Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  24,  secondo
comma, del regio decreto  16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del
fallimento, del concordato preventivo  e  della  liquidazione  coatta
amministrativa), come sostituito dall'art. 21 del decreto legislativo
9 gennaio  2006,  n.  5  (Riforma  organica  della  disciplina  delle
procedure concorsuali a norma dell'art. 1, comma 5,  della  legge  14
maggio  2005,  n.  80),  promosso  dal  Tribunale   di   Lucca,   nel
procedimento vertente tra la curatela del  Fallimento  di  Phoenix  -
Officine Meccaniche Lucchesi  s.r.l.  e  la  Cassa  di  Risparmio  di
Pistoia e  Pescia  s.p.a.,  con  ordinanza  del  24  settembre  2008,
iscritta al n. 53 del registro  ordinanze  2009  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  9,  1ª  serie   speciale,
dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 16 dicembre 2009  il  giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    Ritenuto che, con ordinanza depositata il 24 settembre  2008,  il
Tribunale ordinario di Lucca ha sollevato, in riferimento agli  artt.
3, primo comma, 24, secondo comma,  76  e  111,  primo  comma,  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  24,
secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942,  n.  267  (Disciplina
del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta
amministrativa), come sostituito dall'art. 21 del decreto legislativo
9 gennaio  2006,  n.  5  (Riforma  organica  della  disciplina  delle
procedure concorsuali a norma dell'art. 1, comma 5,  della  legge  14
maggio 2005, n. 80); 
        che il giudice a quo riferisce di essere chiamato a  decidere
una controversia avente ad oggetto  la  declaratoria  di  inefficacia
rispetto alla  massa  fallimentare  di  talune  rimesse  operate  dal
fallito sul proprio conto corrente bancario in epoca anteriore di non
oltre un anno alla dichiarazione di fallimento, la cui  provvista  e'
stata incamerata dall'istituto di credito; 
        che il giudice a quo riferisce, altresi', che il giudizio  e'
stato intrapreso mediante ricorso  ai  sensi  dell'art.  24,  secondo
comma, della legge fallimentare, nel  testo  -  all'epoca  vigente  -
introdotto  a  seguito  della  riforma  delle  procedure  concorsuali
attuata col d. lgs. n. 5 del 2006; 
        che - dopo aver motivato sia in ordine alla ritualita'  della
introduzione  del  giudizio  a   quo,   effettuata   utilizzando   la
disposizione censurata, sia in ordine alla indifferenza  rispetto  ad
esso della entrata in vigore del  decreto  legislativo  12  settembre
2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al regio  decreto
16 marzo 1942, n. 267, nonche' al decreto legislativo 9 gennaio 2006,
n. 5,  in  materia  di  disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo e  della  liquidazione  coatta  amministrativa,  ai  sensi
dell'art. 1, commi 5, 5-bis e 6 della legge 14 maggio 2005,  n.  80),
il quale ha, fra l'altro, abrogato la  disposizione  censurata  -  il
rimettente ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  del
ricordato art. 24, secondo comma,  della  legge  fallimentare,  nella
parte in cui dispone che, salva diversa previsione, alle controversie
che derivano dal fallimento si  applicano  le  norme  previste  dagli
artt. da 737 a 742 del codice di procedura civile, regolanti il  rito
camerale; 
        che, quanto alla rilevanza  della  questione,  il  rimettente
argomenta in ordine alla  applicabilita'  della  norma  censurata  al
giudizio a quo, osservando che la azione proposta rientra fra quelle,
derivanti dal fallimento, che, se instaurate  successivamente  al  16
luglio 2006, sono soggette al rito camerale; 
        che, quanto alla non manifesta infondatezza della  questione,
essa e' prioritariamente  dedotta  con  riferimento  alla  violazione
dell'art. 76 Cost.; 
        che il rimettente, infatti, osserva che la legge di delega 14
maggio 2005, n. 80 (Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del
decreto-legge 14 marzo 2005,  n.  35,  recante  disposizioni  urgenti
nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale  e
territoriale. Deleghe al  Governo  per  la  modifica  del  codice  di
procedura civile in materia di processo di cassazione e di  arbitrato
nonche' per la riforma  organica  della  disciplina  delle  procedure
concorsuali), ha conferito al Governo il  potere  di  «modificare  la
disciplina del fallimento», nel rispetto del criterio direttivo volto
a «semplificare la disciplina attraverso  l'estensione  dei  soggetti
esonerati dall'applicabilita' dell'istituto e  l'accelerazione  delle
procedure applicabili alle controversie in materia»; 
        che il rimettente deduce da cio' che l'intervento legislativo
delegato deve ritenersi circoscritto «nei limiti  dell'oggetto  della
disciplina del processo fallimentare»; 
        che,  in   altri   termini,   esso   sarebbe   rivolto   solo
all'accelerazione  delle  procedure  applicabili   ai   ricorsi   per
dichiarazione  di   fallimento   e   alle   successive   controversie
endofallimentari, con esclusione dei processi ordinari  semplicemente
derivanti dal fallimento; 
        che, a comprova di cio', il rimettente rileva che nessuno dei
restanti principi e criteri direttivi della delega appare  consentire
una nuova disciplina processuale delle azioni ordinarie che  derivano
dal fallimento; 
        che, pertanto,  ad  avviso  del  rimettente,  il  legislatore
delegato, nell'estendere a tutte le azioni derivanti  dal  fallimento
il modello camerale, avrebbe ecceduto i limiti della delega; 
        che,  prosegue  il  rimettente,  la  disposizione   censurata
sarebbe,  comunque,  incostituzionale  anche   con   riferimento   ai
parametri dettati dagli artt. 3, 24,  secondo  comma,  e  111,  primo
comma, Cost.; 
        che, quanto al primo profilo, essa violerebbe il canone della
ragionevolezza nell'imporre il modello processuale  camerale  «al  di
fuori dell'ambito funzionale di esso  proprio»,  in  particolare  con
riferimento  a  controversie  «involgenti  la   tutela   di   diritti
soggettivi»; 
        che il  rito  camerale  costituirebbe,  infatti,  un  modello
processuale  neutro,  privo  di  regolamentazione  delle  fasi  della
cognizione, rimesso alla discrezionalita' del giudice e  destinato  a
concludersi  con  un  provvedimento,  in  forma   di   decreto,   non
suscettibile di giudicato; 
        che, per il rimettente, esso sarebbe idoneo  alla  tutela  di
«mere e specifiche» facolta',  la'  dove  garanzia  fondamentale  dei
processi a cognizione piena, siano essi speciali o  ordinari,  e'  la
predeterminazione delle forme e la copertura dell'accertamento  della
situazione soggettiva col giudicato; 
        che la scelta del legislatore delegato sarebbe viziata  anche
per disparita' di trattamento fra  situazioni  analoghe,  determinata
solo  dal  fatto  che  la  azione  sia  connessa  ad  un   fallimento
pronunciato prima o dopo il 1° gennaio  2008,  ovvero  che  essa  sia
stata o meno proposta prima di tale data; 
        che risulterebbe, altresi', violato l'art. 24, secondo comma,
Cost., posto che la norma censurata avrebbe l'effetto di  esporre  le
parti   a   regole   processuali   legate   a   incerte    «direttive
giurisdizionali» variabili secondo la competenza dei  singoli  uffici
giudiziari; 
        che la disposizione censurata sarebbe, infine,  in  contrasto
con l'art. 111 Cost., il quale impone  che  il  giusto  processo  sia
regolato per legge onde perseguire il fine suo proprio, «apparendo  -
la ricordata generalizzata  estensione  del  modello  camerale  -  in
contrasto con l'intima essenza  dello  stesso  principio  del  giusto
processo»; 
        che  il  rimettente  conclude  affermando  che  non   e'   in
discussione in astratto la  compatibilita'  costituzionale  del  rito
camerale, quanto la sua congruita' rispetto alla natura del  processo
nel quale tale rito si svolge; 
        che e' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dalla Avvocatura generale  dello
Stato, concludendo per la infondatezza della questione proposta; 
        che, per la difesa pubblica, non sarebbe dubbio che la azione
proposta nel giudizio a quo, essendo volta alla determinazione  della
massa fallimentare, deve  essere  fatta  rientrare  nel  concetto  di
«procedura concorsuale» di cui alla delega; 
        che, quanto agli altri profili dedotti, l'Avvocatura nega che
il  procedimento  camerale  fornisca  minori  garanzie  rispetto   al
giudizio ordinario, essendo regolato dal codice di rito,  assicurando
la  tutela  delle  parti  in  causa  e  potendo  condurre,  come   da
consolidata giurisprudenza, ad  una  decisione  dotata  di  forza  di
giudicato. 
    Considerato  che,  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,   il
Tribunale ordinario di Lucca ha sollevato, in riferimento agli  artt.
3, primo comma, 24, secondo comma,  76  e  111,  primo  comma,  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art.  24,
secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942,  n.  267  (Disciplina
del fallimento, del concordato preventivo e della liquidazione coatta
amministrativa), come sostituito dall'art. 21 del decreto legislativo
9 gennaio  2006,  n.  5  (Riforma  organica  della  disciplina  delle
procedure concorsuali a norma dell'art. 1, comma 5,  della  legge  14
maggio 2005, n. 80); 
        che identica questione,  sollevata  dallo  stesso  rimettente
sulla base delle medesime argomentazioni, gia' e'  stata  oggetto  di
dichiarazione di manifesta infondatezza da parte di questa Corte, con
ordinanza n. 170 del 2009; 
        che, in  particolare,  la  Corte  ha  escluso  che  la  norma
impugnata fosse stata adottata in violazione della delega legislativa
conferita con l'art. 1, comma 6, lettera a), della  legge  14  maggio
2005,  n.  80  (Conversione  in   legge,   con   modificazioni,   del
decreto-legge 14 marzo 2005,  n.  35,  recante  disposizioni  urgenti
nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale  e
territoriale. Deleghe al  Governo  per  la  modifica  del  codice  di
procedura civile in materia di processo di cassazione e di  arbitrato
nonche' per la riforma  organica  della  disciplina  delle  procedure
concorsuali); 
        che  anche  le  restanti  censure,   concernenti   l'asserito
contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24,  secondo  comma,  e  111,
primo comma, Cost. della scelta del legislatore di prevedere il  rito
camerale  quale  forma  processuale  delle  controversie  in  materia
fallimentare, sono state ritenute  manifestamente  infondate  con  la
citata ordinanza n. 170 del 2009; 
        che l'odierno rimettente non ha prospettato argomentazioni  e
profili diversi rispetto a quelli gia' esaminati da questa Corte  con
la citata ordinanza o comunque idonei ad indurre  ad  una  differente
pronuncia sulla sollevata questione di legittimita' costituzionale; 
        che,  pertanto,   la   questione   deve   essere   dichiarata
manifestamente infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.