LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunziato la seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  da
Antohi Sorin, nato a Urdugi (Romania) il 15 settembre  1969,  avverso
la sentenza in data 14 settembre  2009  della  Corte  di  appello  di
Torino. 
    Visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso. 
    Udita la relazione fatta dal consigliere, dott. Vincenzo Rotundo. 
    Udite  le  richieste  del  Pubblico  ministero,  in  persona  del
Sostituto  Procuratore  generale,  dott.  Eugenio  Selvaggi,  che  ha
concluso per il rigetto del ricorso. 
    Udito l'avv. Andrea Fusaro, che ha insistito  per  l'accoglimento
del ricorso. 
    Ritenuto che con sentenza in data 14 settembre 2009 la  Corte  di
appello di Torino ha  disposto  la  consegna  di  Antohi  Sorin  alla
Autorita' giudiziaria rumena ai fini dell'esecuzione  della  pena  di
anni uno e mesi due di reclusione a lui inflitta con sentenza passata
in giudicato del Tribunale di Husi in data  24  giugno  2004  per  il
reato di guida in stato di ebbrezza (commesso in  Husi  il  6  agosto
2003), in quanto nei suoi confronti era  stato  emesso,  in  data  27
marzo 2007, mandato di arresto europeo n. 2/2007 e  il  predetto  era
stato tratto in arresto dai Carabinieri di Gavi (Alessandria) in data
23 agosto 2009; 
        che avverso la suindicata sentenza ha  proposto  ricorso  per
cassazione  Antohi  Sorin,  tramite  il  suo  difensore,  chiedendone
l'annullamento; 
        che, in particolare, con un unico motivo di ricorso si deduce
la violazione  dell'art.  7  della  Legge  22  aprile  2005,  n.  69,
Osservando:  che   nel   2003   (momento   consumativo   del   reato)
l'ordinamento italiano puniva la guida in stato di ebbrezza a  titolo
di contravvenzione e con pena di gran  lunga  piu'  mite  rispetto  a
quella inflitta dal Tribunale di Husi; che lo stesso fatto  di  reato
oggi in Italia sarebbe «gia' ricaduto nell'indulto»; che in ogni caso
la pena, qualora la sentenza  fosse  stata  emessa  da  un  Tribunale
italiano, sarebbe stata estinta per prescrizione ai  sensi  dell'art.
173 c.p.; 
        che comunque la Corte di appello avrebbe dovuto verificare se
anche in Romania era  intervenuta  la  prescrizione  in  ordine  alla
condotta incriminata; 
        che alla odierna  udienza  camerate  Antohi  Sorin  ha  fatto
richiesta si scontare la pena in Italia. 
    Considerato che l'art. 18, comma 1, lettera r),  della  Legge  22
aprile 2005, n. 69 riprende in forma di  rifiuto  della  consegna  la
disposizione contenuta nell'art. 4, par.  6  della  decisione  quadro
2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa  al  mandato
d'arresto europeo, che consente di non eseguire la  consegna  «se  il
mandato d'arresto europeo e' stato rilasciato ai fini dell'esecuzione
di una pena o di una misura di sicurezza  privative  della  liberta',
qualora la persona ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione,
ne sia cittadino o vi risieda, se tale Stato si  impegni  a  eseguire
esso stesso tale pena o misura  di  sicurezza  conformemente  al  suo
diritto interno»: 
        che,  secondo  la  giurisprudenza   di   questa   Corte,   il
particolare regime stabilito dalla legge n. 69  del  2005,  art.  18,
comma 1, lett. r), in tema di mandato esecutivo, si applica  al  solo
cittadino italiano (Sez. 6, n. 21669 del 31 maggio 2007 -  1°  giugno
2007, Kabrine) e non  puo'  estendersi  in  via  interpretativa  allo
straniero  che  risieda  sul  territorio  italiano,  in   quanto   la
decisione-quadro 2002/584/GAI si  limita  a  facoltizzare  gli  Stati
membri dell'Unione Europea ad estendere le guarentigie, eventualmente
riconosciute ai propri cittadini, anche agli stranieri residenti  sul
loro territorio (S. F, n. 34210, del 4 settembre 2007 -  7  settembre
2007, Dobos, Rv. 237055; sez. 6, n. 16213, del 16 aprile  2008  -  17
aprile 2008, Badilas, Rv. 239720, in via mass.; sez. 6, n. 25879, del
25 giugno 2008 - 26 giugno 2008, Vizitiu, RV. 239946); 
        che d'altra parte l'art. 19, comma 1, lett. c) della legge n.
69 del 2005 nel suo tenore lessicale ricalca il  contenuto  dell'art.
5,  p.  3  della  decisione-quadro,  il  quale  prevede  la  consegna
condizionata «ai fini  di  un'azione  penale»  del  cittadino  o  del
residente dello Stato di esecuzione (la consegna e' subordinata  alla
condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia  rinviata
nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di
sicurezza privative della liberta' eventualmente pronunciate nei suoi
confronti nello Stato membro emittente); 
        che la condizione in questione, dettata in tema  di  «mandato
di arresto europeo processuale», risulta  collegata  -  a  differenza
dell'omologa disposizione dell'art. 18, comma 1, lett. r), in tema di
mandato  esecutivo  -  alla  alternativa  qualita'   di   essere   il
consegnando  «cittadino  italiano»,  oppure  «residente  dello  Stato
italiano» e il raffronto critico tra le  due  disposizioni  e'  stato
sempre  risolto  nella  affermazione   che   soltanto   «la   persona
giudicanda» (cittadino o residente dello Stato), e per  la  quale  e'
appunto in corso l'azione penale, ha titolo per invocare  l'art.  19,
comma 1, lett. c), in punto di «consegna subordinata»; 
        che nella ipotesi invece, come quella  in  esame,  di  azione
penale gia' esercitata e  consumata  con  la  decisione  di  condanna
irrevocabile, solo «il cittadino italiano» e non quindi «il residente
dello Stato», puo' beneficiare della disciplina apprestata  dall'art.
18, comma 1, lett. r); 
        che il presente giudizio, che attiene alla  consegna  o  meno
del cittadino romeno  Antohi  Sorin,  nel  quadro  dell'istituto  del
mandato   di   arresto   europeo,   non    puo'    essere    definito
indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
costituzionale,  che  risulta  pertanto  rilevante  ai   fini   della
decisione, considerato che le disarmonie di trattamento tra cittadini
italiani e residenti, nei contesti prospettati e come si argomentera'
piu' oltre, sono idonee a concretizzare l'ulteriore  requisito  della
non manifesta infondatezza della questione, a  sensi  della legge  11
marzo 1953, n. 87, art. 23, comma 2; 
        che segnatamente la questione, nei termini prospettati e'  di
risolutiva rilevanza nella vicenda in esame, dato che  il  ricorrente
Antohi Sorin, cittadino  romeno  che  ha  esplicitamente  chiesto  di
scontare la pena nel nostro Paese, a quanto risulta,  ha  fornito  la
prova necessaria, e nei termini  richiesti  dalla  giurisprudenza  di
questa Corte, del suo concreto radicamento sul territorio italiano  e
della sua abituale e stabile dimora, unitamente alla sua famiglia, in
Italia, ed il relativo giudizio (di consegna  oppure  di  rifiuto  di
consegna) non puo' quindi essere definito in modo indipendente  dalla
risoluzione della questione di legittimita' costituzionale della gia'
indicata disposzione di cui all'art. 18, comma 1, lett. r); 
        che, infatti, la nozione di «residente»,  va  determinata  in
modo che sia funzionale all'assimilazione dello  straniero  residente
al cittadino,  operata  dall'art.  4,  n.  6  della  decisione-quadro
2002/584/GAI-quadro  2002/584/GAI,  con  la  conseguenza  che  assume
rilievo l'esistenza, nella specie  sussistente,  di  un  «radicamento
reale e non estemporaneo» dello straniero in Italia, che dimostri che
egli abbia ivi istituito, con  continuita'  temporale  e  sufficiente
stabilita' territoriale, la sede principale e non occasionale,  anche
se non esclusiva, dei propri interessi  affettivi,  professionali  od
economici (Cass. pen. cfr.: sez. 6, n. 12665, del 19 marzo 2008 -  21
marzo 2008, Vaicekauskaite, Rv. 239156),  richiedendosi  inoltre  che
tale scelta sia  altresi'  indicativa  di  una  volonta'  di  stabile
permanenza nel territorio italiano, per un  apprezzabile  periodo  di
tempo (Cass. pen. sez. 6, n. 17643,  del  28  aprile  2008-30  aprile
2008, Chaloppe, Rv. 239651); 
        che il ricorrente, quindi, in quanto «cittadino  dello  Stato
di emissione», che ha pero' individuato nel territorio dello Stato di
esecuzione la sede principale dei suoi interessi,  avrebbe  titolo  a
vedere accolta la sua domanda, laddove fosse rimosso il vizio dedotto
di illegittimita' costituzionale della  norma  ostativa,  individuata
nel citato art. 18, comma 1, lett. r), nella parte in cui non prevede
il rifiuto della consegna del «residente non cittadino italiano»; 
        che,  quanto  alla  non  percorribilita'   di   una   lettura
alternativa   della   citata   disposizione,   lettura   conforme   a
Costituzione e aderente al  principio  di  «interpretazione  conforme
alla decisione quadro», questa Corte, come si e' gia'  detto,  si  e'
gia'  espressa,  affermando  la  applicabilita'  al  solo   cittadino
italiano del particolare regime previsto dalla legge n. 69 del  2005,
art. 18, comma 1, lett. r), (Cass. pen.  sez.  6,  n.  21669  del  31
maggio 2007 -  1°  giugno  2007,  Kabrine)  e  la  impossibilita'  di
estenderlo, in via interpretava, allo straniero che dimori o  risieda
sul territorio italiano; 
        che, in particolare,  questa  Corte  ha  specificato  che  la
decisione-quadro 2002/584/GAI  attribuisce  una  mera  facolta'  agli
Stati  membri  dell'Unione  europea  di  estendere   le   guarentigie
eventualmente riconosciute ai propri cittadini anche  agli  stranieri
residenti sul loro territorio (Sez. F,  n.  34210,  del  4  settembre
2007-7 settembre 2007, Dobos, Rv. 237055; sez. 6, n.  16213,  del  16
aprile 2008-17 aprile 2008, Badilas, Rv. 239720; sez.  6,  n.  25879,
del 25 giugno 2008-26 giugno 2008, Vizitiu, RV. 239946); 
        che  tale  indirizzo  e'  stato  ancora   ribadito   con   la
precisazione che la limitazione  del  rifiuto,  in  favore  del  solo
cittadino italiano, non si porrebbe in contrasto con i principi della
Decisione  quadro  2002/584/GAI,  posto  che   quest'ultima   enuncia
«ipotesi  di  rifiuto  facoltative»  la  cui  trasposizione,  in  una
specifica disposizione interna,  e'  affidata  all'autodeterminazione
decisoria dei singoli legislatori nazionali; 
        che  si  tratterebbe,  dunque,  di  una  scelta  di  politica
criminale rispondente ad esigenze  dell'ordinamento  nazionale  ed  a
canoni  di  valutazione  discrezionale,  che  sarebbero   immuni   da
possibili  censure  di  irragionevolezza,  e  sulla   quale   nessuna
incidenza potrebbe esercitare la sentenza della Corte di Giustizia CE
del 17 luglio 2008, C- 66/08, Kozlowsky, che si e' invece limitata ad
offrire  l'interpretazione  uniforme  della  nozione   di   residenza
richiamata nel succitato art. 4, punto 6,  senza  esprimersi  in  via
generale sulla correttezza o meno delle normative nazionali attuative
della Decisione quadro in tema di rifiuto della consegna (Sez. F,  n.
35286, del 2 settembre 2008 -15 settembre 2008, Zvenca); 
        che l'univocita' testuale che connota il tenore  della  norma
dell'art. 18, comma  1,  lett.  r)  (m.a.e.  esecutivo),  nonche'  la
valutazione comparativa con il disposto dell'art. 19, comma 1,  lett.
c) (m.a.e.  processuale)  non  autorizzano  soluzioni  interpretative
diverse; 
        che deve, in vero, prendersi atto che il legislatore ha fatto
una precisa scelta normativa, che, per la sua specifica  connotazione
anche lessicale, impedisce una  qualsiasi  forma  di  superamento  od
aggiramento ermeneutico in  termini  di  applicazione  analogica:  la
norma esclusivamente applicabile risulta essere pacificamente  l'art.
18, comma 1, lett. r) della legge 22 aprile 2005, n. 69; 
        che, neppure puo' ritenersi che il riferimento alla decisione
quadro consenta una dilatazione interpretativa in bonum  partem,  che
estenda allo straniero «residente dello Stato» e destinatario di  una
«richiesta di consegna  esecutiva»  il  piu'  favorevole  trattamento
riservato  al  cittadino,  in  quanto  vi  osta  il  chiaro  disposto
limitativo dell'art. 18, comma l, lett. r)  [E'  vero  infatti,  come
piu' volte ha chiarito la Corte di giustizia delle Comunita' Europee,
che  i  giudici  nazionali,   in   linea   con   il   «principio   di
interpretazione conforme», sono  tenuti  a  interpretare  il  proprio
diritto interno - per quanto possibile - alla luce  della  lettera  e
dello  scopo  della  decisione  quadro,  al  fine  di  conseguire  il
risultato perseguito da questa, ma e' anche  vero  che  tale  obbligo
cessa allorche' il diritto interno - come nella specie - non consenta
un'interpretazione compatibile con la decisione quadro,  non  potendo
il principio di interpretazione  conforme  servire  da  fondamento  a
un'interpretazione  contra  legem  (cfr.  Corte  di  giustizia  delle
Comunita' Europee, sentenza 16 giugno 2005, Pupino)]; 
        che,  inoltre,  l'art.  4,  n.   6   della   decisione-quadro
2002/584/GAI,  con  la   previsione   che   l'autorita'   giudiziaria
dell'esecuzione puo' rifiutare la consegna per  un  m.a.e.  esecutivo
«qualora  la  persona  ricercata  dimori  nello   Stato   membro   di
esecuzione, ne sia cittadino o vi risieda», regola un caso di rifiuto
rimesso alla  discrezionalita'  del  legislatore  nazionale,  ma  non
consente a questo di differenziare  la  posizione  del  cittadino  da
quella del «residente non cittadino»,  dato  che  l'esecuzione  della
pena nello Stato richiesto della consegna, anziche' in  quello  della
condanna, e' prevista non per il riconoscimento di un  privilegio  in
favore del cittadino, solo eventualmente estensibile al residente, ma
per consentire alla  pena  di  svolgere  nel  migliore  dei  modi  la
funzione di risocializzazione del condannato, rendendo  possibile  il
mantenimento dei suoi legami familiari  e  sociali  per  favorire  un
corretto reinserimento al termine  dell'esecuzione;  funzione  questa
che non tollera distinzioni tra cittadino e residente; 
        che le medesime ragioni sorreggono la disposizione  dell'art.
5, n. 3, della  decisione-quadro,  in  tema  di  m.a.e.  processuale,
secondo la quale «se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo
ai fini di un'azione penale e'  cittadino  o  residente  dello  Stato
membro di  esecuzione,  la  consegna  puo'  essere  subordinata  alla
condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia  rinviata
nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena»; 
        che anche in  questo  caso  la  posizione  del  cittadino  e'
parificata  a  quella  del  residente  e   non   potrebbe   ritenersi
giustificata una differenziazione della legislazione nazionale tra le
due posizioni; 
        che   ancor   meno   giustificata    quindi    risulta    una
differenziazione come quella operata dalla legge n. 69 del 2005,  che
per il m.a.e. esecutivo, nell'art. 18, comma 1, lett. r),  tratta  il
residente in  modo  diverso  dal  cittadino,  mentre  per  il  m.a.e.
processuale, nell'art. 19, comma 1, lett. c), lo parifica; 
        che, in definitiva, nella prospettiva della decisione quadro,
una disparita' di trattamento tra  cittadini  e  residenti  non  puo'
essere   giustificata,    avuto    riguardo    al    «principio    di
individualizzazione del regime di (futura) esecuzione», il quale  non
puo'  che  essere  «indistintamente»  preordinato  e  finalizzato  ad
accrescere le opportunita' di inserimento del condannato nel  tessuto
relazionale, sociale, affettivo, ma  anche  economico  ed  abitativo,
piu' funzionale allo sviluppo  delle  potenzialita'  socializzanti  e
rieducative della pena, inflitta (oppure infliggendo» dallo Stato  di
emissione, ma  della  cui  positiva  operativita'  vengono  a  trarre
diretto ed immediato beneficio sia lo Stato di esecuzione, in  quanto
Stato della cittadinanza o della residenza del consegnando,  sia  gli
altri Stati dell'Unione europea; 
        che, infatti, come  ha  rilevato  l'Avvocato  generale  della
Corte CEE nelle ricordate conclusioni, «l'apertura delle frontiere ha
reso gli Stati membri solidalmente responsabili nella lotta contro la
criminalita'» e percio' «si impone la trasposizione dell'art. 4, n. 6
della  decisione  quadro  nel  diritto  di  ciascuno  Stato   membro,
affinche' il mandato di arresto europeo non si applichi  a  discapito
del reinserimento della persona condannata e, quindi,  dell'interesse
legittimo  di  tutti  gli  Stati  membri   alla   prevenzione   della
criminalita', che il motivo  di  non  esecuzione  enunciato  in  tale
disposizione mira a garantire»; 
        che, infine,  l'obbiettivo  perseguito  dall'art.4,  n.  6  e
dall'art.5,  n.  3  della  decisione  quadro  e'   riconducibile   al
principio, consacrato nell'art.  27  Cost.,  comma  3,  che  le  pene
«devono tendere alla rieducazione del condannato»; 
        che nel caso in esame, essendo stata  richiesta  la  consegna
del cittadino di  uno  Stato  membro  dell'Unione  europea,  si  pone
un'ulteriore e piu' specifica questione,  relativa  alla  conformita'
dell'art.  18,  comma  1,  lett.  r)  alle  norme  comunitarie  e  in
particolare al principio di non discriminazione sancito dall'art.  12
CE; 
        che, ai sensi dell'art.  17  CE,  n.  1,  chiunque  abbia  la
cittadinanza di uno Stato membro e' cittadino dell'Unione e, ai sensi
dell'art. 18 CE, n. 1, ogni cittadino dell'Unione ha  il  diritto  di
circolare e di soggiornare liberamente  nel  territorio  degli  Stati
membri, fatte salve le  limitazioni  e  le  condizioni  previste  dal
Trattato CE e  dalle  disposizioni  adottate  in  applicazione  dello
stesso, sicche', ai fini della determinazione dello Stato  nel  quale
deve  essere  eseguita   una   pena,   risulta   ingiustificata   una
differenziazione tra cittadini  dell'Unione  e  appare  condivisibile
l'affermazione  dell'Avvocato  generale  della  Corte  CE   che   «in
conformita' dell'art. 4, n. 6 della decisione quadro, un cittadino di
un altro Stato membro che dimori o  risieda  nello  Stato  membro  di
esecuzione, ai sensi  di  questa  disposizione  e'  assimilato  a  un
cittadino di tale Stato, nel senso che deve poter beneficiare di  una
decisione di non esecuzione della consegna e  della  possibilita'  di
scontare la pena nel detto Stato»; 
        che l'art. 18, comma 1, lett. r), limita pero',  come  si  e'
visto, il rifiuto della consegna al caso in cui la richiesta riguardi
un «cittadino italiano», imponendola per tutti  gli  altri  cittadini
dell'Unione europea, e anche sotto questo aspetto  puo'  fondatamente
prospettarsi che, contrariamente a quanto dispone l'art.  117  Cost.,
comma  1,  non  siano   stati   rispettati   i   «vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario»; 
        che, anche se la disposizione di cui all'art.  18,  comma  1,
lett. r) della  legge  n.  69  del  2005  non  dovesse  risultare  in
contrasto con la normativa comunitaria, resterebbe comunque priva  di
ragionevole  giustificazione  la  diversita'   di   trattamento   del
residente non cittadino, nel caso di m.a.e. esecutivo e nel  caso  di
m.a.e. processuale; 
        che in questo secondo caso infatti, come si e' visto,  l'art.
19, comma 1, lett. c) parifica il residente al cittadino,  stabilendo
che la consegna puo'  essere  subordinata  alla  «condizione  che  la
persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro
di esecuzione per scontarvi la  pena»,  e  non  c'e'  alcuna  ragione
plausibile perche' il residente possa scontare la pena nello Stato di
esecuzione quando il m.a.e. e' processuale  e  non  anche  quando  il
m.a.e. e' esecutivo; 
        che  anzi,  a  ben  vedere,  potrebbe   avere   una   qualche
giustificazione una disciplina inversa, perche', nel caso  di  m.a.e.
esecutivo,   l'esecuzione   della   pena    in    Italia    impedisce
l'allontanamento della persona di cui e' stata richiesta la  consegna
e quindi consente il mantenimento, per quanto e' possibile, delle sue
relazioni familiari e sociali, mentre nel caso di m.a.e.  processuale
la persona non puo' non essere consegnata allo Stato di  emissione  e
la restituzione all'Italia per scontarvi  la  pena  e'  destinata  ad
avvenire quando tali rapporti hanno  gia'  subito  un  affievolimento
(Conseguentemente e' in  questo  caso  che  potrebbe  risultare  meno
dannosa l'esecuzione delta condanna nello  Stato  di  emissione,  nel
quale la persona oggetto del m.a.e. resterebbe per scontare  la  pena
dopo essere stata detenuta per il processo); 
        che, in conclusione, appare non manifestamente infondata,  in
riferimento agli art. 3, 27, comma terzo, e 117, comma primo,  Cost.,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  18,  comma  1,
lettera r) della Legge 22 aprile 2005, n. 69, nella parte in cui  non
prevede il rifiuto della consegna del residente non cittadino; 
        che si impone pertanto la  rimessione  della  questione  alla
Corte costituzionale per  la  sua  decisione  ai  sensi  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, art. 1 e legge 11  marzo  1953,
n. 87, art. 23.