LA CORTE DEI CONTI 
 
    Ha  pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio   di
responsabilita' promosso dal Procuratore Regionale nei  confronti  di
Annamaria Cavalli e Liliana Manzillo 
    Visto l'atto introduttivo del giudizio iscritto al n.  58610  del
registro di segreteria. 
    Visti gli altri atti e documenti di causa. 
    Udito nella pubblica udienza del 13 ottobre 2009, il  Consigliere
Relatore prof. Michael Sciascia. 
    Uditi altresi' nella medesima udienza l'avv. Alessandro  Biamonte
per la convenuta Annamaria Cavalli e l'avv.  Attilio  Davide  per  la
convenuta Liliana Manzillo, nonche' il sostituto procuratore generale
dott. Aurelio Laino . 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con citazione depositata in data 29 settembre 2008  a  firma  del
vice procuratore generale  dott.  Filippo  Esposito,  il  procuratore
regionale  presso  questa  sezione  giurisdizionale  ha  chiamato   a
giudizio  Annamaria  Cavalli  e  Liliana  Manzillo,  dipendenti   del
Ministero delle Finanze (ora dell'Economia e delle Finanze),  per  il
risarcimento di danni subiti dallo Stato. 
    Infatti, nella prospettazione di parte attrice, le due convenute,
dipendenti di tale dicastero ed assegnate al 2° Ufficio  II.  DD.  di
Napoli, avrebbero con ruoli diversi collaborato  nella  procedura  di
esame delle domande di rimborso di quote inesigibili presentate dalla
Finert S.p.a., quale gestore delle ex esattorie dei comuni di  Marano
e Villaricca (Napoli), con ammissione di esse a rimborso,  nonostante
falsificazioni documentali. Le due convenute sono state sottoposte  a
procedimento penale, unitamente  ad  altri  concorrenti  nel  disegno
criminoso, per reati di falsita' materiale ed ideologica commessa  da
pubblico ufficiale in atti pubblici (articoli 476  e  479  c.p.),  di
truffa (art. 640 c.p.) e di corruzione per atti  contrari  ai  doveri
d'ufficio (art. 319 c.p.). 
    A conclusione di una lunga  vicenda  giudiziaria  la  Cavalli  e'
stata condannata con giudicato per il reato di falso  ideologico  con
contestuale assoluzione per prescrizione  relativamente  ai  restanti
capi d'imputazione, mentre la Manzillo e' stata assolta  con  formula
piena da tutti i capi d'imputazione. Nella pubblica  udienza  del  13
ottobre 2009 sono intervenuti nel dibattimento ove hanno formulato le
seguenti conclusioni: l'avv. Alessandro Biamonte,  per  la  convenuta
Annamaria Cavalli, nel chiedere l'assoluzione della sua assistita, ha
in  via  subordinata  segnalato  l'opportunita'   di   integrare   il
contraddittorio con esponenti  dell'Intendenza  di  Finanza  e  della
Ragioneria Provinciale dello Stato di Napoli; 
        l'avv. Attilio Davide ha insistito  per  l'assoluzione  della
convenuta Liliana Manzillo, in ragione  della  piena  assoluzione  in
sede penale; 
        il sostituto procuratore generale dott. Aurelio Laino, per il
danno patrimoniale, ha confermato la richiesta di condanna di ambedue
le convenute  tenendosi  conto  del  maggior  apporto  causale  della
Cavalli, mentre per il danno all'immagine  ha  osservato  che  nessun
interessato ha eccepito la nullita' ed ha chiesto la  condanna  della
sola convenuta Cavalli  con  assoluzione  della  convenuta  Manzillo,
sollevando sul punto in via  preliminare  eccezione  di  legittimita'
costituzionale della disposizione di cui all'art. 30-ter, periodi 2 e
3, legge n. 102/2009 di conversione d.l. n. 78/2009, modif. da art. 1
comma 1 lettera c del d.l. n.  103/2009  convertito  nella  legge  n.
141/2009  con  precise  argomentazioni  specificate   in   una   nota
contestualmente depositata. In essa si  profila  il  contrasto  della
citata normativa con gli articoli 3, 24, 25, 97 e 103,  sottolineando
che «data la condanna definitiva della Cavalli per i reati  p.  e  p.
dagli articoli 478 e 479, a seguito di dibattimento penale e ben  tre
gradi di giudizio, non si comprende davvero in  che  modo  una  cosi'
conclamata trasgressione ai  propri  doveri  d'ufficio  -  consistiti
nell'aver  omesso  dolosamente  e  per  denaro  di   esercitare   gli
obbligatori controlli formali di legge per  agevolare  l'ex  esattore
delle imposte nel rimborso indebito di quote  inesigibili,  con  cio'
concretando un falso documentale - non dia  luogo  alla  lesione  del
prestigio  dell'amministrazione  finanziaria,  mentre   la   darebbe,
secondo la visione del legislatore, un episodio di peculato  (art.314
c.p.), ovvero di rivelazione di segreti d'ufficio p. e  p.  dall'art.
325 c.p. (sic!), piuttosto che di  omissione  d'atto  d'ufficio  (323
c.p.), ovvero di corruzione impropria susseguente (ex art. 318 c.p.). 
    In  sede  di  replica  i  difensori  delle  due  convenute  hanno
giudicato tale eccezione irrilevante, in quanto il danno all'immagine
sarebbe prescritto, chiedendo  comunque  la  sospensione  dell'intero
processo in attesa di pronuncia della Consulta, mentre il procuratore
regionale  ha  osservato  che  sussistono  atti  interruttivi   della
prescrizione e che  la  contestata  norma  sospende  la  prescrizione
durante io svolgimento del processo penale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.  Il  Collegio  preliminarmente  giudica   non   manifestamente
infondata e rilevante la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata nel presente giudizio dal procuratore regionale al riguardo
della disposizione di cui all'art.17 comma 30-ter, periodi secondo  e
terzo,  della  legge  3  agosto  2009  n.  102  di  conversione   del
decreto-legge 1° luglio 2009 n. 78, modificata dall'art. 1,  comma  1
lettera c del decreto-legge 3 agosto 2009 n.  103,  convertito  nella
legge 3 ottobre 2009 n. 141, con riferimento agli articoli 3, 24, 25,
97 e 103 della Costituzione, ritenendo utile estendere  d'ufficio  il
sospetto di contraddizione anche agli articoli 2, 81 e 113. 
    Quindi rileva che con propria ordinanza n. 369/2009  in  data  29
settembre/14  ottobre  2009,  nel  corso   di   altro   giudizio   di
responsabilita',  questa  Sezione  ha  sollevato  d'ufficio   analoga
questione innanzi alla Corte costituzionale. 
    In  tale  ordinanza  sono  stati  indicati   analiticamente   gli
argomenti a sostegno dei motivi di rimessione,  che  invero  appaiono
analoghi a quelli concernenti  il  presente  giudizio,  salvo  alcune
specificazioni. 
    Ad evitare la ripetizione di essi si rinvia  al  contenuto  della
predetta ordinanza, ripercorrendone e sintetizzandone  i  punti  piu'
rilevanti e differenziali dell'emblematica vicenda in esame. 
    Questa riguarda invero una dipendente statale  che  -  nonostante
sia stata condannata penalmente con giudicato per il reato  di  falso
ideologico di cui  all'art.  479  del  codice  penale,  pur  compiuto
nell'esercizio delle proprie funzioni-beneficerebbe della novella  di
cui al su citato art. 17, comma 30-ter, periodi secondo e terzo,  con
esenzione da ogni forma risarcitoria per il pregiudizio  all'immagine
dell'amministrazione di appartenenza, per non  rientrare  tale  grave
delitto tra quelli contenuti nel Libro II, Titolo II,  Capo  I  («Dei
delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica  amministrazione»),
per alcuni dei quali peraltro la medesima dipendente risulta  assolta
per prescrizione. 
    La disposizione contestata ha invero introdotto  un  limite  alla
giurisdizione della Corte dei conti, ancorche' apparentemente diretto
solamente all'ufficio requirente contabile, che e'  l'unico  soggetto
abilitato ad agire innanzi alla Corte dei conti in sede di giudizi di
responsabilita'; essa quindi ridonda direttamente a  riduzione  della
sfera  «sostanziale»   della   responsabilita'   gestoria   di   tipo
amministrativo ed a restrizione «formale»  ed  oggettiva  dell'ambito
cognitivo del giudice contabile, che poi e' l'unico a poter conoscere
- ai sensi  dell'art.  103  della  Costituzione  -  di  tali  ipotesi
dannose. 
    Il risultato della riferita operazione legislativa, costituita da
una sorta di  «contraddittoria»  e  sofferta  formazione  progressiva
della norma finale, e' stata un'apparente estensione alla fattispecie
concernente il  danno  all'immagine  del  meccanismo  della  nullita'
inizialmente non previsto, come era ed e' nella logica del sistema. 
    Infatti la valutazione sulla «regolarita'» di atti di  esercizio,
stragiudiziale e giudiziale, dell'actio damni in materia  di  lesione
all'immagine di amministrazione pubblica si risolve nell'accertamento
della  sussistenza,  nella  concreta  ipotesi,  della   giurisdizione
contabile,  talche'  la  pronuncia  assume  la   veste   formale   di
declaratoria di affermazione o difetto di giurisdizione  della  Corte
dei conti, nonche' di qualunque  altro  ordine  giudiziario,  con  le
conseguenze di legge. 
    Ne consegue che il descritto meccanismo della nullita',  peraltro
relativa ai sensi dell'art. 157 del c.p.c., degli atti  istruttori  e
processuali del procuratore regionale non incide,  ne'  lo  potrebbe,
sul potere di accertamento pregiudiziale della propria  giurisdizione
spettante ad ogni giudice. 
    Con l'espresso richiamo dell'art. 7, della legge 27 marzo 2001 n.
97, il legislatore del 2009 ha voluto limitare il danno  all'immagine
di una amministrazione pubblica alle sole ipotesi di sua  connessione
a delitti contro la stessa P.A. previsti nel capo I del titolo II del
libro secondo del codice penale, peraltro  accertati  con  giudicato,
eliminando dalla sfera dell'illiceita'  le  restanti  ipotesi  di  un
siffatto pregiudizio, individuate dalla giurisprudenza, allorche'  si
prescinde da tale specifico e limitato rilievo penale. 
    Sulla   compatibilita'   della   citata   disposizione   con   la
Costituzione il Collegio - ritenendo  piu'  che  fondata  l'eccezione
sollevata in udienza dal rappresentante della  procura  regionale  ed
articolata nella nota depositata in tale sede - nutre forti dubbi, di
cui Ritiene di investire la Corte costituzionale  per  una  pronuncia
risolutrice. 
    In ordine alla ricorrenza dei presupposti per  la  rimessione  de
qua, va osservato  che,  risultando  evidente  la  sussunzione  nella
previsione legislativa de qua della fattispecie in  esame  in  ordine
alla domanda  di  risarcimento  del  danno  all'immagine,  la  citata
disposizione e'  immediatamente  applicabile  ai  giudizi  in  corso,
essendo norma di carattere processuale; tanto piu'  che  l'abolizione
dell'unica forma  di  accesso  alla  tutela  giurisdizionale  in  una
determinata materia - come si approfondira' in seguito  -  ridonda  a
esclusione della giurisdizione stessa sulla gran parte delle  ipotesi
dannose del genere. 
    La Corte dei conti, investita  di  un  giudizio  del  genere,  in
applicazione della disposizione di cui al 2° e 3° periodo del  citato
comma 30-ter, dovrebbe dichiarare preliminarmente  inammissibile  per
difetto di giurisdizione la  domanda  introduttiva  del  processo,  a
prescindere dall'eccezione di nullita',  proposta  eventualmente  dal
convenuto nel suo  interesse  esclusivo,  nei  confronti  degli  atti
istruttori  e  processuali  compiuti  al  riguardo  dal   procuratore
regionale. 
    Di qui l'evidente rilevanza e pregiudizialita' della questione di
legittimita' costituzionale nel giudizio in corso,  tanto  piu'  -  e
senza peraltro che abbia alcun rilievo ai fini de  quibus  -  che  le
convenute non hanno eccepito la  nullita'  della  domanda  avente  ad
oggetto il risarcimento dell'allegato danno all'immagine. 
    La disposizione di legge in discorso appare  invero  contrastante
nell'ordine con l'art. 2, comma 1°, l'art. 3,  comma  1°,  l'art.  24
comma 1°, l'art. 25, comma 1°, l'art. 81, comma 4°, l'art.  97  comma
1°,  l'art.  103  comma  2°  e  l'art.  113  comma  1°  e  2°   della
Costituzione. 
    2. - Il piu' evidente contrasto del citato comma 30-ter,  periodi
secondo e terzo, si presenta  con  l'art.2  della  Costituzione,  che
costituisce la fondamentale base giuridica della  stessa  tutela  del
diritto all'immagine di  qualunque  soggetto,  tra  cui  la  pubblica
amministrazione. 
    Orbene  la  su  citata  disposizione   ha   posto   un   evidente
«irragionevole»  restrizione,  limitandola  ai  casi   di   effettiva
condanna penale irrevocabile per l'eventuale connesso delitto  contro
la P.A., alla tutela  risarcitoria  del  diritto  all'immagine  della
pubblica amministrazione,  che  viene  discutibilmente  degradato  da
figura autonoma di danno-conseguenza, cosi' come le restanti  ipotesi
dannose del genere non  patrimoniale,  ad  una  marginale  figura  di
danno-evento peraltro dipendente da particolari delitti. 
    3. - Sotto altro profilo la disposizione di cui al comma  30-ter,
periodi 2° e 3°, indubbiamente determina una  diffusa  disparita'  di
trattamento  tra  soggetti  che  versano  nella  medesima  situazione
giuridica,  in  dispregio  a  quanto  previsto  dall'art.   3   della
Costituzione. 
    Tale disparita' si evidenzia tra i pubblici dipendenti citati  in
giudizio - e quindi tutti quelli versanti nella stessa condizione - e
coloro che sono legati all'amministrazione da  rapporto  di  servizio
non professionale che non sono destinatari della disposizione. 
    Infatti il combinato disposto di cui al piu' volte  citato  comma
30-ter, periodi 2° e 3°, ed  all'art.7  dalla  legge  n.  97/2001  si
rivolge esclusivamente ai dipendenti pubblici, con  esclusione  degli
amministratori ed in genere di coloro che sono legati all'ente da  un
mero rapporto di servizio. 
    Tali censure non sono  manifestamente  infondate,  in  quanto  in
dispregio dell'art. 3 della Costituzione la contestata novella, senza
alcuna  valida  ragione  giustificatrice,   riconosce   ai   pubblici
dipendenti il privilegio  «perpetuo»  dell'irresponsabilita'  per  il
compimento di atti che sono risultati e che  risulteranno  in  futuro
certamente dannosi per  l'immagine  di  un  ente  pubblico,  finanche
collegati al compimento di gravi reati compiuti nell'esercizio  delle
funzioni pubbliche,  come  il  caso  di  specie.  Contestualmente  la
disposizione censurata ha attribuito, per i motivi sopra  illustrati,
allo Stato un'ingiustificata posizione di  svantaggio  nei  confronti
dei dipendenti medesimi e  di  quelli  che  seguiranno,  nonche'  nei
confronti  dei  restanti  soggetti  dell'ordinamento,  in  quanto  il
deterioramento dell'immagine del primo non e' sanzionata  se  non  in
marginali casi dipendenti dalla commissione di  gravi  e  particolari
delitti, mentre quello dei secondi e' ben tutelato in tutti i casi di
commissione di illecito anche di non rilievo penale. 
    Non  e'  quindi   dato   di   comprendere   i   motivi   di   una
sottovalutazione dell'immagine della pubblica amministrazione. 
    4. - Il citato comma 30-ter, periodi secondo e terzo si pone  poi
in contrasto con l'art.  97,  comma  1°  della  Costituzione,  ed  in
particolare con il criterio del buon andamento, in  quanto  determina
un'alterazione della  funzionalita'  degli  enti  pubblici  sotto  il
delicato profilo della reputazione e della  conseguente  fiducia  dei
cittadini nei confronti delle Istituzioni, nonche' impedisce comunque
il   risarcimento   dei   danni   provocati   da   funzionari    alle
amministrazioni di appartenenza, salvo che assuma una  tale  gravita'
da comportare  una  condanna  penale  irrevocabile  al  riguardo  per
particolari tipi di reato. 
    In  aggiunta,  la  disposizione  contestata  contraddice  l'altro
criterio in parola, cioe' quello dell'imparzialita', che  si  risolve
essenzialmente nel rispetto della giustizia sostanziale. Pertanto  la
scelta  del  legislatore  nel  porre  tale  contestata   disposizione
altresi' appare, nella sua palese irrazionalita' ed irragionevolezza,
una violazione dell'art. 97, comma 1° della - Costituzione. 
    5. -  A  rafforzare  la  convinzione  che  il  legislatore  abbia
ecceduto  nella  sua  discrezionalita',  cadendo  in  una   manifesta
irragionevolezza e violando nel contempo l'art. 3, comma 1° e  l'art.
97 comma 1° della Costituzione,  va  considerato  che  il  denunciato
comma 30-ter e' stato  introdotto  dalla  legge  di  conversione  del
decreto-legge n. 78 del 2009, senza che nel  corso  della  brevissima
discussione sulla norma ne siano state valutate a pieno la portata  e
le conseguenze. 
    Anzi  l'emendamento  contenente  la  contestata  norma  e'  stato
approvato - insieme alle altre disposizioni - sotto la  spinta  della
preoccupazione  per  la   scadenza   del   decreto,   non   disgiunta
dall'esigenza di  modificarne  il  testo,  almeno  per  alcune  parti
palesemente incostituzionali, attraverso una  ulteriore  decretazione
d'urgenza emanata senza soluzione di continuita', ossia  il  d.l.  n.
103/2009 convertito nella legge n. 141/2009. 
    Questa situazione invero ha introdotto una sorta  di  rinuncia  a
priori al risarcimento di tutti i rilevanti danni che sono  stati,  e
che lo saranno nel futuro «indeterminato», inferti  alla  reputazione
degli  enti  pubblici,  al  di  fuori  del  ristretto  ambito  penale
costituito dal Capo  richiamato,  contraddicendo  e  vanificando  nel
concreto i principi generali  posti  dalla  legge  241/1990  e  dalle
successive modificazioni ed integrazioni in tema  di  rilancio  della
funzionalita' della pubblica amministrazione. 
    D'altronde non appare coerente con il  sistema  costituzionale  e
con i  principi  del  diritto  il  non  considerare  dannosi  per  il
prestigio dell'amministrazione gli illeciti penali diversi da  quelli
specifici contenuti nel Capo I del Titolo II del Libro II del  Codice
Penale, in quanto anche gli altri - ove compiuti nell'esercizio delle
funzioni pubbliche o in occasione di esso -  sono  senz'altro  lesivi
dell'immagine della P.A. se compiuti  nell'esercizio  delle  funzioni
pubbliche. 
    Inoltre non si tiene conto del «compimento» di delitti contro  la
pubblica amministrazione, accertabile incidentalmente in  ogni  altro
giudizio,  ma  dell'avvenuta  condanna  penale  definitiva,  si'   da
impedire ogni tutela risarcitoria in caso di prescrizione dell'azione
penale anche per reati contro la P.A. 
    Allo stesso modo non  si  consente  la  tutela  risarcitoria  per
lesioni di immagine  susseguenti  ad  illeciti  (non  rientranti  tra
quelli penali richiamati) di pari o maggiore allarme sociale. Inoltre
e' stata realizzata  una  sofisticata  sanatoria  estesa  anche  alle
future violazioni del prestigio del settore pubblico  sempreche'  non
si   concreti   in   un'ipotesi   delittuosa   contro   la   pubblica
amministrazione. 
    La previsione contenuta nel citato comma 30-ter, periodi 2° e 3°,
appare cosi' viziata  da  indeterminatezza  temporale  ed  oggettiva,
tanto da prescindere da una qualsiasi ratio che non sia quella  della
sanatoria di per se stessa. 
    6. - Inoltre l'ente interessato alla vicenda in esame -cosi' come
tutti le altre amministrazioni,  i  cui  esponenti  sono  destinatari
della norma contestata-, sono stati  privati  della  possibilita'  di
tutelarsi giudizialmente sul piano risarcitorio, anche in  violazione
degli articoli 24, comma 1° e 113 comma 1° e 2° della Costituzione. 
    7. - La norma fondamentale, di cui al 4° comma dell'art.81  della
Costituzione, poi, impone  al  legislatore  di  prevedere,  allorche'
dispone una spesa -cui  e'  da  equiparare  una  minore  entrata  per
esclusione del risarcimento da danno all'immagine-, i mezzi  per  far
fronte ad essa. 
    Orbene il piu' volte citato comma 30-ter non contiene  nel  corpo
del  provvedimento   legislativo   complessivamente   approvato   una
previsione di copertura finanziaria della minor entrata imposta  allo
Stato a causa del mancato  recupero  dei  danni  provocati  alla  sua
finanza, nonche' della  maggiore  spesa  per  la  riabilitazione  del
prestigio cosi' offuscato. 
    8. - Per completezza  vanno  affrontate  le  ultime  due  censure
fondatamente formulabili alla disposizione di cui al criticato  comma
30-ter, periodi secondo e terzo, ossia il contrasto palese con l'art.
103, comma 2° e con l'art.  25,  comma  1°  della  Costituzione,  che
attribuisce alla Corte dei conti la giurisdizione  nelle  materie  di
contabilita' pubblica. 
    Infatti,  come  gia'  precedentemente   si   e'   osservato,   la
cancellazione di ogni potere di azione, al di fuori  dell'ipotesi  di
giudicato  penale  per  delitti  contro  la   P.A.,   relativa   alla
responsabilita' gestoria in materia di danno all'immagine  ridonda  a
esclusione della giurisdizione  di  questa  Corte,  peraltro  in  via
generale attribuita alla Corte dei conti. 
    L'intervento del legislatore in attuazione dell'art.  103,  comma
2° della Costituzione (la c.d. interpositio  legislatoris)  non  puo'
spingersi fino ad escludere apoditticamente  la  giurisdizione  della
Corte  dei  conti  con   riferimento   ad   ipotesi   specifiche   di
responsabilita' rientranti  tradizionalmente  e  genericamente  nella
materia  della  Contabilita'  Pubblica  ovvero,  ancora   peggio,   a
distinguere nell'ambito della stessa tipologia di danno (nella specie
all'immagine) inferto ad ente pubblico, tra ipotesi  conoscibili  dal
loro «giudice naturale» e quelle  non,  senza  peraltro  un  criterio
discretivo  razionale   e   ragionevole.   Altrimenti   la   suddetta
disposizione costituzionale non avrebbe alcuna funzione, rimettendosi
ogni  aspetto  alla  discrezionalita'  del  legislatore,  che   nella
circostanza peraltro urta contro il principio  della  ragionevolezza,
costituendo un'inammissibile area di impunita' in un delicato settore
delle gestioni pubbliche. L'assunto viene rafforzato con  riferimento
all'art. 25, comma 1° della stessa Costituzione, secondo cui «nessuno
puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito  per  legge».
Questa norma impedisce qualunque sottrazione di sfera giurisdizionale
successivamente al verificarsi del fatto generatore. 
    La questione sollevata con la presente ordinanza appare rilevante
ai fini della procedibilita' e quindi della definizione  della  causa
in esame, nonche'  non  manifestamente  infondata  per  i  motivi  in
precedenza illustrati.