ai fini della decisione in ordine all'ammissione della societa' ricorrente alla procedura di concordato preventivo. Com'e' noto, la possibilita' per l'imprenditore (individuale o collettivo) - in possesso dei requisiti soggettivi di cui all'art. 1, l.f. e che alleghi di trovarsi in uno stato di crisi o di insolvenza - di configurare nella proposta di concordato preventivo piu' classi di creditori costituisce una delle novita' piu' significative introdotte dalla riforma di tale procedura concorsuale (e di quella del concordato fallimentare) sull'esempio dei principali ordinamenti stranieri e rinviene il proprio antecedente normativo nella legge 18 febbraio 2004, n. 39, specificamente dettata per il concordato delle grandi imprese in stato di insolvenza. Cio' posto, va consolidandosi in seno alla piu' attenta dottrina in materia l'opinione che - al di la' della formula (alquanto vaga) Al riguardo, e' stato acutamente osservato come la nozione di «correttezza» che la legge evoca non abbia nulla a che vedere con la correttezza intesa come «buona fede». Corretta formazione delle classi significa, essenzialmente, omogeneita' nella distribuzione delle risorse alla luce della diversita' delle posizioni dei creditori; significa attenta e analitica frammentazione del ceto creditorio in modo che tutte le differenze vengano evidenziate in funzione di sollecitare un consenso genuino ed «imparziale» da parte della maggioranza del creditori ammessi al voto. utilizzata dal legislatore della riforma, nell'art. 163, comma 1, l.f., per individuare il relativo parametro di giudizio («...il tribunale provvede analogamente previa valutazione della correttezza dei criteri di formazione delle diverse classi..») -, da un lato colloca l'esercizio del potere-dovere del tribunale di verificare, gia' nella fase di ammissione alla procedura, (anche) la correttezza della formazione delle classi nell'ambito del piu' generale controllo preventivo di legittimita' del piano concordatario, dall'altro individua la ragionevole giustificazione giuridica di tale intervento «esterno» dell'autorita' giudiziaria nella operativita' dei limiti (negativi e positivi) imposti, in via generale ed a livello di garanzia costituzionale, all'autonomia privata (art. 1322, comma 1, c.c.) dagli artt. 2 e 41, commi 2 e 3 Cost.; risultando in tal modo - e alle predette «condizioni» - comunque salvaguardata l'innovativa ottica (adottata dal legislatore della riforma) di privilegiare la risoluzione delle situazioni di «crisi» imprenditoriale attraverso l'utilizzo di strumenti di matrice privatistica in fattispecie che riflettono anche esigenze di tutela di interessi di natura «collettiva» (e quindi pubblica in senso lato), riferite, nel concordato preventivo, agli interessi dell'intera massa dei creditori; e cio', proprio in relazione a quelle situazioni potenzialmente 'patologiche' in cui la ripartizione in classi, nei termini prospettati dal debitore, non risponda ad uno scopo meritevole di tutela da parte dell'ordinamento giuridico. In particolare, a sostegno della intrinseca coerenza di tale ricostruzione della ratio sottesa alla previsione di un potere di sindacato del tribunale nei limiti espressamente delineati dall'art. 163, comma l, ultima parte l.f., e' stato osservato come, a ben vedere, il piano di concordato (in quanto non preceduto da una fase di trattative con la «controparte» interessata) non possa non qualificarsi giuridicamente in termini di (mero) atto gestorio programmatico di ristrutturazione dei debiti (e tendenzialmente finalizzato anche all'eventuale conservazione dell'impresa), la cui potenziale efficacia quale proposta contrattuale (sottoposta all'accettazione del ceto creditorio concorsuale), tuttavia, risulta essere stata, di fatto, «sospensivamente condizionata» dal legislatore al superamento del preliminare vaglio di «proponibilita» da parte del tribunale. Del pari, largamente condivisa risulta l'affermazione secondo cui tale controllo «esterno» del tribunale trova il proprio fondamento - ma nel contempo anche il proprio limite intrinseco di operativita' - nel delicato potere-dovere di sindacare, esclusivamente, la congruita' (rectius: correttezza) dei criteri utilizzati dal debitore per la formazione delle diverse classi dei creditori, con esclusione di qualsiasi interferenza di carattere «sostitutivo» rispetto alle specifiche scelte negoziali al riguardo liberamente effettuate dal debitore medesimo: non essendo, ad esempio, consentita al tribunale in questa fase procedimentale non contenziosa (a differenza di quanto previsto nella successiva fase dell'omologazione in caso di presentazione di opposizioni da parte dei creditori dissenzienti) un'autonoma riformulazione della suddivisione in classi del ceto creditorio, ne' tanto meno una valutazione in merito alle concrete modalita' ed ai criteri di distribuzione delle risorse in favore dei creditori concorsuali, salvo il divieto generale imposto al debitore di non alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione (art. 160, comma 2, ultima parte, l.f.).Cosi' delimitato il thema decidendum e positivamente riscontratane, pertanto, la rilevanza ai fini del vaglio di ammissibilita' della preposta di concordato presentata da Samar S.r.l. in liquidazione, appare in primo luogo insuperabile - in quanto ancorata al chiaro tenore letterale dell'art. 160, comma 1, lett. d), l.f. («L'imprenditore che si trova in stato di crisi puo' proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che puo' prevedere: d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse....») - l'obiezione, patrocinata da una parte della dottrina, secondo cui la discrezionalita' (ancorche' «vincolata» Come desumibile (anche) dal principio generale sancito nel comma 2, ultima parte, del citato art. 160 ( «..Il trattamento stabilito per ciascuna classe non puo' avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione..»). del debitore di suddividere i creditori in classi non puo' ritenersi normativamente (e necessariamente) correlata alla previsione di un trattamento differenziato dei creditori appartenenti a classi diverse Al riguardo, e' stato efficacemente evidenziato che va senza dubbio ammessa la possibilita' di creare classi diverse di creditori ai quali si prospetta il medesimo trattamento, purche' vi siano posizioni non omogenee fra i creditori. In particolare, se la proposta prevede il pagamento di una certa misura ai creditori chirografari obbligazionisti e ai fornitori, e' sicuramente lecito porli in classi diverse, posto che i loro interessi si fondano su presupposti diversi (l'occasionalita' o la continuita' dei rapporto da cui e' sorto il credito). In altri termini, priva di solido aggancio normativo deve ritenersi ogni diversa ricostruzione (della volonta' del legislatore) che, passando attraverso una eccessiva valorizzazione del disposto di cui all'art. 160, comma 1, lett. d), l.f., mirasse a sostenere l'esistenza di un divieto per il tribunale di sindacare l'omessa formazione di classi quando nella proposta di concordato preventivo (di cui rimane dominus il debitore) sia previsto lo stesso trattamento per tutti i creditori chirografari. Orbene, nel senso della infondatezza giuridica di tale ricostruzione depone il rilievo che, in realta', la norma in questione pone l'unico limite di trattamenti differenziati fra creditori che fanno parte di una stessa classe, restando, per contro, impregiudicata la facolta' del debitore di riservare lo stesso trattamento a creditori che appartengono a classi differenti, nell'ambito di ciascuna delle quali va verificato il raggiungimento della maggioranza prevista dall'art. 177, comma 1, l.f., ma plausibilmente risponde all'autonoma esigenza di fondo (cui deve ritenersi senza dubbio ispirata tutta la novellata disciplina del concordato preventivo) di consentire al debitore (in stato di crisi o insolvente) di strutturare il proprio ceto creditorio (sia privilegiato Vd. art. 160, comma 2, prima parte. che chirografario) in funzione del conseguimento del consenso sulla proposta di concordato, attraverso il pronosticato voto favorevole delle «maggioranze» previste dall'art. 177, comma 1, l.f. («Il concordato e' approvato, dai creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato e' approvato se tale maggioranza si verifica inoltre nel maggior numero di classi.»). Sotto tale profilo va condivisa l'opzione ricostruttiva che individua la ratio della suddivisione in classi nella avvertita esigenza da parte del legislatore della riforma «a tappe» della legge fallimentare (iniziata con il d.l. 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, e proseguita con il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e con il d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169) di prevedere un primo livello di «sterilizzazione » di potenziali conflitti di interessi tra le diverse posizioni giuridiche e categorie economiche dei creditori in concreto interessati alla proposta di concordato formulata dal «comune» debitore; e cio', in funzione preventiva rispetto alla eventuale «concretizzazione» di tali conflitti al momento del voto vincolante della maggioranza del ceto creditorio (solo in parte ed in via generale, a sua volta, neutralizzata dal necessario raggiungimento anche della maggioranza «..nel maggior numero di classi..», ove, appunto, previste sin dall'inizio nella proposta di concordato). Ed invero, puo' ritenersi dato di comune esperienza il fatto che, benche' nel concordato preventivo il comune interesse dei creditori e' in definitiva rappresentato dalla aspirazione alla massima realizzazione del credito, spesso (e la «composizione» del ceto creditorio evidenziata nella proposta di concordato che ci occupa ne costituisce una emblematica conferma) le scelte di alcune tipologie di creditori sono condizionate dal perseguimento di interessi diversi. Non mancano, anche nella piu' recente giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Milano, ord., 4 dicembre 2008), esempi di fattispecie concrete caratterizzate dalla posizione di coloro che istituzionalmente erogano finanziamenti (che rappresentano, generalmente, una parte rilevante dei crediti ammessi al voto) o che vantano garanzie da parte di terzi ovvero di coloro che ricavano dall'esecuzione dei rapporti commerciali con il debitore una parte cospicua delle proprie entrate, i quali sono piu' disposti a votare in.favore di ristrutturazioni, anche sensibili, dei debiti, pur di consentire la prosecuzione dell'attivita' imprenditoriale, eventualmente previo rilascio di garanzie, a differenza dei creditori cd. involontari ovvero dei clienti titolari di crediti derivanti da inadempimenti contrattuali, i quali vedono con maggiore favore soluzioni che consentano di conseguire una percentuale piu' alta del credito vantato. Ma se quanto sopra evidenziato e' il reale fondamento normativo che sta alla base della facolta' del debitore di formazione delle classi e che, di per se', rende coerente e giustificata sul piano sistematico (e gia' nella fase di ammissione alla procedura concorsuale) la previsione del potere di sindacato in capo al tribunale, ex art. 163, comma l, ultima parte l.f., appare, per contro, del tutto irragionevole non riconoscere il medesimo spazio valutativo giurisdizionale sulla «scelta» - anch'essa senz'altro espressione della medesima liberta' «negoziale» offerta dall'ordinamento al debitore di proporre un determinato regolamento del proprio stato di crisi (o di insolvenza: vd. art. 160, ultimo comma, l.f.) - di non tenere conto della effettiva e documentata (dallo stesso debitore) eterogeneita', della posizione giuridica e sul piano degli interessi economici, del ceto creditorio concorsuale: scelta quest'ultima che - laddove risultasse, anche in astratto, ispirata dal fine di evitare il rischio che il voto contrario di una classe (strumentalmente «non prevista») possa pregiudicare l'approvazione del concordato - rimarrebbe di fatto (in caso di positivo riscontro della sussistenza di tutti gli altri presupposti di ammissibilita' previsti dagli artt. 160, commi primo e secondo, e 161 l.f.) priva di adeguata e tempestiva «sanzione» processuale, pur restando in tale ipotesi immutati sul piano sostanziale (art. 3 Cost.) i presupposti per l'esercizio del predetto sindacato dell'autorita' giudiziaria. Non a caso, al dichiarato fine di tentare di superare (in via interpretativa) tale aporia normativa (resa evidente dal tassativo tenore letterale del citato art. 163 l.f. «..ove siano previste diverse classi di creditori, il tribunale provvede..») parte della piu' attenta dottrina in materia ha intrapreso percorsi ermeneutici Sostanzialmente parametrati sulla trasposizione nella sede concordataria dei principi elaborati in tema di invalidita' delle delibere di assemblea di societa' per azioni, con il necessario adattamento imposto dalla presenza dell'istituto delle classi, dall'oggetto del giudizio e dai poteri officiosi riconosciuti al tribunale che, tuttavia, a parere di questo tribunale non appaiono immuni da profili di artificiosita' argomentativa, nella parte in cui si afferma che, a ben vedere, la proposta di concordato senza classi e' come se fosse articolata con classe unica (pervenendo, di conseguenza, alla conclusione di ritenere non incompatibile il sindacato sulla corretta formazione delle classi, affidato alla autorita' giudiziaria, con una affermazione di inammissibilita' della proposta «perche' l'unica classe non consente di differenziare posizioni economiche disomogenee»). A dimostrazione della infondatezza (logica, prima ancora che giuridica) di tale opzione interpretativa possono richiamarsi le obiezioni di chi ha evidenziato come la (mera) suddivisione dei creditori in prelatizi e chirografari si risolva in un rinvio implicito alle categorie giuridiche imposte dall'ordine segnato dalla legge, con esclusione, pertanto, in tale ipotesi di qualsiasi scelta da parte del debitore in ordine alla reale differenziazione nell'ambito di ciascuna delle categorie in questione in attuazione della autonomia che il legislatore (con l'art. 160, comma 1, lett. c), l.f.) ha inteso riconoscere proprio attraverso la previsione della possibilita' della formazione delle classi Peraltro, secondo la condivisibile opinione che si sta citando, se nel caso ipotizzato si considerano formate due classi (con l'anomalia di una intera classe, quella dei creditori preferenziali, che non vota), diventa impossibile stabilire se il concordato e' approvato, posto che la nuova formulazione del primo comma dell'art. 177 richiede per l'approvazione che la maggioranza sia raggiunta «inoltre nel maggior numero di classi». In particolare, se si ritiene che, nell'ipotesi fatta, la classe sia solo quella dei chirografari, si raggiunge l'obiettivo di avere un numero dispari di classi, ma si evidenzia anche l'inutilita' del fantomatico classamento, perche', considerato che i privilegiati non votano, che la massa dei chirografari sia considerata o non una classe nulla cambia ai fini del voto. In una diversa, ma connessa, prospettiva si colloca altra parte della dottrina che - valorizzando gli strumenti di tutela (nella specie, l'opposizione) offerti ai singoli creditori nella successiva fase della omologazione - individua in una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 180, comma 4, l.f. (norma completamente riscritta dal d.lgs. n. 169 del 2007) la valvola di sicurezza per la tenuta del microsistema del concordato preventivo; evidenziando, in particolare, come anche nelle ipotesi di omessa formazione della classi al creditore dissenziente deve essere comunque riconosciuta la facolta' di proporre opposizione per sostenere che il concordato non e' conveniente per la massa dei creditori, non prevedendo la legge alcun limite in tal senso. Cio' posto, ritiene il collegio che entrambe le sopra richiamate opzioni interpretative - in quanto specificamente incentrate sulla ricerca di appaganti (ed opposte) soluzioni della complessa problematica relativa alla possibile individuazione di spazi normativi da cui desumere un eventuale obbligo di formazione delle classi in capo al debitore -scontino un difetto di concreta irrilevanza ai fini del superamento del dubbio di costituzionalita' che si prospetta nel presente giudizio; e cio' sull'assorbente ed insuperabile rilievo che la risposta in senso affermativo a tale interrogativo di fondo non possa - de iure condito, stante il chiaro tenore letterale dell'art. 160, comma 1, l.f. («..puo' proporre ai creditori un concordato preventivo sulla base di un piano che puo' prevedere...») - Rilievo quest'ultimo che obiettivamente sembra ricevere ulteriore riscontro di plausibilita' ermeneutica sia dal disposto di cui all'art. 177 l.f., laddove prevede, ai fini della formazione delle maggioranze, che «ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato e' approvato... », sia, e soprattutto, dall'attuale tenore letterale (dopo le modifiche apportate dal d.l. 29 novembr 2008, n. 185, convertito con ulteriori modifiche nella L. 28 gennaio 2009 n. 2) dell'art. 182-ter l.f., attestante la inequivoca scelta operata dal legislatore nel senso della facoltativita' della formazione delle classi («se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non puo' essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari, ovvero, nel caso di suddivisioni in classi, dei creditori rispetto ai quali e' previsto un trattamento piu' favorevole»), desumibile dalla espressa previsione di un trattamento differenziato dei crediti chirografari tributari «condizionato» proprio alla eventualita' della formazione delle classi. prescindere da un espresso (e discrezionale) intervento del legislatore in tal senso. In realta', come gia' evidenziato in premessa, si tratta, piu' riduttivamente (anche con riferimento alle consequenziali ed inevitabili ricadute sul piano sistematico) Alla stregua di tale specifica prospettazione della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale che questo tribunale reputa di sollevare in relazione al (solo) parametro generale di cui all'art. 3 Cost., non appare superfluo osservare (al fine di sgombrare il campo da qualsiasi equivoco argomentativo) come nella fattispecie concreta possano escludersi autonomi profili di eventuale illegittima interferenza pregiudizievole con altri principi costituzionali: primo fra tutti quello della tutela (sia sostanziale che processuale) dei diritti soggettivi individuali sancito nell'art. 24 Cost. (cfr. Corte sost., sent. n. 110 del 1995 e n. 155/1994 cit.). di verificare la coerenza interna, e quindi la compatibilita' con il generale principio costituzionale di ragionevolezza (art. 3 Costa.), della scelta, cosi' come in concreto operata dal legislatore della riforma, di calibrare - gia' nella fase di ammissione al concordato preventivo - la concreta operativita' dei (pur fortemente ridimensionati) spazi di eterotutela giurisdizionale degli interessi dei creditori «concorsuali» destinatari «passivi» (nel senso della mancanza in detta fase di qualsiasi contraddittorio) della proposta di concordato formulata dal debitore: proposta la cui potenziale efficacia «vincolante» nei confronti della predetta comunita' dei creditori, se, da un lato, trova il suo fondamento oggettivo nello stato di crisi o di insolvenza del «comune» debitore (e quindi nell'esigenza di favorire un regolamento dei conflitti di interessi trai creditori, da ritenersi tuttora parametrato sula tendenziale rispetto del principio della par conditio creditorum, sia pure rimodulato secondo i piu' ristretti limiti imposti dai criteri di «classamento» indicati dal legislatore della riforma) In tale prospettiva non sembrano del tutto superate le affermazioni di principio evidenziate, prima delle recenti e radicali riforme della legge fallimentare, da Corte cost., sent. n. 155 del 1994. , dall'altro non puo' ritenersi sottratta - proprio in considerazione dell'assenza di un preventivo contraddittorio tra le potenziali parti «contrattuali» e nell'ambito del rispetto dei generali limiti imposti dall'ordinamento alla libera esplicazione dell'autonomia privata - al sindacato «esterno» di legittimita' tuttora riservato all'autorita' giudiziaria; sindacato che nel sistema normativo delineato dal combinato disposto degli artt. 163, comma 1, 160, comma 1, lett. c, 177 e 180, comma 4, l.f. trova la sua massima espressione, e nel contempo (forse) il profilo piu' delicato e problematico, proprio laddove rapportato alla verifica della «correttezza» della scelta del debitore di suddividere i creditori in classi sulla base dei criteri (espressamente enucleati dal legislatore della riforma delle procedure concorsuali) della identita' di posizione giuridica e di quello (per la verita', connotato da evanescenza definitoria e contenutistica) della omogeneita' degli interessi economici. Ritiene, in definitiva, il collegio che la rilevata (per quanto sopra argomentato) intrinseca irragionevolezza (art. 3 Cost.) dell'asimmetria normativa emergente dal tassativo tenore letterale dell'art. 163, comma ultima parte, l.f., non appare manifestamente infondata e puo' essere «sanata» soltanto attraverso un intervento di carattere manipolativo/additivo da parte della Corte costituzionale, che «estenda» il potere di sindacato del tribunale - espressamente previsto dalla norma in questione solo - con riguardo al quomodo dell'avvenuta formazione di classi - all'ipotesi di omessa, nella proposta di concordato preventivo, suddivisione del ceto creditorio in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei. (1) Si evidenzia, infatti, nella citata memoria integrativa che «nella prima proposta di risanamento - risalente al settembre 2008 - Samar, recependo quelle stime, chiese alle banche non solo il consolidamento del debito esistente, ma anche «nuova finanza» per circa € 17.200.000, parte della quale - circa € 4.200.000 - avrebbe dovuto essere destinata a far fronte allo sbilancio patrimoniale di Ced Italia a fine 2009 in dipendenza delle perdite stimate (€ 2.550.000 circa) e degli ulteriori oneri di liquidazione (€ 1.650.000 circa dovuti in gran parte alla necessita' di risolvere anzitempo contratti pluriennali di franchising in essere), posto che per il «sistema bancario» non sarebbe stato accettabile rifinanziare la capogruppo (Samar) di una societa' eventualmente fallita (Ced Italia). Sebbene senza prendere formalmente posizione le banche, il legale delle banche, avv. Carlo Alberto Giovanardi, faceva sapere all'avv. Luca Boggio che, per le banche assistite, non era accettabile l'utilizzo della nuova finanza per la copertura di perdite e il finanziamento di una liquidazione societaria, potendo essere utilizzata solo per la continuita' dell'esercizio dell'azienda. Fu cosi' che, preso atto dei (comprensibili) vincoli nei quali si trovavano le banche creditrici nel rifinanziare Samar, si decise di trovare un acquirente per le azioni Ced Italia o per l'azienda da questa posseduta, alfine di trovare la soluzione meno onerosa e piu' rapida tale che rendesse possibile a Samar di accedere al rifinanziamento bancario, condizione necessaria per non cessare l'attivita' aziendale ...». (2) Risulta, invero, controversa in dottrina l'affermazione secondo cui in alcune ipotesi sarebbe auspicabile (se non doverosa) la suddivisione in classi anche dei creditori muniti di prelazione; dovendo essere salvaguardato, in assoluto, anche nei confronti di costoro il principio della omogeneita' delle posizioni economiche, soprattutto nei casi in cui viene prospettato dal debitore un soddisfacimento (sia pure integrale) di tale tipologia di crediti in tempi non specificamente preventivati o comunque, in quanto, ad esempio (come nella fattispecie concreta oggetto del presente giudizio), eziologicamente ancorati al realizzo di beni immobili offerti in cessione ai creditori concorsuali: realizzo, a sua volta, spesso oggettivamente influenzato da imprevedibili variabili di aleatorieta' del mercato, nel caso di specie comunque criticamente valutate nella relazione ex art. 161, comma 3, l.f. allegata alla proposta di concordato presentata dalla Samar S.r.l., sulla base anche della perizia di stima autonomamente richiesta dal professionista incaricato della redazione della predetta relazione. (3) Al riguardo, e' stato acutamente osservato come la nozione di «correttezza» che la legge evoca non abbia nulla a che vedere con la correttezza intesa come «buona fede». Corretta formazione delle classi significa, essenzialmente, omogeneita' nella distribuzione delle risorse alla luce della diversita' delle posizioni dei creditori; significa attenta e analitica frammentazione del ceto creditorio in modo che tutte le differenze vengano evidenziate in funzione di sollecitare un consenso genuino ed «imparziale» da parte della maggioranza del creditori ammessi al voto. (4) Come desumibile (anche) dal principio generale sancito nel comma 2, ultima parte, del citato art. 160 ( «..Il trattamento stabilito per ciascuna classe non puo' avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione..»). (5) Al riguardo, e' stato efficacemente evidenziato che va senza dubbio ammessa la possibilita' di creare classi diverse di creditori ai quali si prospetta il medesimo trattamento, purche' vi siano posizioni non omogenee fra i creditori. In particolare, se la proposta prevede il pagamento di una certa misura ai creditori chirografari obbligazionisti e ai fornitori, e' sicuramente lecito porli in classi diverse, posto che i loro interessi si fondano su presupposti diversi (l'occasionalita' o la continuita' dei rapporto da cui e' sorto il credito). In altri termini, priva di solido aggancio normativo deve ritenersi ogni diversa ricostruzione (della volonta' del legislatore) che, passando attraverso una eccessiva valorizzazione del disposto di cui all'art. 160, comma 1, lett. d), l.f., mirasse a sostenere l'esistenza di un divieto per il tribunale di sindacare l'omessa formazione di classi quando nella proposta di concordato preventivo (di cui rimane dominus il debitore) sia previsto lo stesso trattamento per tutti i creditori chirografari. Orbene, nel senso della infondatezza giuridica di tale ricostruzione depone il rilievo che, in realta', la norma in questione pone l'unico limite di trattamenti differenziati fra creditori che fanno parte di una stessa classe, restando, per contro, impregiudicata la facolta' del debitore di riservare lo stesso trattamento a creditori che appartengono a classi differenti, nell'ambito di ciascuna delle quali va verificato il raggiungimento della maggioranza prevista dall'art. 177, comma 1, l.f. (6) Vd. art. 160, comma 2, prima parte. (7) Sostanzialmente parametrati sulla trasposizione nella sede concordataria dei principi elaborati in tema di invalidita' delle delibere di assemblea di societa' per azioni, con il necessario adattamento imposto dalla presenza dell'istituto delle classi, dall'oggetto del giudizio e dai poteri officiosi riconosciuti al tribunale (8) Peraltro, secondo la condivisibile opinione che si sta citando, se nel caso ipotizzato si considerano formate due classi (con l'anomalia di una intera classe, quella dei creditori preferenziali, che non vota), diventa impossibile stabilire se il concordato e' approvato, posto che la nuova formulazione del primo comma dell'art. 177 richiede per l'approvazione che la maggioranza sia raggiunta «inoltre nel maggior numero di classi». In particolare, se si ritiene che, nell'ipotesi fatta, la classe sia solo quella dei chirografari, si raggiunge l'obiettivo di avere un numero dispari di classi, ma si evidenzia anche l'inutilita' del fantomatico classamento, perche', considerato che i privilegiati non votano, che la massa dei chirografari sia considerata o non una classe nulla cambia ai fini del voto. (9) Rilievo quest'ultimo che obiettivamente sembra ricevere ulteriore riscontro di plausibilita' ermeneutica sia dal disposto di cui all'art. 177 l.f., laddove prevede, ai fini della formazione delle maggioranze, che «ove siano previste diverse classi di creditori, il concordato e' approvato... », sia, e soprattutto, dall'attuale tenore letterale (dopo le modifiche apportate dal d.l. 29 novembr 2008, n. 185, convertito con ulteriori modifiche nella L. 28 gennaio 2009 n. 2) dell'art. 182-ter l.f., attestante la inequivoca scelta operata dal legislatore nel senso della facoltativita' della formazione delle classi («se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non puo' essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari, ovvero, nel caso di suddivisioni in classi, dei creditori rispetto ai quali e' previsto un trattamento piu' favorevole»), desumibile dalla espressa previsione di un trattamento differenziato dei crediti chirografari tributari «condizionato» proprio alla eventualita' della formazione delle classi. (10) Alla stregua di tale specifica prospettazione della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale che questo tribunale reputa di sollevare in relazione al (solo) parametro generale di cui all'art. 3 Cost., non appare superfluo osservare (al fine di sgombrare il campo da qualsiasi equivoco argomentativo) come nella fattispecie concreta possano escludersi autonomi profili di eventuale illegittima interferenza pregiudizievole con altri principi costituzionali: primo fra tutti quello della tutela (sia sostanziale che processuale) dei diritti soggettivi individuali sancito nell'art. 24 Cost. (cfr. Corte sost., sent. n. 110 del 1995 e n. 155/1994 cit.). (11) In tale prospettiva non sembrano del tutto superate le affermazioni di principio evidenziate, prima delle recenti e radicali riforme della legge fallimentare, da Corte cost., sent. n. 155 del 1994.