IL TRIBUNALE 
 
    Il  Giudice  del  lavoro,  dott.  Alessandro   Di   Giacomo,   ha
pronunciato la seguente ordinanza nella causa di lavoro iscritta  sul
ruolo generale affari contenziosi al n. 309 dell'anno 2008 tra Pretta
Pier Paolo e la Meridiana s.p.a. 
 
                                Fatto 
 
    Con ricorso depositato  il  10  giugno  2008  Pretta  Pier  Paolo
conveniva in giudizio innanzi al Tribunale  di  Tempio  Pausania,  in
funzione di Giudice del Lavoro, la Meridiana s.p.a., ed  esponeva  di
aver lavorato con la qualifica di assistente di volo, alle dipendenze
della societa' convenuta, a tempo determinato dal 1° luglio  2004  al
31 marzo 2005, dal 1° maggio 2005 al 31 agosto 2005, dal 1°  dicembre
2005 al 31 marzo 2006, dal 1° giugno 2006 al 30 novembre 2006, dal 1°
febbraio 2007 al 30 giugno 2007, dal 1° settembre 2007 al 31  gennaio
2008, dal 1° maggio 2008 al 30 settembre 2008. 
    Esponeva che i contratti di cui sopra erano  stipulati  ai  sensi
del d.lgs. n. 368/2001 e senza causa giustificativa  dell'apposizione
del termine, stante il richiamo generico  al  d.lgs.  n.  368/01,  in
assenza   di   specificazione   delle   ragioni   che    giustificano
l'apposizione del termine. 
    Deduceva che l'apposizione del termine  ai  contratti  suindicati
era illegittima perche' in contrasto con  le  disposizioni  di  legge
vigenti, e in particolare con l'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, il
quale consente la stipulazione di contratti a termine solo «a  fronte
di  ragioni  di  carattere  tecnico,  produttivo,   organizzativo   o
sostitutivo» e dispone che l'apposizione stessa e' «priva di  effetto
se non risulta, direttamente o indirettamente, da  atto  scritto  nel
quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1». 
    Alla luce di  tale  disposizione,  deduceva  che  la  motivazione
addotta era generica dal momento che  non  indicava  le  ragioni  che
avevano  determinato  l'apposizione  del  termine,   cosi'   da   non
consentire al lavoratore ed al  Giudice  di  valutare  l'effettivita'
della motivazione e la sussistenza del  necessario  nesso  eziologico
tra il motivo addotto e l'assunzione a tempo determinato. 
    Chiedeva, pertanto, che, previa declaratoria della  nullita'  del
termine apposto ai contratti stipulati tra le parti, fosse dichiarato
che fra le parti si era instaurato un rapporto di lavoro  subordinato
a tempo indeterminato dal  1° luglio  2004  o,  in  subordine,  dalla
successiva data di decorrenza del primo contratto riconosciuto  nullo
e che la convenuta S.p.A. Meridiana fosse condannata a riammettere il
ricorrente in servizio con le stesse mansioni indicate nei  contratti
a termine ed a risarcirlo dei danni subiti. 
    La  societa'  Meridiana  resisteva   alla   domanda   assumendone
l'infondatezza nel merito, stante la legittimita' del termine apposto
ai contratti a norma dell'art 2 d.lgs. n. 368/01 ed eccepiva in  ogni
caso la prescrizione ex art. 2948 c.c.  delle  pretese  di  carattere
economico nascenti dal rapporto di lavoro dedotto in giudizio. 
 
                               Diritto 
 
    Deve in primo luogo osservarsi che  sono  fatti  incontestati  la
stipulazione tra le parti dei contratti a termine indicati in ricorso
e lo svolgimento da parte del ricorrente delle mansioni di assistente
di volo alle dipendenze della societa'  Meridiana  s.p.a.  Il  quadro
normativo di riferimento e'  costituito,  per  tutti  i  contratti  a
termine stipulati tra le parti, dal d.lgs. n. 368/2001, che regola ex
novo la materia del contratto di lavoro  a  termine,  prima  regolata
dalla legge 18 aprile 1962 n. 230  e  dall'art.  23  della  legge  n.
56/1987. Secondo la disciplina del contratto a termine  di  cui  alla
legge 230/1962, il contratto  a  tempo  indeterminato  costituiva  la
regola e  l'assunzione  a  termine  l'eccezione;  tale  principio  e'
confermato anche dall'art. 23  legge  56/1987,  che  consentiva  alla
contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi  di  legittima
apposizione  di  un  termine  al  contratto  individuale  di  lavoro,
ulteriori rispetto a quelle previste  dall'art  1 legge   230/1962  e
dall'art. 8 bis d.l. 29 gennaio 1982 n  17,  determinando  quindi  un
ampliamento del numero di eccezioni previste dall'art. 1 della  legge
del 1962, senza tuttavia capovolgere il principio  generale  predetto
(cfr. Cass. 21 maggio 2003  n.  8015;  Cass.  1°   dicembre  2003  n.
18354). 
    Peraltro il contratto a tempo indeterminato continua ad essere la
forma ordinaria dei rapporti  di  lavoro  pure  nel  vigente  sistema
normativo, poiche'  il  d.lgs.  n.  368/2001  non  ha  modificato  il
rapporto di regola-eccezione  sopra  detto,  per  quanto  di  seguito
esposto. Il decreto e' stato emanato dal Governo per dare  attuazione
alla direttiva del Consiglio dell'unione europea n. 70 del 28  giugno
1999 e nell'ambito della delega conferita dal Parlamento con legge n.
422 del 29 dicembre 2000. Occorre sottolineare che il contenuto della
direttiva  riprende  integralmente  (richiamandolo  sotto  forma   di
allegato) l'accordo quadro sul lavoro  a  tempo  determinato  del  18
marzo 1999  intervenuto  tra  le  organizzazioni  intercategoriali  a
carattere generale (Ces, Ceep e Unce),  accordo  che  delinea  alcuni
punti cardine tra i quali quello sopra riportato. 
    Sulla base di tali punti, in primo luogo, il d.lgs. n.  368/2001,
mediante  l'abrogazione,  tra  le  altre,  della  disciplina  di  cui
all'art. 23 legge 56/87, ha comportato che le ipotesi di contratto  a
tempo determinato sono ora esclusivamente previste  dal  legislatore,
seppure la nuova formulazione dell'art. 1 attui  una  semplificazione
delle causali rispetto alle rigide previsioni della  legge  230/1962,
ancorche' caratterizzate  da  definitivita';  in  secondo  luogo,  il
decreto citato detta una disciplina che pone ancora  il  contratto  a
tempo determinato come eccezione, laddove prevede la forma scritta ad
substatiam actum pena l'inefficacia (art. 1);  la  individuazione  di
divieti (art.  3);  la  disciplina  della  proroga  del  termine  con
ulteriori misure di tutela per il lavoratore rispetto alla precedente
legge (art. 4); la regolamentazione della scadenza del termine, della
successione dei contratti e delle  relative  sanzioni  (art.  5);  la
previsione di diritti di informazione dei lavoratori a termine  -  le
cui  modalita'  sono  da  definirsi  ad  opera  della  contrattazione
collettiva nazionale - circa la possibilita' di impiego con contratto
a tempo indeterminato (art. 9). Si tratta di previsioni che tendono a
prevenire abusi nell'utilizzo del  contratto  a  termine  e  appaiono
palesemente indicative della volonta' del legislatore di mantenere il
principio secondo cui nella costituzione del rapporto  di  lavoro  la
regola e' il contratto a tempo indeterminato. 
    Affermato tale principio  e  delineato  il  quadro  normativo  di
riferimento della presente controversia, la  soluzione  della  stessa
richiede di accertare la legittimita' di apposizione del termine  dei
contratti intercorsi  tra  le  parti  nella  vigenza  del  d.lgs.  n.
368/2001, considerato altresi' che 1'art.  1  del  d.lgs.  citato  e'
norma generale, che trova applicazione indistintamente nei  confronti
delle imprese operanti in qualsiasi settore di mercato, mentre 1'art.
2 prevede una disciplina specifica per il settore di trasporto  aereo
e servizi aeroportuali, aggiuntiva  e  non  sostitutiva  della  norma
generale di cui all'art. 1, come confermato dal Ministero del  lavoro
con la circolare n. 42 del 2002. 
    L'art.  2,  infatti,  mira  a  sopperire   alle   implementazioni
stagionali  del  settore  di  trasporto  aereo  che   sono   ritenute
strutturali, individuate dalla stessa norma, ma non  esclude  che  le
stesse imprese si avvalgano della norma generale di  cui  all'art.  1
per ulteriori necessita' di implementazione temporanea dell'organico,
in periodi diversi e/o maggiori di quelli stabiliti dall'art. 2. 
    Ove  le  argomentazioni  del  ricorrente  fossero  accolte  e  si
ritenesse l'illegittimita' del termine  per  violazione  delle  norme
inderogabili di cui al d.lgs. del 2001, ne conseguirebbe la nullita',
ex art. 1419 c.c, e l'applicabilita' della sanzione della conversione
del contratto a termine nel contratto a tempo indeterminato,  essendo
le parti vincolate ope legis da un rapporto lavorativo  senza  limiti
di tempo. 
    Infatti, si Osserva che la sanzione della conversione  non  opera
solo nelle ipotesi previste dall'attuale art. 5 d.lgs. n. 368/01,  ma
anche, secondo il costante orientamento  giurisprudenziale  elaborato
nel vigore della legge  230/62,  nei  contratti  di  lavoro  a  tempo
determinato elusivi delle norme inderogabili di legge. 
    Su tale situazione inciderebbe in maniera determinante 1'art. 21,
comma 1-bis, della legge 6  agosto  2008,  n.  133  («Conversione  in
legge, con modificazioni, del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.  112,
recante  disposizioni  urgenti  per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica e la perequazione tributaria») che recita: 
    1-bis. Dopo l'articolo 4  del  decreto  legislativo  6  settembre
2001, n. 368, e' inserito il seguente: 
    «Art. 4-bis. (Disposizione transitoria  concernente  l'indennizzo
per la violazione delle norme in materia di apposizione e di  proroga
del termine). - 1. Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data
di entrata in vigore della presente disposizione, e  fatte  salve  le
sentenze  passate  in  giudicato,  in  caso   di   violazione   delle
disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore  di  lavoro  e'
tenuto  unicamente  a  indennizzare  il  prestatore  di  lavoro   con
un'indennita' di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un  massimo
di sei mensilita' dell'ultima retribuzione globale  di  fatto,  avuto
riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della  legge  15  luglio
1966, n. 604, e successive modificazioni». 
    Sulla base di tale norma, poiche' il  presente  giudizio  era  in
corso alla data di entrata in vigore della  medesima  ed  e'  tuttora
pendente,  la  ritenuta  illegittimita'   dei   contratti   a   tempo
determinato stipulati tra le parti per violazione della disciplina di
cui al d.lgs n. 368/01 (ove condivisa  da  questo  giudice)  dovrebbe
comportare, non gia' la conseguenza  che  l'apposizione  del  termine
debba essere considerata priva  di  effetto  ed  il  contratto  debba
essere dichiarato sin  dall'inizio  a  tempo  indeterminato,  con  il
conseguente diritto del lavoratore ad essere riammesso in servizio ed
alla corresponsione delle retribuzioni dall'epoca in cui ha posto  le
proprie energie  lavorative  a  disposizione  del  datore  di  lavoro
(eventualmente detratto  l'aliunde  perceptum),  bensi'  soltanto  il
diritto di percepire un'indennita' di importo compreso tra un  minimo
di 2,5 ed un massimo di 6 mensilita' dell'ultima retribuzione globale
di fatto. 
    Di   qui   la   rilevanza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale che si intende sollevare.  Tale  nuova  normativa,  ad
avviso del Tribunale, appare non infondatamente sospetta  di  violare
il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 
    Deve infatti considerarsi che, ove  mai  altro  lavoratore  nelle
stesse identiche condizioni dell'odierno  ricorrente  (assunto  cioe'
con contratto a tempo determinato di identico tenore) facesse  valere
le stesse ragioni di illegittimita' con  un  giudizio  introdotto  ex
novo in data odierna, e comunque dopo la data di  entrata  in  vigore
dell'art. 4 bis, quel lavoratore avrebbe diritto alla riassunzione  e
non  gia'  all'indennita'  sopra  richiamata  non   essendo   a   lui
applicabile la norma transitoria. 
    Anzi, a ben vedere, se lo stesso odierno  ricorrente,  invece  di
adire immediatamente il giudice del lavoro, avesse proposto la  causa
dopo 1'entrata in vigore  della  norma  transitoria  di  cui  qui  si
discute,  avrebbe  pieno  titolo  per  chiedere  la  riassunzione  in
servizio. 
    Ne  consegue  che  diverse  persone,  nella  medesima  situazione
giuridica, si troverebbero a godere di una tutela dei propri  diritti
sensibilmente diversa (sicuramente meno intensa nel caso di coloro ai
quali  viene  riconosciuto  soltanto   l'indennizzo)   senza   alcuna
giustificazione se non quella di aver proposto la domanda  giudiziale
in tempi diversi pur nell'identita'  del  quadro  normativo  generale
applicabile alle rispettive fattispecie, con evidente violazione  del
principio di ragionevolezza. 
    Senza dire che, per effetto della nuova  norma,  paradossalmente,
verrebbe penalizzato proprio colui che per primo ha fatto ricorso  al
giudice, di modo che la norma appare irragionevolmente  punitiva  nei
confronti di chi ha mostrato di  voler  reagire  prontamente  ad  una
violazione di legge. 
    Sotto altro aspetto, la  norma  denunciata  sembra  in  contrasto
anche con il generale principio dell'affidamento del cittadino  sulla
certezza  e  sicurezza  dell'ordinamento  giuridico  quale   elemento
essenziale dello Stato di diritto; principio piu'  volte  valorizzato
dalla giurisprudenza costituzionale. 
    In tale prospettiva, si deve rimarcare che la giurisprudenza piu'
recente (v. Cass. 21 maggio 2008,  n.  12985)  non  dubita  che  alla
violazione  della  disciplina  di  cui  al  d.lgs.   368/2001   debba
conseguire la sanzione della conversione del rapporto  di  lavoro  in
rapporto a tempo indeterminato per nullita' parziale  della  clausola
appositiva del  termine,  con  la  conseguente  instaurazione  di  un
contratto di lavoro a tempo indeterminato. 
    E  di  tanto,  a  ben  vedere,  non  dubita  neanche  lo   stesso
legislatore il quale, altrimenti, piuttosto che la norma  transitoria
di cui all'art. 4 bis, espressamente dichiarata applicabile  ai  soli
procedimenti in  corso,  avrebbe  dettato  una  norma  interpretativa
ovvero una norma  destinata  stabilmente  a  regolare  tutti  i  casi
presenti e futuri. 
    Ne consegue dunque che la  nuova  norma  viola  il  principio  di
affidamento dei cittadini sulla certezza  dell'ordinamento  giuridico
posto che solo ad una parte di essi, e cioe'  a  coloro  che  avevano
intrapreso   i   giudizi    (ancora    pendenti)    affidandosi    ad
un'interpretazione giurisprudenziale consolidata, nega  il  beneficio
della riassunzione con contratto  di  lavoro  a  tempo  indeterminato
sostituendolo con quello, molto meno satisfattivo, di  un'indennita',
oltretutto modesta. 
    La norma denunciata sembra, altresi', contrastare con 1'art. 117,
comma 1, Cost., secondo cui la  potesta'  legislativa  e'  esercitata
dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione,  nonche'
dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e  dagli  obblighi
internazionali, in relazione all'art.  6  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle liberta' fondamentali  del
4 novembre 1950, resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    La norma della Convenzione, alla quale lo Stato Italiano si  deve
conformare, nell'affermare che ogni persona ha diritto ad  un  giusto
processo dinanzi ad un Tribunale indipendente ed imparziale,  impone,
in  definitiva,  al   potere   legislativo   di   non   intromettersi
nell'amministrazione della giustizia allo  scopo  di  influire  sulla
risoluzione di una controversia o di  una  determinata  categoria  di
controversie. 
    Nella  fattispecie  in  esame  certamente  non  infondato  e'  il
sospetto  che,  con  la  norma  transitoria  piu'  volte  citata,  il
legislatore abbia violato il suddetto principio. 
    Alla stregua di tutte  le  considerazioni  sin  qui  esposte,  il
Tribunale ritiene di dover sollevare  la  questione  di  legittimita'
costituzionale della norma indicata in  dispositivo,  sospendendo  il
presente giudizio.