IL GIUDICE DI PACE 
 
    Sentito  il  parere  del  p.m.  che  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale  in  relazione   all'articolo   di   cui
all'imputazione e del difensore che si e' associato,  questo  giudice
osserva. 
    Il reato appare in contrasto con gli artt. 2,  3,  25  secondo  e
terzo comma in relazione agli artt. 27 e 13 della Costituzione. 
    Il reato in questione appare in contrasto  con  il  principio  di
ragionevolezza rivelandosi del tutto privo di  ratio  giustificatrice
in quanto il fine che si prefigge e' quello dell'allontanamento dello
straniero clandestino dal territorio nazionale. 
    Tale fine viene raggiunto gia'  in  sede  amministrativa  ove  e'
prevista l'espulsione del soggetto irregolare da parte  degli  organi
di  polizia  senza   alcun   nulla-osta   da   parte   dell'autorita'
giudiziaria. 
    Riguardo alla pena pecuniaria  prevista  dalla  norma  in  esame,
trattasi di applicazione del tutto teorica in quanto,  nella  specie,
sarebbe  applicata  a  persone  nullatenenti  e   privi   di   sicura
domiciliazione tanto che anche la eventuale  conversione  della  pena
pecuniaria in lavori di pubblica utilita'  ex  art.  660  c.p.p.  non
otterrebbe alcun risultato utile. 
    Altrettanto in contrasto  con  il  principio  di  offensivita'  e
proporzionalita' appare il reato in questione ove si consideri che la
suprema Corte, con sent.  n.  78/07,  ha  affermato  che  il  mancato
possesso di un titolo valido per la permanenza nello Stato non e'  di
per se' sintomo di una particolare pericolosita' sociale per cui  non
puo' essere accomunata la semplice permanenza con la situazione dello
straniero che e' entrato nel territorio nazionale per  commettere  un
reato. Infatti la espressione «fatto  commesso»  contenuta  nell'art.
25, secondo comma, in relazione all'art. 27 della Costituzione indica
il  carattere  personale  della  responsabilita'  penale,   imponendo
pertanto un limite alla applicazione delle pene che costituiscono una
estrema ratio e devono essere applicate a particolari  situazioni  di
pericolosita' sociale fra le quali certamente non rientrano i casi di
coloro che per disperazione migrano, sia pur illegalmente,  in  altri
paesi. 
      
    Pertanto appare del tutto incomprensibile prevedere un reato  per
una situazione che puo' essere risolta in ambito amministrativo. 
    La  norma  in  esame  contrasta  anche  con   l'art.   10   della
Costituzione e, soprattutto con l'art. 2, violando sia  il  principio
di solidarieta', posto  tra  i  valori  fondamentali  dell'uomo,  sia
assumendo un connotato discriminatorio nei confronti di persone  che,
in condizione di bisogno, vengono considerate possibili fonti di atti
delinquenziali. (Vedasi a tal proposito  la  Convenzione  di  Ginevra
sull'asilo politico, la Dichiarazione  dei  diritti  dell'uomo  e  le
varie Convenzioni sui lavoratori migranti e sui diritti del fanciullo
ratificate dall'Italia). 
    Va infine rilevato, quale  ulteriore  profilo  di  irrazionalita'
della norma, che il reato di illegale  trattenimento  nel  territorio
dello Stato, rispetto a quello istantaneo di ingresso clandestino, e'
privo di normativa transitoria (quale quella prevista per le  colf  e
badanti) per cui il clandestino, anche se lo volesse, non godrebbe di
alcuna possibilita' di evitare i rigori della legge.