Sentenza 
nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  146,  primo
comma, numero 3),  del  codice  penale,  promosso  dal  Tribunale  di
sorveglianza di  Palermo,  nel  procedimento  relativo  a  B.E.,  con
ordinanza del 4  dicembre  2008,  iscritta  al  n.  61  del  registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 10, 1ª serie speciale, dell'anno 2009; 
    Udito nella Camera di consiglio del 23 settembre 2009 il  giudice
relatore Paolo Maddalena. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Il Tribunale  di  sorveglianza  di  Palermo,  con  ordinanza
emessa il 4 dicembre 2008, ha sollevato, in riferimento agli articoli
2, 3, 27, primo e  terzo  comma,  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 146, primo  comma,  numero  3),
del codice penale (Rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena). 
    Il giudice rimettente premette di  avere  promosso  d'ufficio  il
procedimento per l'eventuale  nuova  concessione  del  beneficio  del
differimento obbligatorio della pena nei confronti di  un  condannato
per i reati di rapina aggravata, furto, ricettazione ed  altro,  gia'
sottoposto  alla  misura  della  detenzione  domiciliare   ai   sensi
dell'art. 47-ter, comma 1-ter, della legge 26  luglio  1975,  n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle  misure
privative e limitative della liberta'), in  quanto  affetto  da  AIDS
conclamata (incompatibile con il regime penitenziario  ed  in  stadio
cosi' avanzato  da  non  rispondere  piu'  alle  terapie  praticate),
nuovamente  arrestato  e  ristretto  in  carcere  dopo  essere  stato
denunciato per evasione e  rapina  aggravata,  ma  ancora  una  volta
segnalato dalla direzione sanitaria del carcere per il grave  deficit
immunitario incompatibile con il regime penitenziario. 
    L'art. 146, primo comma, numero 3), cod. pen.  prevede  l'obbligo
di differire l'esecuzione della pena  allorche'  questa  debba  avere
luogo nei riguardi di persona affetta da AIDS conclamata o  da  altra
malattia  particolarmente  grave  per  effetto  della  quale  le  sue
condizioni  di  salute  risultano  incompatibili  con  lo  stato   di
detenzione, quando la persona si trova in  una  fase  della  malattia
cosi' avanzata da non rispondere piu', secondo le certificazioni  del
servizio  sanitario   penitenziario   o   esterno,   ai   trattamenti
disponibili e alle terapie curative. 
    Il rimettente osserva  che,  nell'attuale  quadro  normativo,  la
norma denunciata si combina con la previsione di cui all'art. 47-ter,
comma   1-ter,   dell'ordinamento   penitenziario,   che,   superando
l'alternativa  secca  tra  carcerazione  e  liberta'  senza  vincoli,
consente  al  tribunale  di  sorveglianza,  quando  potrebbe   essere
disposto il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena  ai  sensi
dell'art.  146  cod.  pen.,  di  applicare   sempre   la   detenzione
domiciliare. 
    Ad avviso del giudice a  quo,  qualora  lo  stato  di  detenzione
domiciliare  si  palesi  assolutamente  inidoneo  a  fronteggiare  la
pericolosita' sociale del soggetto, manifestatasi mediante violazioni
delle prescrizioni inerenti al  relativo  regime  o,  nei  casi  piu'
gravi, attraverso la commissione di  reati,  non  sarebbe  possibile,
nell'attuale   assetto   normativo,    salvaguardare    adeguatamente
l'esigenza di tutela della collettivita' disponendo la revoca di tale
misura ed  il  ripristino  dell'esecuzione  della  pena  in  carcere,
perche' il meccanismo previsto dall'art.  146  cod.  pen.  impone  di
disporre   nuovamente   il   differimento   obbligatorio,    inibendo
qualsivoglia valutazione discrezionale in ordine all'opportunita'  di
negarne l'applicazione in ragione  della  pericolosita'  sociale  del
soggetto, risultata in concreto contenibile solo attraverso il regime
carcerario. 
    Secondo il Tribunale di sorveglianza, l'automatica e obbligatoria
concessione del beneficio, nell'ipotesi in cui  il  destinatario  del
differimento sia un soggetto contrassegnato da una attuale ed elevata
pericolosita' sociale, avrebbe l'effetto di esporre a grave  pericolo
fondamentali valori della collettivita' e dei singoli quali la  vita,
l'incolumita',  il  patrimonio  e  la  stessa  salute  individuale  e
collettiva, tutelati dall'art. 2 Cost. Sotto tale profilo, ad  avviso
del  rimettente  sarebbe  priva  di  ragionevole  giustificazione  la
diversita'  rispetto  alla  disciplina  recata,  in  tema  di  rinvio
facoltativo della pena, dall'art. 147, ultimo comma,  cod.  pen.,  la
quale opportunamente consente di ancorare la concessione  del  rinvio
ad un giudizio prognostico, da formulare alla stregua delle emergenze
del caso concreto, avente per oggetto il pericolo di  commissione  di
nuovi delitti. 
    Il giudice rimettente ricorda che la Corte costituzionale, con la
sentenza n. 438 del 1995,  ha  sancito  un  temperamento  del  rigido
automatismo previsto dall'art. 146,  primo  comma,  numero  3),  cod.
pen.,   dichiarando   la   citata   disposizione   costituzionalmente
illegittima nella  parte  in  cui  non  consentiva  di  accertare  in
concreto  se,  ai  fini  dell'esecuzione  della  pena,  le  effettive
condizioni di salute del condannato fossero compatibili con lo  stato
detentivo. 
    Tuttavia - precisa il rimettente - la riformulazione  legislativa
della disposizione, avutasi con la legge 8 marzo 2001, n. 40  (Misure
alternative alla detenzione a tutela  del  rapporto  tra  detenute  e
figli minori), non ha ribadito tale previsione: pertanto, «non appare
chiaro se  con  la  predetta  novella  il  legislatore  abbia  inteso
obliterare l'intervento additivo della Consulta, ovvero se l'art. 146
cod. pen. tuttora consenta al giudice di valutare le circostanze  del
caso concreto ed eventualmente di determinarsi, in funzione di  esse,
nel senso di disporre l'esecuzione della pena detentiva, quando  cio'
possa avvenire senza pregiudizio per la salute del condannato e della
restante popolazione  carceraria».  Anche  accedendo  a  quest'ultima
opzione   ermeneutica,   residuerebbe   comunque   un   margine    di
irragionevolezza del meccanismo previsto dall'art. 146 cod. pen.  per
l'ipotesi in cui non  sia  disponibile  una  struttura  carceraria  e
tuttavia sussistano concreti elementi  idonei  a  dimostrare  che  il
condannato, beneficiando  di  un  tale  differimento  dell'esecuzione
della pena detentiva ovvero della  sua  sostituzione  con  la  misura
della detenzione domiciliare, commetta nuovi delitti. 
    In tali evenienze, il sistema apparirebbe sbilanciato, risultando
privilegiata la tutela della salute del condannato  a  scapito  della
doverosa salvaguardia  delle  esigenze  di  sicurezza  collettiva  e,
dunque, dei diritti fondamentali. 
    Ad avviso del rimettente, la disposizione  denunciata  violerebbe
altresi' l'art. 27, primo e terzo comma, Cost., perche' il condannato
rimarrebbe sostanzialmente impunito per il reato gia' commesso e  per
quegli  altri  di  cui  potra'  rendersi   autore   nel   corso   del
differimento. 
    2. - Nel giudizio  dinanzi  alla  Corte  non  e'  intervenuto  il
Presidente del Consiglio dei ministri, ne' vi e'  stata  costituzione
della parte privata. 
                       Considerato in diritto 
    1. - La questione di legittimita'  costituzionale,  sollevata  in
riferimento agli artt. 2, 3 e 27, terzo  comma,  della  Costituzione,
investe l'art. 146, primo comma, numero 3), del codice penale (Rinvio
obbligatorio dell'esecuzione della pena) - nel testo risultante dalle
modifiche apportate dalla legge 12 luglio 1999, n. 231  (Disposizioni
in materia di esecuzione della pena, di  misure  di  sicurezza  e  di
misure  cautelari  nei  confronti  dei  soggetti  affetti   da   AIDS
conclamata o da grave deficienza  immunitaria  o  da  altra  malattia
particolarmente grave), e ribadite dalla legge 8 marzo  2001,  n.  40
(Misure  alternative  alla  detenzione  a  tutela  del  rapporto  tra
detenute e figli minori) - che prevede il  differimento  obbligatorio
dell'esecuzione della pena allorche' questa  debba  avere  luogo  nei
riguardi di persona affetta da AIDS conclamata o  da  altra  malattia
particolarmente grave per effetto della quale le  sue  condizioni  di
salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione, quando  la
persona si trova in una fase della malattia  cosi'  avanzata  da  non
rispondere piu', secondo le  certificazioni  del  servizio  sanitario
penitenziario o esterno, ai trattamenti disponibili  e  alle  terapie
curative. 
    Ad avviso del  giudice  rimettente,  la  disposizione  denunciata
violerebbe  l'art.  2  Cost.,  perche'  l'automatica  e  obbligatoria
concessione del beneficio  determinerebbe,  nell'ipotesi  in  cui  il
destinatario del  differimento  sia  un  condannato  con  attuale  ed
elevata pericolosita' sociale, l'effetto di esporre a grave  pericolo
fondamentali valori della collettivita' e dei singoli quali la  vita,
l'incolumita',  il  patrimonio  e  la  stessa  salute  individuale  e
collettiva. 
    Il contrasto con  l'art.  3  Cost.  viene  prospettato  sotto  un
duplice ordine di  profili:  perche'  la  tutela  della  salute  (del
condannato e  dei  membri  del  consorzio  carcerario)  non  potrebbe
obliterare del tutto gli  altri  beni  costituzionalmente  rilevanti,
come quelli legati alla sicurezza collettiva ed all'effettivita'  del
sistema  penale;  ancora,  perche'  sarebbe  priva   di   ragionevole
giustificazione la diversita' con la disciplina recata,  in  tema  di
rinvio facoltativo della pena,  dall'art.  147,  ultimo  comma,  cod.
pen., la quale consente di ancorare la concessione del rinvio  ad  un
giudizio prognostico, da formulare alla stregua delle  emergenze  del
caso concreto, avente per oggetto il pericolo di commissione di nuovi
delitti. 
    Ad avviso del giudice rimettente, l'art. 146, primo comma, numero
3), cod. pen. contrasterebbe con l'art.  27,  primo  e  terzo  comma,
Cost.,  perche',  con  l'automatica  e  prevedibile  sospensione  del
momento esecutivo, impedirebbe alla pena  irrogata  di  intimidire  e
dissuadere il reo e  cosi'  finirebbe  per  svilire  le  funzioni  di
prevenzione generale e speciale e la difesa sociale,  alle  quali  e'
intimamente orientato il sistema penale; inoltre,  vanificherebbe  la
finalita'   retributiva   della   pena,   rimanendo   il   condannato
sostanzialmente impunito per il reato  gia'  commesso  e  per  quegli
altri di cui potra'  rendersi  autore  nel  corso  del  differimento;
infine, frustrerebbe il fine rieducativo del sistema penale,  perche'
chiunque si trovi nelle condizioni previste  dalla  norma  denunciata
conseguirebbe  il  beneficio,  indipendentemente  da   una   positiva
evoluzione del trattamento e  persino  nell'ipotesi  di  reiterazione
criminosa. 
    2. - La questione non e' fondata. 
    La norma denunciata non  e'  strutturata  secondo  un  modulo  di
automatismo  e   non   stabilisce   una   presunzione   assoluta   di
incompatibilita' con il carcere per i malati di  AIDS  o  per  quanti
presentino uno stato di  grave  deficienza  immunitaria,  presunzione
che, nella sua rigidita', e' gia' stata censurata da questa Corte con
la sentenza n. 438 del 1995,  che  ne  ha  statuito  l'illegittimita'
quando l'espiazione della pena possa avvenire senza  pregiudizio  per
la salute dell'individuo e per quella degli altri detenuti. 
    Come ha chiarito, con orientamento  costante,  la  giurisprudenza
della Corte di cassazione, ai fini del differimento obbligatorio  non
basta che il condannato sia affetto da AIDS  conclamata  o  da  grave
deficienza immunitaria accertate ai sensi dell'art. 286-bis, comma 2,
cod. proc.  pen.,  ben  potendo  l'una  e  l'altra  patologia  essere
normalmente fronteggiate con gli appositi presidi di diagnosi e  cura
esistenti  all'interno  degli  istituti  penitenziari  o   attraverso
provvedimenti di ricovero in luoghi  esterni  a  norma  dell'art.  11
dell'ordinamento penitenziario, ma occorre l'ulteriore condizione che
la malattia non solo sia gravemente debilitante, ma sia  giunta  alla
sua fase terminale, cosi' da escludere, secondo le certificazioni del
servizio  sanitario  penitenziario  o  esterno,  la  rispondenza  del
soggetto ai trattamenti disponibili o alle terapie curative. 
    L'art. 146, primo comma, numero 3), cod. pen. - rivolto non  solo
ai malati di AIDS o a quanti presentino uno stato di grave deficienza
immunitaria derivante da infezione da HIV,  ma  anche  a  coloro  che
siano  affetti  da  altra  malattia  particolarmente  grave   -   non
individua, quindi, una particolare categoria di persone rispetto alle
quali l'incompatibilita' con lo stato di detenzione  e'  presunta  ex
lege, ma affida al giudice il compito di verificare in  concreto  se,
ai fini dell'esecuzione della pena, le effettive condizioni di salute
del condannato, per lo stadio estremo al quale e' oramai pervenuta la
malattia, siano o meno compatibili con lo stato detentivo. 
    La norma censurata  ha  inteso  cosi'  privilegiare  esigenze  di
natura umanitaria, che trovano fondamento nell'art. 27, terzo  comma,
Cost. 
    Il sistema garantisce un corretto equilibrio tra il diritto  alla
salute del  condannato  e  le  esigenze,  reclamate  dalla  comunita'
sociale, di sicurezza, di effettivita' e di certezza  dell'espiazione
della pena e di sottoposizione dei soggetti pericolosi  ai  necessari
controlli. Difatti, negli stessi casi in cui potrebbe essere disposto
il rinvio obbligatorio dell'esecuzione della pena ai sensi  dell'art.
146 cod. pen., il tribunale di sorveglianza puo' - a norma  dell'art.
47-ter,  comma  1-ter,  dell'ordinamento  penitenziario,   introdotto
dall'art. 4 della legge 27 maggio 1998, n. 165 -  disporre,  pure  ex
officio,  l'applicazione  della  detenzione  domiciliare,   e   cosi'
assicurare, anche nell'immediato, le istanze di difesa sociale  e  di
tutela collettiva. E deve escludersi che la eventuale lacunosita' dei
presidi di sicurezza possa costituire, in  se'  e  per  se',  ragione
sufficiente per  incrinare,  sull'opposto  versante,  la  tutela  dei
valori primari che la norma impugnata ha inteso  salvaguardare  (cfr.
sentenza n. 70 del 1994 e ordinanza n. 145 del 2009). 
    Non  costituisce  idoneo  tertium  comparationis  la   disciplina
dettata dall'art. 147 cod. pen., che, all'ultimo comma,  prevede  una
prevalenza dell'indefettibilita' della pena se sussiste  il  concreto
pericolo della commissione di delitti. Le cause che  danno  luogo  al
rinvio facoltativo della  pena  sono  differenti  rispetto  a  quelle
contemplate  dall'art.  146  cod.   pen.,   sicche'   rientra   nella
discrezionalita' del legislatore disciplinare  diversamente  istituti
che sono ancorati a differenti presupposti di fatto.