LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza decidendo sul ricorso proposto da S. P., nato a Babice (Polonia) il 25 ottobre 1982, cittadino polacco, residente in Italia, avverso la sentenza 12 agosto 2009 della Corte di appello di Ancona, che ha disposto la sua consegna alla Autorita' giudiziaria della Repubblica di Polonia, In relazione al mandato di arresto europeo emesso il 4 novembre 2008 dal Tribunale di Katowice. Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso. Udita la relazione fatta dal consigliere Luigi Danza. Sentito il pubblico ministero, nella persona del sostituto Procuratore Generale Anna Maria De Sandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso, salvo che si ritenga rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione di incostituzionalita' della norma applicata. Considerato in fatto e ritenuto in diritto 1) Il provvedimento impugnato. P, S., cittadino polacco residente in Italia, ricorre, a mezzo del suo difensore, contro la sentenza 12 agosto 2009 della Corte di appello di Ancona che ha disposto la sua consegna alla Autorita' giudiziaria della Repubblica di Polonia, in relazione al mandato di arresto europeo, emesso il 4 novembre 2008 dal Tribunale di' Katowice. Risulta agli atti che il ricorrente, indicato nella decisione impugnata come «residente in Italia», e' stato condannato con sentenza n. 2 del 18 dicembre 2003 del Tribunale di Katowice (definitiva), alla pena di anni tre di reclusione (pena da scontare: anni 2, mesi 7 e giorni 18 di reclusione), per il reato di rapina aggravata, commesso in concorso con altri, in danno del minore T.G., derubato del cellulare Siemens «S 351», il giorno 2 gennaio 2003 in localita' Jaworzno. La corte distrettuale, nel disporre la consegna, ha ritenuto nella specie inapplicabile al cittadino straniero, pur residente in Italia, il disposto dell'art. 18, comma 1, lettera r) della legge 22 aprile 2005, n. 69 sul mandato di arresto europeo, riferibile al solo cittadino italiano, trattandosi nella specie, non di consegna ai fini dell'azione penale, ma di espiazione di pena, a seguito di pronuncia di condanna irrevocabile e non apparendo possibile, nella vicenda, il ricorso alla applicazione analogica od estensiva dell'art. 19 comma 1, lettera c, mandato di' arresto europeo. Con un unico motivo di impugnazione la ricorrente difesa deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lettera b) c.p.p. per inosservanza o erronea applicazione delle norme sul mandato di arresto europeo, nonche' dell'art. 5 della decisione quadro n. 584/1982, avuto riguardo alla disparita' di trattamento, che si' crea tra cittadini dell'Unione, ed alla conseguente sostanziale violazione del «diritto per lo straniero di scontare la pena definitiva sul suolo nazionale dello Stato nel quale egli ha, per libera scelta ed in attuazione del principio di libera circolazione dei cittadini europei, stabilito il centro dei propri interessi». Ritiene la Corte, come gia' deciso in analoga situazione sostanziale e processuale, che debba sollevarsi la questione di legittimita' costituzionale delle due norme richiamate, negli stessi termini gia' illustrati nella precedente decisione di rimessione di questa sezione (cfr. sez. VI, ordinanza 33511/2009 camera di consiglio del 15 luglio 2009, Papierz), e per le identiche ragioni, che di seguito si trascrivono e che propongono il preciso tenore della detta deliberazione. 2.1) La norma applicata: art. 18, comma 1, lettera r) legge 22 aprile 2005, n. 69. L'art. 18, comma 1, lettera r) citato, riprende in forma di rifiuto della consegna la disposizione contenuta nell'art. 4, paragrafo 6 della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo, che consente di non eseguire la consegna «se il mandato d'arresto europeo e' stato rilasciato ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della liberta', qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si impegni a eseguire esso stesso tale pena o misura di sicurezza conformemente al suo diritto interno». Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il particolare regime stabilito dall'art. 18, comma 1, lett. r) legge n. 69/2005 in tema di mandato esecutivo, si applica al solo cittadino italiano (Cass. pen. sez. 6, n. 21669 del 31 maggio 2007- 1° giugno 2007, Kabrine) e non puo' estendersi in via interpretativa allo straniero, che risieda sul territorio italiano, in quanto la decisione-quadro 2002/584/GAI si limita a facoltizzare gli Stati membri dell'Unione europea ad estendere le guarentigie, eventualmente riconosciute ai propri cittadini, anche agli stranieri residenti sul loro territorio (Cassa. pen. sez. F, n. 34210, del 4 settembre 2007-7 settembre 2007, Dobos, Rv. 237055; sez. 6, n. 16213, del 16 aprile 2008-17 aprile 2008, Badilas, Rv. 239720, in via mass.; sez. 6, n. 25879, del 25 giugno 2008-26 giugno 2008, Vizitiu, RV. 239946). 2.2) La norma applicabile secondo l'impugnazione proposta: art. 19, comma 1, lettera c) legge 22 aprile 2005, n. 69. Il ricorso invece, prospetta criticamente come applicabile la norma dell'art. 19, comma 1, lettera c) legge n. 69/2005, una disposizione che nel suo tenore lessicale ricalca il contenuto dell'art. 5, par. 3 della decisione-quadro, il quale prevede la consegna condizionata «ai fini di un'azione penale» del cittadino o del residente dello Stato di esecuzione («la consegna e' subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della liberta' eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro emittente»). La condizione in questione, dettata in tema di «mandato di arresto europeo processuale», risulta collegata - a differenza dell'omologa disposizione dell'art 18, comma 1, lettera r) in tema di mandato esecutivo - alla alternativa qualita' di essere il consegnando «cittadino italiano», oppure «residente dello Stato italiano» e il raffronto critico tra le due disposizioni e' stato sempre risolto nella affermazione che soltanto «la persona giudicanda» (cittadino o residente dello Stato), e per la quale e' appunto in corso l'azione penale, ha titolo per invocare l'art. 19, comma 1, lettera c), in punto di «consegna subordinata». Nella ipotesi invece, come quella in esame, di azione penale gia' esercitata e consumata con la decisione di condanna irrevocabile, solo «il cittadino italiano» e non quindi «il residente dello Stato», puo' beneficiare della disciplina apprestata dall'art. 18, comma 1, lettera r). 3) Rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1, lettera r) legge 22 aprile 2005, n. 69, con riferimento agli artt. 3, 27 comma 3, e 117, primo comma Costituzione. Il presente giudizio, che attiene alla consegna o meno del cittadino polacco P.S., nel quadro dell'istituto del mandato di arresto europeo, non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale, delineata dal ricorrente, che risulta pertanto rilevante ai fini della decisione, considerato che le disarmonie di trattamento tra cittadini italiani e residenti, nei contesti prospettati e come si argomentera' piu' oltre, sono idonee a concretizzare l'ulteriore requisito della non manifesta infondatezza della questione, a sensi dell'art. 23, comma secondo legge 11 marzo 1953, n. 87. 3.1) Profili di rilevanza della dedotta questione di legittimita'. La questione, come prospettata, e' di risolutiva rilevanza nella vicenda, dato che il ricorrente, a quanto risulta, ha fornito la prova necessaria, e nei termini richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte, del suo concreto radicamento sul territorio e della sua abitudine alla dimora, ed il relativo giudizio (di consegna oppure di rifiuto di consegna) non puo' quindi essere definito in modo indipendente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale della norma dell'art. 18 comma 1, lettera r), applicata dai giudici di merito per negare il chiesto rifiuto di consegna. La nozione di «residente», infatti va determinata in modo che sia funzionale all'assimilazione dello straniero residente al cittadino, operata dall'art. 4, n. 6 della decisione-quadro 2002/584/GAI-quadro 2002/584/GAI, con la conseguenza che assume rilievo l'esistenza, nella specie non contestata, di un «radicamento reale e non estemporaneo» dello straniero in Italia, che dimostri che egli abbia ivi istituito, con continuita' temporale e sufficiente stabilita' territoriale, la sede principale e non occasionale, anche se non esclusiva, dei propri interessi affettivi, professionali od economici (Cass. pen. cfr.: sez. 6, n. 12665, del 19 marzo 2008 - 21 marzo 2008, Vaicekauskaite, Rv. 239156), richiedendosi inoltre che tale scelta sia altresi' indicativa di una volonta' di stabile permanenza nel territorio italiano, per un apprezzabile periodo di tempo (Cass. pen. sez. 6, n. 17643, del 28 aprile 2008-30 aprile 2008, Chaloppe, Rv. 239651). Il ricorrente quindi, in quanto «cittadino dello Stato di emissione», che ha pero' individuato nel territorio dello Stato di esecuzione la sede principale dei suoi interessi, avrebbe titolo a vedere accolta la sua domanda, laddove fosse rimosso il vizio dedotto di illegittimita' costituzionale della norma ostativa, individuata nel citato art. 18, comma 1, lettera r), nella parte in cui non prevede il rifiuto della consegna del «residente non cittadino italiano». 3.2) Profili di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' e negativa esplorazione circa la sussistenza di una lettura alternativa, conforme a Costituzione e aderente al principio di «interpretazione conforme alla decisione quadro». Sull'applicabilita' al solo cittadino italiano del particolare regime previsto dall'art. 18, comma 1, lettera r) legge n. 69/2005 (Cass. pen. sez. 6, n. 21669 del 31 maggio 2007-1º giugno 2007, Kabrine) e sulla impossibilita' di estenderlo, in via interpretava, allo straniero che dimori o risieda sul territorio italiano, questa Corte di legittimita' - come gia' detto - si e' piu' volte pronunciata, anche nel senso che la decisione-quadro 2002/584/GAI da' una mera facolta' agli Stati membri dell'Unione europea di estendere le guarentigie eventualmente riconosciute ai propri cittadini anche agli stranieri residenti sul loro territorio (Cass. pen. sez. F, n. 34210, del 4 settembre 2007-7 settembre 2007, Dobos, Rv. 237055; sez. 6, n. 16213, del 16 aprile 2008-17 aprile 2008, Badilas, Rv. 239720; sez. 6, n. 25879, del 25 giugno 2008-26 giugno 2008, Vizitiu, RV. 239946). Tale indirizzo e' stato ancora ribadito con la precisazione che la limitazione del rifiuto, in favore del solo cittadino italiano, non si porrebbe in contrasto con i principi della Decisione quadro 2002/584/GAI, posto che quest'ultima enuncia «ipotesi di rifiuto facoltative» la cui trasposizione, in una specifica disposizione interna, e' affidata all'autodeterminazione decisoria dei singoli legislatori nazionali. Si tratterebbe, dunque, di una scelta di politica criminale rispondente ad esigenze dell'ordinamento nazionale ed a canoni di valutazione discrezionale, che sarebbero immuni da possibili censure di irragionevolezza, e sulla quale nessuna incidenza potrebbe esercitare la sentenza della Corte di giustizia CE del 17 luglio 2008, C- 66/08, Kozlowsky, che si e' invece limitata ad offrire l'interpretazione uniforme della nozione di residenza richiamata nel su citato art. 4, punto 6, senza esprimersi in via generale sulla correttezza o meno delle normative nazionali attuative della Decisione quadro in tema di rifiuto della consegna (Cass. Pen. sez. F, n. 35286, del 2 settembre 2008 -15 settembre 2008, Zvenca). Premesso quindi che tale preciso orientamento interpretativo di questa Corte e' stato rigorosamente rispettato dalla corte distrettuale, si deve ora verificare la possibilita' di seguire una «interpretazione diversa» da quella accolta, esplorando la sussistenza di eventuali letture conformi a Costituzione, prima di sollevare una questione di legittimita' costituzionale. Nella specie peraltro, l'univocita' testuale che connota il tenore della norma dell'art. 18, comma 1, lettera r) (m.a.e. esecutivo), nonche' la valutazione comparativa con il disposto dell'art. 19, comma 1, lettera c) (m.a.e. processuale) non autorizzano soluzioni interpretative diverse da quelle fatte proprie dalla decisione impugnata. Va infatti preso atto che il legislatore ha fatto una scelta normativa, diversa da quella che oggi si invoca, la quale, per la sua precisa connotazione anche lessicale, impedisce una qualsiasi forma di superamento od aggiramento ermeneutico in termini di applicazione analogica: la norma esclusivamente applicabile risulta essere pacificamente quella indicata nella sentenza impugnata e cioe' l'art. 18, comma 1, lettera r) legge n. 69/2005. Neppure puo' ritenersi che, come prospetta il ricorrente, il riferimento alla decisione quadro consenta una dilatazione interpretativa in bonam partem, che estenda allo straniero «residente dello Stato» e destinatario di una «richiesta di consegna esecutiva» il piu' favorevole trattamento riservato al cittadino, in quanto vi osta il chiaro disposto limitativo dell'art. 18, comma 1, lettera r. E' vero infatti, come piu' volte ha chiarito la Corte di giustizia delle Comunita' europee, che i giudici nazionali, in linea con il «principio di interpretazione conforme», sono tenuti a interpretare il proprio diritto interno - per quanto possibile - alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro, al fine di conseguire il risultato perseguito da questa, ma e' anche vero che tale obbligo cessa allorche' il diritto interno - come nella specie - non consenta un'interpretazione compatibile con la decisione quadro, non potendo il principio di interpretazione conforme servire da fondamento a un'interpretazione contra legem (cfr. Corte di giustizia delle Comunita' europee, sentenza 16 giugno 2005, Pupino). 3.3) Le censure di illegittimita' costituzionale in riferimento agli artt. 117, comma 1 e 27, comma 3 Costituzione. La questione nei termini oggi rilevanti e' stata diffusamente trattata dall'Avvocato generale della Corte CEE nella causa C-123/08. In detta vertenza l'avvocato generale si e' espresso a sostegno delle conclusioni presentate il 24 marzo 2009, sostenendo appunto che l'art. 18, comma 1, lettera r), nel limitare al «cittadino» dello Stato la previsione del rifiuto della consegna, si pone in contrasto con la normativa comunitaria cui la legge n. 69/2005 ha inteso dare attuazione. In effetti l'art. 4, n. 6 della decisione-quadro 2002/584/GAI, con la previsione che l'autorita' giudiziaria dell'esecuzione puo' rifiutare la consegna per un m.a.e. esecutivo «qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda», regola un caso di rifiuto rimesso, a quanto pare (le conclusioni dell'Avvocato generale pero' ne dubitano), alla discrezionalita' del legislatore nazionale, ma non consente a questo di differenziare la posizione del cittadino da quella del «residente non cittadino», dato che l'esecuzione della pena nello Stato richiesto della consegna, anziche' in quello della condanna, e' prevista non per il riconoscimento di un privilegio in favore del cittadino, solo eventualmente estensibile al residente, ma per consentire alla pena di svolgere nel migliore dei modi la funzione di risocializzazione del condannato, rendendo possibile il mantenimento dei suoi legami familiari e sociali per favorire un corretto reinserimento al termine dell'esecuzione; funzione questa che non tollera distinzioni tra cittadino e residente. Le medesime ragioni sorreggono la disposizione dell'art. 5, n. 3 della decisione-quadro, in tema di m.a.e. processuale, secondo la quale «se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo ai fini di un'azione penale e' cittadino o residente dello Stato membro di esecuzione, la consegna puo' essere subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena». Anche in questo caso, la posizione del cittadino e' parificata a quella del residente e non potrebbe ritenersi giustificata una differenziazione della legislazione nazionale tra le due posizioni. Ancor meno giustificata quindi risulta una differenziazione come quella operata dalla legge n. 69/2005, che per il «m.a.e. esecutivo», nell'art. 18, comma 1, lettera r), tratta il residente in modo diverso dal cittadino, mentre per il «m.a.e. processuale», nell'art. 19, comma l, lettera c), lo parifica. Insomma, nella prospettiva della decisione quadro, una disparita' di trattamento tra cittadini e residenti non puo' essere giustificata, avuto riguardo al «principio di individualizzazione del regime di (futura) esecuzione», il quale non puo' che essere «indistintamente» preordinato e finalizzato ad accrescere le opportunita' di inserimento del condannato nel tessuto relazionale, sociale, affettivo, ma anche economico ed abitativo, piu' funzionale allo sviluppo delle potenzialita' socializzanti e rieducative della pena, inflitta (oppure infliggenda) dallo Stato di emissione, ma della cui positiva operativita' vengono a trarre diretto ed immediato beneficio sia lo Stato di esecuzione, in quanto Stato della cittadinanza o della residenza del consegnando, sia gli altri Stati dell'Unione europea. Infatti, come ha rilevato l'Avvocato generale della Corte CEE nelle ricordate conclusioni, «l'apertura delle frontiere ha reso gli Stati membri solidalmente responsabili nella lotta contro la criminalita'» e percio' «si impone la trasposizione dell'art. 4, n. 6 della decisione quadro nel diritto di ciascuno Stato membro, affinche' il mandato di arresto europeo non si applichi a discapito del reinserimento della persona condannata e, quindi, dell'interesse legittimo di tutti gli Stati membri alla prevenzione della criminalita', che il motivo di non esecuzione enunciato in tale disposizione mira a garantire». E' da aggiungere che l'obbiettivo perseguito dagli artt. 4, n. 6 e 5, n. 3 della decisione quadro e' riconducibile al principio, consacrato nell'art. 27, comma 3 Cost., che le pene «devono tendere alla rieducazione del condannato» e che sotto questo aspetto va fondatamente prospettata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1, lettera r) anche con riferimento a tale disposizione costituzionale. I rilievi finora svolti riguardano la posizione del residente non cittadino, in genere, sia che appartenga a uno Stato dell'Unione europea sia che appartenga a uno Stato terzo, ma nel caso in esame, essendo stata richiesta la consegna del cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea, si pone un'ulteriore e piu' specifica questione, relativa alla conformita' dell'art. 18, comma 1, lettera r) alle norme comunitarie e in particolare al principio di non discriminazione sancito dall'art. 12 CE. Ai sensi dell'art. 17, n. 1 CE chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro e' cittadino dell'Unione e, ai sensi dell'art. 18, n. 1 CE, ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le limitazioni e le condizioni previste dal Trattato CE e dalle disposizioni adottate in applicazione dello stesso. Percio', ai fini della determinazione dello Stato nel quale deve essere eseguita una pena, risulta ingiustificata una differenziazione tra cittadini dell'Unione e appare condivisibile l'affermazione dell'Avvocato generale della Corte CE che «in conformita' dell'art. 4, n. 6 della decisione quadro, un cittadino di un altro Stato membro che dimori o risieda nello Stato membro di esecuzione, ai sensi di questa disposizione e' assimilato a un cittadino di tale Stato, nel senso che deve poter beneficiare di una decisione di non esecuzione della consegna e della possibilita' di scontare la pena nel detto Stato». L'art. 18, comma 1, lettera r) limita pero', come si e' visto, il rifiuto della consegna al caso in cui la richiesta riguardi un «cittadino italiano», imponendola per tutti gli altri cittadini dell'Unione europea, e anche sotto questo aspetto puo' fondatamente prospettarsi che, contrariamente a quanto dispone l'art. 117, primo comma Cost., non siano stati rispettati i «vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario». 3.4) La censura di illegittimita' costituzionale in riferimento all'art. 3 Cost. Anche se la disposizione dell'art. 18, comma 1, lettera r) legge n. 69/2005 non dovesse risultare in contrasto con la normativa comunitaria, resterebbe comunque priva di ragionevole giustificazione la diversita' di trattamento del residente non cittadino, nel caso di m.a.e. esecutivo e nel caso di m.a.e. processuale. In questo secondo caso infatti, come si e' visto, l'art. 19, comma 1, lettera c) parifica il residente al cittadino, stabilendo che la consegna puo' essere subordinata alla «condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena», e non c'e' alcuna ragione plausibile perche' il residente possa scontare la pena nello Stato di esecuzione quando il m.a.e. e' processuale e non anche quando il m.a.e. e' esecutivo. A ben vedere, anzi, potrebbe avere una qualche giustificazione una disciplina inversa, perche', nel caso di «m.a.e. esecutivo», l'esecuzione della pena in Italia impedisce l'allontanamento della persona di cui e' stata richiesta la consegna e quindi consente il mantenimento, per quanto e' possibile, delle sue relazioni familiari e sociali, mentre, nel caso di «m.a.e. processuale», la persona non puo' non essere consegnata allo Stato di emissione e la restituzione all'Italia, per scontarvi la pena, e' destinata ad avvenire quando tali rapporti hanno gia' subito un affievolimento. Percio' e' in questo caso che potrebbe risultare meno dannosa l'esecuzione della condanna nello Stato di emissione, nel quale la persona oggetto del m.a.e. resterebbe per scontare la pena dopo essere stata detenuta per il processo. In conclusione appare non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 27 terzo comma, e 117 primo comma Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 1, lettera r), legge 22 aprile 2005, n. 69, nella parte in cui non prevede il rifiuto della consegna del residente non cittadino. Si impone pertanto la rimessione della questione alla Corte costituzionale per la sua decisione ai sensi degli artt. 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, legge 11 marzo 1953, n. 87.