Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 461, comma 1,
e 464,  comma  3,  del  codice  di  procedura  penale,  promosso  dal
Tribunale di Agrigento nel procedimento penale a carico di C. N.  con
ordinanza dell'11 maggio  2005,  iscritta  al  n.  113  del  registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 16, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 27 gennaio  2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza emessa l'11 maggio 2005,  nell'ambito
di un processo penale nei confronti di persona imputata del reato  di
cui all'art. 1117 del codice della navigazione - ordinanza  pervenuta
alla Corte  il  6  aprile  2009  -  il  Tribunale  di  Agrigento,  in
composizione monocratica, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24,
secondo comma,  e  111,  terzo  comma,  della  Costituzione,  nonche'
all'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre
1950 e ratificata con la legge 4 agosto 1955, n.  848,  questione  di
legittimita' costituzionale degli artt. 461, comma 1, e 464, comma 3,
del codice di procedura penale, nella parte  in  cui  non  consentono
all'imputato, «nel giudizio conseguente  all'opposizione  al  decreto
penale   di   condanna,   di   discostarsi   dal    rito    prescelto
nell'opposizione stessa»; 
        che,   recependo   l'eccezione   sollevata   dal    difensore
dell'imputato, il rimettente ricorda  preliminarmente  come,  con  la
sentenza n. 120 del 2002, la Corte  costituzionale  abbia  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 458, comma  1,  cod.  proc.
pen., nella parte in cui prevede che il termine di  quindici  giorni,
entro il  quale,  nel  caso  di  emissione  di  decreto  di  giudizio
immediato, l'imputato puo' chiedere il giudizio  abbreviato,  decorre
dalla  notificazione  del  suddetto  decreto,  anziche'   dall'ultima
notificazione,  all'imputato  o  al  difensore,  rispettivamente  del
decreto o dell'avviso della data fissata per il giudizio immediato; 
        che, nella citata sentenza - ricorda ancora il  rimettente  -
la Corte ha ritenuto violato il diritto alla difesa tecnica,  essendo
il termine di decadenza congegnato in maniera tale  che  esso  poteva
scadere senza che il difensore avesse potuto  illustrare  al  proprio
assistito  le  opzioni  difensive  collegate,   rispettivamente,   al
giudizio abbreviato e alla celebrazione del dibattimento; 
        che, al riguardo, la Corte ha  ribadito  che  il  diritto  di
difesa  -   inteso   come   effettiva   possibilita'   di   ricorrere
all'assistenza tecnica  del  difensore  -  risulta  compromesso  ogni
qualvolta,  ai  fini  dell'esercizio  di  facolta'  processuali   che
presuppongono la cognizione di elementi tecnici - qual  e',  appunto,
la  richiesta  di  giudizio  abbreviato,  specie  dopo  le  modifiche
introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 - venga posto a  pena
di decadenza un termine decorrente dalla notificazione  all'imputato,
anziche' al difensore, dell'atto da cui le facolta' conseguono; 
        che, ad avviso del Tribunale rimettente, analoghi profili  di
illegittimita' costituzionale  sarebbero  riscontrabili  in  rapporto
alla disciplina dettata dalle norme censurate; 
        che, ai sensi  dell'art.  461,  comma  1,  cod.  proc.  pen.,
infatti, l'atto di opposizione a  decreto  penale  di  condanna  deve
essere presentato nel termine di quindici  giorni,  decorrenti  dalla
notificazione del decreto stesso all'imputato; con tale atto, d'altro
canto, l'imputato e' chiamato ad operare una scelta relativa al rito,
chiedendo il giudizio immediato, ovvero il giudizio abbreviato  o  il
patteggiamento (art. 461, comma 3, cod. proc. pen.): scelta  che,  in
base all'art. 464, comma 3, cod. proc. pen., risulta «vincolante» nel
giudizio conseguente all'opposizione; 
        che, di conseguenza, come nell'ipotesi esaminata dalla citata
sentenza n. 120 del 2002, l'imputato sarebbe tenuto a  compiere,  nel
breve termine  di  quindici  giorni,  valutazioni  che  presuppongono
necessariamente la conoscenza del fascicolo del  pubblico  ministero:
fascicolo del quale, a norma dell'art.  140  disp.  att.  cod.  proc.
pen., le parti e difensori  hanno  facolta'  di  prendere  visione  e
estrarre copia durante il termine per proporre opposizione; 
        che tale attivita' non potrebbe  prescindere  dall'intervento
della  difesa  tecnica,  postulando   una   particolare   «esperienza
professionale e processuale»: solo il difensore, infatti, sarebbe  in
grado di  apprezzare,  dopo  aver  esaminato  il  fascicolo,  se  sia
conveniente per l'imputato addivenire alla definizione  del  processo
mediante riti alternativi, prestando il consenso a che gli atti delle
indagini vengano utilizzati come prova, o se sia preferibile, invece,
il dibattimento; 
        che il legislatore non avrebbe tenuto  conto,  dunque,  delle
obiettive difficolta', per l'imputato, di consultarsi, entro il breve
termine assegnato, con il difensore, di conferirgli il mandato per la
consultazione del fascicolo del pubblico  ministero  e  di  scegliere
concordemente la piu' idonea linea difensiva; 
        che la disposizione di cui all'art. 464, comma 3, cod.  proc.
pen. sarebbe pertanto irragionevole, nella  parte  in  cui  impedisce
all'imputato    di    discostarsi,    nel    giudizio     conseguente
all'opposizione, dalla scelta relativa  al  rito  effettuata  con  lo
stesso atto di opposizione: scelta non operata, a suo tempo,  con  la
piena cognizione che solo la difesa tecnica puo' garantire; 
        che la questione sarebbe, altresi', rilevante nel giudizio  a
quo; 
        che  nella  specie,  difatti,  l'imputato  -  residente,  tra
l'altro, nell'isola  di  Lampedusa,  «geograficamente  distante»  dal
luogo in cui era custodito il fascicolo delle indagini preliminari  -
ha richiesto, tramite procuratore speciale, con l'atto di opposizione
al decreto penale di condanna, il giudizio immediato:  scelta  che  -
secondo quanto affermato dal difensore  -  egli  non  avrebbe  invece
compiuto dopo l'analisi del fascicolo e l'ottenimento di  indicazioni
tecniche da parte del difensore stesso, preferendo  piuttosto  optare
per il rito alternativo di cui all'art.  444  cod.  proc.  pen.,  che
avrebbe consentito l'applicazione di una pena meno grave; 
        che nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile. 
        Considerato  che  il  Tribunale  di  Agrigento  dubita  della
legittimita' costituzionale degli artt. 461, comma 1, e 464, comma 3,
del codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui  precludono
all'imputato, nel  giudizio  conseguente  all'opposizione  a  decreto
penale di condanna, la possibilita' di accedere  a  riti  alternativi
non richiesti con lo stesso atto di opposizione; 
        che la  questione  e'  manifestamente  inammissibile  per  un
triplice ordine di ragioni; 
        che, in primo luogo, il giudizio a quo si svolge  davanti  al
Tribunale  in   composizione   monocratica   e,   per   il   relativo
procedimento, la preclusione che il rimettente mira  a  rimuovere  e'
sancita, non gia' dall'art. 464, comma 3, cod.  proc.  pen.  (l'altra
norma censurata - l'art. 461, comma 1, cod. proc. pen. - si limita  a
stabilire il  termine  e  le  modalita'  dell'opposizione  a  decreto
penale), ma da una norma distinta, anche se  di  identico  contenuto:
ossia l'art. 557, comma 2,  cod.  proc.  pen.,  non  coinvolto  nello
scrutinio; 
        che il rimettente censura, pertanto,  una  norma  diversa  da
quella di cui deve fare applicazione nel giudizio  principale  (sulla
manifesta  inammissibilita'  della  questione  in  simili  casi,   ex
plurimis, ordinanze n. 256 e n. 193 del 2009, n. 301 del 2008); 
        che, in secondo luogo, il giudice a quo motiva  la  rilevanza
della questione con il rilievo che  -  secondo  quanto  asserito  dal
difensore - ove l'imputato avesse potuto esaminare il  fascicolo  del
pubblico ministero con il  supporto  della  difesa  tecnica,  avrebbe
optato per il patteggiamento,  anziche'  per  il  giudizio  immediato
(rito in fatto prescelto con l'atto di opposizione); 
        che dalla  narrazione  della  vicenda  processuale  contenuta
nell'ordinanza  di  rimessione  si  desume,  peraltro,  che   nessuna
richiesta  di  patteggiamento  e'  stata,  in  concreto,   presentata
dall'imputato, neppure successivamente all'opposizione; 
        che la questione difetta, pertanto, di rilevanza, giacche' la
mera "anticipazione" dell'intento dell'imputato di richiedere il rito
alternativo,   che   volesse   eventualmente   ritenersi    implicita
nell'eccezione di  costituzionalita'  formulata  dal  difensore,  non
varrebbe  comunque  a  rendere  la   questione   stessa   attualmente
pregiudiziale rispetto alla definizione del giudizio a quo (in questo
senso, con riferimento a fattispecie analoga,  ordinanza  n.  69  del
2008); e cio' a prescindere dall'ulteriore rilievo che il  rimettente
non precisa neppure  se,  nel  giudizio  principale,  l'imputato  sia
ancora in termini per  la  presentazione  della  richiesta  del  rito
alternativo in base alle regole ordinarie (art. 555,  comma  2,  cod.
proc. pen.), regole che rimarrebbero pur sempre operanti ove  venisse
rimossa la preclusione censurata: donde  un  concorrente  profilo  di
inammissibilita' per difetto  di  motivazione  sulla  rilevanza,  non
superato dal generico accenno, fatto dal rimettente  stesso,  ad  una
«eventuale restituzione nel termine ai sensi dell'art. 175 cod. proc.
pen.»  (restituzione  di  cui  non   vengono   affatto   indicati   i
presupposti); 
        che, in terzo luogo e da ultimo, il  giudice  a  quo  pone  a
fondamento delle proprie censure  l'assunto  che  la  fattispecie  in
esame sia pienamente assimilabile a quella gia'  vagliata  da  questa
Corte con la sentenza n. 120 del 2002: sentenza avente ad oggetto  il
termine per la richiesta di «conversione» del giudizio  immediato  in
giudizio abbreviato previsto dall'art. 458, comma 1, cod. proc. pen.; 
        che, in base alla disposizione  ora  citata,  l'imputato  era
ammesso a chiedere il giudizio abbreviato, a pena di decadenza, entro
quindici giorni  dalla  notificazione  del  decreto  che  dispone  il
giudizio immediato; mentre l'art. 456 cod. proc.  pen.  prevedeva  (e
prevede), al comma  3,  che  il  decreto  di  giudizio  immediato  e'
notificato all'imputato almeno trenta giorni prima della data fissata
per il giudizio e,  al  comma  5,  che  al  difensore  e'  notificato
l'avviso della data fissata per il giudizio entro il medesimo termine
stabilito per l'imputato; 
        che poteva  di  conseguenza  avvenire  che,  a  fronte  della
diversa  scansione  temporale  delle  due  notifiche  (rimessa   alla
discrezionalita' dell'ufficio giudiziario),  il  difensore  ricevesse
l'avviso della data fissata per il giudizio immediato in  un  momento
in cui il termine per presentare la richiesta di giudizio  abbreviato
era gia' scaduto o prossimo alla scadenza; 
        che, a fronte di cio', questa Corte ha  ritenuto  violato  il
diritto alla difesa tecnica - quale nucleo essenziale della  garanzia
di cui all'art. 24,  secondo  comma,  Cost.  -  ribadendo  che,  ogni
qualvolta l'esercizio  di  una  facolta'  processuale,  sottoposta  a
decadenza, richieda la  cognizione  di  elementi  tecnici  rientranti
nelle competenze del difensore - come  avviene  segnatamente  per  la
richiesta di giudizio abbreviato  -  il  relativo  termine  non  puo'
essere fatto decorrere dalla notificazione all'imputato dell'atto  da
cui tale facolta' consegue, omettendo di  attribuire  rilevanza  alla
legale conoscenza dell'atto medesimo da parte del difensore; 
        che l'art. 458, comma 1, cod. proc. pen. e' stato dichiarato,
dunque, incostituzionale nella parte in cui prevede  che  il  termine
entro cui l'imputato puo' chiedere  il  giudizio  abbreviato  decorra
dalla notificazione  del  decreto  di  giudizio  immediato,  anziche'
dall'ultima   notificazione,    all'imputato    o    al    difensore,
rispettivamente del decreto ovvero dell'avviso della data fissata per
il giudizio immediato; in tal modo,  trasponendo  sostanzialmente  al
termine per la formulazione della richiesta di  giudizio  abbreviato,
di cui al citato articolo, la regola dettata per  la  decorrenza  del
termine di impugnazione dall'art. 585,  comma  3,  cod.  proc.  pen.:
regola in forza della quale, ove la decorrenza  risulti  diversa  per
l'imputato e per il suo difensore, opera il  termine  che  scade  per
ultimo; 
        che, nel caso oggi in esame,  il  giudice  a  quo  muove  dal
presupposto, implicito e indimostrato, che  il  termine  di  quindici
giorni  per  proporre  opposizione  al  decreto  di  condanna  -   e,
conseguentemente,  per  effettuare  la  scelta  dell'eventuale   rito
alternativo  nell'ambito  del  procedimento  per  decreto  -  decorra
esclusivamente, ai sensi dell'art. 461, comma  1,  cod.  proc.  pen.,
dalla notificazione del decreto all'imputato; 
        che  il  rimettente  non   tiene   conto,   tuttavia,   della
circostanza che - a seguito delle modifiche introdotte  dall'art.  20
della legge 6 marzo 2001, n. 60 (Disposizioni in  materia  di  difesa
d'ufficio)  -  il  decreto  di  condanna  deve   essere   attualmente
notificato, non piu' al solo  imputato,  ma  anche  al  difensore  di
ufficio (all'uopo designando) o al difensore di fiducia eventualmente
nominato (art. 460, comma 3, cod. proc. pen.); 
        che, a fronte di siffatta previsione,  la  giurisprudenza  di
legittimita' largamente maggioritaria e' dell'avviso che il difensore
di ufficio sia autonomamente legittimato a  proporre  opposizione  al
decreto, alla luce delle regole generali di cui agli artt. 99 e  571,
comma 3, cod. proc. pen.; 
        che, al tempo stesso, la giurisprudenza di legittimita' e' da
tempo costante nel ritenere che l'opposizione  a  decreto  penale  di
condanna sia inquadrabile nella categoria dei mezzi di  impugnazione,
donde l'applicabilita' a tale  rimedio  delle  norme  generali  sulle
impugnazioni, ove non specificamente derogate; 
        che fra tali norme rientra anche il  gia'  citato  art.  585,
comma 3, cod. proc. pen.: con la conseguenza  che  -  secondo  quanto
affermato dalla Corte di  cassazione  in  alcune  decisioni  (tra  le
altre, sentenza 10 dicembre 2002-7 marzo 2003, n. 10621) - qualora  a
causa del diverso momento di notifica del decreto la  decorrenza  del
termine di opposizione risulti diversa per l'imputato e  per  il  suo
difensore (sia esso di fiducia o di ufficio), opera per  entrambi  il
termine che scade per ultimo; 
        che, in conclusione, il giudice a quo non ha preso  in  esame
la possibilita' di ritenere, in  via  ermeneutica,  che  il  medesimo
assetto, introdotto dalla sentenza n. 120 del 2002  a  mezzo  di  una
declaratoria di incostituzionalita' con riguardo  alla  «conversione»
del giudizio immediato in abbreviato, sia gia' operante rispetto alla
richiesta  di  riti  alternativi  nell'ambito  del  procedimento  per
decreto; 
        che la mancata preventiva  verifica,  da  parte  del  giudice
rimettente, della praticabilita' di una  interpretazione  del  quadro
normativo  diversa  da   quella   posta   a   base   dei   dubbi   di
costituzionalita' prospettati e tale  da  determinarne  il  possibile
superamento implica, per costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,
l'inammissibilita' della questione sollevata (ex plurimis,  ordinanze
n. 244, n. 171, n. 155 e n. 117 del 2009); 
        che, per tutte le ragioni dianzi indicate,  la  questione  va
dunque dichiarata manifestamente inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.