Ordinanza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  12-bis  della
legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi  di  scioglimento
del matrimonio), introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n.
74  (Nuove  norme  sulla  disciplina  dei  casi  di  scioglimento  di
matrimonio), promosso  dal  Tribunale  di  Catania  nel  procedimento
vertente tra G.G. e  L.D.L.  con  ordinanza  del  24  novembre  2009,
iscritta al n. 48 del registro  ordinanze  2009  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  8, 1ª   serie   speciale,
dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio dell'8  luglio  2009  il  giudice
relatore Paolo Grossi. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di  Catania -  con  ordinanza
del 24 novembre 2008, emessa nel giudizio  instaurato  dalla  signora
G.G. contro l'ex coniuge  L.D.L.  per  ottenere  la  liquidazione  in
proprio favore della quota del trattamento di fine rapporto percepita
da quest'ultimo, da determinare nella misura del quaranta  per  cento
in relazione alla durata legale del  matrimonio -  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  articoli  3,  29,  38  e  47  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-bis della legge
1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei  casi  di  scioglimento  del
matrimonio), introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n.  74
(Nuove  norme  sulla  disciplina  dei   casi   di   scioglimento   di
matrimonio), «sia sotto il profilo  espressamente  prospettato  dalla
parte resistente sia sotto ulteriori profili suscettibili di  rilievo
anche officioso»; 
        che l'ex  coniuge  convenuto -  gia'  lavoratore  dipendente,
collocato in pensione  in  epoca  successiva  alla  dichiarazione  di
cessazione degli  effetti  civili  del  matrimonio -  ha  chiesto  di
calcolare «la quota spettante al  coniuge  divorziato  esclusivamente
con riferimento agli anni di  effettiva  convivenza  tra  i  coniugi,
anziche' con riferimento alla durata legale  del  matrimonio,  previa
eventuale rimessione alla Corte  costituzionale  della  questione  di
legittimita' costituzionale  dell'art.  12-bis,  legge  n.  898/1970,
interpretato secondo l'orientamento consolidato nella  giurisprudenza
di legittimita»; 
        che, in punto di  rilevanza,  il  giudice  rimettente  reputa
sussistenti  «tutti  gli  elementi  di  fattispecie  previsti»  dalla
disposizione denunciata, «direttamente applicabile per  la  soluzione
della controversia insorta inter partes ed  immediatamente  rilevante
ai fini della decisione»; 
        che, quanto alla non manifesta infondatezza, la  disposizione
denunciata, ad avviso del rimettente, «gia' nella sua intera  portata
precettiva, appare suscettibile di contrasto sia con l'art.  3  della
Costituzione, per  violazione  del  principio  di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza, sia con l'art. 29 della Costituzione, per  violazione
dei principi di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, sui quali
e'  ordinato  l'istituto  del  matrimonio  nel  vigente   ordinamento
giuridico, sia, infine, con i principi dettati a tutela previdenziale
dei lavoratori  dipendenti  e  del  risparmio  oggetto  di  copertura
costituzionale ai sensi degli artt. 38 e 47 Cost.»; 
        che «la formulazione letterale della norma» e,  «soprattutto,
la  sua  interpretazione  giurisprudenziale  ormai  consolidata»  non
consentirebbero «di superare,  in  via  interpretativa,  alcuni  seri
dubbi di costituzionalita»,  sembrando  essa  «disciplinare  in  modo
diseguale la posizione di soggetti in posizioni del tutto analoghe»; 
        che, in particolare, da un lato, non  apparirebbe  «in  alcun
modo  ragionevole»,  anche  «in  evidente  contrasto  con  la  natura
assistenziale dell'istituto,  la  previsione  normativa  del  diritto
all'attribuzione della quota del TFR soltanto in favore  del  coniuge
divorziato da un soggetto lavoratore dipendente e non gia'  a  favore
del  coniuge  divorziato  da  un  soggetto  imprenditore   o   libero
professionista»; e, dall'altro, «nell'ambito della medesima categoria
dei lavoratori  dipendenti»,  parrebbe  «tanto  piu'  irragionevole»,
oltre che «in netto contrasto con la ratio compensativa dell'istituto
in esame», non consentire  al  coniuge  separato  di  «vantare  alcun
diritto in ordine al TFR che venga percepito  dall'altro  coniuge  in
costanza di separazione e prima del divorzio», «proprio in un momento
storico in cui il matrimonio  non  e'  ancora  venuto  meno,  sicche'
persistono alcuni obblighi di solidarieta' coniugale  tra  i  coniugi
sicuramente  maggiori  rispetto  a  quelli   di   mera   solidarieta'
postconiugale  che  residuano  tra  gli  ex  coniugi  in  seguito  al
divorzio»; 
        che viene  proposto,  «in  via  gradata»  e  sotto  un  «piu'
limitato profilo», «un ulteriore dubbio  di  costituzionalita'  della
norma in esame per violazione di tutti i principi sopra evidenziati»,
in riferimento sia «alla  predeterminazione  in  misura  fissa  della
quota dell'indennita' di fine rapporto spettante» («senza  consentire
alcun  intervento  correttivo  del  Giudice  di  merito»  diretto   a
«ponderare le contrapposte situazioni economiche dell'obbligato e del
beneficiario», «in contrasto con  la  finalita'  assistenziale  della
norma ed a differenza di quanto normalmente accade nella materia  del
diritto  di  famiglia»);   sia   all'«interpretazione   assolutamente
prevalente del concetto di durata  del  matrimonio»  («nel  senso  di
ricomprendervi anche il periodo,  successivo  alla  cessazione  della
convivenza, che va dalla separazione sino al passaggio  in  giudicato
della pronunzia di divorzio»); 
        che, su queste basi, potrebbero  verificarsi  «ingiustificate
parificazioni tra situazioni diverse» (in ipotesi attribuendosi a  un
ex coniuge una percentuale di indennita'  «del  tutto  sproporzionata
rispetto alla contribuzione alla conduzione  della  famiglia,  specie
laddove non siano nati figli dal matrimonio,  come  e'  avvenuto  nel
caso oggetto del giudizio a quo»; o ottenendosi «situazioni di vero e
proprio ingiustificato arricchimento del coniuge beneficiario a danno
dell'obbligato», ove «il divorzio venga pronunziato molto tempo  dopo
la separazione», o quando il beneficiario goda «del proprio TFR» o di
«altro incremento patrimoniale esterno»), con la conseguenza  che  la
«sottrazione al lavoratore dipendente di parte  del  suo  trattamento
previdenziale e del  suo  risparmio  forzoso»  resterebbe  «priva  di
giustificazione perche' svincolata dalla solidarieta' economica tra i
coniugi» e l'interessato potrebbe  trovare  un  correttivo  «soltanto
meramente  indiretto  e  parziale»  nella  eventuale   richiesta   di
riduzione dell'assegno divorzile; 
        che,   nel   proporre   la    questione    di    legittimita'
costituzionale, il giudice rimettente si dichiara consapevole che  la
medesima, prospettata «sotto un profilo del tutto analogo»,  e'  gia'
stata dichiarata infondata con la sentenza n. 23 del 1991, reputando,
tuttavia, sussistenti «nuove ragioni» per un ulteriore scrutinio, sia
«alla luce dell'evoluzione sociale ed  economica  verificatasi  negli
ultimi   anni   nel   paese»,   sia,   «soprattutto»,   «alla    luce
dell'evoluzione normativa registratasi» con l'entrata in vigore della
legge n. 54 del 2006, in tema di affidamento  condiviso  della  prole
minore, «in vista della tutela del c.d. diritto alla bigenitorialita'
dei minori»; 
        che, infatti,  «essendo  stato  integralmente  ribaltato  dal
legislatore del 2006 il criterio ordinario di affidamento della prole
minore e dovendo ritenersi ormai quanto meno paritario il  contributo
dei coniugi, pur in costanza della crisi del  loro  matrimonio,  alla
cura ed alla responsabilita' nei confronti dei figli»  («dovere  che,
peraltro, trova diretto fondamento nel rapporto  di  filiazione  piu'
che nei doveri matrimoniali»), sarebbero  «destinate  a  venir  meno»
«buona parte delle ragioni sottese» alla richiamata  sentenza  n.  23
del 1991  («allorquando  il  caso  paradigmatico  era  effettivamente
costituito dall'affidamento esclusivo della prole minore  alla  madre
quale coniuge piu' debole»). 
    Considerato che questa Corte e'  chiamata  a  pronunciarsi  sulla
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-bis della legge
1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei  casi  di  scioglimento  del
matrimonio), introdotto dall'art. 16 della legge 6 marzo 1987, n.  74
(Nuove  norme  sulla  disciplina  dei   casi   di   scioglimento   di
matrimonio), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 29, 38  e  47
della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Catania, «sia sotto il
profilo espressamente prospettato dalla parte  resistente  sia  sotto
ulteriori profili suscettibili di rilievo anche officioso»; 
        che la disposizione denunciata prevede che «1. Il coniuge nei
cui confronti sia stata pronunciata sentenza  di  scioglimento  o  di
cessazione degli effetti civili del matrimonio  ha  diritto,  se  non
passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di  assegno  ai  sensi
dell'art. 5, ad una  percentuale  dell'indennita'  di  fine  rapporto
percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione  del  rapporto
di lavoro anche se l'indennita' viene a maturare dopo la sentenza. 2.
Tale percentuale e' pari al quaranta per cento dell'indennita' totale
riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro e' coinciso con  il
matrimonio»; 
        che,  nella  prospettazione  del  giudice  rimettente,  detta
disposizione   risulterebbe,   «gia'   nella   sua   intera   portata
precettiva»,   «suscettibile   di   contrasto»   con   i    parametri
costituzionali invocati; 
        che,  in  particolare,  essa   sembrerebbe,   da   un   lato,
«disciplinare in modo diseguale la posizione di soggetti in posizioni
del tutto analoghe»  e,  dall'altro,  determinare  l'eventualita'  di
«ingiustificate parificazioni tra situazioni diverse»; 
        che il giudice rimettente prospetta profili  della  questione
che - a  parte  ogni  altra  considerazione  in  tema  di  situazioni
comparabili, anche in riferimento  al  riscontro  nelle  vicende  del
giudizio principale, nonche' in tema di ordine logico delle censure -
risultano, in definitiva, formulati in termini tra loro  alternativi,
oltre che sorretti  da  argomentazioni  che  appaiono  reciprocamente
contraddittorie; 
        che, infatti,  da  un  lato,  egli  lamenta  che  il  coniuge
separato da lavoratore dipendente non possa «vantare alcun diritto in
ordine al TFR che venga percepito dall'altro coniuge», nonostante che
la cessazione della convivenza non abbia fatto venir meno  tutti  gli
obblighi di solidarieta' coniugale; dall'altro, che l'ex coniuge  sia
invece  tenuto,  nei  confronti  dell'altro,  a  versare   la   quota
predeterminata di trattamento di fine rapporto in riferimento  «anche
al periodo successivo alla cessazione della  convivenza»,  nonostante
che la prestazione risulti ormai «priva  di  giustificazione  perche'
svincolata dalla solidarieta' economica tra i coniugi»; 
        che, pertanto,  un  eventuale  accoglimento  della  questione
sotto un profilo implicherebbe il rigetto della stessa sotto l'altro,
con la conseguenza che essa,  secondo  il  costante  orientamento  di
questa Corte, deve essere dichiarata manifestamente inammissibile (si
vedano, ex multis, le ordinanze n. 62 del 2007; n. 360 del  2006;  n.
363 del 2005); 
        che, inoltre, l'ordinanza di rimessione appare carente  nella
motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione proposta
in riferimento  alle  «nuove  ragioni»  che  sussisterebbero  per  un
ulteriore scrutinio di costituzionalita' rispetto a quello di cui  al
giudizio concluso con la sentenza n. 23 del 1991; 
        che,  infatti,  tra   queste   ragioni   viene   addotta   la
sopravvenienza della legge n. 54 del 2006,  in  tema  di  affidamento
condiviso della prole minore, il cui richiamo - peraltro  generico  e
privo di riscontro nella fattispecie di cui al giudizio  principale -
risulta del tutto inconferente, anche per l'espressa enunciazione che
«il contributo dei coniugi, pur in  costanza  della  crisi  del  loro
matrimonio, alla cura e alla responsabilita' nei confronti dei figli»
corrisponde a un «dovere che, peraltro, trova diretto fondamento  nel
rapporto di filiazione piu' che nei doveri matrimoniali»; 
        che una carente motivazione sulla non manifesta  infondatezza
della  questione  comporta  che   la   questione   venga   dichiarata
manifestamente inammissibile (ex multis, le ordinanze 113  del  2009;
n. 427 del 2008; n. 122 del 2007); 
        che,  peraltro,  nell'ordinanza  di  rimessione  non  risulta
prospettato  un   adeguato   sviluppo   argomentativo   dell'asserito
contrasto della disposizione denunciata con diversi tra  i  parametri
costituzionali invocati; 
        che  anche  una  carente  motivazione  della  non   manifesta
infondatezza per insufficiente indicazione delle ragioni per  cui  si
configurerebbe la violazione dei parametri  costituzionali  determina
la dichiarazione di manifesta inammissibilita'  della  questione  (ex
multis, ordinanze n. 122 del 2009; n. 249 del 2008; n. 114 del 2007); 
        che, d'altra parte, in riferimento al complesso delle censure
proposte, non risulta  formulato  un  preciso  e  specifico  petitum,
restando  indeterminato  se -  indipendentemente   dai   limiti   del
sindacato sull'uso  del  potere  discrezionale  del  legislatore,  in
mancanza di soluzioni costituzionalmente obbligate - si  invochi  una
pronuncia che tenda ad eliminare in radice la previsione del  diritto
dell'ex coniuge alla quota del trattamento di fine rapporto percepito
dal titolare o, piuttosto, una pronuncia che, rispetto a  termini  di
riferimento peraltro non definiti, tenda ad attribuire al giudice del
merito  il  potere  di  valutare  le  circostanze   rilevanti   nelle
situazioni di specie; 
        che l'indeterminatezza,  l'oscurita'  o  la  genericita'  del
petitum impongono di dichiarare la questione proposta  manifestamente
inammissibile (ex multis, le ordinanze n. 155 del 2009;  n.  185  del
2008; n. 279 del 2007). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.