Sentenza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge 23
luglio 2008, n. 124  (Disposizioni  in  materia  di  sospensione  del
processo penale  nei  confronti  delle  alte  cariche  dello  Stato),
promossi dal Tribunale di Milano con ordinanze del 26 settembre e del
4 ottobre 2008 e dal Giudice per le indagini  preliminari  presso  il
Tribunale di Roma con ordinanza del 26 settembre 2008 rispettivamente
iscritte al n. 397 e al n. 398 del registro ordinanze  2008,  nonche'
al n. 9 del registro  ordinanze  2009  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 52, 1ª serie speciale, dell'anno 2008 e
n. 4, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e gli atti di costituzione dell'onorevole Silvio Berlusconi,
nonche' del Procuratore  della  Repubblica  presso  il  Tribunale  di
Milano e di un sostituto della stessa Procura; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  6  ottobre  2009  il  giudice
relatore Franco Gallo; 
    Uditi gli avvocati Alessandro  Pace,  per  il  Procuratore  della
Repubblica presso il Tribunale di Milano e un sostituto della  stessa
Procura, Niccolo' Ghedini,  Piero  Longo  e  Gaetano  Pecorella,  per
l'onorevole Silvio Berlusconi, e l'avvocato dello Stato  Glauco  Nori
per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con ordinanza del 26 settembre 2008 (r.o. n. 397 del  2008),
pronunciata nel corso di un processo penale in cui e'  imputato,  fra
gli altri, l'on. Silvio Berlusconi, attuale Presidente del  Consiglio
dei ministri, il Tribunale di Milano  ha  sollevato,  in  riferimento
agli  articoli  3,  136  e  138  della  Costituzione,  questioni   di
legittimita' costituzionale dei commi 1 e 7 dell'art. 1  della  legge
23 luglio 2008, n. 124 (Disposizioni in materia  di  sospensione  del
processo penale nei confronti delle alte cariche dello Stato). 
    1.1. - Il primo dei commi censurati prevede che:  «Salvi  i  casi
previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali
nei confronti dei soggetti che rivestono la  qualita'  di  Presidente
della Repubblica, di  Presidente  del  Senato  della  Repubblica,  di
Presidente della Camera dei deputati e di  Presidente  del  Consiglio
dei ministri sono sospesi  dalla  data  di  assunzione  e  fino  alla
cessazione della carica o della funzione. La sospensione  si  applica
anche ai processi penali per  fatti  antecedenti  l'assunzione  della
carica o della funzione». Il successivo  comma  7  prevede  che:  «Le
disposizioni di cui  al  presente  articolo  si  applicano  anche  ai
processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla  data  di
entrata in vigore della presente legge». Gli altri  commi  dispongono
che: a) «L'imputato o il suo difensore  munito  di  procura  speciale
puo' rinunciare in ogni momento alla sospensione» (comma 2);  b)  «La
sospensione non impedisce al giudice, ove ne ricorrano i presupposti,
di provvedere, ai sensi degli  articoli  392  e  467  del  codice  di
procedura penale, per l'assunzione delle prove non rinviabili» (comma
3); c) si applicano le  disposizioni  dell'articolo  159  del  codice
penale e la sospensione, che opera per l'intera durata della carica o
della funzione, non e' reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel
corso della stessa legislatura, ne' si applica in caso di  successiva
investitura in altra delle cariche o delle funzioni (commi 4 e 5); d)
«Nel  caso  di  sospensione,   non   si   applica   la   disposizione
dell'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale» e,  quando
la parte civile trasferisce l'azione in sede civile, «i  termini  per
comparire, di  cui  all'articolo  163-bis  del  codice  di  procedura
civile, sono ridotti alla meta',  e  il  giudice  fissa  l'ordine  di
trattazione  delle  cause  dando  precedenza  al  processo   relativo
all'azione trasferita» (comma 6). 
    Osserva  innanzitutto  il  rimettente  che  le   questioni   sono
rilevanti perche' le disposizioni censurate, imponendo la sospensione
del processo penale in corso a carico del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, trovano applicazione nel giudizio a quo. 
    1.1.1. - In punto di non manifesta infondatezza  della  questione
sollevata in riferimento all'art. 138 Cost., il giudice a quo  rileva
che dette disposizioni trovano un precedente nell'art. 1 della  legge
20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per  l'attuazione  dell'art.  68
della  Costituzione  nonche'  in  materia  di  processi  penali   nei
confronti   delle   alte    cariche    dello    Stato),    dichiarato
incostituzionale con la sentenza della Corte costituzionale n. 24 del
2004. Secondo quanto osservato dal  rimettente,  la  Corte,  in  tale
pronuncia, ha affermato che il legislatore puo' prevedere ipotesi  di
sospensione del processo penale «finalizzate anche alla soddisfazione
di esigenze extraprocessuali»  e  che  la  sospensione  del  processo
penale  nei  confronti  delle  alte   cariche   mira   a   proteggere
l'apprezzabile interesse, eterogeneo rispetto al processo, al  sereno
svolgimento della rilevante funzione da esse  svolta;  interesse  che
puo' essere protetto «in armonia con i  principi  fondamentali  dello
Stato di diritto». 
    Da tale pronuncia della Corte  emerge  -  sempre  ad  avviso  del
giudice  a  quo  -  «che  disposizioni   normative   riguardanti   le
prerogative,  l'attivita'  e  quant'altro  di  organi  costituzionali
richiedono il procedimento di revisione  costituzionale.  E  cio'  in
quanto  la  circostanza  che  l'attivita'   di   detti   organi   sia
disciplinata tramite la previsione di un'ipotesi di  sospensione  del
processo penale, non esclude che in realta' essa riguardi non gia' il
regolare funzionamento del processo, bensi' le prerogative di  organi
costituzionali e comunque  materie  gia'  riservate  dal  legislatore
costituente alla Costituzione».  A  tale  conclusione  il  rimettente
giunge  sul  rilievo  che  le  disposizioni  denunciate  incidono  su
«plurimi  ulteriori  interessi  di  rango  costituzionale  quali   la
ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) e  l'obbligatorieta'
dell'azione penale (art. 112 Cost.), comunque  vulnerata  seppur  non
integralmente  compromessa,  per  cui  il  loro  bilanciamento   deve
necessariamente avvenire con norma costituzionale». 
    Il giudice a quo sottolinea che gia'  dai  lavori  dell'Assemblea
costituente  si  desume  che  la  non   perseguibilita'   per   reati
extrafunzionali nei confronti del Presidente della Repubblica avrebbe
dovuto essere prevista con legge costituzionale.  Osserva,  altresi',
che  il  fatto  che,  nella  specie,  si  trattasse  «di  limitazione
dell'azione penale piu' pregnante di quell'attuale non  rileva  sulla
necessita' di disciplinare la materia mediante norma costituzionale»;
e cio' in quanto «non puo' essere messo in dubbio che  si  tratta  in
ogni caso di materia riservata, ex art.  138  Cost.,  al  legislatore
costituente, cosi' come dimostrato  dalla  circostanza  che  tutti  i
rapporti tra gli organi con rilevanza costituzionale ed  il  processo
penale sono definiti con norma costituzionale». 
    A tale conclusione non osta -  ad  avviso  del  rimettente  -  la
sentenza della Corte costituzionale n. 148 del  1983,  relativa  alla
previsione con legge ordinaria dell'insindacabilita' dei voti dati  e
delle opinioni espresse dai componenti del Consiglio superiore  della
magistratura, perche' in essa la Corte afferma che «certo  rimane  il
fatto che la scriminante in esame  non  e'  stata  configurata  dalla
Carta costituzionale, bensi' da una legge  ordinaria  ed  appena  nel
gennaio 1981, a molti anni dall'entrata  in  funzione  del  Consiglio
superiore della magistratura».  Secondo  lo  stesso  rimettente,  «la
Corte, cosi' dicendo, mostra di ritenere normalmente  necessaria  una
legge costituzionale laddove si intervenga su organi  costituzionali,
tanto e' vero che nel superare la questione non  afferma  affatto  il
principio  della  sufficienza  della  legge  ordinaria  in   similari
situazioni,   ma   perviene   alla   conclusione   di    legittimita'
costituzionale  sulla  base  di  un  complesso  ragionamento  che  in
sostanza giustifica il ricorso alla legge ordinaria con la  ritardata
sistemazione e collocazione della disciplina del  C.S.M.».  Solo  per
completezza - prosegue il giudice a quo - «va evidenziato che,  nella
specie, si era comunque in presenza di una  scriminante  che  ricalca
cause  di  giustificazione  generalissime  quali  l'esercizio  di  un
diritto e/o l'adempimento di un dovere, per cui, di fatto, non veniva
ad essere  disciplinato  l'ambito  delle  prerogative  di  un  organo
costituzionale». 
    La necessita' di una legge  costituzionale  per  disciplinare  la
materia oggetto delle norme denunciate  non  e'  messa  in  dubbio  -
sempre ad avviso del rimettente - neanche dalla considerazione che la
Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 24 del  2004,  non  ha
rilevato il contrasto della legge n. 140  del  2003  con  l'art.  138
Cost.  e  che,  cosi'  facendo,  «la  Corte  avrebbe   implicitamente
rigettato tale profilo, in quanto, siccome pregiudiziale rispetto  ad
ogni altra questione, avrebbe dovuto necessariamente dichiararlo, ove
lo avesse ritenuto». Il giudice a quo osserva, sul  punto,  che  tale
considerazione  si  fonda  sul  presupposto  dell'esistenza  di   una
pregiudizialita' tecnico-giuridica  tra  la  questione  sollevata  in
riferimento all'art. 138 Cost. e quelle sollevate in  base  ad  altri
parametri e contesta la fondatezza di  detto  presupposto,  rilevando
che una tale pregiudizialita' non e'  deducibile  «dalla  complessiva
motivazione della sentenza, in quanto la  Corte,  nell'accogliere  la
questione di legittimita' costituzionale in riferimento agli artt.  3
e 24 della Costituzione, dichiara espressamente "assorbito ogni altro
profilo di illegittimita' costituzionale", lasciando cosi'  intendere
che, in via gradata, sarebbero state prospettabili altre questioni». 
    Ne' a diverse conclusioni  -  secondo  il  rimettente  -  possono
condurre le note del Presidente della  Repubblica  del  2  e  del  23
luglio 2008, perche' le prerogative che si  ritengono  attribuite  al
Capo dello Stato in sede di autorizzazione  alla  presentazione  alle
Camere di un disegno di legge e in sede di  promulgazione  comportano
solo un primo esame della legittimita'  costituzionale,  e  cioe'  un
controllo meno approfondito di quello demandato al giudice  ordinario
prima ed alla Corte costituzionale poi. 
    1.1.2. - Quanto alle questioni proposte in riferimento agli artt.
3 e 136 Cost., il Tribunale sostiene che le norme denunciate  violano
sia il giudicato costituzionale  sia  il  principio  di  uguaglianza,
perche',  «avendo  riproposto  la  medesima  disciplina  sul  punto»,
incorrono  «nuovamente  nella  illegittimita'  costituzionale,   gia'
ritenuta dalla Corte sotto il profilo della  violazione  dell'art.  3
Cost.». Per il rimettente, infatti, esse  accomunano  «in  una  unica
disciplina cariche diverse non soltanto per le fonti di  investitura,
ma anche  per  la  natura  delle  funzioni»  ed  inoltre  distinguono
irragionevolmente, e «per la  prima  volta  sotto  il  profilo  della
parita' riguardo ai  principi  fondamentali  della  giurisdizione,  i
Presidenti [...] rispetto agli altri componenti degli organi da  loro
presieduti».  Non  sarebbe  sufficiente  ad  evitare  le  prospettate
illegittimita' costituzionali il fatto che le disposizioni censurate,
diversamente dall'art. 1 della legge n. 140 del 2003,  non  includono
il Presidente della Corte costituzionale tra le alte cariche  per  le
quali opera la sospensione dei processi. Infatti, tale differenza  di
disciplina - prosegue il rimettente - non e' idonea  ad  impedire  la
violazione dell'art. 136 Cost., cosi' come interpretato  dalla  Corte
costituzionale «con la sentenza n. 922/1988». 
    1.2. -  Si  e'  costituito  in  giudizio  il  suddetto  imputato,
chiedendo che le questioni proposte siano dichiarate non rilevanti e,
comunque, manifestamente infondate. 
    1.2.1. - La difesa dell'imputato deduce,  quanto  alla  questione
proposta in riferimento all'art. 138 Cost., che: a) contrariamente  a
quanto  sostenuto   dal   rimettente,   la   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 24 del 2004, avente ad oggetto l'art. 1 della legge
n. 140 del 2003, non afferma ne'  che  la  sospensione  del  processo
penale sia una «prerogativa di organi costituzionali»  ne'  che  tale
sospensione richieda il procedimento di revisione  costituzionale  di
cui all'art. 138 Cost.; b) nella stessa sentenza si rileva, anzi, che
il legislatore puo' legittimamente prevedere ipotesi  di  sospensione
del processo penale per esigenze extraprocessuali - ad esempio,  come
nella specie,  per  soddisfare  l'apprezzabile  interesse  al  sereno
svolgimento delle funzioni pubbliche connesse alle alte cariche dello
Stato -, dovendosi intendere per «legislatore» quello ordinario e non
quello costituzionale;  c)  la  sentenza  accoglie  la  questione  di
legittimita' costituzionale in relazione agli artt.  3  e  24  Cost.,
dichiarando   espressamente   assorbito   ogni   altro   profilo   di
illegittimita' costituzionale;  d)  l'assorbimento  dichiarato  dalla
Corte ha ad oggetto i soli profili di merito e non anche  il  profilo
relativo alla mancata approvazione della legge con il procedimento di
revisione  costituzionale,  perche'  tale  ultimo   profilo,   avendo
carattere formale  e  non  sostanziale,  e'  logicamente  antecedente
rispetto all'accoglimento della questione riferita agli artt. 3 e  24
Cost. e, pertanto, non puo' essere assorbito; e) la sentenza  ha,  in
conclusione,  implicitamente  ritenuto  non  fondata  ogni  questione
proposta in riferimento all'art.  138  Cost.;  f)  non  osta  a  tale
conclusione il richiamo fatto  dalla  sentenza  alla  necessita'  che
l'apprezzabile  interesse  al  sereno  svolgimento   delle   funzioni
pubbliche connesse alle alte cariche dello Stato  vada  tutelato  «in
armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto,  rispetto
al cui migliore assetto la protezione e' strumentale»,  perche'  tali
principi sono, secondo la stessa sentenza, quelli di cui agli artt. 3
e 24 Cost. e non quello di cui all'art. 138 Cost.;  g)  sulla  scorta
della  pronuncia  della  Corte,  il  giudice  a  quo  avrebbe  dovuto
evidenziare le peculiarita' della nuova disciplina censurata rispetto
a quella dichiarata incostituzionale dalla Corte, specificando  sotto
quale profilo la prima, a differenza della seconda, violi l'art.  138
Cost. 
    1.2.2. - Quanto alle  finalita'  della  normativa  censurata,  la
difesa dell'imputato deduce che: a) esse sono  dirette  non  tanto  a
garantire il sereno svolgimento delle  funzioni  inerenti  alle  alte
cariche  dello  Stato,  quanto  a  tutelare  il  diritto  di   difesa
dell'imputato nel processo, che presuppone la possibilita' di  essere
presente alle udienze e di avere il tempo necessario per  predisporre
la propria difesa; b) la prevalenza dell'esigenza  della  tutela  del
diritto di difesa rispetto a  quella  del  sereno  svolgimento  della
funzione si  ricava  dalla  previsione  della  rinunciabilita'  della
sospensione contenuta nel comma 2 dell'art. 1 della legge n. 124  del
2008, perche' se il legislatore avesse voluto creare «in primis [...]
una prerogativa istituzionale, avrebbe dovuto dotare  la  sospensione
di un profilo di indisponibilita', sulla  base  del  presupposto  che
l'interesse  istituzionale  trascende  anche  l'eventuale   interesse
dell'imputato a farsi  giudicare  subito»;  c)  «non  osta  a  questa
ricostruzione il fatto che la Corte costituzionale  abbia  dichiarato
costituzionalmente illegittima la legge  n.  140/2003  anche  perche'
prevedeva una  sospensione  dei  processi  penali  automatica  e  non
rinunciabile: questo dato  depone  nel  senso  che  una  disposizione
legislativa che sospenda i processi per le alte cariche dello  Stato,
senza dar loro la possibilita' di rinunciarvi,  porrebbe  nel  nostro
ordinamento seri problemi  di  costituzionalita',  ma  non  puo'  far
diventare la disposizione della legge n. 124/2008 cio'  che  non  e',
ovvero una prerogativa connessa al fatto di rivestire una determinata
funzione»; d) la ricostruzione della ratio delle norme censurate  nel
senso che esse sono finalizzate a tutelare il diritto di difesa della
persona che ricopre la carica trova conferma nel comma 5 dell'art.  1
della legge n. 124 del 2008 - il quale prevede la non  reiterabilita'
della sospensione -  perche',  «se  una  stessa  persona  rivestisse,
durante una legislatura, la funzione di Presidente della Camera,  con
conseguente sospensione dei processi penali a  suo  carico,  e  nella
legislatura successiva  ricoprisse  la  funzione  di  Presidente  del
Senato, senza poter piu' beneficiare della suddetta  sospensione,  si
sarebbe costretti ad  ammettere  che  per  un'intera  legislatura  la
Presidenza  del  Senato  dovrebbe  rimanere  priva  di  una   propria
prerogativa istituzionale, la quale tornerebbe  poi  a  rivivere  una
volta che venisse a ricoprire la funzione una persona che non  avesse
mai beneficiato della sospensione»; e) nella prospettiva della tutela
del diritto di difesa, la durata di un mandato e' il periodo di tempo
che il  legislatore  ha  ritenuto  sufficiente  per  consentire  alla
persona  che  riveste  la  carica  di  organizzarsi  per   affrontare
contemporaneamente gli impegni istituzionali di  un  eventuale  nuovo
incarico e il processo penale; f) la ratio dell'inciso «salvo il caso
di nuova nomina nel corso della stessa legislatura», che fa eccezione
alla non reiterabilita' della sospensione, e' bilanciare «l'esercizio
del diritto di difesa, tutelato dall'art. 24 della Costituzione,  con
l'esercizio  del  munus  publicum,  tutelato   dall'art.   51   della
Costituzione»; g) «il meccanismo per cui  una  condizione  soggettiva
dell'imputato si traduce in una condizione di oggettiva difficolta' a
che il processo  si  svolga  regolarmente  e'  [...]  tutt'altro  che
nuovo», perche' vale anche  «per  la  sospensione  del  processo  per
l'imputato  incapace,  prevista  dall'art.  71  c.p.p.»,  che  e'  un
istituto diretto a tutelare «il fatto che la capacita'  dell'imputato
di partecipare coscientemente al processo  e'  aspetto  indefettibile
del diritto  di  difesa  senza  il  cui  effettivo  esercizio  nessun
processo e' immaginabile»; h) ad  analoga  ratio  e'  ispirato  anche
l'istituto del legittimo impedimento a  comparire  dell'imputato;  i)
non puo' essere condivisa l'affermazione del rimettente  secondo  cui
«tutti i rapporti tra gli organi con rilevanza costituzionale  ed  il
processo penale sono  definiti  con  norma  costituzionale»,  perche'
anche prima dell'entrata in vigore della legge n.  124  del  2008  il
giudice di merito, davanti a un  impegno  istituzionale,  riconosceva
l'impossibilita'  per  l'imputato  di  essere  presente  al  processo
nonostante la Costituzione non preveda  che  le  alte  cariche  dello
Stato  hanno  diritto   al   riconoscimento   di   questi   legittimi
impedimenti; l) con la sentenza n. 148 del 1983, la Corte ha  ammesso
che il legislatore possa disciplinare con legge ordinaria addirittura
una vera e propria circostanza scriminante, quale  l'insindacabilita'
dei voti dati e delle opinioni espresse dai componenti del  Consiglio
superiore della magistratura, con la conseguenza che anche  una  mera
causa  di  sospensione,  quale  quella  oggetto  delle   disposizioni
censurate, puo' essere disciplinata con legge ordinaria; m)  i  commi
denunciati operano un ragionevole bilanciamento tra l'obbligatorieta'
dell'azione penale e la ragionevole durata del processo, da un  lato,
e il diritto di difesa dell'imputato, dall'altro. 
    1.2.3. - Quanto, in particolare,  alla  questione  sollevata  dal
giudice a quo in riferimento all'art. 136  Cost.,  la  parte  privata
rileva che: a) contrariamente all'assunto del rimettente, la norma in
esame non  ha  riproposto  la  medesima  disciplina  gia'  dichiarata
incostituzionale con la sentenza n. 24 del 2004, «ne' ha perseguito e
raggiunto, anche indirettamente, esiti corrispondenti a  quelli  gia'
ritenuti lesivi della Costituzione», ma ha  un  contenuto  del  tutto
differente, ad  esempio  laddove  prevede  la  rinunciabilita'  della
sospensione del processo; b) la nuova  disciplina  e'  diversa  dalla
vecchia anche sotto il profilo del trattamento della parte  civile  e
della durata non indefinita della sospensione; c) i soggetti  cui  la
sospensione si applica  non  coincidono  con  quelli  indicati  nella
disciplina gia' dichiarata incostituzionale e la differenziazione del
loro  trattamento,  «sotto  il  profilo  della  parita'  riguardo  ai
principi  fondamentali  della  giurisdizione,  rispetto  agli   altri
componenti degli organi collegiali e' giustificata dall'intero  nuovo
assetto normativo, comunque diverso da quello gia' oggetto di censura
costituzionale», anche  perche'  «la  Costituzione  stessa  riconosce
l'autonomo rilievo nelle funzioni dei  due  Presidenti  delle  Camere
rispetto agli altri membri del Parlamento  (artt.  62,  comma  2,  86
commi 1 e 2, 88, comma 1 della Costituzione)» e perche' «del pari  il
Presidente del Consiglio dei  ministri,  ai  sensi  del  primo  comma
dell'art. 95 della Costituzione, svolge funzioni  proprie  del  tutto
peculiari rispetto agli altri membri del Governo». 
    1.3. - Si e' costituito il pubblico ministero del giudizio a quo,
nelle persone del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Milano e di un sostituto della stessa Procura. 
    1.3.1.  -  Il  pubblico  ministero  sostiene,  in  primo   luogo,
l'ammissibilita' della  sua  costituzione,  nonostante  il  contrario
indirizzo interpretativo della Corte costituzionale, espresso con  le
sentenze n. 361 del 1998, n. 1 e n. 375 del 1996 e con l'ordinanza n.
327 del 1995. Secondo la sua ricostruzione, «gli  argomenti  contrari
alla legittimazione del p.m. sono i seguenti: 1) la distinta menzione
del "pubblico ministero"  e  delle  "parti"  nell'attuale  disciplina
della legge 11 marzo 1953, n. 87 (artt. 20, 23 e 25); 2) la  menzione
delle sole "parti" nella disciplina delle  Norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale (artt. 3 e 17 [ora 16]); 3)
la peculiarita' della posizione ordinamentale e processuale del  p.m.
nonostante ad esso  debba  riconoscersi  la  qualita'  di  parte  nel
processo a quo». 
    Quanto all'art. 20 della legge 11 marzo 1953, n.  87,  la  difesa
del pubblico ministero ritiene che esso, limitandosi a prevedere  che
per  gli  organi  dello  Stato  (tra  cui  gli  uffici  del  pubblico
ministero) non e' richiesta una difesa «professionale», non  riguardi
ne' valga a modificare la disciplina della legittimazione  ad  essere
parte o ad intervenire in giudizio. 
    Parimenti non decisivi, contro  la  legittimazione  del  pubblico
ministero a costituirsi nel giudizio di costituzionalita',  sarebbero
gli argomenti desumibili dagli artt. 23 e 25 della legge  n.  87  del
1953. 
    Il  quarto  comma  dell'art.   23   dispone   che:   «L'autorita'
giurisdizionale ordina che a cura della  cancelleria  l'ordinanza  di
trasmissione degli atti alla  Corte  costituzionale  sia  notificata,
quando non se ne dia lettura nel pubblico dibattimento, alle parti in
causa  ed  al  pubblico  ministero  quando  il  suo  intervento   sia
obbligatorio». Dispone, a sua volta, il secondo  comma  dell'art.  25
che: «Entro venti giorni dall'avvenuta notificazione  dell'ordinanza,
ai sensi dell'art. 23, le parti possono esaminare gli atti depositati
nella cancelleria e presentare le loro deduzioni». Secondo la  difesa
del pubblico ministero, il quarto comma dell'art. 23, da un lato, non
esclude espressamente che  l'ordinanza  debba  essere  notificata  al
pubblico ministero che sia stato parte in giudizio e, dall'altro,  ne
impone la notifica al pubblico ministero, proprio perche'  questo  e'
stato «parte»; e cio' a prescindere dal fatto che il  suo  intervento
fosse o  no  obbligatorio.  A  cio'  conseguirebbe  che  il  pubblico
ministero, sia che sia parte del giudizio principale, sia  che  debba
obbligatoriamente intervenire in tale giudizio, puo' costituirsi  nel
giudizio dinanzi alla Corte costituzionale. 
    Quanto agli artt. 3  e  17  delle  previgenti  norme  integrative
(attuali artt. 3 e 16), il pubblico  ministero  rileva  che  essi  si
limitano a riferirsi alle «parti», non facendo «altro che presupporre
una nozione aliunde  determinata».  Essi,  quindi,  non  ostano  alle
«conclusioni (favorevoli) raggiunte alla luce degli  artt.  23  e  25
della legge n. 87 del 1953». 
    Quanto  alla  peculiarita'  della   posizione   ordinamentale   e
processuale del pubblico ministero, la difesa rileva che il fatto che
tale organo giudiziario, «secondo la nota formula  dell'art.  73  del
r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, debba vegliare  "alla  osservanza  delle
leggi, alla pronta e regolare amministrazione della  giustizia,  alla
tutela dei  diritti  di  stato,  delle  persone  giuridiche  e  degli
incapaci  [...]"  e'  indiscutibile,  ma  costituisce  un   argomento
estraneo  al  problema».  Infatti,  «un  conto   e'   l'imparzialita'
istituzionale del pubblico ministero, un  conto  la  sua  parzialita'
funzionale», avendo rilevanza nel processo costituzionale  solo  tale
ultimo  profilo,  in  considerazione  del  fatto   che   i   principi
costituzionali di parita' delle  parti  e  del  contraddittorio  sono
stati inequivocabilmente introdotti  nell'ordinamento  con  la  legge
costituzionale  23  novembre  1999,   n.   2,   entrata   in   vigore
successivamente alle decisioni della Corte costituzionale che  negano
al pubblico ministero la legittimazione a costituirsi. Tali  principi
- prosegue la difesa del pubblico ministero - esistevano  nel  nostro
ordinamento gia' prima, «ma com'e' noto,  essi  venivano  desunti  in
giurisprudenza e in dottrina dall'art. 24 Cost. e  quindi,  come  per
tutti i diritti costituzionali  previsti  in  Costituzione,  di  essi
erano (e sono) titolari solo  i  soggetti  privati,  non  i  pubblici
poteri. Conseguentemente sia il principio della  parita'  delle  armi
che  il   principio   del   contraddittorio   avevano   una   portata
unidirezionale. Garantivano il cittadino, ma non la  pubblica  accusa
nel processo penale e non la p.a. nel  processo  amministrativo».  Ne
deriverebbe che  solo  la  nuova  formulazione  dell'art.  111  Cost.
garantisce al pubblico ministero una piena qualita' di  parte,  sotto
il profilo della parita' processuale e del  contraddittorio,  con  la
conseguenza che la Corte  costituzionale  potrebbe  mutare  il  sopra
citato orientamento giurisprudenziale, proprio alla luce  del  mutato
quadro costituzionale. 
    A tali considerazioni si dovrebbe aggiungere che nei casi -  come
quello di specie  -  in  cui  proprio  il  pubblico  ministero  abbia
sollevato la questione di legittimita' costituzionale  di  fronte  al
giudice a quo, sarebbe irragionevole escluderlo dalla  partecipazione
al giudizio costituzionale. 
    1.3.2. - Nel merito,  il  pubblico  ministero  chiede  che  siano
accolte le questioni proposte dal rimettente. 
    1.4. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
rilevando che: a) la questione sollevata in riferimento all'art.  136
Cost. e' infondata,  perche'  non  si  ha  violazione  del  giudicato
costituzionale qualora, come nel caso di specie, «il quadro normativo
sopravvenuto, nel quale  si  inserisce  la  nuova  disposizione,  sia
diverso    da    quello    della    legge    precedente    dichiarata
costituzionalmente  illegittima»;  b)  la   questione   proposta   in
riferimento  all'art.  138  Cost.  e'   «inammissibile   e   comunque
infondata»,  per  i  motivi  esposti  nell'atto  di  intervento   nel
procedimento r.o. n. 398 del 2008. 
    1.5. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
parte privata  ha  chiesto  che  venga  dichiarata  inammissibile  la
costituzione in giudizio del  pubblico  ministero,  fondando  la  sua
richiesta essenzialmente su due assunti. 
    1.5.1. - Tale parte sostiene, in primo  luogo,  che  il  pubblico
ministero non e' assimilabile alle altre parti del  giudizio  a  quo,
rilevando che: a) l'art. 20, secondo comma, della  legge  n.  87  del
1953 deve  essere  interpretato  nel  senso  che  esso  contiene  una
previsione   generale,   volta   a   regolare    esclusivamente    la
rappresentanza   e   difesa   nel   giudizio   davanti   alla   Corte
costituzionale; b) l'oggetto del giudizio costituzionale  incidentale
e' la conformita' alla Costituzione o ad una legge costituzionale  di
una norma avente  forza  di  legge  ed  il  contraddittorio  in  tale
giudizio  si  articola  in  «correlazione  [...]  con  le   posizioni
soggettive che quella norma ha coinvolto nel giudizio  principale,  o
che in relazione ad esso possono  venir  coinvolte»  (secondo  quanto
affermato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 163 del 2005);
c) dalla correlazione del contraddittorio con le suddette  «posizioni
soggettive» deriva l'estraneita' al giudizio del pubblico  ministero,
perche' quest'ultimo - anche in base all'art. 73 del regio decreto 30
gennaio 1941, n. 12 - «non  rappresenta  mai,  per  definizione,  una
posizione  soggettiva,  intendendosi  con  questa   espressione,   un
interesse che non sia quello [...] della conformita' alla legge»;  d)
«la  difesa  di  una  parte  privata  [...]  non  puo'  mai  eccepire
l'illegittimita' costituzionale di una norma che  sia  di  favore  al
proprio assistito, e cio'  per  due  ordini  di  ragioni:  in  primis
perche' sarebbe carente  di  interesse  (ma  questo  non  rileverebbe
perche' non si tratta di  una  impugnazione),  ma  in  secondo  luogo
perche' risponderebbe del  reato  di  patrocinio  infedele  ai  sensi
dell'art.  380  del  codice  penale,  oltre  che  di  grave  illecito
deontologico sanzionabile dal punto di  vista  disciplinare»;  e)  il
pubblico ministero, per contro, ha natura di parte pubblica e ha  «il
diritto/dovere di eccepire l'incostituzionalita' di una norma  sia  a
favore sia contro ciascuna delle parti», anche nel  processo  civile;
g) gli artt. 23 e 25 della legge n. 87 del 1953 -  come  interpretati
dalla  sentenza  della  Corte  costituzionale  n.  361  del  1998   -
distinguono espressamente le parti dal pubblico ministero, escludendo
che quest'ultimo possa costituirsi nel giudizio costituzionale. 
    1.5.2. - La stessa difesa sostiene,  in  secondo  luogo,  che  al
giudizio costituzionale non si applica il principio di parita'  delle
parti davanti al giudice sancito dall'art. 111 Cost., non essendo  la
Corte  costituzionale  un  organo  giurisdizionale,  ed  afferma,   a
sostegno di tale assunto, che, nel giudizio  costituzionale:  a)  non
trova applicazione il sesto comma dell'articolo 111 Cost.,  derivando
l'obbligo di motivazione delle sentenze della Corte dall'articolo 18,
commi secondo e terzo, della legge n.  87  del  1953;  b)  non  trova
applicazione neanche il secondo comma dello stesso art. 111,  perche'
«il contraddittorio tra le parti avanti la Consulta e'  disciplinato,
come noto, dalla legge 11 marzo 1953, n. 87 e dalle norme integrative
per i giudizi avanti la Corte  costituzionale»;  c)  non  si  applica
neppure il principio di terzieta' e imparzialita' del giudice sancito
dallo  stesso  art.  111  Cost.,  «perche'  i  giudici  della   Corte
costituzionale sono per natura (per ovvie ragioni concernenti la loro
funzione)  sempre  terzi  ed  imparziali,  tant'e'  che  non  possono
astenersi  ne'   essere   ricusati   contrariamente   a   quanto   e'
necessariamente previsto per i giudici di qualsivoglia "processo"». 
    1.6. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
pubblico ministero del giudizio  a  quo  insiste  per  l'accoglimento
delle questioni proposte nell'ordinanza di rimessione,  ribadendo  le
argomentazioni gia' svolte nella memoria di costituzione. 
    2. - Con ordinanza del 4 ottobre 2008 (r.o. n. 398 del 2008), nel
corso di un processo penale in cui e'  imputato  anche  l'on.  Silvio
Berlusconi,  attuale  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   il
Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 68,
90,  96,  111,  112  e   138   Cost.,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1 della legge n. 124 del 2008. 
    2.1.  -  In  punto  di  rilevanza,  il  rimettente  premette  che
l'articolo censurato, imponendo la sospensione del processo penale in
corso a carico del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  trova
necessaria applicazione nel giudizio a quo. 
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  delle  questioni,  il
giudice a quo osserva che, con la sentenza n. 24 del 2004, avente  ad
oggetto la legge n. 140  del  2003,  la  Corte  costituzionale  aveva
affermato che: a) la natura e la funzione  della  norma  consistevano
«nel temporaneo arresto del normale svolgimento» del processo  penale
e miravano «alla soddisfazione  di  esigenze  extraprocessuali  [...]
eterogenee rispetto a quelle proprie del processo»; b) il presupposto
della sospensione era dato dalla  «coincidenza  delle  condizioni  di
imputato e di titolare di una delle cinque piu'  alte  cariche  dello
Stato»; c) il bene che la misura intendeva tutelare andava  ravvisato
«nell'assicurazione del sereno svolgimento delle  rilevanti  funzioni
che ineriscono  a  quelle  cariche»  e  tale  bene  veniva  definito,
dapprima, come «interesse apprezzabile, che puo' essere  tutelato  in
armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto,  rispetto
al cui migliore assetto la protezione e' strumentale»  e,  poi,  come
espressione dei «fondamentali valori rispetto ai quali il legislatore
ha ritenuto prevalente l'esigenza di protezione della serenita' dello
svolgimento delle attivita' connesse alle cariche in  questione»;  d)
proprio «considerando che l'interesse pubblico allo svolgimento delle
attivita'  connesse  alle  alte  cariche  comporti  nel  contempo  un
legittimo impedimento  a  comparire»,  il  legislatore  aveva  voluto
stabilire «una presunzione assoluta di legittimo impedimento». 
    Secondo quanto riferito dal rimettente, la Corte aveva, in  detta
sentenza, ravvisato l'incostituzionalita' della norma nel  fatto  che
la sospensione in esame, che di per se' «crea un regime differenziato
riguardo all'esercizio della giurisdizione, in particolare di  quella
penale», fosse «generale, automatica e di  durata  non  determinata»:
generale,  in  quanto  la  sospensione  concerneva  «i  processi  per
imputazioni relative a tutti gli  ipotizzabili  reati,  in  qualunque
epoca  commessi,  che  siano  extrafunzionali,  cioe'  estranei  alle
attivita' inerenti alla carica»; automatica, in quanto la sospensione
veniva disposta «in tutti i casi in cui la suindicata coincidenza» di
imputato e titolare di un'alta  carica  «si  verifichi,  senza  alcun
filtro, quale che sia l'imputazione ed in qualsiasi momento dell'iter
processuale, senza possibilita' di valutazione delle peculiarita' dei
casi concreti»; di durata non determinata, in quanto la  sospensione,
«predisposta com'e' alla tutela delle importanti funzioni di  cui  si
e' detto e quindi legata alla carica rivestita dall'imputato», subiva
nella sua durata «gli effetti della reiterabilita' degli incarichi  e
comunque della possibilita' di investitura  in  altro  tra  i  cinque
indicati». 
    Sempre ad avviso del giudice a quo, nella menzionata sentenza  n.
24 del 2004 la Corte aveva rilevato: a) la violazione del diritto  di
difesa  previsto  dall'art.  24   della   Costituzione,   in   quanto
all'imputato «e' posta l'alternativa tra continuare a svolgere l'alto
incarico sotto il  peso  di  un'imputazione  che,  in  ipotesi,  puo'
concernere anche reati  gravi  e  particolarmente  infamanti,  oppure
dimettersi dalla  carica  ricoperta  al  fine  di  ottenere,  con  la
continuazione del processo, l'accertamento giudiziale che  egli  puo'
ritenere a se' favorevole, rinunciando al  godimento  di  un  diritto
costituzionalmente garantito (art. 51 Cost.)»; b) la violazione degli
articoli 111 e 112 Cost.,  perche'  «all'effettivita'  dell'esercizio
della giurisdizione non sono indifferenti i tempi del  processo»;  c)
la violazione dell'art. 3  Cost.,  perche'  la  norma,  da  un  lato,
accomunava in un'unica disciplina «cariche diverse non  soltanto  per
le fonti di investitura, ma anche per la natura  delle  funzioni»  e,
dall'altro, distingueva, «per la prima volta sotto il  profilo  della
parita' riguardo ai  principi  fondamentali  della  giurisdizione,  i
Presidenti delle Camere, del Consiglio dei  ministri  e  della  Corte
costituzionale rispetto agli altri componenti degli  organi  da  loro
presieduti»; d) la violazione dell'art. 3 della legge  costituzionale
9 febbraio 1948, n. 1, che aveva esteso a tutti i giudici della Corte
costituzionale il  godimento  dell'immunita'  accordata  nel  secondo
comma dell'art. 68 della Costituzione ai membri delle due Camere. 
    Il  rimettente  ritiene  che  il  legislatore,  nell'adottare  la
disciplina censurata - la quale prevede la sospensione  dei  processi
penali nei confronti  dei  soggetti  che  rivestono  la  qualita'  di
Presidente  della  Repubblica,  di  Presidente   del   Senato   della
Repubblica, di Presidente della Camera dei deputati e  di  Presidente
del Consiglio dei ministri  -,  non  abbia  tenuto  conto  di  quanto
affermato nella citata sentenza n. 24  del  2004,  anche  perche'  ha
sostanzialmente riprodotto le previsioni della legge n. 140 del  2003
in tema  di  sospensione  del  corso  della  prescrizione,  ai  sensi
dell'art. 159 del codice penale,  e  di  applicabilita'  della  norma
anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado. 
    2.1.1. -  Sulla  scorta  di  tali  considerazioni,  il  Tribunale
sostiene che l'articolo denunciato si pone  in  contrasto,  in  primo
luogo, con l'art. 138 Cost., perche' lo status  «dei  titolari  delle
piu' alte istituzioni della Repubblica e' in se' materia  tipicamente
costituzionale, e la ragione e' evidente: tutte le  disposizioni  che
limitano o differiscono nel tempo la loro responsabilita' si  pongono
quali eccezioni rispetto al principio  generale  dell'uguaglianza  di
tutti i cittadini davanti alla legge previsto dall'articolo  3  della
Costituzione, principio fondante di uno Stato di diritto». 
    2.1.2. - In secondo luogo, il giudice a quo rileva la  violazione
dell'art. 3 Cost., perche' le «guarentigie  concesse  a  chi  riveste
cariche istituzionali  risultano  funzionali  alla  protezione  delle
funzioni apicali esercitate», con la conseguenza che la  facolta'  di
rinunciare alla  sospensione  processuale  riconosciuta  al  titolare
dell'alta carica si  pone  in  contrasto  con  la  tutela  del  munus
publicum, attribuendo una discrezionalita' «meramente potestativa» al
soggetto  beneficiario,  anziche'  prevedere   quei   filtri   aventi
caratteri di terzieta' e quelle valutazioni  della  peculiarita'  dei
casi  concreti  che  soli,  secondo  la  sentenza  n.  24  del  2004,
potrebbero costituire adeguato rimedio rispetto tanto all'automatismo
generalizzato gia' stigmatizzato dalla Corte  quanto  «al  vulnus  al
diritto di  azione».  Lo  stesso  parametro  costituzionale  sarebbe,
altresi', violato, perche' «il contenuto di tutte le disposizioni  in
argomento incide su un valore  centrale  per  il  nostro  ordinamento
democratico, quale e' l'eguaglianza  di  tutti  i  cittadini  davanti
all'esercizio della giurisdizione penale». 
    2.1.3. - E' denunciata, in terzo luogo, la violazione degli artt.
3, 68, 90, 96 e 112 Cost., per la disparita' di  trattamento  tra  la
disciplina introdotta per i reati extrafunzionali e quella, di  rango
costituzionale, prevista per i reati funzionali  delle  quattro  alte
cariche in questione. Tale disparita' sarebbe irragionevole:  a)  per
la mancata menzione dell'art. 68 Cost. fra  le  norme  costituzionali
espressamente fatte salve dalla legge n. 124  del  2008;  b)  per  il
fatto che «il bene giuridico considerato  dalla  legge  ordinaria,  e
cioe' il regolare svolgimento delle funzioni apicali dello Stato,  e'
lo  stesso  che  la  Costituzione  tutela  per  il  Presidente  della
Repubblica con  l'art.  90,  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e per i ministri con l'art. 96»; c) per la previsione di uno
ius singulare per i reati extrafunzionali a favore del Presidente del
Consiglio dei ministri, che,  invece,  la  Costituzione  accomuna  ai
ministri per i reati funzionali in conseguenza della sua posizione di
primus inter pares. 
    2.1.4. - Il rimettente ritiene, infine, che  la  norma  censurata
violi l'art. 111 Cost., sotto il profilo della ragionevole durata del
processo, perche': a) una sospensione formulata nei  termini  di  cui
alla disposizione denunciata, «bloccando il processo in ogni stato  e
grado per un periodo potenzialmente molto lungo, provoca un  evidente
spreco di attivita' processuale»; b) non essendo stabilito  alcunche'
«sull'utilizzabilita' delle prove gia' assunte» ne' all'interno dello
stesso processo penale al termine  del  periodo  di  sospensione  ne'
all'interno della diversa sede in cui la parte civile abbia scelto di
trasferire la propria azione, vi e' la necessita' per la stessa parte
«di sostenere ex novo l'onere probatorio in tutta la sua ampiezza». 
    2.2. -  Si  e'  costituito  in  giudizio  il  suddetto  imputato,
svolgendo rilievi in parte analoghi a quelli svolti nella memoria  di
costituzione nel procedimento r.o. n. 397 del 2008 e  osservando,  in
particolare, che la sospensione prevista dalla disposizione censurata
non e' un'immunita'. Secondo l'imputato, infatti, l'immunita' e'  una
circostanza scriminante, che «tutela in  via  esclusiva,  diretta  ed
immediata, il sereno e libero esercizio  della  funzione  esercitata,
garantendone  l'autonomia  da  altri  poteri»,  avendo   ad   oggetto
comportamenti per i quali «viene esclusa ogni responsabilita'  penale
che mai ed in nessun tempo  puo'  sorgere,  ne'  durante  l'esercizio
della funzione ne' in  un  momento  successivo».  Riguardo  ai  reati
extrafunzionali - prosegue  la  difesa  -  «sussiste  certamente  una
reviviscenza della astratta punibilita', a carica  scaduta,  sia  nel
caso di immunita' che nel caso di sospensione. Ma la ratio di  questi
due istituti e' altrettanto pacificamente diversa, poiche' la seconda
tutela, in via principale, diretta ed immediata, lo svolgimento di un
giusto processo attraverso la protezione del diritto di  difesa,  che
del giusto processo e' condizione ineliminabile, il quale subisce  un
arresto temporaneo sino al momento in cui cessa la carica esercitata,
ossia la causa di legittimo impedimento a comparire». 
    2.2.1. - In relazione al  principio  di  uguaglianza,  la  difesa
della parte privata premette che l'ordinamento penale  prevede  molti
casi  in  cui  la  diversita'  di  trattamento  dipende  da   profili
soggettivi (come, ad esempio, per i reati dei pubblici ufficiali o  i
reati militari). Con particolare riferimento all'asserita  violazione
degli artt. 68, 90 e 96 Cost., rileva che tali parametri nulla  hanno
a che vedere con l'articolo denunciato, perche' essi  sono  «rivolti,
in  via  esclusiva,  diretta  ed  immediata,  a  tutelare  il  sereno
svolgimento delle funzioni  rispetto  al  potere  giurisdizionale,  e
dunque per tutelare un interesse pacificamente esterno al  processo».
In  particolare,  gli  articoli  68  e  90  Cost.  prevedrebbero  una
immunita'  di  natura  funzionale,  che  «sottrae  un  soggetto  alla
giurisdizione, poiche'  comporta  l'esclusione,  che  si  protrae  ad
infinitum, di ogni responsabilita' penale», mentre  l'art.  96  Cost.
«non prevede una immunita' ma una condizione di procedibilita', ossia
«una ulteriore ipotesi [...] di blocco definitivo dell'esercizio  del
potere giurisdizionale, qui derivante da una valutazione di un organo
politico   in   merito    alla    sussistenza    dei    presupposti».
Differentemente,  la  sospensione  temporanea  del  processo   penale
prevista dalla disciplina denunciata «non e' un istituto che  esclude
la giurisdizione e nemmeno l'eventuale  responsabilita'  penale,  non
tutela in via diretta ed immediata un interesse esterno  al  processo
ma un diritto  inviolabile  interno  ed  immanente  allo  stesso.  Di
talche'  il  giudizio  verrebbe   si'   sospeso,   ma   pacificamente
rinizierebbe nel momento in cui  cessi  la  causa  che  nega  il  suo
intangibile diritto di difesa,  ossia  il  perdurare  della  carica».
L'assoluta eterogeneita'  tra  la  norma  censurata  e  i  menzionati
parametri costituzionali sarebbe, inoltre,  confermata  dall'espressa
previsione della salvezza dei «casi previsti dagli articoli 90  e  96
della Costituzione», la quale avrebbe la  funzione  di  «accompagnare
l'interprete nella direzione esattamente opposta a quella seguita dal
giudice a quo, avvertendo che i beni giuridici tutelati non sono  gli
stessi per i quali e' stata approvata la legge n. 124/2008, non vi e'
perfetta comunanza di finalita' e nemmeno di ratio». 
    2.2.2. - In relazione al principio di  ragionevolezza,  la  parte
privata rileva che,  poiche'  la  disciplina  censurata  e'  volta  a
tutelare il  diritto  di  difesa  dell'imputato,  e'  irrilevante  la
differenza di trattamento fra reati funzionali ed extrafunzionali, in
quanto ogni volta che la Corte costituzionale «si e' pronunciata  sul
diritto fondamentale di difesa personale non ha mai  operato  la  ben
che  minima  distinzione  in  ordine  al  tipo   di   reato   oggetto
dell'imputazione e nemmeno alla sua gravita». Contrariamente, poi,  a
quanto ritenuto dal giudice a quo, il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e i ministri non sarebbero sullo stesso  piano,  perche'  il
primo  comma  dell'art.  95  Cost.  e'  esclusivamente  dedicato   al
Presidente del Consiglio dei ministri ed ai suoi  compiti  e  prevede
che  egli  «dirige  la  politica  generale  del  Governo  e   ne   e'
responsabile.   Mantiene   l'unita'   di   indirizzo   politico    ed
amministrativo, promuovendo e coordinando l'attivita' dei  ministri»,
mentre l'art. 92, secondo comma,  Cost.  gli  assegna  il  potere  di
proporre la nomina e la revoca dei ministri. Cio' troverebbe conferma
anche  nel  fatto   che   la   legge   elettorale   vigente   collega
«l'apparentamento dei partiti politici ad un soggetto che si  candida
espressamente per esercitare le funzioni di Presidente del Consiglio»
e negli  «incarichi  internazionali  correlati  alla  Presidenza  del
Consiglio, quali ad esempio la presidenza  del  G8  e  del  G20,  che
comportano una quantita' impressionante  di  impegni  all'estero  per
piu' giorni consecutivi».  Un'ulteriore  conferma  della  particolare
posizione del Presidente del Consiglio dei ministri  nell'ordinamento
deriverebbe dalle previsioni della legge 23 agosto 1988, n.  400,  la
quale,  in  attuazione  del  dettato  costituzionale,  attribuisce  a
quest'ultimo molti poteri che i singoli ministri non hanno, come, tra
gli altri: l'iniziativa  per  la  presentazione  della  questione  di
fiducia dinanzi  alle  Camere;  la  convocazione  del  Consiglio  dei
ministri e di fissazione dell'ordine  del  giorno;  la  comunicazione
alle Camere della composizione del Governo e  di  ogni  mutamento  in
essa intervenuto; la proposizione  della  questione  di  fiducia;  la
sottoposizione al Presidente della  Repubblica  delle  leggi  per  la
promulgazione, dei disegni di legge per la presentazione alle Camere,
dei testi dei decreti aventi valore o forza di legge, dei regolamenti
governativi e degli altri atti indicati dalle leggi per l'emanazione;
la controfirma degli atti di promulgazione  delle  leggi  nonche'  di
ogni atto per il quale e' intervenuta deliberazione del Consiglio dei
ministri, degli atti che hanno valore o forza di legge e, insieme con
il ministro proponente, degli altri atti  indicati  dalla  legge;  la
presentazione  alle  Camere  dei  disegni  di  legge  di   iniziativa
governativa e, anche attraverso il ministro  espressamente  delegato,
l'esercizio delle facolta' del Governo di cui all'articolo 72  Cost.;
l'esercizio delle attribuzioni di cui alla legge n. 87 del 1953, e la
promozione degli adempimenti di  competenza  governativa  conseguenti
alle decisioni della  Corte  costituzionale;  la  formulazione  delle
direttive politiche ed  amministrative  ai  ministri,  in  attuazione
delle deliberazioni del Consiglio dei  ministri,  nonche'  di  quelle
connesse alla propria responsabilita'  di  direzione  della  politica
generale del Governo; il coordinamento e la promozione dell'attivita'
dei ministri in ordine agli atti che riguardano la politica  generale
del Governo; la  sospensione  dell'adozione  di  atti  da  parte  dei
ministri competenti in ordine a questioni politiche e amministrative,
con la loro sottoposizione al Consiglio dei ministri  nella  riunione
immediatamente successiva; il deferimento al Consiglio  dei  ministri
della decisione di questioni sulle  quali  siano  emerse  valutazioni
contrastanti tra amministrazioni  a  diverso  titolo  competenti;  il
coordinamento  dell'azione  del  Governo  relativa   alle   politiche
comunitarie e all'attuazione delle politiche comunitarie.  Dal  punto
di vista politico,  invece  «il  Presidente  del  Consiglio  risponde
collegialmente per tutti gli atti del Consiglio dei ministri ma,  non
si   puo'   dimenticare,   individualmente   per   quelli    compiuti
nell'esercizio delle funzioni a lui attribuitegli, in via  esclusiva,
dalla Costituzione e dalla legge ordinaria». 
    In conclusione, pare razionale alla difesa della parte che l'art.
96 Cost., in quanto diretto a garantire  il  sereno  svolgimento  del
potere  esecutivo,  accomuni  in  un'unica  disciplina   coloro   che
esercitano lo stesso  potere,  sebbene  con  funzioni  diverse  e  in
posizione differenziata.  Pare  ugualmente  razionale  che  la  norma
censurata, in quanto diretta a tutelare il diritto  inviolabile  alla
difesa  personale  nel  processo,   tenga   conto,   invece,   «delle
disposizioni costituzionali, e della legge ordinaria  di  attuazione,
che attribuiscono espressamente rilevantissimi poteri-doveri politici
al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  di  cui  e'  il   solo
responsabile, valutando dunque, in maniera  altrettanto  ragionevole,
che solo i suoi impegni possono  configurare  un  costante  legittimo
impedimento a comparire nel processo penale, diretto ad accertare una
responsabilita' giuridica esclusivamente  personale».  E  cio'  anche
perche' - ad avviso della stessa difesa -  «la  Carta  costituzionale
non contiene, invece,  alcuna  attribuzione  esplicita  di  poteri  o
doveri ai ministri, ma ne  demanda  la  disciplina  alla  sola  legge
ordinaria e alla prassi». 
    2.2.3. - La difesa  passa,  poi,  a  trattare  specificamente  il
profilo soggettivo della  disciplina  censurata,  sostenendo  che  il
Presidente della Repubblica, i Presidenti del Senato della Repubblica
e della Camera  dei  deputati  e  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  sono  «accomunati  da  quattro  caratteristiche:  ricoprono
posizioni di  vertice  in  altrettanti  organi  costituzionali,  sono
titolari di funzioni  istituzionali  aventi  natura  politica,  hanno
l'incarico  di  adempiere  peculiari  doveri  che   la   Costituzione
espressamente impone loro e ricevono la propria investitura,  in  via
diretta o mediata,  dalla  volonta'  popolare».  Diversa  sarebbe  la
posizione del Presidente della  Corte  costituzionale,  perche'  egli
«non riceve la propria investitura dalla volonta',  ne'  diretta  ne'
indiretta, del popolo. Si aggiunga che la sentenza n. 24/2004  poneva
in luce che la legge n. 140/2003 mentre  faceva  espressamente  salvi
gli artt. 90 e 96 Cost., nulla diceva a proposito del  secondo  comma
dell'art. 3  della  legge  costituzionale  9  febbraio  1948,  n.  1.
Riscontrava,  per  tale  ragione,  gravi   elementi   di   intrinseca
irragionevolezza». 
    Secondo la difesa dell'imputato, «le alte cariche indicate  dalla
legge n. 124/2008  si  trovano  tutte  in  una  posizione  nettamente
differenziata  rispetto  agli  altri  componenti  degli  organi   che
eventualmente presiedono». In particolare, il Presidente della Camera
dei deputati: a) convoca in seduta comune il Parlamento e i  delegati
regionali per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica (art. 85,
secondo comma, Cost.); b) indice la  elezione  del  nuovo  Presidente
della Repubblica (art. 86,  secondo  comma,  Cost.);  c)  convoca  il
Parlamento in seduta comune per l'elezione di un  terzo  dei  giudici
della  Corte  costituzionale  (art.  135,  primo  comma,  Cost.);  d)
presiede le riunioni  del  Parlamento  in  seduta  comune  (art.  63,
secondo comma, Cost.); e) rappresenta la Camera e ne assicura il buon
funzionamento; f) sovrintende all'applicazione del regolamento presso
tutti gli organi della Camera e decide sulle questioni relative  alla
sua interpretazione acquisendo, ove lo ritenga opportuno,  il  parere
della Giunta per il regolamento, che presiede; g) emana  circolari  e
disposizioni interpretative del regolamento; h) decide,  in  base  ai
criteri stabiliti dal regolamento, sull'ammissibilita'  dei  progetti
di legge, degli emendamenti  e  ordini  del  giorno,  degli  atti  di
indirizzo e di sindacato  ispettivo;  i)  cura  l'organizzazione  dei
lavori della Camera convocando la Conferenza dei presidenti di gruppo
e predisponendo, in caso di mancato raggiungimento della  maggioranza
prescritta dal regolamento, il programma e il calendario; l) presiede
l'Assemblea e gli organi preposti alle funzioni di organizzazione dei
lavori e di direzione generale della Camera (Ufficio  di  presidenza,
Conferenza dei presidenti di gruppo, Giunta per il  regolamento);  m)
nomina i componenti degli organi interni  di  garanzia  istituzionale
(Giunta per il regolamento, Giunta  delle  elezioni,  Giunta  per  le
autorizzazioni richieste ai sensi dell'art. 68 Cost.); n) assicura il
buon andamento dell'amministrazione interna della Camera, diretta dal
Segretario generale, che ne risponde nei suoi riguardi. Il Presidente
del Senato della Repubblica: a) esercita le funzioni di supplente del
Presidente della Repubblica, in base all'art. 86 Cost., in ogni  caso
in cui questi non possa adempierle; b) viene  sentito,  al  pari  del
Presidente della Camera dei deputati, dal Presidente della Repubblica
prima di sciogliere entrambe le Camere o anche una sola di esse (art.
88 Cost.); c) rappresenta il Senato; d) regola l'attivita' di tutti i
suoi organi; e) dirige e modera le discussioni; f) pone le questioni;
g) stabilisce l'ordine delle votazioni e ne proclama il risultato; h)
dispone dei poteri necessari per  mantenere  l'ordine  e  assicurare,
sulla base del regolamento interno, il buon andamento dei lavori. 
    In conclusione - prosegue la difesa dell'imputato - «nella logica
della valorizzazione del dettato costituzionale, dei  regolamenti  di
attuazione, e delle indicazioni della  Consulta,  il  legislatore  ha
ragionevolmente ritenuto che solo gli impegni  di  codeste  peculiari
alte cariche politiche  possano  prospettare  un  costante  legittimo
impedimento a comparire nel processo penale, diretto ad accertare una
responsabilita' giuridica esclusivamente personale, e  che  solo  nei
loro confronti sorga l'esigenza di tutelarne, in  maniera  specifica,
la serenita' di azione». 
    Quanto alla facolta' di rinuncia alla  sospensione  prevista  dal
censurato comma 2 dell'art. 1 della legge n. 124 del 2008,  la  parte
privata sostiene che essa «da' la riprova che la ratio oggettivizzata
in questo dettato legislativo e'  si'  quella  di  tutelare,  in  via
indiretta, un interesse politico, ma soprattutto, in via  diretta  ed
immediata, l'inviolabile diritto di difesa. Altrimenti  una  facolta'
di rinuncia non sarebbe stata prevista». Ne conseguirebbe che «non vi
e' allora nessuna necessita' di prevedere un filtro per la tutela  di
tale primario diritto, poiche'  la  normativa  in  esame  costituisce
concreta attuazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione». 
    2.2.4. - In relazione  alla  questione  proposta  in  riferimento
all'art. 138 Cost., la  difesa  dell'imputato,  dopo  avere  premesso
quanto dedotto nella memoria depositata nel procedimento r.o. n.  397
del 2008, passa ad esaminare le  cause  di  sospensione  regolate  da
leggi ordinarie e  dirette  a  determinate  categorie  o  a  soggetti
specificati per funzione, qualifica o qualita'. Sostiene, sul  punto,
che «e' assolutamente pacifico e notorio che la massima  parte  delle
attribuzioni dei compiti e delle specificazioni in  tema  sono  stati
sempre posti in essere mediante leggi ordinarie»,  anche  perche'  le
riserve di legge costituzionale devono essere espressamente  previste
dalla Costituzione. Esistono infatti - prosegue la difesa -  numerose
cause di sospensione del processo previste con  legge  ordinaria  «ed
indirizzate a determinate categorie  o  a  soggetti  specificati  per
funzione, qualifica o qualita', alcune delle quali sono dirette  alla
tutela di un diritto immanente al processo,  altre  di  un  interesse
esclusivamente esterno», come, ad esempio: nel  codice  di  procedura
penale «gli articoli 3, 37, 41, 47, 71, 344, 477, e 479,  cosi'  come
nel codice penale gli articoli 159 e 371-bis»; in materia tributaria,
«quei molteplici decreti-legge convertiti i  quali,  in  correlazione
con il condono previsto dagli  stessi,  disponevano  una  sospensione
processuale  estremamente  lunga»;  l'art.  243  del  codice   penale
militare di guerra, «ove la sospensione e' correlata alla  condizione
soggettiva di appartenenza a  reparti  mobilitati»;  «l'art.  28  del
d.P.R. 22  settembre  1988,  n.  448  in  tema  di  procedimenti  nei
confronti di minorenni», in cui «la  sospensione  e'  addirittura  ad
personam ove si ritenga da parte del giudice  di  dover  valutare  la
personalita' del minorenne». 
    2.2.5. - Quanto alla natura delle «cause di sospensione derivanti
dalla sussistenza di immunita' internazionali»,  la  medesima  difesa
sostiene che esse non trovano copertura nell'art. 10  Cost.,  perche'
sono previste da trattati internazionali recepiti con legge ordinaria
e  non  dalle  «norme   del   diritto   internazionale   generalmente
riconosciute».  Sostiene,  inoltre,  che  esse  sono   «squisitamente
soggettive, ovvero strettamente correlate alla  funzione  svolta  dal
soggetto interessato», come ad esempio quelle previste dall'art.  31,
primo  comma,  seconda  parte,  della  Convenzione  di  Vienna  sulle
relazioni diplomatiche del 18  aprile  1961  e  dall'art.  43,  primo
comma, della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari  del  24
aprile 1963. Sostiene, infine, che  le  immunita'  hanno  natura  sia
funzionale, sia extrafunzionale, in quanto coprono «tutti  gli  atti,
compiuti come persona privata o come carica  pubblica  da  parte  del
soggetto immune, siano  quelli  privati,  precedenti  o  concorrenti,
rispetto alla sua condizione di  alto  rappresentante  dello  Stato»,
come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte internazionale  di
giustizia e della Corte di cassazione e confermato dalla dottrina. 
    2.2.6. - Quanto al  parametro  dell'art.  112  Cost.,  la  difesa
dell'imputato   sostiene   che:   a)   l'orientamento   della   Corte
costituzionale, secondo cui fra il diritto di essere giudicato  e  il
diritto di autodifendersi deve ritenersi prevalente quest'ultimo,  si
attaglia  perfettamente  alla  sospensione   prevista   dalla   norma
censurata; b) l'art. 112 Cost.  non  impone  un'assoluta  continuita'
nell'esercizio dell'azione penale una volta che questa viene avviata,
essendo ben  possibile  che  vengano  meno  eventuali  condizioni  di
procedibilita'  oggettive   o   soggettive;   c)   «l'obbligatorieta'
dell'azione   penale   non   nasce   dal   semplice   fatto   storico
antigiuridico, ma dal medesimo fatto connotato da una  condizione  di
procedibilita' ex officio o  su  impulso  di  parte  privata»  e  «il
pubblico ministero ha si' l'obbligo di esercitare l'azione penale, ma
sempre che non vi  siano  cause  ostative  o  sospensive  dell'azione
stessa, che  possono  liberamente  essere  fissate  dal  legislatore,
purche'  non  confliggano  con  i  principi  di  uguaglianza   e   di
ragionevolezza»; d) l'ordinamento prevede la querela e la  remissione
di querela, oltre a fattispecie come  l'immunita'  o  l'estradizione,
nelle quali l'azione penale e' preclusa «totalmente  o  parzialmente,
temporaneamente  o  definitivamente»,  nonche'  fattispecie  in   cui
«alcuni fatti di reato, pur nell'obbligatorieta' dell'azione penale e
nell'antigiuridicita' della condotta, sono  perseguibili  soltanto  a
richiesta del Ministro della giustizia» o «se il soggetto  agente  si
trovi nel territorio dello Stato, per i  reati  commessi  all'estero»
(artt. 8, 9 e 10 cod. pen.); e) l'art. 260 del codice penale militare
di pace subordina la procedibilita' di una notevole  serie  di  reati
alla richiesta del comandante del corpo;  f)  l'art.  313  cod.  pen.
«subordina l'esercizio dell'azione penale  per  una  lunga  serie  di
delitti,  alcuni  di  non   certo   modesta   gravita',   addirittura
all'autorizzazione del Ministro della Giustizia» e tale disciplina e'
stata ritenuta conforme a Costituzione dalla sentenza n. 22 del 1959,
con la quale si e' affermato che «l'istituto della  autorizzazione  a
procedere trova fondamento nello stesso interesse  pubblico  tutelato
dalle norme  penali,  in  ordine  al  quale  il  procedimento  penale
potrebbe qualche volta risolversi in un danno piu' grave  dell'offesa
stessa»; g) nel caso in esame, «contrariamente a  quanto  accade  con
l'art. 313 c.p., ritenuto costituzionalmente corretto, non vi e'  una
inibizione  definitiva  dell'azione  penale   bensi'   soltanto   una
temporanea sospensione del processo»,  con  la  conseguenza  che  «la
giurisdizione potra' poi effettivamente esplicarsi». 
    2.2.7. - Quanto alla violazione dell'art. 111 Cost.,  prospettata
dal  rimettente  sotto  il  profilo  della  ragionevole  durata   del
processo, la difesa dell'imputato osserva  che:  a)  la  disposizione
censurata «segue alla lettera le indicazioni date  da  codesta  Corte
nella sentenza n. 24 del 2004, perche' impedisce  che  la  stasi  del
processo si protragga per un tempo  indefinito  e  indeterminabile  e
prevede espressamente, nel  contempo,  la  non  reiterabilita'  delle
sospensioni»; b) la giurisprudenza della Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo e quella costituzionale hanno riconosciuto la rilevanza del
canone della ragionevole durata del processo, chiarendo,  pero',  che
esso «non costituisce un  valore  assoluto,  da  perseguire  ad  ogni
costo»; c) in particolare, la Corte costituzionale,  con  l'ordinanza
n. 458 del 2002, ha  affermato  che:  «il  principio  di  ragionevole
durata del processo non puo' comportare la vanificazione degli  altri
valori costituzionali che in esso sono coinvolti, primo fra  i  quali
il  diritto  di  difesa,  che  l'art.  24,  secondo  comma,  proclama
inviolabile in ogni stato e grado del procedimento»;  d)  ancora,  la
stessa Corte, con l'ordinanza n. 204 del 2001 ha affermato  che:  «il
principio della ragionevole durata del  processo  [...]  deve  essere
letto  -  alla  luce  dello   stesso   richiamo   al   connotato   di
"ragionevolezza",  che   compare   nella   formula   normativa -   in
correlazione   con   le   altre   garanzie   previste   dalla   Carta
costituzionale, a cominciare da quella relativa al diritto di  difesa
(art. 24 Cost.)». 
    Piu' in particolare,  in  relazione  al  rilievo  del  rimettente
secondo cui «la sospensione cosi' formulata, bloccando il processo in
ogni stato e grado per un periodo potenzialmente molto lungo, provoca
un evidente  spreco  di  attivita'  processuale»,  la  parte  privata
osserva che «l'istruttoria dibattimentale,  per  quanto  riguarda  la
posizione  dell'esponente,   non   e'   affatto   conclusa   mancando
l'audizione  del  consulente  tecnico  di  parte  e  l'audizione   di
numerosissimi testimoni». 
    Quanto, poi, all'affermazione del giudice a quo per cui «la norma
[...] nulla dice sull'utilizzabilita' delle prove gia'  assunte,  che
potrebbero  venire   del   tutto   disperse   qualora,   al   termine
dell'eventualmente lungo periodo di  operativita'  della  sospensione
[...], divenisse impossibile la ricostruzione del medesimo collegio»,
la difesa dell'imputato sostiene che si tratta di  «una  ipotesi  del
tutto potenziale e futura»,  con  conseguente  inammissibilita',  per
difetto  di  rilevanza,  della  relativa  questione  di  legittimita'
costituzionale. In ogni caso - prosegue la difesa dell'imputato - non
si comprende «per quali ragioni sia oggi sostenibile  dal  rimettente
l'affermazione che  non  sara'  possibile  ricostituire  il  medesimo
collegio»,  considerato  che  «la  permanenza  nello  stesso  ufficio
giudiziario per la durata massima della carica di un  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  non  e'  certamente  infrequente,  anzi,  e
comunque vi e' sempre la possibilita' di ricostituzione  mediante  le
opportune applicazioni».  Se  poi  lo  stesso  Tribunale,  nella  sua
composizione  attuale,  proseguira'  nel  giudicare   il   coimputato
pronunciando sentenza, «si porra', qualsiasi sia la decisione, in una
situazione di assoluta incompatibilita' sancita dal codice di  rito».
La rinnovazione dell'istruttoria «non avrebbe in alcun modo l'effetto
di porre nel nulla l'attivita' sino a quel momento compiuta, la quale
invece si  riverserebbe  nel  nuovo  fascicolo  del  dibattimento»  e
sarebbero «poi le parti a dover decidere se richiedere l'espletamento
di tutti o parte degli incombenti dibattimentali, fermo  restando  il
contenuto del fascicolo del dibattimento». 
    Quanto,  infine,  alla  mancata  previsione  di  una   disciplina
dell'utilizzabilita' in sede civile  delle  prove  gia'  assunte  nel
processo  penale,  la  difesa  dell'imputato  ritiene  che  essa  non
comporta alcun divieto di utilizzabilita' delle prove stesse, perche'
trovano applicazione le regole generali, «potendo  cosi'  il  giudice
civile, in piena autonomia, utilizzarle  e  valutarle  come  semplici
indizi o come prova esclusiva del proprio convincimento». 
    2.3. - Si e' costituito il pubblico ministero del giudizio a quo,
nelle persone del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Milano e di un sostituto della stessa Procura. 
    Il  pubblico  ministero  sostiene  l'ammissibilita'   della   sua
costituzione in giudizio e chiede, nel merito, che siano  accolte  le
questioni proposte dal rimettente, svolgendo considerazioni  analoghe
a quelle contenute nella memoria depositata nel procedimento r.o.  n.
397 del 2008. 
    2.4. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    2.4.1. - La difesa  erariale  rileva,  in  primo  luogo,  che  la
questione   proposta   in   riferimento   all'art.   138   Cost.   e'
«inammissibile  e  comunque  infondata»,  perche'   la   disposizione
censurata ha la funzione di  tutelare  il  sereno  svolgimento  delle
rilevanti funzioni inerenti  alle  alte  cariche  dello  Stato  e  la
«materia,  considerata  di  per  se',  non  e'  preclusa  alla  legge
ordinaria», come  confermato  dal  fatto  che  altre  fattispecie  di
sospensione sono disciplinate dal codice  di  procedura  penale.  «Il
fatto che nella Costituzione si trovino  alcune  "prerogative"  degli
organi  costituzionali»  -  prosegue  l'Avvocatura  generale  -  «non
significa che non  ne  possano  essere  introdotte  altre  con  legge
ordinaria, ma solo che le prime costituiscono deroghe  a  principi  o
normative posti dalla Costituzione stessa e  che  quindi  solo  nella
Costituzione possono trovare deroghe». Del resto - secondo la  stessa
difesa - «per dimostrare la necessita' della legge costituzionale  si
sarebbe dovuto indicare l'interesse  incompatibile,  garantito  dalla
Costituzione, rispetto alla quale la norma avrebbe dovuto  costituire
una  deroga»,  mentre  il  rimettente  non  ha   indicato   parametri
costituzionali diversi dall'art. 138 Cost., «perche' in  effetti  non
ce ne sono di utilizzabili».  Tale  conclusione  troverebbe  conferma
nella sentenza n. 24 del 2004, avente ad oggetto la legge n. 140  del
2003, con cui la  Corte  costituzionale,  non  avendo  affrontato  la
questione della «forma legislativa utilizzabile», ne avrebbe  escluso
implicitamente la rilevanza. 
    2.4.2. - In secondo luogo, la difesa  erariale  sostiene  che  la
questione  sollevata  con  riferimento   all'art.   112   Cost.   «e'
inammissibile in quanto non compiutamente  motivata  (e  comunque  e'
manifestamente  infondata  in  quanto,  all'evidenza,  la   meramente
disposta sospensione del  processo  [...]  non  incide,  limitandola,
sulla obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale da parte  del
P.M.), al pari di quella  prospettata  con  riferimento  all'art.  68
Cost. (essendo le ragioni accennate nella ordinanza nella stessa  non
sviluppate, anche per quanto attiene alla rilevanza  nel  giudizio  a
quo)». 
    2.4.3. - In terzo  luogo,  quanto  alla  pretesa  violazione  del
principio di uguaglianza dei  cittadini  davanti  alla  giurisdizione
penale, l'Avvocatura generale  rileva  che  sussiste  una  «posizione
particolarmente qualificata  delle  alte  cariche  contemplate  dalla
norma  in   discussione,   nella   considerazione   della   possibile
compromissione dello svolgimento delle elevate funzioni  alle  stesse
affidate anche per la inovviabile risonanza, anche mediatica,  ed  in
termini non limitati all'interno del  Paese,  dello  svolgimento  del
processo penale a loro carico durante il periodo  in  cui  le  stesse
funzioni sono esercitate».  La  deroga  alla  giurisdizione  prevista
dalla norma denunciata sarebbe, del resto, «proporzionata ed adeguata
alla finalita' perseguita, in termini sia di prevista  predeterminata
e non reiterabile durata della sospensione [...], sia  di  consentita
rinuncia dell'interessato [...] sia, infine  di  tutela  efficace  ed
"immediata" delle ragioni della eventuale parte civile». 
    2.4.4. - In quarto luogo, sempre ad avviso della difesa erariale,
la norma censurata non e'  irragionevole,  perche',  «in  una  logica
conseguente ad una ponderazione e ad un bilanciamento degli interessi
"in giuoco", non e' certo arbitrario  che  la  stessa  sottoposizione
alla  giurisdizione  ordinaria  del  Presidente  del  Consiglio   dei
ministri per reati commessi nell'esercizio delle proprie funzioni sia
costituzionalmente  garantita  dalla  prevista   autorizzazione   del
Parlamento, chiamato percio' a previamente valutare  se  la  condotta
sia meritevole di essere sottoposta all'esame del giudice  ordinario,
avanti al quale la  ipotizzata  immediatezza  del  perseguimento  del
reato  funzionale  trova  la  sua  giustificazione  nella  preminente
rilevanza  istituzionale  degli  interessi  di   carattere   generale
coinvolti  ed  incisi  dalla  contestata  condotta  (rilevanza   che,
contrariamente a quanto assume il rimettente, non va valutata solo in
termini di pena conseguente). All'incontro, la stessa esigenza non e'
comunque prospettabile con riferimento ai reati "comuni", per i quali
il processo e' promosso dal P.M., senza necessita'  di  alcun  previo
"filtro  politico",  e  per  il  quale  e'  prevista  solo   la   sua
sospensione, temporanea e  predeterminata,  nella  ragionevole  e  su
evidenziata considerazione  del  "pregiudizio"  del  suo  svolgimento
sull'esercizio  delle  funzioni   istituzionali   proprie   dell'alta
carica».  Non  sarebbe,  del   pari,   irragionevole   la   «disposta
limitazione della sospensione, tra gli Organi  di  governo,  al  solo
Presidente del Consiglio [...], poiche' e' indiscutibile la posizione
costituzionalmente  differenziata  del  primo  rispetto  agli   altri
componenti del Governo, spettando al Presidente (art.  95  Cost.)  il
dirigere la politica generale del Governo, essendone il responsabile,
e il mantenere l'unita'  di  indirizzo  politico  ed  amministrativo,
promovendo e coordinando l'attivita' dei Ministri». 
    2.4.5.  -  In  quinto  luogo,  non   sussisterebbe   neppure   la
prospettata violazione del principio  della  ragionevole  durata  del
processo di  cui  all'art.  111  Cost.,  perche':  da  un  lato,  «la
previsione, da parte della legge ordinaria, di cause che  comportano,
per ragioni oggettive o soggettive, il temporaneo arresto del normale
svolgimento  del  processo  penale  [...]  non  mette  in  crisi   il
menzionato principio  della  ragionevole  durata;  d'altro  lato,  la
temporanea sospensione del processo, quale  delineata  e  come  sopra
"conformata" con la disposizione in discussione,  e'  congruamente  e
ragionevolmente  finalizzata  ad   evitare   il   rischio   che   sia
pregiudicato il corretto e sereno esercizio delle  eminenti  funzioni
pubbliche  delle  quale  sono   investite   le   alte   cariche   ivi
considerate». 
    2.4.6. - In sesto luogo, non pare decisivo alla  difesa  erariale
«l'ulteriore rilievo della ordinanza  che  evidenzia  la  carenza  di
esplicita previsione circa la utilizzabilita' nell'ulteriore fase del
processo dei mezzi di prova gia' assunti», perche'  «la  disposizione
de qua nulla  espressamente  dispone  al  riguardo»  e  spettera'  al
giudice a quo «motivatamente optare per una non  preclusa  e  percio'
possibile interpretazione dell'art. 511  c.p.p.  che,  tenendo  conto
della "particolarita'" del regime predisposto con la disposizione  in
discussione, consenta comunque [...]  la  utilizzazione  delle  prove
gia' assunte nella precedente fase». 
    2.5. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  la
parte  privata  chiede  che   venga   dichiarata   inammissibile   la
costituzione in giudizio del pubblico  ministero,  svolgendo  rilievi
analoghi a quelli contenuti nella memoria depositata  in  prossimita'
dell'udienza nel procedimento r.o. n. 397 del 2008. 
    2.6. - Con memoria depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  il
pubblico ministero del giudizio  a  quo  insiste  per  l'accoglimento
delle questioni proposte nell'ordinanza di rimessione,  ribadendo  le
argomentazioni gia' svolte nella memoria di costituzione. 
    3. - Con ordinanza del 26 settembre 2008 (r.o. n.  9  del  2009),
nel corso di  un  procedimento  penale  in  cui  e'  sottoposto  alle
indagini, tra gli altri, l'on. Silvio Berlusconi, attuale  Presidente
del Consiglio dei ministri, il Giudice per  le  indagini  preliminari
presso il  Tribunale  di  Roma  ha  sollevato,  in  riferimento  agli
articoli  3,  111,  112  e  138  Cost.,  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1 della legge n. 124 del 2008. 
    3.1. - In punto di fatto, il rimettente premette che: a) «in data
4 luglio 2008 il p.m. ha avanzato richiesta di proroga dei termini di
scadenza delle indagini preliminari (art. 406 c.p.p.) per il  periodo
di sei mesi, nell'ambito del procedimento iscritto  al  n.  1349/2008
del Registro delle notizie di  reato»;  b)  «decorso  il  periodo  di
sospensione feriale dei termini di cui alla legge n. 742/1969, questo
giudice  si  e'  trovato   nella   necessita'   di   procedere   alla
notificazione della  richiesta  del  p.m.  agli  indagati,  in  vista
dell'instaurazione del contraddittorio cartolare di cui all'art. 406,
comma 3 c.p.p. che in via  eventuale  puo'  instaurarsi  prima  della
relativa decisione»; c) in data 23 luglio 2008 e' stata approvata dal
Parlamento la norma censurata, il cui comma 1 impone  la  sospensione
generale ed automatica dei processi penali nei confronti dei soggetti
che  rivestono  la  qualita'  di  Presidente  della  Repubblica,   di
Presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica  e
di Presidente del Consiglio dei ministri dalla data di  assunzione  e
fino alla cessazione della carica, anche per processi penali relativi
a fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione. 
    Quanto alla rilevanza delle sollevate questioni, il giudice a quo
osserva che, anche se la locuzione «processi penali»,  adoperata  dal
censurato comma 1, «lascerebbe intendere la  non  operativita'  della
legge per le fasi  anteriori  al  giudizio  propriamente  inteso,  da
celebrarsi cioe' in pubblico dibattimento»,  un'attenta  analisi  del
dato normativo non autorizza una tale interpretazione restrittiva.  E
cio' perche' - prosegue il giudice a quo  -  il  successivo  comma  7
stabilisce che «le disposizioni del presente  articolo  si  applicano
anche ai processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado,  alla
data di entrata in vigore della presente legge».  Secondo  lo  stesso
rimettente, «se e'  certamente  concepibile  la  circostanza  che  un
processo,  inteso  come  procedimento   pervenuto   alla   fase   del
dibattimento  pubblico,  possa  pendere  in  diversi  gradi   (primo,
secondo, di legittimita') e se e'  certamente  possibile  individuare
all'interno dei gradi,  diversi  stati  (quelli  ad  es.  degli  atti
preliminari al dibattimento di  primo,  artt.  465-469  c.p.p.  e  di
secondo grado, art. 601 c.p.p.; atti  successivi  alla  deliberazione
della sentenza di primo grado, artt. 544-548 c.p.p.; atti preliminari
alla decisione del ricorso per Cassazione, art. 610 c.p.p.),  non  e'
invece giuridicamente ipotizzabile per il giudizio dibattimentale una
fase che non sia quella in cui lo stesso e' per l'appunto pervenuto».
Cio' dimostrerebbe «il carattere atecnico della  locuzione  adoperata
(processo) che copre  in  realta'  e  come  del  resto  espressamente
enunciato, ogni fase, stato e grado del procedimento», anche  perche'
altrimenti  la  previsione  di  legge  sarebbe  priva  di   rilevanza
«dispositiva, precettiva o  anche  solo  ermeneutica».  Un  ulteriore
argomento testuale  a  favore  dell'applicabilita'  della  disciplina
denunciata anche alla fase delle indagini preliminari si  rinverrebbe
nel disposto del censurato  comma  3,  il  quale  stabilisce  che  la
sospensione non impedisce al giudice, ove ne ricorrano i presupposti,
di provvedere, ai sensi degli articoli 392 e 467 cod. proc. pen., per
l'assunzione delle prove non rinviabili. Tale previsione  comporta  -
sempre secondo il rimettente - due  necessarie  implicazioni:  a)  la
sospensione riguarda anche fasi precedenti il  processo  inteso  come
giudizio dibattimentale pubblico, dal  momento  che  solo  nel  corso
della fase delle indagini preliminari e dell'udienza  preliminare  e'
consentito  il  ricorso  alla  acquisizione  anticipata  delle  prove
mediante  incidente  probatorio;  b)  nella   fase   delle   indagini
preliminari e' vietata, in linea generale, la raccolta delle prove e,
al fine  di  permettere  la  celebrazione  del  futuro  processo  che
potrebbe avere luogo alla scadenza del periodo di durata della carica
dei soggetti considerati,  e'  necessario  ricorrere  allo  strumento
dell'incidente probatorio. In particolare, il giudice a  quo  osserva
che, «ove [...] il legislatore  avesse  voluto  consentire  [...]  la
raccolta delle prove anche nella  fase  delle  indagini  preliminari,
nulla avrebbe detto al riguardo, laddove  si  e'  invece  sentito  in
dovere di indicare espressamente  le  eccezioni  [...]  al  principio
[...] di vietare ogni  acquisizione  probatoria  nei  procedimenti  a
carico dei soggetti che ricoprono le cariche pubbliche». 
    3.1.1. - Sul piano comparatistico, il rimettente osserva  che  la
disposizione censurata costituisce  «un  unicum»  rispetto  a  quanto
previsto da altri ordinamenti e ricorda che «solo le Costituzioni  di
pochi  Stati  (Grecia,  Portogallo,  Israele  e  Francia)   prevedono
l'immunita' temporanea per i reati comuni; essa e' peraltro  limitata
alla figura del Presidente della Repubblica, che rappresenta l'unita'
nazionale». La stessa regola - prosegue il giudice a quo - non  vale,
invece, per i Presidenti del Parlamento ne' tanto meno  per  il  Capo
dell'esecutivo, per il quale l'immunita' non e' «mai estesa ai  reati
comuni» e «passa attraverso la tutela del  mandato  parlamentare  che
quasi sempre [...] si cumula nella figura del premier, sotto forma di
previsione  di  autorizzazioni  a  procedere   concesse   da   organi
parlamentari (Spagna), Corti  costituzionali  (Francia)  o  tribunali
comuni (Stati Uniti)». Alla stessa logica sarebbero poi  ispirate  le
soluzioni normative  proprie  di  quei  sistemi  costituzionali  «che
prevedono fori speciali o particolari  condizioni  di  procedibilita'
(in genere ed ancora: autorizzazione  a  procedere  della  Camera  di
appartenenza) per l'esercizio dell'azione  penale  nei  confronti  di
alcune alte cariche dello Stato, per reati sia  comuni  che  connessi
all'esercizio delle funzioni (come ad es. in Spagna nei confronti del
Capo del Governo e dei Ministri), mantenendo comunque la facolta' per
la Corte costituzionale di  esercitare  un  controllo  sull'eventuale
diniego opposto dallo organo parlamentare». 
    3.1.2.  -  Tanto  premesso,  il   rimettente   afferma   che   la
disposizione denunciata viola, in  primo  luogo,  l'art.  138  Cost.,
perche'  «la  deroga  al  principio  di  uguaglianza   dinanzi   alla
giurisdizione  ed  alla  legge  e'  stata  [...]  introdotta  con  lo
strumento della legge ordinaria, che nella gerarchia delle  fonti  si
colloca evidentemente ad un livello  inferiore  rispetto  alla  legge
costituzionale, la quale [...] e' stata  di  per  se'  gia'  ritenuta
insuscettibile   di   alterare   uno   dei   connotati   fondamentali
dell'ordinamento dello Stato espresso dal suddetto principio». 
    Rileva il  giudice  a  quo  che,  «anche  solo  per  disciplinare
l'esercizio dell'azione penale nei confronti dei  soggetti  rivestiti
della carica di Ministri (tra cui lo stesso Presidente del Consiglio)
in  relazione  ai  reati  commessi  nell'esercizio   delle   relative
funzioni, il  legislatore  e'  ricorso  allo  strumento  della  legge
costituzionale (legge cost. 16  gennaio  1989,  n.  1),  in  funzione
derogatoria, tra gli altri, proprio dell'art. 96 Cost.». Il  silenzio
serbato sul punto dalla sentenza n. 24 del 2004,  avente  ad  oggetto
l'analoga disciplina della legge n. 140 del 2003,  non  puo'  «valere
come precedente a favore della costituzionalita' della  scelta  dello
strumento normativo allora come oggi adottato, dal  momento  che  gli
effetti delle sentenze che dichiarano l'illegittimita' costituzionale
delle disposizioni  di  legge  sottoposte  a  scrutinio  sono  quelli
espressamente previsti dagli artt. 27 e 30 legge 11  marzo  1953,  n.
87, e non si estendono anche alle questioni meramente deducibili». 
    3.1.3. - E' dedotta, in secondo luogo, la violazione dell'art. 3,
primo comma, Cost., sul rilievo che la disciplina  crea  «"un  regime
differenziato riguardo alla giurisdizione [...] penale" (sent.  Cost.
n. 24/2004)», ponendosi cosi' in  contrasto  con  «uno  dei  principi
fondamentali  del  moderno  Stato  di  diritto,  rappresentato  dalla
parita' dei cittadini di fronte alla giurisdizione, manifestazione  a
sua volta del principio di eguaglianza formale dinanzi alla legge». 
    Ad avviso del rimettente, la Corte costituzionale, con la  citata
sentenza n. 24 del 2004,  ha  affermato,  «con  espressioni  nette  e
limpide,  ancorche'  quantitativamente  ridotte  rispetto  al   corpo
motivazionale», che «nessuna legge, sia costituzionale e  tanto  meno
ordinaria, puo' sovvertire uno dei principi fondamentali del  moderno
Stato di diritto, rappresentato dalla parita' dei cittadini di fronte
alla giurisdizione, manifestazione  a  sua  volta  del  principio  di
eguaglianza formale dinanzi alla legge». L'assolutezza del  principio
sarebbe tale da sgombrare il campo dalla possibile obiezione che  «le
differenze che si riscontrano  nell'articolo  unico  della  legge  n.
124/2008 rispetto all'art. 1, comma 2,  della  legge  n.  140/2003  e
l'eliminazione degli ulteriori punti di  contrasto  con  altre  norme
costituzionali che caratterizzavano  quella  disciplina  (menomazione
del diritto di difesa dell'imputato e sacrificio delle ragioni  della
parte  civile  eventualmente  costituta  in  giudizio  in   relazione
all'art. 24 Cost.,  automatismo  generalizzato  della  sospensione  e
stasi indefinita dei tempi del processo in relazione ancora  all'art.
24 ed all'art. 111 Cost.; irragionevolezza derivante dalla previsione
di un'unica disciplina per cariche dello Stato diverse per  fonti  di
investitura e natura delle funzioni ed irragionevolezza tra regime di
esenzione dalla giurisdizione per  le  cariche  apicali  dello  Stato
rispetto ai membri degli organi costituzionali di appartenenza  o  di
altri soggetti svolgenti funzioni omologhe, in rapporto  all'art.  3,
secondo comma Cost.) possano fondare la legittimita' della previsione
qui censurata». 
    3.1.4. - Sarebbe violato, in terzo luogo,  l'art.  3  Cost.,  per
l'irragionevolezza    intrinseca    della    disciplina     derivante
dall'insindacabilita' della facolta'  di  rinunzia  alla  sospensione
«dal  momento  che  se  l'interesse  dichiaratamente  perseguito  dal
legislatore e' quello di assicurare la serenita' di svolgimento della
funzione nel periodo di  durata  in  carica  (sent.  Corte  cost.  n.
24/2004), la sospensione dei procedimenti dovrebbe essere  del  tutto
indisponibile  da  parte  dei  soggetti  considerati,  al   fine   di
assicurarne appieno l'efficacia». 
    3.1.5. -  L'articolo  denunciato  violerebbe,  in  quarto  luogo,
l'art. 111, secondo comma, Cost., perche' si  porrebbe  in  contrasto
con «un corollario immanente al principio di ragionevole  durata  del
processo, consistente nella concentrazione  delle  fasi  processuali,
nel senso che nell'ambito  del  procedimento  penale,  alla  fase  di
acquisizione delle prove deve seguire entro tempi ragionevoli  quella
della loro verifica in pubblico dibattimento, ai fini della emissione
di una giusta sentenza da parte del giudice». 
    3.1.6. - Il rimettente deduce, infine, il contrasto  della  norma
censurata con gli artt. 3 e 112 Cost., per violazione dei principi di
obbligatorieta' dell'azione  penale  e  di  uguaglianza  sostanziale,
sotto il  profilo  dell'irragionevolezza  del  contenuto  derogatorio
della disciplina censurata rispetto al diritto comune, in quanto tale
norma non si applica ai reati commessi nell'esercizio delle  funzioni
istituzionali, ma ai reati extrafunzionali «indistintamente  commessi
dai  soggetti  ivi  indicati,  di  qualsivoglia  natura  e  gravita',
finanche prima dell'assunzione della funzione pubblica». 
    Ad avviso del giudice a quo, la Costituzione consente deroghe  al
principio di obbligatorieta' dell'azione penale  per  «i  soli  reati
commessi  nell'esercizio  di  funzioni  istituzionali  e  che   siano
intrinsecamente connaturati allo svolgimento  delle  medesime  (artt.
68, 90, 96 e 122, quarto comma Cost.),  situazione  quest'ultima  che
fonda per l'appunto la ragionevolezza anche della  deroga  al  regime
ordinario di procedibilita' dei reati». L'irragionevolezza denunziata
- conclude il rimettente - risalterebbe in maniera ancora piu'  netta
nel caso in cui la sospensione intervenisse concretamente a bloccare,
sia pur temporaneamente, procedimenti per reati gravi,  «con  il  non
voluto risultato di trasformare l'assunzione dell'incarico  pubblico,
comportante la generale temporanea immunita', in momento di obiettivo
disdoro per il prestigio intrinseco della funzione». 
    3.2. - Si e' costituita la suddetta parte privata, svolgendo, nel
merito,  rilievi  analoghi  a  quelli  contenuti  nelle  memorie   di
costituzione nei procedimenti r.o.  n.  397  e  n.  398  del  2008  e
osservando, in punto di ammissibilita', che le questioni proposte dal
rimettente non sono ammissibili, perche'  la  disposizione  censurata
non trova applicazione nella  fase  delle  indagini  preliminari.  La
difesa non condivide, cioe', l'assunto del giudice a quo -  investito
dal pubblico ministero della richiesta  di  proroga  dei  termini  di
scadenza delle indagini - secondo cui, poiche' il termine  «processo»
si attaglierebbe esclusivamente al procedimento pervenuto  alla  fase
del  dibattimento  pubblico  all'interno  del  quale  non   sarebbero
individuabili fasi diverse, il  termine  «fase»  usato  dal  comma  7
dell'articolo  1  della  legge  n.  124  del  2008   potrebbe   avere
significato  giuridico  esclusivamente  in   riferimento   all'intero
procedimento, comprensivo ovviamente anche della fase delle  indagini
preliminari. 
    Ad  avviso  della  difesa  dell'imputato,  tale  assunto  sarebbe
erroneo,  in  primo  luogo,  perche'  «anche  nel   "processo"   sono
individuabili varie fasi: prima della dichiarazione di  apertura  del
dibattimento di cui all'art. 492 c.p.p. vi  e'  la  fase  che  spazia
dalla costituzione delle parti (art. 484 c.p.p.) alla decisione sulle
questioni  preliminari  (art.  491  c.p.p.);  poi   segue   la   fase
disciplinata dagli  articoli  493,  494  e  495  c.p.p.;  di  seguito
comincia  la  fase  dell'istruzione  dibattimentale  (artt.   496-515
c.p.p.) nel corso della quale puo' innestarsi  la  fase  delle  nuove
contestazioni (artt. 516-522 c.p.p.); segue la fase della discussione
finale con la chiusura del dibattimento; e infine v'e' la fase  della
deliberazione»; si tratterebbe di vere e proprie fasi e non  di  meri
frammenti del processo, perche'  esse  sono  disciplinate  da  regole
specifiche e caratterizzate, ciascuna, da specifici diritti, facolta'
e decadenze. 
    In secondo luogo, non sarebbe «giuridicamente sostenibile che  il
"processo" sorga, come opina il giudice rimettente,  solo  quando  il
procedimento perviene alla fase del  dibattimento  pubblico.  Nessuno
dubita, infatti, che di processo si  puo'  e  si  debba  parlare  con
l'inizio  dell'azione  penale  che  nel  nostro  ordinamento,  com'e'
diffusamente noto, sorge con l'esercizio dell'azione penale da  parte
del pubblico ministero individuato, ratione temporis, dal primo comma
dell'articolo 405 del codice di procedura penale». 
    La  difesa  della  parte  privata  critica,  poi,  l'assunto  del
rimettente per cui il  fatto  che  la  norma  censurata  consenta  al
giudice di provvedere all'assunzione di prove non rinviabili ai sensi
degli articoli 392  e  467  cod.  proc.  pen.  comporterebbe  che  la
sospensione del processo  deve  necessariamente  essere  intesa  come
sospensione anche del procedimento, «dal momento che solo  nel  corso
della  fase  delle  indagini   preliminari   [...]   e   dell'udienza
preliminare  [...]  e'  consentito  il  ricorso   alla   acquisizione
anticipata delle prove mediante  incidente  probatorio».  Secondo  la
difesa, «l'udienza preliminare partecipa appieno  della  species  del
processo dal momento che  in  tale  fase  e'  stata  gia'  esercitata
l'azione penale con il deposito della richiesta di rinvio a  giudizio
ai sensi del combinato disposto degli articoli  405,  primo  comma  e
416, primo comma del codice di procedura penale», con la  conseguenza
che  la  previsione  normativa  richiamata   dal   rimettente   circa
l'assunzione di prove non rinviabili ben puo'  applicarsi  anche  nel
corso del processo. 
    L'interpretazione data dal rimettente sarebbe, inoltre,  smentita
sia dai lavori preparatori - «durante i quali e' stato reso manifesto
l'ambito di applicazione della  norma  in  riferimento  esclusivo  al
"processo" inteso proprio in senso tecnico giuridico di  quella  fase
introdotta dall'avvenuto esercizio dell'azione penale»  -  sia  dalla
Procura della Repubblica di Roma, la quale - secondo quanto  asserito
dalla difesa della parte privata - ha  chiesto,  nel  procedimento  a
quo,  «l'archiviazione  del  procedimento»  [recte:  la  proroga  dei
termini delle indagini preliminari] anche nei confronti del  suddetto
imputato. 
    3.3. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
richiamando le argomentazioni gia' svolte negli  atti  di  intervento
nei procedimenti r.o. n. 397 e n. 398  del  2008  e  concludendo  nel
senso che «le questioni sollevate siano  dichiarate  inammissibili  o
infondate». 
    4. - In prossimita' dell'udienza, il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha depositato un'unica memoria con riferimento ai procedimenti
r.o. n. 397 e n. 398 del 2008 e n. 9 del 2009, nella quale  ribadisce
quanto  gia'  osservato  negli  atti  di  intervento  e  rileva,   in
particolare che: a)  poiche'  il  Presidente  della  Repubblica  e  i
Presidenti delle Camere «non sono parti dei giudizi, nei  quali  sono
intervenute le  ordinanze  di  rimessione,  manca  la  rilevanza  per
l'esame delle questioni che potrebbero insorgere nei loro confronti»,
con conseguente inammissibilita'  delle  questioni  medesime;  b)  le
questioni relative al comma 7 dell'art. 1 della legge n. 124 del 2008
sono inammissibili,  «perche'  in  proposito  nel  ricorso  non  sono
proposti motivi autonomi e, comunque, manca qualsiasi  argomentazione
a sostegno»; c) il  legislatore  puo',  nella  sua  discrezionalita',
intervenire per  coordinare  l'interesse  personale  dell'imputato  a
difendersi  nel  processo  e  l'interesse   generale   all'«esercizio
efficiente delle funzioni pubbliche»; d) «poiche' il pregiudizio  era
provocato dalla  contemporaneita'  dell'esercizio  delle  funzioni  e
della  pendenza  del  processo,  non  si  poteva  rimediare  se   non
eliminando quella contemporaneita» ed escludendo, invece,  «qualsiasi
forma di riduzione o di sospensione»  delle  funzioni,  «che  sarebbe
stata pregiudizievole per l'interesse imprescindibile  a  che  quelle
funzioni  siano  esercitate  con  continuita»;   e)   l'inerzia   del
legislatore «avrebbe comportato la tolleranza di una situazione  gia'
di per  se'  non  conforme  alla  Costituzione»;  f)  la  sospensione
stabilita dalla norma censurata  trova  giustificazione  anche  nella
grande risonanza mediatica che hanno  i  processi  penali  per  reati
extrafunzionali a carico del Presidente del Consiglio  dei  ministri;
g) la previsione della sospensione dei processi con  legge  ordinaria
trova giustificazione anche nell'esigenza di  modificare  agevolmente
la relativa disciplina qualora «la situazione reale si modificasse in
misura tale da comportare un diverso bilanciamento degli interessi». 
    5.  -  Con   ordinanza   pronunciata   in   udienza,   la   Corte
costituzionale  ha  dichiarato  inammissibile  la  costituzione   del
Procuratore  della  Repubblica  e  del  sostituto  Procuratore  della
Repubblica presso il Tribunale di Milano nei giudizi introdotti dalle
ordinanze di rimessione registrate al n. 397 ed al n.  398  dell'anno
2008. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Il Tribunale di Milano (r.o. n. 397  del  2008)  dubita,  in
riferimento agli  artt.  3,  136  e  138  della  Costituzione,  della
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 1 e 7, della legge  23
luglio 2008, n. 124  (Disposizioni  in  materia  di  sospensione  del
processo penale nei confronti delle alte  cariche  dello  Stato).  Lo
stesso Tribunale di Milano  (r.o.  n.  398  del  2008)  dubita  della
legittimita' dell'intero art. 1 della  legge  n.  124  del  2008,  in
riferimento agli artt. 3, 68, 90, 96, 111, 112 e 138 Cost. Il Giudice
per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma  (r.o.  n.  9
del 2009) dubita, in riferimento agli articoli  3,  111,  112  e  138
Cost., della legittimita' dello stesso art. 1 della legge n. 124  del
2008. 
    La disposizione censurata prevede, al comma 1, che: «Salvi i casi
previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali
nei confronti dei soggetti che rivestono la  qualita'  di  Presidente
della Repubblica, di  Presidente  del  Senato  della  Repubblica,  di
Presidente della Camera dei deputati e di  Presidente  del  Consiglio
dei ministri sono sospesi  dalla  data  di  assunzione  e  fino  alla
cessazione della carica o della funzione. La sospensione  si  applica
anche ai processi penali per  fatti  antecedenti  l'assunzione  della
carica  o  della  funzione».  Gli  altri  commi  dispongono  che:  a)
«L'imputato o il  suo  difensore  munito  di  procura  speciale  puo'
rinunciare in ogni  momento  alla  sospensione»  (comma  2);  b)  «La
sospensione non impedisce al giudice, ove ne ricorrano i presupposti,
di provvedere, ai sensi degli  articoli  392  e  467  del  codice  di
procedura penale, per l'assunzione delle prove non rinviabili» (comma
3); c) si applicano le  disposizioni  dell'articolo  159  del  codice
penale e la sospensione, che opera per l'intera durata della carica o
della funzione, non e' reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel
corso della stessa legislatura, ne' si applica in caso di  successiva
investitura in altra delle cariche o delle funzioni (commi 4 e 5); d)
«Nel  caso  di  sospensione,   non   si   applica   la   disposizione
dell'articolo 75, comma 3, del codice di procedura penale» e,  quando
la parte civile trasferisce l'azione in sede civile, «i  termini  per
comparire, di  cui  all'articolo  163-bis  del  codice  di  procedura
civile, sono ridotti alla meta',  e  il  giudice  fissa  l'ordine  di
trattazione  delle  cause  dando  precedenza  al  processo   relativo
all'azione trasferita» (comma 6); e) l'articolo si applica «anche  ai
processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla  data  di
entrata in vigore della presente legge» (comma 7). 
    Le questioni proposte dai rimettenti possono  essere  raggruppate
in relazione ai parametri evocati. 
    1.1. - L'art. 136 Cost. e' evocato a parametro dal  Tribunale  di
Milano (r.o. n. 397 del 2008), il quale osserva che i  commi  1  e  7
dell'art. 1 della legge  n.  124  del  2008,  «avendo  riproposto  la
medesima  disciplina  sul   punto»,   incorrono   «nuovamente   nella
illegittimita' costituzionale, gia'  ritenuta  dalla  Corte»  con  la
sentenza n. 24 del 2004. 
    1.2. - L'art. 138 Cost. e' evocato da tutti i rimettenti. 
    Il Tribunale di Milano (r.o. n.  397  del  2008)  afferma  che  i
denunciati commi 1 e 7 dell'art. 1,  della  legge  n.  124  del  2008
violano tale parametro costituzionale, perche'  intervengono  in  una
«materia riservata  [...]  al  legislatore  costituente,  cosi'  come
dimostrato dalla circostanza che tutti i rapporti tra gli organi  con
rilevanza costituzionale ed il  processo  penale  sono  definiti  con
norma costituzionale». 
    In relazione all'intero art. 1, lo  stesso  Tribunale  di  Milano
(r.o. n. 398 del 2008) rileva che  «la  normativa  sullo  status  dei
titolari delle piu' alte  istituzioni  della  Repubblica  e'  in  se'
materia tipicamente costituzionale, e la ragione e'  evidente:  tutte
le disposizioni  che  limitano  o  differiscono  nel  tempo  la  loro
responsabilita' si pongono  quali  eccezioni  rispetto  al  principio
generale dell'uguaglianza di tutti i  cittadini  davanti  alla  legge
previsto dall'articolo 3 della Costituzione,  principio  fondante  di
uno Stato di diritto». 
    Secondo  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso   il
Tribunale di Roma, l'art. 1  denunciato  si  pone  in  contrasto  con
l'evocato parametro, perche' «la deroga al principio  di  uguaglianza
dinanzi alla giurisdizione ed alla legge e'  stata  [...]  introdotta
con lo strumento della legge ordinaria,  che  nella  gerarchia  delle
fonti si colloca evidentemente ad un livello inferiore rispetto  alla
legge costituzionale». 
    1.3. - Tre delle questioni sollevate sono riferite  al  principio
di  uguaglianza,  di  cui  all'art.  3  Cost.,   sotto   il   profilo
dell'irragionevole   disparita'   di   trattamento   rispetto    alla
giurisdizione. 
    Con l'ordinanza r.o. n. 397 del  2008,  il  Tribunale  di  Milano
rileva che i commi 1 e 7 dell'art. 1 della  legge  n.  124  del  2008
violano tale parametro, per avere accomunato «in una unica disciplina
cariche diverse non soltanto per le fonti di  investitura,  ma  anche
per  la  natura  delle  funzioni»,  ed  inoltre  per  aver   distinto
irragionevolmente e «per  la  prima  volta  sotto  il  profilo  della
parita' riguardo ai  principi  fondamentali  della  giurisdizione,  i
Presidenti delle Camere, del Consiglio dei  ministri  [...]  rispetto
agli altri componenti degli organi da loro presieduti». 
    Con l'ordinanza r.o. n. 398 del 2008, lo stesso Tribunale lamenta
che il parametro e'  violato,  perche'  «il  contenuto  di  tutte  le
disposizioni in argomento incide su un valore centrale per il  nostro
ordinamento democratico, quale e' l'eguaglianza di tutti i  cittadini
davanti all'esercizio della giurisdizione penale». 
    Il Giudice per le indagini preliminari  presso  il  Tribunale  di
Roma basa la sua censura sulla  considerazione  che  la  disposizione
crea «un  regime  differenziato  riguardo  alla  giurisdizione  [...]
penale»,  ponendosi  cosi'  in  contrasto  con  «uno   dei   principi
fondamentali  del  moderno  Stato  di  diritto,  rappresentato  dalla
parita' dei cittadini di fronte alla giurisdizione, manifestazione  a
sua volta del principio di eguaglianza formale dinanzi alla legge». 
    1.4. - Lo stesso art. 3 Cost. e' evocato anche sotto  il  profilo
della ragionevolezza. 
    Secondo il Tribunale di Milano  (r.o.  n.  398  del  2008),  tale
articolo e' violato, perche' le «guarentigie concesse a  chi  riveste
cariche istituzionali  risultano  funzionali  alla  protezione  delle
funzioni apicali esercitate», con la conseguenza che la  facolta'  di
rinunciare alla  sospensione  processuale  riconosciuta  al  titolare
dell'alta carica si  pone  in  contrasto  con  la  tutela  del  munus
publicum, attribuendo una discrezionalita' «meramente potestativa» al
soggetto  beneficiario,  anziche'  prevedere   quei   filtri   aventi
carattere di terzieta' e quelle valutazioni  della  peculiarita'  dei
casi  concreti  che   soli,   secondo   la   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 24 del 2004, potrebbero costituire adeguato rimedio
rispetto tanto all'automatismo generalizzato del beneficio quanto «al
vulnus al diritto di azione». 
    Ad avviso del Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
Tribunale di Roma,  l'irragionevolezza  intrinseca  della  disciplina
censurata deriva dall'insindacabilita'  della  facolta'  di  rinunzia
alla sospensione, dal momento che,  «se  l'interesse  dichiaratamente
perseguito dal legislatore e' quello di assicurare  la  serenita'  di
svolgimento della funzione nel periodo di  durata  in  carica  (sent.
Corte cost. n. 24/2004), la  sospensione  dei  procedimenti  dovrebbe
essere del tutto indisponibile da parte dei soggetti considerati». 
    1.5. - Il Tribunale di Milano formula un'articolata questione  in
riferimento agli artt. 3, 68, 90, 96 e 112 Cost., sul rilievo che  la
disposizione denunciata crea una disparita'  di  trattamento  tra  la
disciplina introdotta per i reati extrafunzionali e quella, di  rango
costituzionale,  prevista  per  i  reati  funzionali  commessi  dalle
quattro  alte  cariche  in   questione.   Tale   disparita'   sarebbe
irragionevole: a) per la mancata menzione dell'art. 68 Cost.  fra  le
norme costituzionali espressamente fatte salve dalla legge n. 124 del
2008; b) per il fatto che «il bene giuridico considerato dalla  legge
ordinaria, e cioe' il regolare  svolgimento  delle  funzioni  apicali
dello  Stato,  e'  lo  stesso  che  la  Costituzione  tutela  per  il
Presidente della Repubblica con l'art.  90,  per  il  Presidente  del
Consiglio e per i ministri con l'art. 96»; c) per  la  previsione  di
uno ius singulare per i reati extrafunzionali a favore del Presidente
del Consiglio dei ministri, che, invece, la Costituzione accomuna  ai
ministri per i reati funzionali in conseguenza della sua posizione di
primus inter pares. 
    1.6. - Il Giudice per indagini preliminari presso il Tribunale di
Roma rileva la violazione del combinato disposto degli artt. 3 e  112
Cost., sotto il profilo  dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale  e
dell'uguaglianza sostanziale. Ad avviso del rimettente, la disciplina
censurata pone una  deroga  irragionevole  rispetto  alla  disciplina
ordinaria, perche' non si applica ai  reati  commessi  nell'esercizio
delle   funzioni   istituzionali,   ma   ai   reati   extrafunzionali
«indistintamente commessi dai soggetti ivi indicati, di  qualsivoglia
natura e gravita',  finanche  prima  dell'assunzione  della  funzione
pubblica». 
    1.7. - Sia l'ordinanza r.o. n. 398 del 2008, sia l'ordinanza r.o.
n. 9 del 2009 evocano quale  parametro  l'art.  111,  secondo  comma,
Cost., sotto il profilo della ragionevole durata del processo. 
    Per il primo dei due rimettenti, il parametro e' violato  perche'
la disposizione denunciata blocca «il processo in ogni stato e  grado
per un periodo potenzialmente molto lungo»  e  provoca  «un  evidente
spreco di attivita' processuale», oltretutto non stabilendo alcunche'
«sull'utilizzabilita' delle  prove  gia'  assunte»,  ne'  all'interno
dello stesso processo penale al termine del periodo  di  sospensione,
ne' all'interno della diversa sede  in  cui  la  parte  civile  abbia
scelto di trasferire la propria azione,  con  conseguente  necessita'
per la stessa parte «di sostenere ex novo l'onere probatorio in tutta
la sua ampiezza». 
    Il  secondo  dei  due  rimettenti  rileva  che  la   disposizione
censurata si pone  in  contrasto  con  «un  corollario  immanente  al
principio di  ragionevole  durata  del  processo,  consistente  nella
concentrazione delle fasi processuali, nel senso che nell'ambito  del
procedimento penale, alla  fase  di  acquisizione  delle  prove  deve
seguire  entro  tempi  ragionevoli  quella  della  loro  verifica  in
pubblico dibattimento, ai fini della emissione di una giusta sentenza
da parte del giudice». 
    2. - In considerazione della parziale coincidenza dell'oggetto  e
dei motivi delle questioni sollevate, i giudizi devono essere riuniti
per essere congiuntamente trattati e decisi. 
    3. - Va preliminarmente esaminata l'eccezione della difesa  della
parte  privata  con  la  quale  si  deduce  l'inammissibilita',   per
irrilevanza, delle questioni sollevate dal Giudice  per  le  indagini
preliminari presso il Tribunale di Roma (r.o.  n.  9  del  2009),  in
quanto la disposizione censurata non trova  applicazione  nella  fase
delle indagini preliminari. La difesa contesta l'assunto del  giudice
a quo, secondo cui il termine «fase» usato dal comma 7  dell'articolo
1 della legge n. 124 del 2008 potrebbe  avere  significato  giuridico
esclusivamente in riferimento  all'intero  procedimento,  comprensivo
della fase delle indagini preliminari. 
    L'eccezione e' fondata. 
    3.1.  -  Il  giudice  rimettente,   al   fine   di   giustificare
l'applicazione della norma censurata anche alle indagini preliminari,
si avvale di argomentazioni di natura semantica e sistematica. 
    Sotto il profilo semantico, il rimettente afferma, innanzi tutto,
che la locuzione «processi penali» (contenuta nell'art. 1,  comma  1,
della legge n. 124 del 2008) non puo' essere  interpretata  in  senso
tecnico, in modo tale da essere  restrittivamente  riferita  al  solo
giudizio dibattimentale. Il legislatore avrebbe infatti adottato,  in
questo caso, una locuzione generica,  idonea  a  ricomprendere  nella
nozione di «processo»  anche  la  fase  delle  indagini  preliminari.
Inoltre,  assume  che  il  termine  «fase»  (contenuto  nel  comma  7
dell'art. 1) non  puo'  che  riferirsi -  per  avere  un  significato
plausibile - alla fase delle indagini preliminari, posto che «non  e'
ipotizzabile, per il giudizio dibattimentale, una fase  che  non  sia
quella in cui lo stesso e' per l'appunto pervenuto». 
    Sotto il profilo sistematico, il giudice rimettente  afferma  che
il comma 3 del medesimo art. 1 - stabilendo che «la  sospensione  non
impedisce al giudice, ove ne ricorrano i presupposti,  di  provvedere
ai sensi degli articoli 392 e 467 del codice di procedura penale, per
l'assunzione di prove non rinviabili» - comporta necessariamente  che
la sospensione si applica anche alle  fasi  antecedenti  al  processo
«inteso come giudizio dibattimentale pubblico», dal momento che  solo
nella fase  delle  indagini  preliminari  e  in  quella  dell'udienza
preliminare e'  consentito  il  ricorso  all'acquisizione  anticipata
delle prove mediante incidente probatorio. Il  primo  degli  articoli
richiamati  disciplina  i  casi  in  cui  si  procede  con  incidente
probatorio; il secondo  fa  riferimento  al  precedente  al  fine  di
disciplinare l'assunzione delle prove non  rinviabili.  Dal  richiamo
congiunto a tali articoli  il  rimettente  desume  la  corrispondenza
biunivoca tra incidente probatorio e indagini preliminari. 
    3.2. - Nessuno di tali argomenti giustifica la conclusione cui il
rimettente  e'  pervenuto,  vale  a   dire   l'applicabilita'   della
sospensione  anche  alle  indagini  preliminari.   Infatti,   risulta
contraddittorio evocare in modo discontinuo - come fa il rimettente -
il rigore linguistico  del  testo  normativo:  rigore,  da  un  lato,
escluso  con  riferimento  alla  locuzione   «processo   penale»   e,
dall'altro, affermato con riferimento al termine «fase». Inoltre,  va
rilevato  che  quest'ultimo  termine  -   che   non   trova   precisa
connotazione nel sistema processuale penale - puo' denotare, in senso
ampio e nell'uso comune, un  punto  o  uno  stadio  della  procedura,
indifferentemente riferibile  tanto  alle  «fasi  del  procedimento»,
quanto a quelle del processo. Neppure il richiamo che la disposizione
censurata  fa  agli  artt.  392  e  467  cod.  proc.  pen.   comporta
necessariamente che la sospensione si estenda alle  fasi  antecedenti
al processo. In realta' - in forza  della  giurisprudenza  di  questa
Corte (sentenza n. 77 del  1994)  -  non  esiste  alcuna  preclusione
all'esperimento   dell'incidente   probatorio    durante    l'udienza
preliminare, la quale costituisce una fase del  processo  estranea  a
quella  delle  indagini  preliminari.  Il  richiamo  alla  disciplina
dell'incidente  probatorio  e   dell'assunzione   delle   prove   non
rinviabili - lungi dal comprovare una reciproca implicazione tra tali
istituti e  le  indagini  preliminari -  vale  solo  a  rimarcare  il
necessario presupposto dell'assunzione di  tali  prove,  e  cioe'  il
connotato dell'urgenza. 
    3.3. -  Ulteriori  considerazioni  confortano  un'interpretazione
diversa da quella del rimettente. 
    A prescindere, infatti, dall'inequivoca volonta' manifestata  dal
legislatore  storico,  quale  si  trae  dai  lavori  preparatori  (ad
esempio, l'intervento  del  Ministro  della  giustizia  nella  seduta
antimeridiana del 22 luglio 2008 dell'Assemblea del Senato), ai  fini
dell'esclusione della fase delle indagini preliminari dal  meccanismo
sospensivo, e' decisivo il rilievo  delle  conseguenze  irragionevoli
che originerebbero dalla diversa opzione interpretativa. Infatti,  se
la sospensione fosse applicata fin  dalla  fase  delle  indagini,  vi
sarebbe  un  grave  pregiudizio  all'esercizio  dell'azione   penale,
perche'  tale  esercizio   sarebbe   non   soltanto   differito,   ma
sostanzialmente alterato, per l'estrema difficolta'  di  reperire  le
fonti di prova a distanza di diversi  anni.  Cosi'  interpretata,  la
disposizione censurata comporterebbe il  rischio  di  una  definitiva
sottrazione dell'imputato alla giurisdizione; e cio'  anche  dopo  la
cessazione dall'alta carica. 
    La  stessa  interpretazione  avrebbe  poi   il   paradossale   ed
irragionevole effetto - anche sul diritto  di  difesa  della  persona
sottoposta alle indagini - di non  consentire  lo  svolgimento  delle
indagini  preliminari  neanche  nel  caso  in  cui  altre   attivita'
procedimentali  per  le  quali  non  e'  applicabile  la  sospensione
prevista dalla norma denunciata (come, ad esempio, l'applicazione  di
misure cautelari e l'arresto obbligatorio in flagranza) fossero  gia'
state poste in essere. 
    3.4. - Puo', quindi, affermarsi che l'interpretazione del giudice
rimettente contrasta con il tenore  letterale  della  disposizione  e
conduce a risultati disarmonici rispetto al principio  costituzionale
di ragionevolezza. Da cio' deriva che le  questioni  prospettate  con
l'ordinanza di rimessione r.o.  n.  9  del  2009  dal  Giudice  delle
indagini preliminari presso il Tribunale di Roma  sono  inammissibili
per difetto  di  rilevanza,  perche'  il  rimettente  non  deve  fare
applicazione della norma oggetto del dubbio di costituzionalita'. 
    4.   -   L'Avvocatura   generale   dello   Stato   ha    eccepito
l'inammissibilita' per irrilevanza di tutte le  questioni  sollevate,
per la parte in cui esse riguardano disposizioni non  applicabili  al
Presidente del Consiglio dei ministri, sul rilievo  che  nei  giudizi
principali e' imputato solo il titolare di quest'ultima carica e  non
i  titolari  delle  altre  cariche  dello  Stato  cui  si   riferisce
l'articolo censurato. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Si  deve,  infatti,  rilevare  che  le   disposizioni   censurate
costituiscono, sul piano  oggettivo,  una  disciplina  unitaria,  che
riguarda  inscindibilmente  le  alte  cariche  dello  Stato  in  essa
previste,  con  la  conseguenza   che   un'eventuale   pronuncia   di
illegittimita' costituzionale limitata alle  norme  riguardanti  solo
una di  tali  cariche  aggraverebbe  l'illegittimita'  costituzionale
della  disciplina,  creando  ulteriori  motivi   di   disparita'   di
trattamento. Pertanto,  ove  questa  Corte  riscontrasse  profili  di
disparita'   di   trattamento   della   disciplina   censurata    che
riguardassero tutte le alte cariche  dello  Stato,  la  pronuncia  di
illegittimita' costituzionale dovrebbe necessariamente  estendersi  a
tutte le disposizioni denunciate. 
    A tali considerazioni si deve aggiungere che la  sentenza  n.  24
del 2004 ha implicitamente - ma  chiaramente -  ritenuto  sussistente
l'indicata  inscindibilita'  della  disciplina  relativa  alle   alte
cariche dello Stato, perche',  in  un  caso  analogo,  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'intero art.  1  della  legge  20
giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'art. 68 della
Costituzione nonche' in materia  di  processi  penali  nei  confronti
delle alte cariche dello Stato), con riferimento a tutte  le  cariche
dello Stato in esso menzionate, nonostante che il giudizio principale
riguardasse solo il Presidente del Consiglio dei ministri. 
    5. - Occorre ora passare all'esame  del  merito  delle  questioni
prospettate. 
    Il Tribunale di Milano (r.o. n. 397 del 2008) censura i commi 1 e
7 dell'art. 1 della legge n. 124 del 2008,  in  riferimento  all'art.
136 Cost., per  violazione  del  giudicato  costituzionale  formatosi
sulla sentenza n. 24 del 2004. Il  rimettente  lamenta  che  i  commi
censurati hanno «riproposto la medesima  disciplina»  prevista  dalla
legge  n.  140  del  2003,  dichiarata  incostituzionale  con   detta
sentenza. 
    La questione non e' fondata. 
    Come questa Corte ha piu' volte affermato (ex multis, sentenze n.
78 del 1992,  n.  922  del  1988),  perche'  vi  sia  violazione  del
giudicato costituzionale e' necessario che  una  norma  ripristini  o
preservi l'efficacia di una norma gia' dichiarata incostituzionale. 
    Nel caso di specie, il legislatore ha introdotto una disposizione
che non riproduce un'altra disposizione dichiarata  incostituzionale,
ne' fa a  quest'ultima  rinvio.  La  disposizione  presenta,  invece,
significative   novita'   normative,   quali,    ad    esempio,    la
rinunciabilita'  e  la  non  reiterabilita'  della  sospensione   dei
processi penali (commi 2 e 5), nonche'  una  specifica  disciplina  a
tutela della posizione della parte civile (comma 6), cosi'  mostrando
di prendere in considerazione, sia pure parzialmente, la sentenza  n.
24 del 2004. E', del resto, sul riconoscimento di tali novita' che si
basano le note del  Presidente  della  Repubblica  -  richiamate  dal
rimettente   e   dalle   parti   -   che   hanno   accompagnato   sia
l'autorizzazione alla presentazione alle Camere del disegno di  legge
in materia di processi penali alle alte cariche dello  Stato  sia  la
successiva promulgazione della legge. Ne' puo'  sostenersi  che,  nel
caso di specie, la violazione del giudicato costituzionale derivi dal
fatto che alcune disposizioni dell'art. 1 - quali i censurati commi 1
e 7 - riproducono le disposizioni gia'  dichiarate  incostituzionali.
Si deve infatti rilevare, in contrario, che  lo  scrutinio  di  detta
violazione deve  tenere  conto  del  complesso  delle  norme  che  si
succedono  nel  tempo,  senza   che   abbia   rilevanza   l'eventuale
coincidenza di singole previsioni normative. 
    6. - Con le due citate ordinanze di rimessione, il  Tribunale  di
Milano solleva altresi'  questioni  di  legittimita'  costituzionale,
evocando a parametro, ora congiuntamente ora disgiuntamente, le norme
costituzionali in materia di prerogative (artt. 68, 90 e 96 Cost.)  e
gli artt. 3 e 138 Cost.  Tali  questioni  -  al  di  la'  della  loro
formulazione testuale, piu' o meno precisa - debbono essere  distinte
in due diversi  gruppi,  a  seconda  dell'effettivo  contenuto  delle
censure: a) un primo  gruppo  e'  prospettato  con  riferimento  alla
violazione del combinato disposto degli artt. 3, primo comma,  e  138
Cost.,  in  relazione  alle  norme  costituzionali  in   materia   di
prerogative, sotto il profilo della parita' di  trattamento  rispetto
alla giurisdizione,  sia  in  generale  sia  nell'ambito  delle  alte
cariche dello Stato; b) un secondo gruppo  e'  prospettato  anch'esso
con riferimento alla violazione dell'art. 3 Cost., sotto il  profilo,
pero', dell'irragionevolezza intrinseca della disciplina  denunciata.
Tali diverse prospettazioni devono essere trattate separatamente. 
    7. - Quanto  al  primo  dei  suddetti  gruppi  di  questioni,  il
rimettente  Tribunale  muove  dalla  premessa  che  la   Costituzione
disciplina i rapporti tra gli organi  costituzionali  (o  di  rilievo
costituzionale) e la giurisdizione penale, prevedendo, a tutela della
funzione svolta da quegli organi, un numerus clausus di  prerogative,
derogatorie  rispetto  al  principio  dell'uguaglianza  davanti  alla
giurisdizione.  Da  tale  premessa  il  giudice  a  quo   deriva   la
conseguenza che la disposizione censurata si pone  contemporaneamente
in contrasto sia con l'art. 3 Cost., perche' - con  riferimento  alle
norme costituzionali  in  materia  di  prerogative  -  introduce  una
ingiustificata eccezione al suddetto principio di uguaglianza davanti
alla giurisdizione, sia con l'art. 138 Cost., perche' tale  eccezione
si sarebbe dovuta introdurre,  se  mai,  con  disposizione  di  rango
costituzionale. 
    7.1. - Con riguardo al medesimo primo  gruppo  di  questioni,  la
difesa erariale  ne  eccepisce  l'inammissibilita'  per  l'inadeguata
indicazione del parametro evocato ed  afferma,  a  sostegno  di  tale
eccezione, che l'evocazione, da parte del rimettente, del  solo  art.
138 Cost. - il quale si limita  a  disciplinare  il  procedimento  di
adozione ed approvazione delle leggi di  revisione  costituzionale  e
delle altre leggi costituzionali - non e' sufficiente ad  individuare
le altre disposizioni costituzionali dalle quali possa essere desunto
l'interesse che il giudice a quo ritiene incompatibile con  la  norma
censurata. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Come si e' sopra osservato, entrambe le ordinanze  di  rimessione
non si limitano a denunciare la violazione dell'art. 138 Cost.  quale
mera conseguenza  della  violazione  di  una  qualsiasi  norma  della
Costituzione. Esse, infatti, non si basano sulla considerazione -  di
carattere generico e formale - che, in tal caso, solo  una  fonte  di
rango costituzionale sarebbe idonea (ove non  violasse  a  sua  volta
principi supremi,  insuscettibili  di  revisione  costituzionale)  ad
escludere  il  contrasto  con  la  Costituzione.  Al  contrario,   il
Tribunale rimettente prospetta una questione specifica e di carattere
sostanziale, in  quanto  denuncia  -  con  adeguata  indicazione  dei
parametri -  la  violazione  del  principio  di  uguaglianza  facendo
espresso riferimento alle prerogative degli organi costituzionali. 
    7.2. - La  difesa  della  parte  privata  e  la  difesa  erariale
deducono, inoltre, che questioni sostanzialmente identiche  a  quelle
riferite all'art. 138  Cost.  ed  oggetto  dei  presenti  giudizi  di
costituzionalita' sono state gia' scrutinate e dichiarate non fondate
da questa Corte con la sentenza n. 24 del 2004, riguardante l'art.  1
della legge n. 140  del  2003,  del  tutto  analogo,  sul  punto,  al
censurato art. 1 della legge  n.  124  del  2008.  In  proposito,  le
suddette difese affermano che  la  citata  sentenza,  nel  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge  n.  140  del
2003  per  la  violazione  solo  degli  artt.  3  e  24   Cost.,   ha
implicitamente  rigettato  la  pur  prospettata  questione,  riferita
all'art. 138 Cost.,  circa  l'inidoneita'  della  legge  ordinaria  a
disporre la sospensione del processo penale instaurato nei  confronti
delle alte cariche dello Stato. In particolare,  le  medesime  difese
sostengono che tale ultima questione costituiva un punto  logicamente
e giuridicamente pregiudiziale della decisione e,  percio',  non  era
suscettibile  di  assorbimento  nella  pronuncia  di   illegittimita'
costituzionale per  la  violazione  di  altri  parametri.  In  questa
prospettiva, viene ulteriormente osservato che la  suddetta  sentenza
n. 24 del  2004:  a)  la'  dove  afferma  che  e'  legittimo  che  il
«legislatore»  preveda  una  sospensione  del  processo  penale   per
esigenze extraprocessuali, va interpretata nel  senso  che  anche  il
«legislatore ordinario» puo' prevedere una sospensione  del  processo
penale a tutela delle alte cariche dello Stato; b) la'  dove  afferma
che l'«apprezzabile» interesse «pubblico» ad  «assicurare  il  sereno
svolgimento delle funzioni» inerenti alle alte  cariche  dello  Stato
deve essere tutelato «in armonia con i  principi  fondamentali  dello
Stato di diritto», va intesa nel senso che la  legge  ordinaria  puo'
ben  essere  adottata  in  materia,  anche   se   deve   operare   un
bilanciamento con i principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost. Su queste
premesse,  la  difesa  della  parte  privata  e  la  difesa  erariale
eccepiscono che le ordinanze n. 397 e n. 398 del 2008 non prospettano
profili nuovi o diversi da quelli gia' implicitamente valutati  dalla
Corte, con  conseguente  inammissibilita'  o  manifesta  infondatezza
delle questioni riferite al combinato disposto degli artt.  3  e  138
Cost.,  in  relazione  alle  norme  costituzionali  in   materia   di
prerogative. 
    Anche tale eccezione non e' fondata. 
    In primo luogo, e' indubbio che la Corte non  si  e'  pronunciata
sul punto. La sentenza n. 24 del 2004, infatti, non esamina in  alcun
passo la questione dell'idoneita' della legge ordinaria ad introdurre
la suddetta sospensione processuale. 
    In secondo luogo, non si puo' ritenere che tale sentenza contenga
un giudicato implicito sul punto.  Cio'  perche',  quando  si  e'  in
presenza di questioni tra loro autonome  per  l'insussistenza  di  un
nesso  di  pregiudizialita',  rientra  nei  poteri  di  questa  Corte
stabilire,  anche  per  economia  di  giudizio,  l'ordine   con   cui
affrontarle nella sentenza e dichiarare assorbite le altre  (sentenze
n. 464 del 1992 e n. 34 del 1961). In tal caso, l'accoglimento di una
qualunque  delle  questioni,   comportando   la   caducazione   della
disposizione  denunciata,  e'  infatti  idoneo  a  definire  l'intero
giudizio di costituzionalita' e non implica  alcuna  pronuncia  sulle
altre questioni, ma solo il loro assorbimento.  E'  quanto  avvenuto,
appunto, con la  citata  sentenza  n.  24  del  2004,  la  quale,  in
applicazione di detti principi e in relazione alle  stesse  modalita'
di  prospettazione  delle  questioni,  ha  privilegiato  l'esame  dei
fondamentali profili di uguaglianza e ragionevolezza ed ha dichiarato
«assorbito ogni  altro  profilo  di  illegittimita'  costituzionale»,
lasciando cosi' impregiudicata la  questione  riferita  all'art.  138
Cost.   La   violazione   di   principi   e   diritti   fondamentali,
particolarmente sottolineati dal  rimettente  dell'epoca  -  come  il
diritto di difesa,  l'uguaglianza  tra  organi  costituzionali  e  la
ragionevolezza  -,  emergeva,  infatti,  in  modo  immediato  e   non
discutibile  dalla  stessa  analisi  del  meccanismo  intrinseco   di
funzionamento del beneficio, cosi' da  rendere  non  necessaria  ogni
ulteriore indagine  in  merito  alle  altre  questioni  sollevate  e,
quindi, anche a quelle concernenti l'idoneita' della fonte, sia  essa
di rango ordinario o costituzionale. 
    In terzo luogo, la mancata trattazione del punto consente in ogni
caso al rimettente la proposizione di una questione analoga a  quella
gia' sollevata nel giudizio di cui alla  sentenza  n.  24  del  2004.
Trova   infatti   applicazione,   nella    specie,    il    principio
giurisprudenziale  secondo   cui   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale possono essere riproposte  sotto  profili  diversi  da
quelli  esaminati  dalla  Corte  con  la  pronuncia  di  rigetto  (ex
plurimis: sentenze n. 257 del 1991, n. 210 del 1976; ordinanze n. 218
del 2009, n. 464 del 2005, n. 356  del  2000).  Ne  consegue  che  la
questione riferita all'art. 138 Cost., posta dal Tribunale di Milano,
non puo' essere risolta con il mero richiamo alla sentenza n. 24  del
2004, ma deve essere scrutinata funditus da questa Corte, tanto  piu'
che detta questione ha ad oggetto una mutata disciplina legislativa. 
    7.3. - La denunciata violazione degli artt.  3  e  138  Cost.  e'
argomentata dal Tribunale rimettente  sulla  base  dei  seguenti  due
distinti assunti: a) tutte le prerogative di  organi  costituzionali,
in quanto derogatorie rispetto al principio  di  uguaglianza,  devono
essere stabilite con norme  di  rango  costituzionale;  b)  la  norma
denunciata introduce un'ipotesi di sospensione del  processo  penale,
che si risolve in una prerogativa, perche' e' diretta a salvaguardare
il regolare funzionamento non gia' del processo, ma di alcuni  organi
costituzionali. 
    Ciascuno di tali assunti esige uno specifico esame  da  parte  di
questa Corte. 
    7.3.1. - Il primo, relativo alla necessita'  che  le  prerogative
abbiano copertura costituzionale, e' corretto. 
    Sul punto va  precisato  che  le  prerogative  costituzionali  (o
immunita' in senso lato, come sono spesso denominate)  si  inquadrano
nel genus degli istituti diretti  a  tutelare  lo  svolgimento  delle
funzioni degli organi costituzionali  attraverso  la  protezione  dei
titolari delle cariche  ad  essi  connesse.  Esse  si  sostanziano  -
secondo una nozione su cui v'e' costante e  generale  consenso  nella
tradizione dottrinale costituzionalistica e  giurisprudenziale  -  in
una   specifica   protezione   delle   persone   munite   di   status
costituzionali,  tale  da  sottrarle  all'applicazione  delle  regole
ordinarie. Le indicate prerogative  possono  assumere,  in  concreto,
varie forme e denominazioni (insindacabilita'; scriminanti in  genere
o  immunita'   sostanziali;   inviolabilita';   immunita'   meramente
processuali, quali fori  speciali,  condizioni  di  procedibilita'  o
altro meccanismo  processuale  di  favore;  deroghe  alle  formalita'
ordinarie) e possono riguardare sia gli atti  propri  della  funzione
(cosiddetti  atti  funzionali)  sia  gli  atti   ad   essa   estranei
(cosiddetti atti extrafunzionali), ma  in  ogni  caso  presentano  la
duplice caratteristica di  essere  dirette  a  garantire  l'esercizio
della funzione di organi  costituzionali  e  di  derogare  al  regime
giurisdizionale  comune.  Si  tratta,   dunque,   di   istituti   che
configurano  particolari  status  protettivi  dei  componenti   degli
organi;  istituti  che  sono,  al  tempo   stesso,   fisiologici   al
funzionamento dello Stato  e  derogatori  rispetto  al  principio  di
uguaglianza tra cittadini. 
    Il  problema  dell'individuazione  dei  limiti   quantitativi   e
qualitativi delle prerogative assume una particolare importanza nello
Stato di diritto, perche', da un lato, come gia' rilevato  da  questa
Corte, «alle origini della formazione dello Stato di diritto  sta  il
principio della parita' di trattamento rispetto  alla  giurisdizione»
(sentenza n. 24 del 2004) e, dall'altro,  gli  indicati  istituti  di
protezione non solo implicano necessariamente una deroga al  suddetto
principio,  ma  sono  anche  diretti  a  realizzare  un  delicato  ed
essenziale equilibrio tra  i  diversi  poteri  dello  Stato,  potendo
incidere sulla funzione politica propria dei diversi  organi.  Questa
complessiva architettura istituzionale, ispirata  ai  principi  della
divisione dei poteri e del loro equilibrio, esige che  la  disciplina
delle prerogative contenuta nel testo della Costituzione debba essere
intesa come uno specifico sistema normativo, frutto di un particolare
bilanciamento e assetto di interessi costituzionali; sistema che  non
e' consentito al legislatore ordinario alterare ne' in peius  ne'  in
melius. 
    Tale conclusione, dunque, non deriva dal  riconoscimento  di  una
espressa riserva di legge costituzionale in materia, ma dal fatto che
le suddette prerogative sono sistematicamente regolate  da  norme  di
rango costituzionale. Tali sono, ad esempio, le norme  che  attengono
alle funzioni connesse alle  alte  cariche  considerate  dalla  norma
denunciata,  come:  l'art.  68  Cost.,  il  quale   prevede   per   i
parlamentari (e, quindi, anche per i Presidenti delle Camere)  alcune
prerogative sostanziali  e  processuali  in  relazione  sia  a  reati
funzionali (primo comma) sia a reati anche extrafunzionali (secondo e
terzo comma); l'art. 90 Cost., il quale  prevede  l'irresponsabilita'
del Presidente della Repubblica per gli atti compiuti  nell'esercizio
delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento  o  per  attentato
alla  Costituzione;  l'art.  96  Cost.,  il  quale  prevede  per   il
Presidente del Consiglio dei ministri e  per  i  ministri,  anche  se
cessati dalla carica, la sottoposizione alla giurisdizione  ordinaria
per i reati commessi  nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  secondo
modalita' stabilite con legge costituzionale. 
    In  coerenza  con  siffatta   impostazione,   questa   Corte   ha
chiaramente e costantemente affermato, in  numerose  pronunce  emesse
sia anteriormente che successivamente alla sentenza n. 24  del  2004,
il principio - che va qui  ribadito  -  secondo  cui  il  legislatore
ordinario, in tema di prerogative (e cioe'  di  immunita'  intese  in
senso  ampio),  puo'  intervenire  solo  per   attuare,   sul   piano
procedimentale, il dettato costituzionale, essendogli  preclusa  ogni
eventuale integrazione o estensione di tale dettato. Al riguardo,  la
Corte ha affermato che: sono «eccezionalmente  dettati,  e  da  norme
costituzionali, i casi di deroga  al  principio  dell'obbligatorieta'
dell'azione  penale»  (sentenza  n.  4  del  1965);  e'  esclusa   la
competenza  del  legislatore  ordinario  in  materia   di   immunita'
(sentenza n. 148 del 1983); vi e'  «concordia  della  giurisprudenza,
della  dottrina  e  dello  stesso  legislatore,  nell'escludere  che,
attraverso legge ordinaria, sia ammissibile un'integrazione dell'art.
68, secondo comma, Cost., e comunque la posizione di  una  norma  che
attribuisca analoghe prerogative»  idonee  a  derogare  all'art.  112
Cost. (sentenza n. 300 del 1984); l'art. 3 della  legge  n.  140  del
2003, nella parte in  cui  costituisce  attuazione  del  primo  comma
dell'art. 68 Cost., non viola la Costituzione, perche'  non  comporta
«un  indebito  allargamento  della   garanzia   dell'insindacabilita'
apprestata dalla norma  costituzionale»,  ma  «puo'  considerarsi  di
attuazione,  e  cioe'  finalizzata   a   rendere   immediatamente   e
direttamente operativo sul piano processuale  il  disposto  dell'art.
68, primo comma, della Costituzione» (sentenza n. 120 del  2004);  il
medesimo art. 3 della legge n. 140 del 2003 e' una norma  finalizzata
«a garantire,  sul  piano  procedimentale,  un  efficace  e  corretto
funzionamento della prerogativa parlamentare» di cui al  primo  comma
dell'art. 68 Cost. (sentenza n. 149 del 2007, che richiama la  citata
sentenza n. 120 del 2004). 
    Ne' puo' obiettarsi che le prerogative possono essere  introdotte
anche  dalla  legge  ordinaria,  come  avverrebbe  per  le  immunita'
diplomatiche  previste  da  convenzioni  internazionali,  le   quali,
secondo  la  difesa  della  parte  privata,  non  trovano   copertura
nell'art. 10 Cost., in quanto previste non dalle «norme  del  diritto
internazionale   generalmente   riconosciute»,   ma    da    trattati
internazionali  recepiti  con  legge  ordinaria.  In  proposito,   va
osservato che la questione posta all'esame di  questa  Corte  attiene
esclusivamente alle prerogative dei  componenti  e  dei  titolari  di
organi costituzionali e non alle  immunita'  diplomatiche,  le  quali
ultime,  oltretutto,  sono  contemplate  in   leggi   ordinarie   che
riproducono o, comunque, attuano  norme  internazionali  generalmente
riconosciute e, quindi, trovano copertura nell'art. 10  Cost.  (sulla
riconducibilita' delle immunita' diplomatiche previste da convenzioni
internazionali alla categoria delle norme internazionali generalmente
riconosciute,  ex  multis,  sentenza  n.  48  del  1979).  Anche   la
disciplina speciale sulle prerogative del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri e dei ministri in ordine ai reati funzionali commessi da
costoro e da soggetti concorrenti, prevista dalla legge  ordinaria  5
giugno 1989, n. 219 (Nuove norme in tema di reati ministeriali  e  di
reati previsti dall'art. 90 della Costituzione) - anch'essa  invocata
a conforto della tesi della parte privata -, costituisce, del  resto,
mera attuazione della legge costituzionale  16  gennaio  1989,  n.  1
(Modifiche degli articoli 96, 134 e 135 della  Costituzione  e  della
legge costituzionale 11 marzo 1953, n.  1,  e  norme  in  materia  di
procedimenti per i reati di cui all'articolo 96  della  Costituzione)
ed ha, dunque, copertura costituzionale. 
    Neppure puo' invocarsi,  a  sostegno  della  tesi  dell'idoneita'
della legge ordinaria a prevedere prerogative di  organi  di  rilievo
costituzionale, la citata sentenza di questa Corte n. 148  del  1983,
la quale ha ritenuto conforme a Costituzione la legge ordinaria sulla
insindacabilita' delle opinioni espresse dai componenti del Consiglio
superiore della magistratura nell'esercizio  delle  loro  funzioni  e
concernenti l'oggetto della discussione. Detta sentenza ha  affermato
il principio secondo cui il legislatore ordinario non  ha  competenza
nella materia delle immunita',  perche'  queste  «abbisognano  di  un
puntuale fondamento, concretato dalla Costituzione o da  altre  leggi
costituzionali». La Corte, con tale pronuncia,  ha  infatti  ritenuto
che la  legge  ordinaria  e'  fonte  idonea  a  prevedere  l'indicata
insindacabilita' solo in considerazione del  fatto  che  quest'ultima
trova una precisa copertura  costituzionale,  essendo  «rigorosamente
circoscritta»  alle  «sole  manifestazioni  del  pensiero  funzionali
all'esercizio  dei  poteri-doveri  costituzionalmente  spettanti   ai
componenti il Consiglio superiore» della magistratura e  realizza  un
«ragionevole bilanciamento dei valori costituzionali in gioco». 
    E', infine, irrilevante il  fatto  che  il  titolare  di  un'alta
carica potesse addurre, anche prima della  entrata  in  vigore  della
norma denunciata ed in mancanza di una specifica norma costituzionale
di prerogativa, il proprio  legittimo  impedimento  a  comparire  nel
processo  penale  in  ragione  dei  propri   impegni   istituzionali.
Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa della  parte  privata,
cio' non dimostra affatto l'erroneita' dell'assunto  secondo  cui  le
prerogative dei componenti e dei titolari degli organi costituzionali
devono  essere  previste  da  norme  di  rango   costituzionale.   La
deducibilita' del legittimo  impedimento  a  comparire  nel  processo
penale, infatti, non costituisce prerogativa costituzionale,  perche'
prescinde dalla natura dell'attivita' che legittima l'impedimento, e'
di generale applicazione e,  percio',  non  deroga  al  principio  di
parita' di trattamento davanti alla giurisdizione. Si tratta, dunque,
di uno strumento processuale posto a tutela del diritto di difesa  di
qualsiasi imputato, come tale legittimamente previsto  da  una  legge
ordinaria come il codice di rito penale,  anche  se  tale  strumento,
nella  sua  pratica  applicazione,  va  modulato  in   considerazione
dell'entita' dell'impegno addotto dall'imputato (sentenze  richiamate
infra al punto 7.3.2.1.). 
    7.3.2. - Il rimettente prosegue la sua argomentazione a  sostegno
della sollevata questione di  legittimita'  costituzionale  assumendo
altresi', come sopra detto, che la norma denunciata  costituisce  una
prerogativa,  perche'  introduce,  tramite   una   legge   ordinaria,
un'ipotesi di sospensione del processo penale che si risolve  in  una
deroga al principio di uguaglianza. 
    Anche tale assunto e' corretto. 
    Per  giungere  a  tale  conclusione  occorre,  in  primo   luogo,
individuare - come messo in evidenza sia  dai  rimettenti  che  dalle
difese - la ratio della disposizione censurata e, in  secondo  luogo,
valutare la sussistenza della denunciata disparita'  di  trattamento.
In relazione ad entrambi tali  aspetti,  occorre  prendere  le  mosse
dalla citata sentenza n. 24 del 2004, la quale - pur avendo  limitato
l'esame dell'art. 1 della legge n. 140 del 2003, analogo  all'art.  1
della legge n. 124 del 2008, ai soli profili relativi alla violazione
del diritto di difesa,  all'irragionevolezza  e  all'uguaglianza  tra
organi costituzionali (come sopra rilevato al punto 7.2.) -  fornisce
importanti e precise indicazioni al riguardo. 
    7.3.2.1. - Quanto all'individuazione  della  ratio,  va  rilevato
che, con riferimento al citato art. 1 della legge n. 140 del 2003, la
sentenza di questa Corte n. 24  del  2004  ha  chiarito  che:  a)  la
sospensione del processo penale prevista da quella norma per le  alte
cariche dello Stato (caratterizzata dalla generalita',  automaticita'
e dalla durata non determinata) e' finalizzata alla «soddisfazione di
esigenze  extraprocessuali»;  b)  tali  esigenze   consistono   nella
«protezione  della  serenita'  dello  svolgimento   delle   attivita'
connesse alle  cariche  in  questione»,  e  cioe'  nell'«apprezzabile
interesse» ad  assicurare  «il  sereno  svolgimento  delle  rilevanti
funzioni che ineriscono a quelle  cariche»;  c)  detto  interesse  va
tutelato in armonia con  i  principi  fondamentali  dello  «Stato  di
diritto,  rispetto  al  cui  migliore  assetto   la   protezione   e'
strumentale»; d) la sospensione, dunque, e' «predisposta  [...]  alla
tutela delle importanti funzioni di cui  si  e'  detto»;  e)  ove  si
ritenesse (in base ad «un modo diverso, ma non opposto, di  concepire
i presupposti e gli  scopi  della  norma»)  che  il  legislatore,  in
considerazione  dell'«interesse  pubblico  allo   svolgimento   delle
attivita' connesse alle alte cariche», abbia stimato tale svolgimento
alla stregua di «un legittimo impedimento a comparire»  nel  processo
penale ed abbia, percio', «voluto stabilire una presunzione  assoluta
di legittimo impedimento», la misura  della  sospensione  processuale
«anche sotto questo aspetto  [...]  appare  diretta  alla  protezione
della funzione». 
    Da tali inequivoche affermazioni discende il  corollario  che  la
sospensione processuale prevista dalla legge n. 140 del  2003  ha  la
ratio di proteggere la funzione  pubblica,  assicurando  ai  titolari
delle alte cariche il sereno  svolgimento  delle  loro  funzioni  (e,
indirettamente, di quelle dell'organo  al  quale  essi  appartengono)
attraverso l'attribuzione di uno  specifico  status  protettivo.  Non
viene  in  rilievo,  dunque,  l'aspetto  psicologico,  individuale  e
contingente, della soggettiva serenita' del  singolo  titolare  della
carica  statale,  ma  solo  l'obiettiva   protezione   del   regolare
svolgimento delle attivita' connesse alla carica stessa. Dalle  sopra
citate affermazioni discende, altresi', l'ulteriore corollario che e'
inesatto sostenere che l'istituto  della  sospensione  processuale  e
quello della prerogativa costituzionale sono tra loro  incompatibili.
Infatti, anche  una  sospensione  processuale  puo'  essere  prevista
dall'ordinamento  per  soddisfare  l'esigenza   extraprocessuale   di
proteggere  lo  svolgimento  della  funzione  propria  di  un  organo
costituzionale e, pertanto,  puo'  costituire  lo  strumento  di  una
specifica prerogativa costituzionale. 
    Perche' queste conclusioni  riferite  alla  sospensione  prevista
dall'art. 1 della legge n. 140 del 2003 possano  considerarsi  valide
anche  per  la  sospensione  prevista  dalla  norma   censurata,   e'
necessario, pero', valutare se  le  due  norme  abbiano  la  medesima
ratio. 
    Ad avviso della difesa della  parte  privata,  la  diversita'  di
disciplina della sospensione di  cui  alla  legge  n.  140  del  2003
rispetto a quella di cui alla legge  n.  124  del  2008  comporta  la
radicale  diversita'  delle  rispettive  rationes.  Al  riguardo,  la
medesima difesa sottolinea che, a  differenza  della  precedente,  la
normativa  denunciata   prevede   la   rinunciabilita'   e   la   non
reiterabilita' della sospensione del processo, con la conseguenza che
detta normativa ha la finalita'  di  tutelare  (in  via  esclusiva  o
principale) non gia' la funzione inerente alla carica, ma il  diritto
di difesa garantito all'imputato dalla  Costituzione  e,  quindi,  di
soddisfare esigenze  proprie  del  processo.  In  forza  della  cosi'
individuata ratio legis,  la  parte  privata  esclude  che  la  norma
denunciata introduca una vera e propria prerogativa costituzionale ed
afferma che, pertanto, la sospensione processuale in esame  e'  stata
legittimamente introdotta con legge ordinaria. A conferma della sopra
indicata ratio legis,  la  suddetta  parte  privata  osserva  che  la
finalita' della tutela della difesa dell'imputato non e' contraddetta
dal principio della non reiterabilita' della sospensione in  caso  di
assunzione  di  una  nuova  carica,  perche'   la   legge   considera
l'assunzione del munus publicum come un  legittimo  impedimento  solo
per «la durata di un mandato», che rappresenta «il periodo  di  tempo
[...] sufficiente [...] per affrontare contemporaneamente gli impegni
istituzionali di un eventuale nuovo incarico e il processo penale». 
    Tale ricostruzione delle finalita' della norma  non  puo'  essere
condivisa, per una pluralita' di ragioni. 
    Va innanzitutto osservato che la stessa relazione al  disegno  di
legge AC 1442 (che si e' poi tradotto nella legge n.  124  del  2008)
identifica espressamente la ratio della sospensione nell'esigenza  di
tutelare i principi  di  «continuita'  e  regolarita'  nell'esercizio
delle piu' alte funzioni pubbliche»  e  non  nella  soddisfazione  di
esigenze difensive. 
    In secondo luogo, va rilevato che la disposizione denunciata  non
puo' avere la finalita',  prevalente  o  esclusiva,  di  tutelare  il
diritto di difesa degli imputati, perche'  in  tal  caso  -  data  la
generalita' di tale diritto, quale espressamente  prevista  dall'art.
24 Cost. in relazione al principio di uguaglianza  -  avrebbe  dovuto
applicarsi a  tutti  gli  imputati  che,  in  ragione  della  propria
attivita', abbiano difficolta'  a  partecipare  al  processo  penale.
Inoltre,  sarebbe  intrinsecamente  irragionevole  e  sproporzionata,
rispetto alla suddetta finalita', la previsione  di  una  presunzione
legale assoluta di legittimo impedimento  derivante  dal  solo  fatto
della titolarita' della carica. Tale presunzione  iuris  et  de  iure
impedirebbe,   infatti,   qualsiasi   verifica   circa    l'effettiva
sussistenza dell'impedimento a comparire  in  giudizio  e  renderebbe
operante la  sospensione  processuale  anche  nei  casi  in  cui  non
sussista alcun impedimento e, quindi, non vi sia, in concreto, alcuna
esigenza di tutelare il diritto di difesa. La scelta del  legislatore
di aver riguardo esclusivamente ad alcune alte cariche  istituzionali
e di prevedere l'automatica sospensione del  processo,  senza  alcuna
verifica caso  per  caso  dell'impedimento,  evidenzia,  dunque,  che
l'unica ratio compatibile  con  la  norma  censurata  e'  proprio  la
protezione delle funzioni connesse all'«alta carica». 
    In terzo luogo,  va  ulteriormente  osservato  che  il  legittimo
impedimento a comparire ha gia' rilevanza nel processo penale  e  non
sarebbe stata necessaria la norma denunciata per tutelare, sotto tale
aspetto, la difesa dell'imputato impedito a  comparire  nel  processo
per ragioni inerenti all'alta carica da lui  rivestita.  Come  questa
Corte  ha  rilevato,  la  sospensione  del  processo  per   legittimo
impedimento a comparire disposta ai sensi del codice di  rito  penale
contempera il diritto di difesa con le esigenze dell'esercizio  della
giurisdizione, differenziando la posizione processuale del componente
di un organo costituzionale solo per  lo  stretto  necessario,  senza
alcun meccanismo automatico e generale (sentenze n. 451 del 2005,  n.
391 e n. 39 del 2004 e n. 225 del 2001). E se l'esigenza della tutela
del diritto di  difesa  e'  gia'  adeguatamente  soddisfatta  in  via
generale dall'ordinamento con l'istituto del  legittimo  impedimento,
non puo' che conseguirne anche la irrilevanza  della  rinunciabilita'
della sospensione quale  elemento  per  individuare  la  ratio  della
disposizione. 
    In  quarto  luogo,  va   infine   sottolineato   che   anche   la
caratteristica della non reiterabilita' della sospensione in caso  di
assunzione di una nuova alta carica da  parte  della  stessa  persona
fisica non e' elemento idoneo a individuare la ratio della  normativa
denunciata, perche' e' incoerente rispetto  a  entrambe  le  rationes
ipotizzate.  Infatti,  sia  l'esigenza  della  tutela  della   difesa
dell'imputato, sia quella della tutela della  funzione  permarrebbero
anche  in  caso  di  assunzione  della  nuova  carica.  La  normativa
censurata, inoltre, fissa  solo  un  limite  massimo  di  durata  del
beneficio e non garantisce affatto - contrariamente a quanto  afferma
la parte privata - un periodo minimo per approntare  la  difesa,  ne'
tantomeno garantisce il  periodo  minimo  pari  alla  «durata  di  un
mandato» (si consideri, ad esempio, il caso in cui il giudizio penale
venga instaurato nei confronti del titolare della carica  poco  prima
della cessazione di essa  ed  il  medesimo  soggetto  persona  fisica
assuma, subito dopo, una nuova carica). 
    Deve percio' concludersi che la ratio della norma denunciata,  al
pari di quella della norma oggetto della sentenza di questa Corte  n.
24 del 2004, va individuata nella protezione delle funzioni di alcuni
organi costituzionali, realizzata attraverso  l'introduzione  di  una
peculiare sospensione del processo penale. 
    7.3.2.2. - Chiarito che la protezione della funzione  costituisce
la  ratio  della  norma  censurata,  occorre  ora  accertare  se   la
sospensione disciplinata dalla norma in questione  abbia  l'ulteriore
caratteristica delle prerogative,  e  cioe'  quella  di  derogare  al
principio di uguaglianza creando una disparita' di trattamento. 
    La risposta a tale domanda deve essere positiva. 
    La piu' volte citata sentenza di questa Corte n. 24 del  2004  ha
precisato, sia pure con riferimento all'art. 1 della legge n. 140 del
2003, che la sospensione processuale per  gli  imputati  titolari  di
alte cariche «crea un  regime  differenziato  riguardo  all'esercizio
della giurisdizione [...]», regime che va posto a  raffronto  con  il
principio - anch'esso richiamato  dalla  suddetta  sentenza  -  della
parita' di trattamento rispetto alla giurisdizione, fissato dall'art.
3 Cost. 
    Non vi e' dubbio che tali rilievi valgono anche per il  censurato
art. 1 della legge n. 124 del 2008.  La  denunciata  sospensione  e',
infatti, derogatoria rispetto al regime processuale  comune,  perche'
si applica solo a favore dei titolari di quattro alte  cariche  dello
Stato, con riferimento ai processi instaurati nei loro confronti, per
imputazioni relative a tutti gli  ipotizzabili  reati,  in  qualunque
epoca commessi e, in particolare,  ai  reati  extrafunzionali,  cioe'
estranei alle attivita' inerenti alla carica. La deroga  si  risolve,
in particolare, in una evidente disparita' di trattamento delle  alte
cariche rispetto a tutti gli  altri  cittadini  che,  pure,  svolgono
attivita' che  la  Costituzione  considera  parimenti  impegnative  e
doverose, come quelle connesse a cariche o funzioni  pubbliche  (art.
54 Cost.) o, ancora piu' generalmente, quelle che il cittadino ha  il
dovere di svolgere, al fine di concorrere al  progresso  materiale  o
spirituale della societa' (art. 4, secondo comma, Cost.). 
    E' ben vero che il principio  di  uguaglianza  comporta  che,  se
situazioni  uguali  esigono  uguale  disciplina,  situazioni  diverse
possono richiedere differenti  discipline.  Tuttavia,  in  base  alla
giurisprudenza di questa Corte citata al punto 7.3.1., deve ribadirsi
che, nel caso in cui la differenziazione  di  trattamento  di  fronte
alla giurisdizione riguardi il titolare o un componente di un  organo
costituzionale e si alleghi, quale ragione giustificatrice  di  essa,
l'esigenza di  proteggere  le  funzioni  di  quell'organo,  si  rende
necessario che un tale ius  singulare  abbia  una  precisa  copertura
costituzionale. Si e' visto,  infatti,  che  il  complessivo  sistema
delle  suddette  prerogative  e'   regolato   da   norme   di   rango
costituzionale, in quanto incide  sull'equilibrio  dei  poteri  dello
Stato  e  contribuisce   a   connotare   l'identita'   costituzionale
dell'ordinamento. 
    7.3.2.3. - L'accertata violazione del  principio  di  uguaglianza
rileva, poi, sicuramente anche con specifico  riferimento  alle  alte
cariche dello Stato prese in considerazione dalla norma censurata: da
un lato, sotto il profilo  della  disparita'  di  trattamento  fra  i
Presidenti e i componenti degli  organi  costituzionali;  dall'altro,
sotto quello  della  parita'  di  trattamento  di  cariche  tra  loro
disomogenee. 
    7.3.2.3.1. - Quanto al primo profilo,  va  rilevato  che  le  pur
significative  differenze  che  esistono  sul  piano  strutturale   e
funzionale tra i Presidenti e i componenti di detti organi  non  sono
tali da alterare il  complessivo  disegno  del  Costituente,  che  e'
quello di attribuire, rispettivamente, alle Camere e  al  Governo,  e
non ai loro Presidenti, la funzione legislativa (art. 70 Cost.) e  la
funzione di indirizzo politico ed amministrativo (art. 95 Cost.). Non
e',  infatti,  configurabile  una  preminenza  del   Presidente   del
Consiglio dei ministri rispetto ai ministri, perche' egli non  e'  il
solo titolare della funzione di indirizzo del Governo, ma si limita a
mantenerne  l'unita',  promuovendo  e  coordinando  l'attivita'   dei
ministri e ricopre, percio', una posizione tradizionalmente  definita
di primus inter pares. 
    Anche  la  disciplina  costituzionale  dei   reati   ministeriali
conferma che il Presidente del Consiglio dei ministri  e  i  ministri
sono sullo stesso piano. Il sistema dell'art. 96 Cost. e della  legge
costituzionale n. 1 del 1989 prevede, infatti, per  tali  cariche  lo
stesso regime di prerogative, limitato ai  reati  funzionali;  regime
che risulta alterato dalla previsione  per  il  solo  Presidente  del
Consiglio dei ministri  della  sospensione  dei  processi  per  reati
extrafunzionali. E cio' a prescindere dall'ulteriore vulnus  all'art.
3 Cost. derivante dal fatto che la normativa denunciata - al pari  di
quella gia' dichiarata incostituzionale con la citata sentenza n.  24
del 2004 - continua a prevedere, per tutti i  reati  extrafunzionali,
un meccanismo generale e automatico di sospensione del processo,  che
non puo' trovare ragionevole giustificazione in un supposto  maggiore
disvalore dei reati funzionali rispetto a tutti, indistintamente, gli
altri reati. 
    Del pari, non e' configurabile una significativa  preminenza  dei
Presidenti delle Camere  sugli  altri  componenti,  perche'  tutti  i
parlamentari partecipano  all'esercizio  della  funzione  legislativa
come rappresentanti della Nazione e, in quanto  tali,  sono  soggetti
alla disciplina uniforme dell'art. 68 Cost. 
    Questi principi sono gia' stati enunciati da questa Corte con  la
citata sentenza n.  24  del  2004,  dove  si  afferma,  in  relazione
all'art. 1 della legge n. 140 del 2003, che  «La  Corte  ritiene  che
anche sotto altro profilo l'art. 3  Cost.  sia  violato  dalla  norma
censurata. Questa, infatti, [...] distingue, per la prima volta sotto
il profilo della parita'  riguardo  ai  principi  fondamentali  della
giurisdizione, i Presidenti delle Camere, del Consiglio dei  ministri
e della Corte costituzionale rispetto  agli  altri  componenti  degli
organi da loro presieduti». Ne' a tali  conclusioni  puo'  opporsi  -
come fa la difesa  della  parte  privata  -  che  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri avrebbe assunto una  posizione  costituzionale
differenziata rispetto a quella dei ministri in forza della legge  21
dicembre 2005, n. 270 (Modifiche  alle  norme  per  l'elezione  della
Camera dei deputati e del Senato della Repubblica), che ha introdotto
nel d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361 (Approvazione del testo unico  delle
leggi recanti norme per  la  elezione  della  Camera  dei  deputati),
l'art. 14-bis, secondo cui, nel procedimento elettorale e' necessaria
la formale indicazione preventiva del capo  della  forza  politica  o
della coalizione. Si deve, infatti rilevare che tale legge, in quanto
fonte di rango ordinario, non e' idonea  a  modificare  la  posizione
costituzionale del Presidente del Consiglio dei ministri. 
    7.3.2.3.2. - In relazione all'ulteriore profilo della parita'  di
trattamento di cariche disomogenee, deve essere ribadito quanto  gia'
affermato da questa Corte con la stessa  sentenza  n.  24  del  2004,
secondo cui tale disomogeneita' e' da ricondurre sia alle  «fonti  di
investitura», sia alla «natura delle funzioni». 
    Non ostano a tale conclusione le opinioni espresse nel corso  dei
lavori preparatori dell'articolo censurato  in  cui  si  osserva  che
l'elemento che accomuna tali cariche e' che tutte «trovano la propria
legittimazione - in via diretta o mediata - nella volonta'  popolare»
e nella «natura politica» della funzione esercitata. In contrario  si
deve rilevare, infatti, che la «legittimazione popolare» e la «natura
politica della  funzione»  sono  elementi  troppo  generici,  perche'
comuni anche ad altri  organi,  statali  e  non  statali  (quali,  ad
esempio, i singoli parlamentari o i ministri  o  i  Presidenti  delle
Giunte regionali o i consiglieri regionali), e  pertanto  inidonei  a
configurare un'omogeneita' di situazioni che giustifichi una  parita'
di trattamento quanto alle prerogative. 
    7.3.3. -  In  base  alle  osservazioni  che  precedono,  si  deve
concludere  che  la  sospensione  processuale  prevista  dalla  norma
censurata e' diretta essenzialmente alla  protezione  delle  funzioni
proprie dei componenti e dei titolari di alcuni organi costituzionali
e, contemporaneamente, crea un'evidente disparita' di trattamento  di
fronte alla giurisdizione. Sussistono, pertanto, entrambi i requisiti
propri delle prerogative costituzionali, con conseguente  inidoneita'
della legge ordinaria a disciplinare la materia. In  particolare,  la
normativa censurata attribuisce ai titolari di quattro  alte  cariche
istituzionali un eccezionale ed innovativo status protettivo, che non
e' desumibile dalle norme costituzionali  sulle  prerogative  e  che,
pertanto, e' privo di copertura  costituzionale.  Essa,  dunque,  non
costituisce fonte di rango idoneo a disporre in materia. 
    8. - Deve, pertanto, dichiararsi l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1 della legge n. 124 del 2008, per violazione del combinato
disposto degli artt. 3 e 138  Cost.,  in  relazione  alla  disciplina
delle prerogative di cui agli artt. 68, 90 e 96 Cost. 
    Restano  assorbite  le  questioni  relative  all'irragionevolezza
intrinseca della denunciata disciplina, indicate al punto 6,  lettera
b), e ogni altra questione non esaminata.