IL GIUDICE DI PACE 
 
    Avv. M. Rigel Langella, alla  udienza  del  5  novembre  2009  ha
pronunciato la seguente ordinanza nel processo penale  nei  confronti
di: Hadiac Victor, nato in Moldavia, il 12 agosto 1955, imputato  del
reato art. 10-bis della legge 15 luglio 2009, n. 94, elett.te  dom.to
in Velletri, via A. Mammucari n. 137/A, contumace. 
    Premesso: 
        che l'imputato e' stato presentato a giudizio all'udienza del
1° ottobre 2009 per il reato previsto e punito dall'art. 10-bis della
legge 15 luglio 2009, n. 94, disposizione  che  introduce  due  nuove
figure di reato, la prima di natura istantanea  (ingresso  illegale),
la seconda di natura permanente (soggiorno illegale); 
        l'art. 1, comma 16 della legge 15  luglio  2009,  n.  94,  ha
introdotto, nel testo del d.lgs. n. 286/1990, l'art. 10-bis, il quale
prevede la nuova fattispecie criminosa dell'  «ingresso  e  soggiorno
illegale nel territorio dello Stato», sanzionando  con  l'ammenda  da
5.000 a 10.000 euro «lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene
nel territorio dello  Stato  in  violazione  delle  disposizioni  del
presente testo unico nonche' di quelle di cui all'art. 1 della  legge
28 maggio 2007 n. 68», e la nuova figura di reato  si  attaglia  alla
condotta dell'imputato dall'entrata in vigore della legge  alla  data
in cui e' stato fermato a seguito di controllo di polizia; 
        che   tale   reato,   introdotto   per   la    prima    volta
nell'ordinamento   italiano   dopo   l'entrata   in   vigore    della
Costituzione, appare in  palese  contrasto  con  alcuni  fondamentali
principi  accolti  dalla  carta  costituzionale,  e  non  puo'  dirsi
palesemente infondata la questione di costituzionalita'  della  norma
che lo prevede sotto vari profili, di seguito illustrati; 
    Il  G.d.P.,  sollevando  d'ufficio  eccezioni  di  illegittimita'
costituzionale, ritiene di non poter pronunciare sentenza  in  quanto
l'introduzione della nuova figura di reato introdotta dalla legge  15
luglio 2009, n. 94, recante «Disposizioni  in  materia  di  sicurezza
pubblica» contiene molteplici elementi che rendono non manifestamente
infondata  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
10-bis del TU in relazione ad alcuni principi costituzionali basilari
come  di  seguito   specificato.   Indubbiamente   e'   compito   del
legislatore,  come  ribadito  dalla   nota   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 5 del 2004: regolare la  materia  dell'immigrazione
in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed
ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati, ma, come
rilevato da piu' parti in relazione alla norma in  pubblici  da  essa
coinvolti  ed  ai  gravi  problemi  connessi   a   flussi   migratori
incontrollati, ma, come rilevato da  piu'  parti  in  relazione  alla
norma in oggetto, il legislatore deve comunque attenersi al  rispetto
dei principi fondamentali del sistema penale. 
      
    I rilievi sollevati sia in relazione ai valori fondamentali della
persona umana  sotto  il  profilo  giuridico  (penale-costituzionale)
appaiono non manifestamente  infondati.  In  sintesi  l'art.  10-bis,
nella parte in cui prevede il soggiorno illegale dello straniero  nel
territorio italiano come reato, appare contrastante con i principi  e
norme costituzionali seguenti. 
Violazione  art.  3,  quale  principio  di  ragionevolezza  che  deve
presiedere a ogni normativa; art. 97, comma  1  quale  principio  del
buon  andamento  della  P.A.  esteso  anche  alla  giurisdizione,  in
relazione all'art. 62-bis d.P.R. n.  275/2000  e  art.  16,  comma  1
d.P.R. n. 286/1998. 
    La competenza del Giudice  di  pace  e  lo  speciale  rito  della
«presentazione immediata (articoli 20-bis, 20-ter e 32-bis d.lgs.  28
agosto 2000, n. 274). Il reato e' stato affidato alla competenza  del
giudice di pace ed il suo accertamento allo speciale rito  introdotto
dall'art. 1, comma 17, della novella nel d.lgs. 28  agosto  2000,  n.
274. 
    Piu' esattamente il comma 3 del nuovo art. 10-bis del  d.lgs.  25
luglio 1998, n. 286 stabilisce che  al  procedimento  penale  per  il
reato in esame si applichino  le  disposizioni  di  cuiagli  articoli
20-bis, 20-ter e 32-bis del d. lgs. sopra indicato. 
    La norma comporta: la violazione  del  principio  di  uguaglianza
davanti alla legge sia come necessita'  di  diverso  trattamento  per
situazioni differenti sia come necessita'  di  pari  trattamento  per
situazioni simili. In particolare,  si  rileva  la  violazione  degli
artt.  102  e  112  Cost.  in  relazione  all'applicazione  estensiva
dell'art. 20 d.lgs. 28 agosto 2000 n. 274, con  l'introduzione  delle
disposizioni di cui all'art 20-bis e  20-ter,  con  la  richiesta  di
citazione contestuale  per  l'udienza  da  parte  della  PG  qualora:
«ricorrono gravi e comprovate ragioni di urgenza che  non  consentono
di attendere la fissazione dell'udienza ai  sensi  del  comma  3  del
medesimo art., ovvero se  l'imputato  si  trova  a  qualsiasi  titolo
sottoposto a  misure  di  limitazione  o  privazione  della  liberta'
personale, la  polizia  giudiziaria  formula  altresi'  richiesta  di
citazione contestuale per l'udienza». 
    Dette disposizioni  delineano  in  sostanza  un  nuovo  rito,  il
giudizio a presentazione immediata (art.  20-bis),  prevedendone  una
variante per i casi di urgenza o per gli imputati sottoposti a misure
restrittive della liberta', il cd. giudizio a  citazione  contestuale
(art. 20-ter). 
    Tale procedura unica nell'ordinamento,  configura  una  sorta  di
tertium genus tra reati procedibili a  querela  e  reati  procedibili
d'ufficio,   rispetto   all'originaria   formulazione   della   norma
procedurale avanti il GdP (art. 20 d.lgs. 28  agosto  2000  n.  274),
prevista  solo  per  reati  non  perseguibili  d'ufficio  e  lasciata
all'impulso di parte in alternativa  alla  proposizione  di  querela.
L'art.  20-ter,  mutuando  parzialmente  le  modalita'  del  giudizio
immediato ex art. 453 cpp, con la previsione normativa del termine di
presentazione dell'imputato elevato a  gg.  15,  introduce  un  «rito
dedicato» per una singola fattispecie. Il  vulnus  rappresentato  dal
delegare  a   una   autorita'   amministrativa   (quindi   dipendente
dall'Esecutivo,  alla  quale  rimane  comunque  in  capo   anche   la
possibilita' di espulsione in via amministrativa: ordine del Questore
di allontanamento dal territorio nazionale, di  cui  alla  previgente
normativa della cd, L. Bossi/Fini non abrogata), l'inizio dell'azione
penale obbligatoria, peraltro per un reato contravvenzionale che piu'
che far riferimento alla notitia criminisfa riferimento a uno status,
sembra riportare a epoca non solo  antecedente  la  Costituzione  (il
Codice   Rocco,   delineava   comunque   un'architettura    giuridica
coordinata), ma forse antecedente la Rivoluzione francese  (principio
della divisione dei poteri) o addirittura la Magna Charta  Libertatum
(principio  dell'imputazione:  habeas  corpus  ad  subjiciendum).  E'
storicamente accertato che nel XIV secolo (a.D. 1305) ripugnava  alla
cultura  giuridica   europea   la   sovrapposizione   di   differenti
giurisdizioni in capo a un'unica persona/reo. 
    Il punto di diritto,  attuale,  e'  che  il  legislatore  non  ha
abrogato il sistema di cui agli art. 13 e ss. del d.P.R. n. 286/1998,
per il dovuto contrasto al  fenomeno  dell'immigrazione  clandestina.
Oggi, nei confronti del medesimo straniero, una volta che l'Autorita'
di P.S. - che  riveste  anche  la  qualita'  di  P.G.  -  accerti  la
condizione  di  soggiorno  illegale,  si  aprono  contestualmente  ed
automaticamente due distinti procedimenti: 
        uno amministrativo, destinato a  sfociare  nel  provvedimento
prefettizio di espulsione (art. 13 d.P.R. n. 286/1998) da eseguirsi a
cura del Questore e autonomo rispetto a quello penale (art. 13 d.P.R.
n. 286/1998), al quale si e' dato corso anche  nel  caso  di  specie,
essendo   esclusa   l'autorizzazione   dell'AG    per    l'esecuzione
dell'espulsione amministrativa in costanza di procedimento penale; 
        l'altro penale, nelle forme del richiamato art. 20-bis e  ter
d.P.R.  n.  275/2000.  La  previsione  esplicita   della   prevalenza
dell'espulsione amministrativa, rispetto al processo penale  comunque
instaurato,  emerge  anche  dall'introduzione  del   «non   luogo   a
procedere» in qualsiasi fase del giudizio (art. 10, comma 5 d.P.R. n.
286/1998),  a  modifica  dell'istituto  generale.  che  limita   tale
declaratoria alla fase antecedente l'inizio  dell'azione  penale,  fa
emergere una evidente duplicazione di procedimenti. 
    La duplicazione in sede penale della procedura esistente  in  via
amministrativa,  pertanto,   oltre   all'indicato   principio   della
ragionevolezza ex art. 3 Cost., lede il principio di cui all'art.  97
Cost., del buon  andamento  della  pubblica  amministrazione,  esteso
anche alla giurisdizione, con un inutile dispiego di carenti  risorse
strutturali e umane, a scapito peraltro dei processi ordinari. 
Violazione art.  3  della  Costituzione,  inteso  come  principio  di
uguaglianza davanti alla legge: inteso  come  necessita'  di  diverso
trattamento per situazioni diverse e necessita' di uguale trattamento
per situazioni  uguali;  art.  27  principio  di  personalita'  della
responsabilita'  penale  in  relazione  all'art.  10-bis,  d.P.R.  n.
286/1998. 
    Appare violata l'esigenza che l'accusa a una determinata  persona
sia per un fatto specifico (e non con sanzioni comminate a  un'intera
categoria tout court), senza avere  riguardo  all'accertamento  della
capacita' o meno a stare in giudizio, alla presenza  di  giustificato
motivo o meno, etc. Nel caso de  quo  l'imputato  non  risulta  avere
precedenti  penali  e  dagli  atti  non  si  evince  una  particolare
pericolosita' sociale, ma solo uno stato di  indigenza  (mancanza  di
fissa dimora) di cui al rapporto CC, che fa ritenere  sussistere  una
obbiettiva difficolta' a ottemperare  alla  introdotta  modifica  del
sistema penale (possibilita' di sostenere le spese di  viaggio  fuori
dai confini dello  Stato),  anche  in  relazione  all'interpretazione
orientata della stessa Consulta:  in  questo  caso  l'osservanza  del
precetto appare  concretamente  «inesigibile»  per  i  piu'  svariati
motivi,  ma  comunque  riconducibili  «a   situazioni   ostative   di
particolare  pregnanza»,  che  incidano  sulla  stessa  possibilita',
soggettiva od oggettiva, di adempiere all'intimazione,  «escludendola
ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa», come la «condizione  di
assoluta impossidenza dello straniero» (cf. sentenza 5 del 2004). 
    Pertanto, assume rilievo in questa sede, non la costituzionalita'
della incriminazione della condotta illecita del migrante, ma  quello
della assenza, nella fattispecie propria del reato contravvenzionale,
e per la sola ipotesi di  illecito  trattenimento,  della  previsione
della causa  di  giustificazione  «senza  giustificato  motivo»,  che
invece e' prevista dalla fattispecie di delitto di  cui  all'art.  14
comma 5-ter d.lgs. n. 286. Tale  differenza  di  trattamento  non  e'
giustificata dalla maggiore gravita' del fatto  punito  a  titolo  di
contravvenzione (come invece avviene nella nuova ipotesi di reato  di
trattenimento ulteriore, prevista  dal  comma  5,  quater,  anch'essa
introdotta con la legge 15 luglio 2000, n. 94). 
    Non  appare  quindi  comprensibile   la   ragione   del   diverso
trattamento delle  due  fattispecie,  entrambe  omissive  e  tali  da
realizzare in concreto una stessa condotta di illecito trattenimento.
Su tale scelta del legislatore, di  non  attribuire  rilevanza  nella
nuova fattispecie ad eventuali motivi  che  possano  giustificare  il
trattenimento  illegale,  appare  non  manifestamente  infondata   la
questione sollevata, proprio  a  sensi  di  quanto  la  stessa  Corte
costituzionale ha statuito nelle sentenze  n.  5  del  2004  e  nella
successiva n. 22 del 2007. 
    Per cui appare, di conseguenza, non manifestamente  infondata  la
violazione  del  principio  di  uguaglianza  e   del   principio   di
personalita' della responsabilita' penale (artt. 3  e  27  Cost.)  in
quanto il  reato  equipara  ope  legis  la  condizione  di  soggiorno
illegale del clandestino  a  una  posizione  soggettiva  di  presunta
pericolosita' sociale che, invece, deve essere obbiettivamente  e  in
concreto accertata in relazione a determinati  fatti,  circostanze  e
persone. 
Violazione artt. 24 e 111 Costituzione, in relazione all'art. 10-bis,
comma 1, 4 e 5 d.P.R. n. 286/1998. 
    Da piu' parti, altri giudici di merito e insigni giuristi,  hanno
gia' sollevato il problema,  non  secondario,  della  violazione  del
diritto di difesa, cosi, come sollevato nel presente  giudizio  anche
dal difensore dell'imputato (art. 24,  anche  in  relazione  all'art.
111); la violazione del principio di ragionevolezza della legge,  del
principio  per  cui  la  pena  deve  tendere  alla  rieducazione  del
condannato, e cosi' via. A fronte di tutte queste obiezioni, in parte
giuridiche  e  in  parte  sociologiche,   appare,   in   particolare,
all'odierno Giudicante non manifestamente infondata la violazione del
diritto di difesa e ad un giusto processo,  che  non  significa  solo
«celere» e tale  da  colpire  il  crimine  in  maniera  possibilmente
esemplare ma non colpisca  indiscriminatamente  una  mera  condizione
sfavorevole, di bisogno e disagiata che  il  legislatore  costituente
voleva,  invece,  tutelata,  in  forza   dei   principi   estesi   di
solidarieta' sociale (artt. 2, 3 e 4 Cost). 
    di espulsione con un non luogo a procedere, in qualunque fase del
giudizio (cf. art. 10-bis, c. 4)? Tanto che la  Corte  di  cassazione
nella relazione n. III/09/09 fa riferimento a un «singolare»  profilo
sanzionatorio;  «ambigua  formulazione  normativa»,   «problemi   sul
versante processuale»;  «perplessita'»  (in  relazione  alla  mancata
previsione   di   qualsivoglia   giustificato   motivo),    «evidente
irragionevolezza della  disparita'  di  trattamento  determinata  sul
punto dal legislatore», tale da richiedere un  necessario  intervento
correttivo  in   senso   costituzionalmente   orientato:   «provocare
l'intervento del giudice delle leggi» (sub paragrafo n. 26). 
    d.l.gs n. 74/2000), originariamente previsto a scopo deflattivo e
comunque conciliativo (qui precluso), il cui sistema organico risulta
stravolto dalla novella. 
      
      
      
      
      
    Infine  con   la   previsione   di   una   sanzione   sostitutiva
(l'espulsione) piu' grave di quella principale (l'ammenda). 
    Il fatto che l'azione penale  si  possa  concludere  prima  dello
svolgimento del processo, durante o  anche  alla  fine,  purche'  sia
intervenuta  l'esecuzione   della   pena   voluta   dal   legislatore
(espulsione dello straniero) appare obbiettivamente in contrasto  con
un efficace diritto di difesa e i principi del giusto processo. 
    Violazione artt. 10 Costituzione, sui diritti degli  stranieri  e
gli  obblighi  internazionali  assunti  dall'Italia  in  materia   di
trattamento dei migranti. 
    Ne' appare  palesemente  infondata  la  paventata  illegittimita'
costituzionale  della  norma  in  relazione  all'art.  10  Cost.  con
riguardo ai principi affermati in materia di immigrazione dal diritto
internazionale e dalle convenzioni internazionali (In primo luogo  la
Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo,  la  Convenzione  OIL
sui lavoratori migranti n. 143/1975, ratificata con legge  158/1981).
La norma contrasta con i trattati internazionali e gli  artt.  10  C.
sui diritti degli stranieri e  gli  obblighi  internazionali  assunti
dall'Italia in materia di trattamento dei migranti. 
    Tutto  quanto  sopra  premesso,  rilevato  che  le  questioni  di
costituzionalita' sollevate e sopra enunciate, sia pur succintamente,
appaiono serie e comunque  non  manifestamente  infondate.  Rilevato,
altresi', che appaiono peraltro rilevanti ai fini della  prosecuzione
e definizione del processo, in quanto in caso di  accoglimento  della
Corte, la conseguente declaratoria  di  illegittimita'  della  norma,
comporterebbero l'assoluzione dell'imputato dal reato di cui all'art.
10-bis d.P.R. n. 286/1998 e successive modifiche e,  di  conseguenza,
il giudizio non puo' essere definito a prescindere dalla  risoluzione
delle suddette questioni.