Ricorso  nell'interesse  della  Regione  Lazio,  in  persona  del
Vice-presidente  della  Giunta  regionale,  dott.  Esterino  Montino,
autorizzato con deliberazione della Giunta regionale  n.  172  del  7
marzo 2010, rappresentato  e  difeso  giusta  delega  a  margine  del
presente   atto   dal   prof.   avv.   Federico   Sorrentino   (c.f.:
SRRFRC42M31H501A) ed elettivamente domiciliato presso il  suo  studio
in Roma, Lungotevere  delle  Navi  n.  30,  per  la  declaratoria  di
illegittimita'  costituzionale,  previa  sospensione  cautelare,  del
decreto-legge 5 marzo  2010,  n.  29  (Interpretazione  autentica  di
disposizioni del procedimento elettorale e relativa  alla  disciplina
di attuazione), pubblicato in G.U. n. 54 del 6 marzo 2010. 
 
                              F a t t o 
 
    Nel corso delle attuali elezioni regionali,  si  sono  verificate
gravi  irregolarita'  nella  presentazione  di   alcune   liste.   In
particolare, nella Regione Lazio, per il collegio della Provincia  di
Roma,  la  lista  «Il  Popolo  della  liberta'»,  non  essendo  stata
presentata  nei  termini  di  legge,   e'   rimasta   esclusa   dalla
partecipazione alla competizione elettorale in tale Provincia.  Nella
Regione Lombardia, poi, la Corte d'appello di Milano ha decretato  la
non ammissione della lista  «Per  la  Lombardia»  avendo  riscontrato
l'invalidita' dell'autenticazione di tante sottoscrizioni da  rendere
mancante il numero minimo delle firme necessarie  alla  presentazione
(lista poi riammessa, in via cautelare, dal T.A.R. della Lombardia). 
    A fronte di tali esclusioni  dalla  competizione  elettorale,  il
Governo e' intervenuto adottando il decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29
(Interpretazione autentica degli articoli  9  e  10  della  legge  17
febbraio 1968, n. 108), il quale dispone: 
        all'art. 1, comma 1: «Il primo comma dell'art. 9 della  legge
17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che il rispetto dei
termini orari di  presentazione  delle  liste  si  considera  assolto
quando, entro gli stessi, i delegati incaricati  della  presentazione
delle liste, muniti della prescritta  documentazione,  abbiano  fatto
ingresso nei locali del Tribunale. La presenza entro  il  termine  di
legge nei locali del Tribunale dei delegati puo' essere  provata  con
ogni mezzo idoneo»; 
        all'art. 1, comma 2: «Il terzo comma  dell'articolo  9  della
legge 17 febbraio 1968, n. 108, si interpreta nel senso che le  firme
si considerano valide anche se l'autenticazione non risulti corredata
da tutti gli elementi richiesti dall'art. 21, comma 2, ultima  parte,
del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445,
purche' tali dati siano comunque desumibili in modo univoco da  altri
elementi presenti nella documentazione prodotta. In  particolare,  la
regolarita'  della  autenticazione  delle  firme  non   e'   comunque
inficiata dalla presenza di una irregolarita' meramente formale quale
la  mancanza  o  la  non  leggibilita'  del  timbro  della  autorita'
autenticante, dell'indicazione del luogo di  autenticazione,  nonche'
dell'indicazione della  qualificazione  dell'autorita'  autenticante,
purche' autorizzata»; 
        all'art. 1, comma 3: «Il quinto comma dell'articolo 10  della
legge 17 febbraio 1968, n.  108,  si  interpreta  nel  senso  che  le
decisioni di ammissione di liste di candidati o di singoli  candidati
da  parte  dell'Ufficio  centrale  regionale  sono  definitive,   non
revocabili o modificabili dallo stesso ufficio. Contro  le  decisioni
di ammissione puo' essere proposto esclusivamente ricorso al  Giudice
amministrativo  soltanto  da  chi  vi  abbia  interesse.  Contro   le
decisioni di eliminazione di liste di  candidati  oppure  di  singoli
candidati e' ammesso ricorso all'ufficio centrale regionale, che puo'
essere  presentato,  entro  ventiquattro  ore  dalla   comunicazione,
soltanto  dai  delegati  della  lista  alla  quale  la  decisione  si
riferisce. Avverso la decisione dell'Ufficio  centrale  regionale  e'
ammesso immediatamente ricorsa al Giudice amministrativo»; 
        all'art. 1, comma 4: «Le disposizioni del  presente  articolo
si applicano anche alle operazioni e ad ogni altra attivita' relative
alle elezioni regionali, in corso alla data di entrata in vigore  del
presente decreto. Per le medesime elezioni regionali i  delegati  che
si  siano  trovati  nelle  condizioni  di  cui  al  comma  1  possono
effettuare la presentazione delle liste dalle ore otto alle ore venti
del primo giorno non festivo successivo a quello di entrata in vigore
del presente decreto»; 
        all'art. 2: «Limitatamente alle consultazioni per il  rinnovo
degli organi delle Regioni a statuto ordinario fissate per il 28 e 29
marzo  2010,  l'affissione  del  manifesto  recante  le  liste  e  le
candidature ammesse deve avvenire, a cura dei sindaci, non  oltre  il
sesto giorno antecedente la data della votazione». 
    La Regione Lazio ha interesse ad impugnare il  d.l.  n.  29/2010,
non solo in  quanto  lesivo  della  sua  competenza  ad  adottare  la
disciplina di dettaglio in materia di elezioni  regionali,  garantita
dall'art. 122, primo  comma,  Cost.,  ma  anche  in  quanto  esso  e'
concretamente volto  (come  emerge  dalle  sue  stesse  premesse)  ad
interferire con le elezioni gia' indette sia del Consiglio,  sia  del
Presidente, consentendo la  riammissione  della  lista  del  PDL  nel
collegio elettorale della Provincia di Roma (in particolare, art.  1,
commi 1 e  2)  in  contrasto  con  quanto  previsto  dalla  normativa
regionale (legge regionale n. 2/2005), determinando cosi' una vistosa
alterazione della par condicio tra le diverse liste. 
    La par condicio nella competizione elettorale e' invero un valore
essenziale dello Stato democratico e  della  rappresentanza  politica
che ne e' alla  base;  sicche'  la  Regione  ricorrente,  nel  mentre
difende la sua competenza legislativa, si oppone  ad  interventi  che
rischiano di alterare la rappresentativita'  dell'eligendo  Consiglio
regionale e dello stesso Presidente. 
    Cio' premesso, si contesta  l'illegittimita'  costituzionale  del
citato decreto per le seguenti ragioni di 
 
                            D i r i t t o 
 
I) Violazione dell'art. 122, primo comma, Cost. 
    I.1 - Secondo il testo originario  dell'art.  122,  primo  comma,
della  Costituzione,  la  disciplina  del  sistema  di  elezione  dei
Consigli delle regioni a statuto ordinario era riservata  alla  legge
statale. 
    Nell'esercizio di tale  competenza,  il  legislatore  statale  ha
dettato le leggi 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per la elezione  dei
Consigli regionali delle Regioni a statuto  normale)  e  23  febbraio
1995, n. 43 (Nuove norme per la elezione dei consigli delle regioni a
statuto ordinario). 
    Successivamente, la legge costituzionale 22 novembre 1999, n.  1,
ha sostituito  l'art.  122  Cost.,  stabilendo  che  «il  sistema  di
elezione e i  casi  di  ineleggibilita'  e  di  incompatibilita'  del
Presidente e degli altri componenti della  Giunta  regionale  nonche'
dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge  della  Regione
nei limiti  dei  principi  fondamentali  stabiliti  con  legge  della
Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi». 
    Codesta  Corte  ha  chiarito  che  si  tratta  di  una   potesta'
legislativa concorrente,  non  diversa,  dunque,  da  quella  di  cui
all'art. 117, terzo comma, Cost. (cfr.  sentenze  n.  201/2003  e  n.
2/2004) e che, a seguito della riforma del 1999, «le leggi statali in
materia conservano la loro  efficacia,  in  forza  del  principio  di
continuita' (...), fino a quando non vengano sostituite  dalle  leggi
regionali: ma  la  potesta'  legislativa  in  tema  di  elezione  dei
Consigli regionali spetta ormai  alle  Regioni»  (sentenza  5  giugno
2003, n. 196). 
    Tra l'altro, e'  la  stessa  legge  costituzionale  n.  1/1999  a
prevedere, nelle disposizioni transitorie,  che  fino  alla  data  di
entrata in vigore dei nuovi statuti regionali  e  delle  nuove  leggi
elettorali ai sensi del primo comma dell'art. 122 della Costituzione,
come sostituito dall'art.  2  della  presente  legge  costituzionale,
l'elezione del Presidente della Giunta regionale  (...)  si  effettua
con le modalita'  previste  dalle  disposizioni  di  legge  ordinaria
vigenti in materia di elezione dei Consigli  regionali»,  con  alcune
correzioni. 
    Invero, si tratta di un meccanismo analogo a  quello  prospettato
da codesta Corte nella sentenza n. 376/2002 e poi recepito  dall'art.
1 della  legge  n.  131/2003,  in  base  al  quale  «le  disposizioni
normative statali vigenti  alla  data  di  entrata  in  vigore  della
presente legge nelle materie appartenenti alla legislazione regionale
continuano ad applicarsi, in ciascuna  Regione,  fino  alla  data  di
entrata in vigore delle disposizioni regionali in materia». 
    E' bene evidenziare che il  fatto  che  le  disposizioni  statali
previgenti alla riforma costituzionale  restino  in  vigore,  con  il
carattere della cedevolezza, fino a quando non vengano sostituite  da
nuove norme dettate dalle Regioni e'  espressione  del  principio  di
continuita' dell'ordinamento e non comporta alcuna deroga al  riparto
delle competenze successivamente stabilito. Con  la  conseguenza  che
resta ferma la preclusione al legislatore statale di intervenire  con
disposizioni di dettaglio nelle materie di competenza concorrente  e,
quindi, anche d'innovare o interpretare quelle preesistenti. 
    Cio' si ricava, con riferimento alla  competenza  concorrente  di
cui all'art. 117, terzo  comma,  Cost.,  dai  principi  affermati  da
codesta Corte nelle sentenze  n.  282/2002  e  n.  303/2003,  laddove
affermano che l'inversione della tecnica di  riparto  delle  potesta'
legislative e l'enumerazione tassativa delle competenze dello  Stato,
operata dalla riforma costituzionale del 2001, porta ad escludere  la
possibilita' di dettare nrme  suppletive  statali  nelle  materie  di
legislazione concorrente. ancorche' cedevoli, con la  sola  eccezione
delle norme  necessarie  per  «assicurare  l'immediato  svolgersi  di
funzioni amministrative che  lo  Stato  ha  attratto  per  soddisfare
esigenze unitarie e che non possono essere esposte al  rischio  della
ineffettivita'» (ipotesi che, com'e' evidente, non ricorre  nel  caso
in esame). 
    In definitiva, puo' affermarsi quanto segue. 
    In seguito alla riforma costituzionale del  '99,  in  materia  di
elezioni del Consiglio e del  Presidente  regionale,  al  legislatore
statale spetta il «solo» potere di fissare  i  principi  fondamentali
della materia, mentre e' di competenza delle regioni la disciplina di
dettaglio del procedimento elettorale. 
    Il rispetto del  principio  di  continuita'  dell'ordinamento  e'
assicurato  dalla  previsione  di  cui   all'art.   5   della   legge
costituzionale n. 1/1999, che dispone l'applicabilita', nelle regioni
che non si siano dotate di una propria disciplina legislativa,  delle
leggi 17 febbraio 1968, n. 108 e 23 febbraio 1995, n. 43,  nel  testo
esistente   al   momento   dell'entrata   in   vigore   della   legge
costituzionale n. 1/1999. 
    Le norme di dettaglio contenute in tali leggi non possono  essere
ne'  modificate,  ne'  interpretate  dal  legislatore  nazionale  dal
momento che «la potesta' legislativa in tema di elezione dei Consigli
regionali spetta ormai alle Regioni», con il solo limite del rispetto
dei principi fondamentali. 
    A  quest'ultimo  proposito,  deve  ricordarsi   che   il   potere
d'interpretazione autentica altro non e' che un aspetto del potere di
legiferare,  sicche'  nelle  materie  di  spettanza  del  legislatore
regionale  -  come  quella  in  esame  -   solo   quest'ultimo   puo'
interpretare le norme esistenti. 
    Il fondamento  per  l'emanazione  delle  leggi  d'interpretazione
autentica va, infatti, ricercato «nella stessa funzione  legislativa,
oltre che nella continuita' del suo esercizio. La esplicitazione  del
significato delle proposizioni normative e della terminologia in esse
adoperata e' difatti  da  ritenersi  una  estrinsecazione  del  tutto
naturale della attivita' legislativa, come si vede laddove, nel testo
di una medesima  legge,  si  destina  una  proposizione  normativa  a
fissare il preciso significato di un termine, di un istituto,  di  un
disposto   normativo,   contemplato   o   stabilito   dallo    stesso
provvedimento legislativo; o anche laddove,  sempre  in  un  medesimo
testo legislativo, s'impone il raccordo a  fine  esplicativo  di  una
proposizione normativa con un'altra. Ma, ove si  voglia  procedere  a
questa esplicazione nel corso  del  tempo,  a  distanza  cioe'  dalla
emanazione  delle  leggi  le  cui  disposizioni   normative   vengono
esplicitate (...), una cosa soprattutto abbisogna,  che  la  potesta'
legislativa continui anch'essa nel tempo. E' sin troppo evidente che,
se la potesta' legislativa fosse venuta  meno,  neanche  si  potrebbe
addivenire a quella sua estrinsecazione ora  accennata»  (A.  Amorth,
Leggi interpretative  e  di  sanatoria,  in  rivista  trimestrale  di
diritto pubblico 1958, 77). 
    Pertanto,  «l'interpretazione  autentica   legislativa   risponde
fondamentalmente   alla   razionale   sistematica    dell'ordinamento
giuridico: quel "potere", che puo' emanare  nuove  norme  giuridiche,
modificarle  od  abrogarle,  ben  puo'  anche  deliberare   la   loro
"interpretazione", vale a  dire  chiarirle  e  precisarle  quando  ne
avverta la necessita' o l'opportunita' (...)» (F. Pergolesi, in Giur.
Cost.  1957,  803;  analogamente  si  sono   espressi:   F.   Cammeo,
L'interpretazione autentica, in Giur. it. 1907, IV,  305  e  ss.;  F.
Racioppi - I. Brunelli, Commento allo Statuto del Regno  III,  Torino
1909, 588; D. Donati, Scritti di diritto pubblico, Padova  1966,  10;
E. Betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici,  Milano
1971, 204). 
    Anche codesta Corte ha mostrato di aderire a  tale  ricostruzione
affermando che, «non diversamente dalle altre leggi, anche  la  legge
interpretativa innova all'ordine legislativo  preesistente:  il  quid
novi che essa introduce in tale  ordine  consiste  nell'attribuire  a
certe norme anteriori un  significato  obbligatorio  per  tutti  (con
conseguente esclusione  di  ogni  altra  possibile  interpretazione)»
(sentenza n. 118/1957). 
    Con la sentenza n. 232/2006,  la  Corte  ha  poi  definitivamente
chiarito che «l'emanazione di una legge di interpretazione  autentica
presuppone  la  sussistenza  della  potesta'  legislativa  da   parte
dell'organo legiferante, e che non puo' ammettersi che tale  potesta'
sopravviva (...) perche' "solo l'autore della disposizione che  viene
interpretata  puo'  essere  considerato  l'unico  depositario   della
volonta'  legislativa   espressa   in   quella   sede":   quella   di
interpretazione autentica e' una  legge  espressione  della  potesta'
legislativa   -   e   non   gia'   di   una   "soggettiva"   volonta'
"chiarificatrice" del suo autore  -  e  pertanto  essa,  al  pari  di
qualsiasi legge,  puo'  provenire  soltanto  dall'organo  attualmente
investito di tale  potesta',  senza  che  in  alcun  modo  rilevi  la
qualita' di "autore" della legge interpretata» (1) . 
    Alla  luce  di  quanto  sopra   esposto   e'   costituzionalmente
illegittimo il decreto-legge qui impugnato innanzitutto perche',  con
esso, il legislatore statale ha asseritamente interpretato  -  ma  in
realta' innovato, come si  dira'  piu'  avanti  -  la  disciplina  di
dettaglio contenuta nella legge n. 108/1968, cosi' invadendo la sfera
di competenza  riservata  dall'art.  122,  primo  comma,  Cost.  alle
Regioni. 
    E' del resto evidente che la normativa  contestata  non  riguarda
principi fondamentali della materia. 
    Come  costantemente  affermato  da  codesta  Corte,  infatti,  la
relazione tra normativa di principio  e  normativa  di  dettaglio  va
intesa «nel senso  che  alla  prima  spetta  prescrivere  criteri  ed
obiettivi, essendo  riservata  alla  seconda  l'individuazione  degli
strumenti concreti da  utilizzare  per  raggiungere  detti  obiettivi
(sentenze n. 430 del 2007 e n. 181 del 2006). In  altri  termini,  la
funzione dei principi fondamentali e' quella di costituire  un  punto
di  riferimento  in  grado  di  orientare  l'esercizio   del   potere
legislativo regionale (sentenza n. 177 del 1988)» (cosi', da  ultimo,
la sentenza 2 luglio 2009, n. 200). Nella specie, si tratta invece di
disposizioni non suscettibili di alcuno sviluppo ulteriore  da  parte
del  legislatore  regionale  e  palesemente  dirette  a  sanare   una
situazione  particolarissima  ed   eccezionale   verificatasi   nelle
elezioni regionali in corso, con l'introduzione  addirittura  di  due
norme eccezionali e derogatorie, applicabili  per  le  sole  elezioni
indette per i prossimi 28/29 marzo (l'art. 1, comma 4,  che  contiene
una deroga ai termini di presentazione delle liste  e  l'art.  2  che
deroga ai termini di affissione del manifesto recante le stesse). 
    I.2 - Sotto un ulteriore  profilo,  con  particolare  riferimento
all'ordinamento della Regione Lazio, assume  rilievo  la  circostanza
che il legislatore regionale ha esercitato, dopo  l'intervento  della
legge n. 165/2004, che  ha  fissato  i  principi  fondamentali  della
materia, la  competenza  attribuitole  dall'art.  122,  primo  comma,
Cost., emanando la legge 13  gennaio  2005,  n.  2  (Disposizioni  in
materia di elezione del Presidente della Regione e del consiglio e di
ineleggibilita' e di incompatibilita' dei componenti della  giunta  e
del consiglio regionale). 
    L'art. 1 di detta legge prevede che «per quanto non espressamente
previsto, sono recepite la legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme  per
la elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale) e
la legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme  per  la  elezione  dei
consigli delle regioni a statuto ordinario), e successive modifiche e
integrazioni». 
    Si  tratta  di  un  rinvio  recettizio,  mediante  il  quale   il
legislatore   regionale   ha   inteso   introdurre   una   disciplina
materialmente  identica  a  quella  richiamata  (apportandovi  alcune
modifiche), che esclude ogni successiva modificazione  della  stessa.
E', infatti, chiaro che il legislatore regionale non puo' aver inteso
introdurre un  meccanismo  di  rinvio  dinamico,  che  -  comportando
l'automatico recepimento  nell'ordinamento  regionale  di  successive
norme, anche di dettaglio, statali - si risolverebbe in un'anomala ed
illegittima «abdicazione» alle proprie competenze  costituzionalmente
garantite. 
    Del resto la disposizione in esame e' analoga a  quella  prevista
dalla legge della Regione Abruzzo 19 marzo 2002, n.  1,  sulla  quale
codesta Corte si e' pronunciata con la citata sentenza  n.  196/2003,
chiarendo che: a) mediante il rinvio alle  disposizioni  della  legge
statale e la loro parziale sostituzione, si  e'  data  «vita  ad  una
singolare legge regionale dal testo  corrispondente  a  quello  della
legge statale»; b) tale «recepimento» va inteso  «nel  senso  che  la
legge regionale viene a  dettare,  per  relationem,  disposizioni  di
contenuto identico a quelle della  legge  statale,  su  alcune  delle
quali, contestualmente, gli articoli successivi operano modificandole
o sostituendole: ferma restandone  la  diversa  forza  formale  e  la
diversa sfera di efficacia»; c) «la legge statale continua a spiegare
l'efficacia che  le  e'  propria;  la  legge  regionale  non  fa  che
introdurre  una  disciplina  materialmente  identica,   in   cui   le
disposizioni  che  vengono  dettate  in  «sostituzione»   di   quelle
corrispondenti  della  legge  dello  Stato  esplicano  tale   effetto
sostitutivo solo con riguardo alla sfera  di  efficacia  della  legge
regionale di "recepimento",  senza  intaccare  la  diversa  sfera  di
efficacia della legge statale». 
    Nella Regione Lazio, quindi, le  elezioni  del  Consiglio  e  del
Presidente sono regolate dalla legge regionale n. 2/2005, che prevede
una disciplina materialmente identica,  tranne  alcune  modifiche,  a
quella recata, all'epoca della sua entrata in vigore, dalle leggi  n.
108/1968 e n. 43/1995. 
    Tale disciplina, ai sensi dell'art. 122, primo comma, Cost., puo'
essere modificata o interpretata dal solo legislatore regionale. 
    Di  qui  l'incostituzionalita'   del   decreto-legge   impugnato,
mediante il quale il legislatore statale - attraverso una  (fittizia)
interpretazione  della  disciplina  del  '68,  recepita  dalla  legge
regionale  -  pretende   d'incidere   sulla   concreta   portata   di
quest'ultima, cosi eludendo il limite postogli dall'art.  122,  comma
1, Cost. 
    I.3 - Deve a  questo  punto  evidenziarsi  che  il  decreto-legge
impugnato definisce interpretativa una  disciplina  che,  invece,  ha
natura innovativa. 
    Le disposizioni di cui al decreto-legge n. 29/2010 non assegnano,
infatti, alle disposizioni pretesamente interpretate  un  significato
in esse gia' contenuto,  ma  fanno,  invece,  valere  un  significato
diverso da quello desumibile dal  loro  testo  originario,  di  fatto
abrogandole e sostituendole - con efficacia retroattiva -  con  norme
nuove e diverse. 
    Piu' in particolare: 
        A) sul carattere innovativo dell'art. 1, comma 1, del d.l. n.
29/2010: 
          La prima disposizione pretesamente interpretata  e'  l'art.
9, comma 1, della legge n. 108/1968, il quale dispone che  «le  liste
dei  candidati  per  ogni  collegio  devono  essere  presentate  alla
cancelleria  del  tribunale  di  cui  al  primo  comma  dell'articolo
precedente dalle  ore  8  del  trentesimo  giorno  alle  ore  12  del
ventinovesimo giorno  antecedenti  quelli  della  votazione;  a  tale
scopo, per il periodo suddetto, la cancelleria del  tribunale  rimane
aperta quotidianamente, compresi i giorni festivi, dalle ore  8  alle
ore 20». 
    Il testo della norma e' chiaro  nel  riferire  i  termini  ad  un
preciso adempimento: la presentazione delle  liste  alla  cancelleria
del tribunale. 
    La norma in esame, invece, riferisce i termini di  cui  al  primo
comma dell'art. 9, non piu' all'adempimento della presentazione delle
liste  alla  cancelleria  del  tribunale,  bensi'  all'ingresso   dei
delegati di lista nei locali del Tribunale. Si tratta chiaramente  di
un significato non ricavabile dal testo della norma «interpretata»  -
che utilizza l'espressione, inequivoca, «alla cancelleria» - e che la
innova:  alla   stregua   della   disciplina   contestata,   infatti,
l'adempimento da effettuarsi entro i termini stabiliti non e' piu' la
presentazione delle liste ala cancelleria, ma  il  semplice  ingresso
nei locali del Tribunale. 
    B) sul carattere innovativo dell'art. 1, comma  2,  del  d.l.  n.
29/2010: 
    Altra  norma  pretesamente  interpretata  e'   quella   contenuta
nell'articolo 9 della legge n. 108/1968, ai sensi del quale «la firma
degli elettori (...) deve essere autenticata da uno dei  soggetti  di
cui all'art. 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53 (...)». 
    Ora, l'art. 14 della legge n. 53/1990 cui tale  articolo  rinvia,
non  solo  indica   i   soggetti   competenti   ad   autenticare   la
sottoscrizione delle liste, ma - tramite il rinvio all'art. 20, comma
3, della legge 4 gennaio 1968, n. 15 -  stabilisce  che  il  pubblico
ufficiale   che   autentica   «deve   indicare   le   modalita'    di
identificazione, la data e il luogo della autenticazione, il  proprio
nome e cognome, la qualifica rivestita, nonche'  apporre  la  propria
firma per esteso ed il timbro dell'ufficio». 
    L'art. 21, comma 2, del d.P.R. 28 dicembre  2000,  n.  445  (che,
all'art. 77, ha abrogato la legge 4 gennaio 1968, n. 15), ha ribadito
che «(...) il pubblico  ufficiale,  che  autentica,  attesta  che  la
sottoscrizione e' stata apposta in sua presenza, previo  accertamento
dell'identita'   del   dichiarante,   indicando   le   modalita'   di
identificazione, la data ed il luogo di  autenticazione,  il  proprio
nome, cognome e la qualifica rivestita, nonche' apponendo la  propria
firma e il timbro dell'ufficio». 
    E'  sempre  stato  pacifico,  poi,  che  la   regolarita'   delle
operazioni di autenticazione costituisce un momento essenziale  della
presentazione della lista, inteso a garantire che  la  sottoscrizione
della stessa corrisponda effettivamente alla volonta' della  frazione
di  elettorato,  e  che  «sia  la  firma  del  soggetto  che  procede
all'autenticazione, sia la data ed il  luogo  in  cui  la  stessa  e'
effettuata sono richieste ad substantiam per il raggiungimento  dello
scopo al quale e' preordinato  l'atto  accertativo,  consistente  nel
provare  la  verita'  dei  fatti  dichiarati,  e  che  quindi  devono
ritenersi elementi essenziali dell'attivita' certificativa svolta dal
pubblico  ufficiale,  sicche'  il  difetto  dei  suddetti   requisiti
determina   la   nullita'   dell'autenticazione   delle   firme   dei
sottoscrittori  della  lista  e  la  sua  ricusazione,  da  reputarsi
insanabile,  in   quanto   ogni   eventuale   successiva   produzione
integrativa finirebbe col frustrare la  imprescindibile  esigenza  di
certezza perseguita dall'atto» (cosi', da ultimo, T.A.R.  Campania  -
Napoli, Sez. II, 29 maggio 2009, n. 3017, che  conferma  il  costante
orientamento seguito dai giudici amministrativi sin  dalla  decisione
del Consiglio di Stato 29 giugno 1979, n. 470). 
    Deriva da quanto sin qui affermato che il comma 2 dell'art. 1 del
decreto-legge n. 29/2010 ha chiaramente natura innovativa nella parte
in cui «trasforma» la carenza delle forme  richieste  ad  substantiam
per la validita' dell'autenticazione in  «un'irregolarita'  meramente
formale». 
    C) sulla natura espressamente innovativa dell'art. 1, comma 4,  e
dell'art. 2 del d.l. n. 29/2010. 
    Il d.l. n. 29/2010 reca poi alcune disposizioni,  la  cui  natura
innovativa viene riconosciuta dallo stesso legislatore. 
    La prima e' l'art. 1, comma 4, ai sensi del quale i delegati che,
alle elezioni regionali attualmente  in  corso,  non  hanno  assolto,
entro i termini di cui all'art. 9, comma 1, della legge n.  108/1968,
all'adempimento   della   presentazione   delle   liste   presso   la
cancelleria, se provano di essersi trovati, entro detti termini,  nei
locali del tribunale muniti della documentazione prescritta, «possono
effettuare la presentazione delle liste dalle ore otto alle ore venti
del primo giorno non festivo  successivo  a  quello  dell'entrata  in
vigore del presente decreto». 
    Si tratta, quindi, di una disposizione eccezionale e  derogatoria
dei termini di presentazione delle liste previsti dall'art. 9,  comma
1, della legge n. 108/1968. 
    Altrettanto  deve  dirsi  dell'art.  2,   rubricato   «norma   di
coordinamento  del  procedimento  elettorale»,  che  deroga,  per  le
elezioni regionali attualmente in corso, i termini di affissione  del
manifesto  recante  le  liste  e  le  candidature  ammesse   previsto
dall'art. 11 della legge n. 108/1968. 
    I.4 - La natura  innovativa  del  decreto-legge  impugnato  rende
allora ancor piu' grave ed  evidente  la  violazione  dell'art.  122,
secondo comma, Cost. 
    Invero,  il  trasferimento  della  competenza  legislativa   alle
Regioni comporta la preclusione al legislatore statale del potere  di
legiferare in materia - se non per introdurre i principi fondamentali
della stessa - e quindi anche di dettare un'interpretazione autentica
della disciplina di dettaglio previgente,  applicabile  alle  Regioni
che non si sono dotate di una propria legge in forza del principio di
continuita'. E' tuttavia chiaro che l'invasione nella sfera riservata
al legislatore statale e' ancor piu' grave ed evidente se  si  tratta
di una disciplina solo fittiziamente interpretativa,  ma  in  realta'
innovativa. 
    Con  particolare  riferimento  alla   Regione   Lazio,   che   ha
disciplinato il procedimento elettorale con una propria  legge,  deve
poi  Osservarsi  che  l'intervento  legislativo  contestato,   avendo
carattere innovativo, e' volto addirittura a sostituire (e  non  solo
ad interpretare; il che, si ripete, sarebbe comunque illegittimo)  la
disciplina regionale, in aperta violazione dell'art. 122 Cost. 
II) Violazione degli artt. 3, 24, 25, 48, 102, 104 e 111 Cost. 
    La natura solo  fittiziamente  interpretativa  del  decreto-legge
contestato ne  determina,  inoltre,  l'illegittimita'  costituzionale
anche in riferimento all'art. 3 Cost. 
    In  proposito,  giova  richiamare  il  costante  insegnamento  di
codesta Corte secondo cui «va riconosciuto  carattere  interpretativo
soltanto ad una legge che,  fermo  il  tenore  testuale  della  norma
interpretata,  ne  chiarisce   il   significato   normativo,   ovvero
privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di  guisa  che
il contenuto precettivo e' espresso dalla coesistenza delle due norme
(quella  precedente  e  l'altra  successiva  che  ne   esplicita   il
signfficato), le quali rimangono entrambe in  vigore  e  sono  quindi
anche idonee ad essere  modificate  separatamente».  Il  legislatore,
mentre puo' legittimamente porre in  essere  una  legge  avente  tali
caratteristiche,  non  puo'  invece  distorcere  la  tipica  funzione
dell'interpretazione   autentica,   con   il   connaturato    effetto
retroattivo, attribuendo carattere interpretativo a disposizioni  che
hanno invece portata innovativa: cosi' facendo, infatti, egli snatura
la funzione  propria  della  legge  interpretativa,  oltrepassando  i
limiti della ragionevolezza, in violazione dell'art. 3  cost.  (Corte
costituzionale, 4 aprile 1990, n. 155). 
    Inoltre, secondo l'ormai  consolidato  orientamento  della  Corte
costituzionale,  poiche'  le  leggi  di   interpretazione   autentica
appartengono al genus delle leggi retroattive, incontrano i  medesimi
limiti,  indipendentemente  dal  loro  carattere   effettivamente   o
«fittiziamente» interpretativo. Pertanto esse sono costituzionalmente
legittime solo se hanno natura extra-penale ed a  condizione  che  la
retroattivita'  non  si  ponga  in  contrasto  con  altri  valori  ed
interessi costituzionalmente protetti, tra i quali  vanno  ricompresi
la   tutela   dell'affidamento,   la   coerenza   e    la    certezza
dell'ordinamento   giuridico   ed   il   rispetto   delle    funzioni
costituzionalmente  riservate  al  potere  giudiziario  (sentenze  23
novembre 1994, n. 397; 11 giugno 1999, n. 229;  27  luglio  2000,  n.
374; 22 novembre 2000, n. 525; 17 maggio  2001,  n.  136;  23  luglio
2002, n. 374; 4 agosto 2003, n. 291; 6  dicembre  2004,  n.  376;  26
giugno 2007, n. 234). 
    Deve allora evidenziarsi che il decreto-legge contestato e' stato
adottato   quando   erano   gia'   pendenti,   dinanzi   ai   giudici
amministrativi, i ricorsi aventi ad  oggetto  l'ammissibilita'  della
lista «Il Popolo della liberta'» nella  Provincia  di  Roma  e  della
lista «Per la Lombardia» in Lombardia, con norme  intenzionalmente  e
preordinatamente dirette ad influire su detti giudizi, onde provocare
la riammissione delle suddette liste. 
    L'esercizio della funzione legislativa, tuttavia, anche  in  sede
d'interpretazione autentica, deve risolversi nella sola emanazione di
norme generali ed astratte senza interferire nello svolgimento  della
diversa funzione di interpretazione ed applicazione  della  legge  ai
casi concreti,  essendo  questa  riservata  dalla  Costituzione  agli
organi giudiziari. Per questa ragione, il d.l. n. 29/2010 vulnera  la
funzione giurisdizionale ed altera le garanzie del giusto processo in
contrasto con gli artt. 24, 102, 104 e 111 cost.  (cfr.  sentenza  23
novembre 1994, n. 397). 
    Infine, sotto un ulteriore  profilo,  deve  evidenziarsi  che  il
decreto-legge contestato viola altresi' gli artt. 3  e  48  Cost.  in
quanto l'uguaglianza del voto e' garantita solo se, nel  procedimento
presupposto alla votazione, vi sia stata par condicio. 
III) Violazione degli artt. 72, comma 4, e 77, comma 2, Cost. 
    In materia elettorale l'art. 72, quarto comma Cost., prevede  una
riserva di assemblea, sicche', detta materia puo' essere disciplinata
solo dalla legge, intesa in senso formale, e non da altri atti aventi
forza  di  legge.  Tale   limite,   direttamente   ricavabile   dalla
disposizione costituzionale, e' stato esplicitato dall'art. 15, comma
2, lettera b), della legge n. 400/1988 ed e' nella specie chiaramente
violato. 
    Inoltre,  il  carattere  pretesamente  interpretativo  di   norme
vigenti da oltre quarant'anni e la retroattivita'  del  decreto-legge
censurato testimoniano l'assenza, nella specie,  dei  presupposti  di
necessita'  e  di  urgenza  che  soli  legittimano  il  ricorso  alla
decretazione d'urgenza,  con  conseguente  violazione  dell'art.  77,
secondo comma, Cost. 
 
                          Istanza cautelare 
 
    Si chiede a codesta ccc.ma Corte di voler sospendere l'esecuzione
delle norme impugnate ai sensi dell'art. 35, comma 1, della legge  n.
87/1953. 
    E' infatti evidente il  grave  ed  irreparabile  pregiudizio  che
deriverebbe all'interesse  pubblico  al  regolare  svolgimento  delle
elezioni regionali nel caso in cui le consultazioni del  28-29  marzo
2010 si svolgessero sulla base di norme suscettibili di  declaratoria
di incostituzionalita'. 
    In particolare si evidenzia che le disposizioni di  cui  all'art.
1,  commi  1  e  4,  sono  volte  proprio  a  sanare  la   dichiarata
inammissibilita' della lista del PDL nel collegio della Provincia  di
Roma. E' chiaro tuttavia che qualora detta lista venisse  ammessa  ai
sensi dell'art. 1  del  decreto-legge  n.  29/2010,  la  declaratoria
d'incostituzionalita' di tale articolo travolgerebbe,  invalidandolo,
il risultato elettorale, con conseguente grave pregiudizio sia per la
Regione, sia per i cittadini elettori. 
 
       All'illustrissimo Presidente della Corte costituzionale 
 
 
                  Istanza di riduzione dei termini 
 
    In  considerazione  dell'estrema  urgenza  di  una  pronuncia  di
codesta Corte sulla  legittimita'  costituzionale  del  decreto-legge
impugnato, che pretende di regolare il procedimento per  le  elezioni
regionali indette per il 28/29 marzo 2010, si chiede alla s.v. ill.ma
di voler disporre, ai sensi dell'art. 9 della legge Cost. n.  1/1953,
la riduzione dei termini del presente procedimento nella misura  piu'
ampia possibile. 

(1) E' bene evidenziare che il caso deciso nella sentenza n. 232/2006
    e' del tutto analogo a quello di specie: la Regione Trentino-Alto
    Adige aveva  adottato  una  legge  interpretativa  di  una  norma
    regionale in materia di  elezione  dei  consiglieri  provinciali,
    sebbene la legge costituzionale n. 2 del 2001, modificando l'art.
    47  dello  statuto  speciale,  avesse  trasferito  alle  Province
    autonome  di  Trento  e  Bolzano  la  competenza  legislativa  in
    materia. La legge costituzionale citata aveva peraltro  previsto,
    nelle disposizioni transitorie, che, nella Provincia di  Bolzano,
    si continuassero ad applicare «le leggi elettorali vigenti»  fino
    alla  data  di  entrata  in  vigore  della   legge   provinciale.
    Quest'ultima era si' intervenuta, ma si era limitata a richiamare
    al riguardo la precedente legge  regionale,  apportandovi  alcune
    modifiche. In  tale  contesto,  la  Corte  ha  chiarito  che  «la
    disposizione transitoria (...) non vale certamente a ripristinare
    in capo alla Regione la competenza legislativa sottrattale con il
    primo comma».  Essa  infatti  e'  volta  a  «far  salva,  in  via
    transitoria, non gia' la competenza legislativa regionale, ma  le
    leggi elettorali "vigenti" emanate da chi, fino a  quel  momento,
    aveva  la  relativa  competenza».   Sicche',   «la   riproduzione
    pressoche' letterale della norma transitoria da parte della legge
    provinciale  (...)  non  incide  affatto   sull'unica,   decisiva
    circostanza della perdita da parte del Consiglio regionale  della
    potesta' legislativa in materia, e cio' a prescindere  del  tutto
    dall'esercizio  da  parte  della  Provincia  autonoma   di   tale
    potesta'».