Ricorso del Presidente del Consiglio dei  ministri  pro  tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso i
cui uffici domicilia ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione Veneto, in persona del Presidente in carica per
la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale   della   legge
regionale 31 luglio  2009,  n.  15,  recante  «Norme  in  materia  di
gestione stragiudiziale del contenzioso  sanitario»  (pubblicata  nel
B.U. della Regione Veneto n. 63 del 4 agosto  2009)  per  violazione,
nei limiti di  seguito  indicati,  degli  articoli  11,  117,  primo,
secondo comma, lettera l), e terzo comma, della Costituzione. 
    La legge regionale in  epigrafe  e'  finalizzata  principalmente,
come risulta dall'art. 1 della stessa, alla prevenzione di situazioni
di contenzioso in materia  sanitaria,  attraverso  la  promozione  di
modalita' di composizione stragiudiziale delle  controversie  insorte
in occasione dell'erogazione delle prestazioni sanitarie  (comma  1),
l'individuazione  e  la  disciplina  di  procedure  funzionali   alla
composizione stragiudiziale delle controversie (comma 2). 
    A tali scopi la 1.r.  istituisce  una  «Commissione  conciliativa
regionale» con il  compito  di  comporre  in  via  stragiudiziale  le
controversie  per  danni  da  responsabilita'  civile  derivanti   da
prestazioni sanitarie  erogate  dalle  aziende  sanitarie  locali  ed
ospedaliere,    nonche'    dalle    strutture    sanitarie    private
provvisoriamente  accreditate.   La   legge   presenta   profili   di
illegittimita' costituzionale con particolare riferimento all'art. 1,
comma 2, agli articoli 2 e 3,  nonche'  con  riferimento  alle  altre
disposizioni inscindibilmente connesse ad essi, ed  in  special  modo
l'art. 4, per i seguenti 
 
                             M o t i v i 
 
1) Violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera l) Cost. 
    Le disposizioni predette  eccedono  dalla  competenza  regionale,
avendo ad oggetto  la  disciplina  di  un  Istituto  -  quello  della
conciliazione - che, come gia'  ripetutamente  affermato  da  codesta
Corte costituzionale (sentenze nn. 50 e 384 del 2005), rientra  nella
materia  dell'«ordinamento  civile»,   in   quanto   concernente   la
definizione transattiva delle relative  controversie,  ed  in  quella
della «giurisdizione e norme processuali»,  per  l'incidenza  che  la
previsione  e  la  regolamentazione  del  tentativo  di  componimento
bonario delle liti possono avere sullo svolgimento del processo. Cio'
comporta la  necessita'  di  una  disciplina  uniforme  su  tutto  il
territorio nazionale, necessita' che appare particolarmente  evidente
ove  si  consideri  l'imprescindibile  esigenza  di  regolamentare  i
rapporti  tra  lo  svolgimento  del  procedimento   di   composizione
stragiudiziale della controversia e l'esercizio del diritto di azione
in sede giurisdizionale, con particolare riguardo alla decorrenza dei
termini di prescrizione e di decadenza durante  il  tempo  occorrente
per l'espletamento del tentativo di  conciliazione.  Le  disposizioni
regionali in esame, pertanto,  violano  l'art.  117,  secondo  comma,
lett.  l)  Cost.,  risultando  lesive  di  una  potesta'  legislativa
esclusiva statale. 
    Potesta' che, peraltro, e'  stata  di  recente  esercitata  dallo
Stato attraverso l'adozione  della  legge  18  giugno  2009,  n.  69,
(«Disposizioni per lo  sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la
competitivita' nonche' in materia di processo civile»), il  cui  art.
60 contiene una delega al Governo  in  materia  di  mediazione  e  di
conciliazione delle controversie civili e commerciali,  ed  individua
una serie di principi e criteri direttivi che risultano violati dalle
disposizioni regionali in parola. 
    Tale contrasto, che risulta comunque assorbito dai rilievi  sopra
esposti, si evidenzia inoltre per i seguenti aspetti: 
        a) l'art. 2,  che  istituisce  la  «Commissione  conciliativa
regionale» (comma 1) e ne disciplina l'ambito di competenza (comma 2)
al comma 3 configura tale Commissione come organo di nomina  politica
(in quanto prevede che essa sia «nominata dalla Giunta regionale»)  e
ne fissa la durata in tre anni. In tal modo la disposizione regionale
si pone in contrasto con l'art. 60, comma 3, lett. b) della legge  n.
69/2009, in base al  quale  l'attivita'  di  mediazione  deve  essere
svolta  da  organismi   «indipendenti»   e   «stabilmente   destinati
all'erogazione del servizio di conciliazione»; 
        b) l'art. 3, che disciplina l'attivita' della Commissione  ed
indica  principi  e  criteri  direttivi   cui   deve   ispirarsi   il
procedimento dinanzi alla stessa, al comma  2,  lett.  h),  definendo
«atto negoziale di diritto privato ai sensi dell'art. 1965 del codice
civile» l'accordo che  conclude  il  procedimento  di  conciliazione,
qualifica  quest'ultimo  come  transazione  anche  laddove  non   sia
caratterizzato - come  invece  previsto  dall'art.  1965  c.c.  -  da
reciproche concessioni. In tale modo la disposizione interferisce con
la disciplina del contratto di  transazione,  violando  ulteriormente
l'art. 117, secondo comma, lett. l) Cost. 
2) Violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Le  disposizioni  regionali  indicate  risultano  eccedere  dalla
competenza regionale anche in relazione ad un secondo profilo.  Esse,
istituendo la «Commissione conciliativa regionale» (art. 2 comma  1),
e  prevedendone  competenze,  criteri  di  formazione,  composizione,
struttura,   attivita',   modalita'   operative,   etc.,   creano   e
disciplinano una nuova figura professionale  -  di  «conciliatore»  o
«mediatore» - diversa da quella profilata  nel  menzionato  art.  60,
violando in tal modo l'art. 117, terzo comma, Cost., con  riferimento
alla materia «professioni». Codesta Corte ha piu' volte chiarito  che
«la potesta' legislativa regionale nella  materia  concorrente  delle
"professioni"   deve   rispettare   il    principio    secondo    cui
l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e
i  titoli  abilitanti,   e'   riservata,   per   il   suo   carattere
necessariamente unitario, allo  Stato,  rientrando  nella  competenza
delle regioni la disciplina di  quegli  aspetti  che  presentano  uno
specifico collegamento con la realta' regionale. Tale  principio,  al
di la' della particolare attuazione  ad  opera  di  singoli  precetti
normativi, si configura quale limite di ordine generale, invalicabile
dalla legge regionale» (sent. n. 153/2006). Ne consegue pertanto  che
«non  e'  nei  poteri  della  Regione  dar  vita   a   nuove   figure
professionali» (sent. n. 300/2007). 
    Tale giurisprudenza e' stata pienamente recepita  nel  d.lgs.  n.
30/2006, che in attuazione della delega n.  131/2003,  ha  provveduto
alla   ricognizione   dei   principi   fondamentali   della   materia
«professioni». 
    Le disposizioni regionali censurate, che  non  possono  in  alcun
modo incidere in tale ambito normativo, risultano in contrasto con  i
principi regolatori  dettati,  anche  in  materie  di  «professioni»,
dall'art. 60 della legge n. 69/2009. 
    Tale ultima  norma,  infatti,  nel  prevedere  espressamente  che
l'attivita'  di  mediazione,  finalizzata  alla  conciliazione  delle
controversie  in  materia  civile  e  commerciale,  «sia  svolta   da
organismi  professionali  e   indipendenti,   stabilmente   destinati
all'erogazione del servizio di conciliazione» (comma 3, lett. b),  ha
istituito  una  nuova  figura  professionale,  dettando   i   criteri
direttivi  cui  dovra'  attenersi   il   legislatore   delegato   nel
disciplinare l'ambito dell'attivita' del mediatore. Essa,  prevedendo
la creazione di un apposito registro degli organismi di conciliazione
sottoposto alla vigilanza del Ministero  della  giustizia  (comma  3,
lett.  c),  e  rinviando  ad  apposito  decreto  del  Ministro  della
giustizia la fissazione dei requisiti per l'iscrizione  nel  registro
(comma  3,  lett.  d),  ha   regolamentato   anche   l'accesso   alla
professione. 
3) Violazione degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. 
    Le  disposizioni  regionali  citate  si  pongono,   inoltre,   in
contrasto anche con i principi contenuti nella  direttiva  2008/52/CE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008, relativa a
determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale,
per il cui recepimento e' gia'  stata  conferita  delega  al  Governo
dell'art. 1 della legge 7  luglio  2009,  n.  88  (legge  comunitaria
2008). 
    Anche la normativa comunitaria, infatti,  analogamente  a  quella
italiana, pone quale condizione per lo svolgimento dell'attivita'  di
mediazione i requisiti di imparzialita' e di competenza del mediatore
(art. 3); impone agli Stati membri di adottare misure per  consentire
che  gli  accordi  risultanti  dalla  mediazione  abbiano   efficacia
esecutiva (art. 6); impone di salvaguardare il  diritto  delle  parti
che abbiano fatto ricorso al procedimento di mediazione dagli effetti
pregiudizievoli della prescrizione e della decadenza (art. 8). 
    La  contrarieta'  delle  disposizioni  regionali  censurate  alle
predette disposizioni della direttiva costituisce, percio',  evidente
violazione dell'art. 11 Cost. e dell'art. 117, primo comma, Cost., il
quale stabilisce che la  potesta'  legislativa  regionale  dev'essere
esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti all'ordine comunitario.