IL TRIBUNALE Il giudice nel procedimento penale nei confronti di Sunny Ighodaro nato in Benin City (Wan) il 5 marzo 1980 imputato del delitto di cui all'art. 73 comma 1-bis del d.P.R. n. 309/1990 e art. 61 numero 11-bis c.p. «per avere detenuto al fine di cessione a terzi complessivi grammi 3,9 di sostanza stupefacente di tipo cocaina suddivisa in tre involucri pronti per la vendita con l'aggravante dello status di soggetto illegalmente presente nello Stato» per fatto commesso in Ferrara il 20-21 giugno 2008, libero, ha pronunciato la seguente ordinanza dandone lettura ai presenti all'udienza del 26 gennaio 2010. 1. - Il processo. Sunny Ighodaro e' stato fermato da ufficiali ed agenti di Polizia giudiziaria della Squadra mobile di Ferrara il giorno 20 giugno 2008 mentre stava percorrendo la via Gaetano Pesci in direzione via Bologna a bordo della vettura Toyota Celica AZ128DC. La Squadra mobile aveva ricevuto confidenziali notizie in base alle quali il cittadino nigeriano avrebbe dovuto consegnare droga a terzi presso un parcheggio del centro sociale Rivana Garden sito in via Gaetano Pesci in Ferrara; avendo fondato motivo di ritenere - dopo la negativa perquisizione personale e veicolare - che lo straniero avesse ingoiato la sostanza stupefacente, gli agenti hanno accompagnato il conducente unico occupante della vettura presso l'Ospedale S. Anna ove, con il consenso della persona, era sottoposto ad accertamenti. Le indagini radiologiche evidenziavano la presenza di tre corpi estranei di forma sferica di cui uno nel tratto esofageo medio e due nel fondo gastrico (certificato del medico radiologo dott. Rollo fg.20). L'adeguata terapia lassativa provocava l'espulsione dei tre «ovuli» presi immediatamente in consegna dagli ufficiali di PG ed analizzati mediante drop test con esito positivo alla cocaina. Lo straniero, dimesso dal nosocomio, era quindi tratto in arresto per detenzione a fine di spaccio di cocaina ed associato alla casa circondariale di Ferrara. Il giudice delle indagini preliminari in data 23 giugno 2008 convalidava l'arresto ed applicava la misura cautelare della custodia in carcere. Nel frattempo era eseguita dal p.m. una consulenza chimico tossicologica che confermava la natura della sostanza (cocaina cloridrato) il contenuto assoluto di principio attivo (grammi 0,97) ed il peso totale (grammi 3,9). Con richiesta pervenuta il 25 giugno 2008 il Procuratore della Repubblica chiedeva al Tribunale di Ferrara in composizione monocratica di procedere al giudizio direttissimo ai sensi dell'art. 449, comma 4, c.p.p. come modificato dal 23 maggio 2008 n. 92. II Tribunale di Ferrara fissava per il giudizio l'udienza del 30 giugno 2008, rinviata alla successiva del 15 luglio 2008 a seguito di richiesta di termine a difesa. L'imputato rendeva dichiarazioni spontanee asserendo che la droga era detenuta per uso personale. All'udienza del 15 luglio 2008 l'imputato ha chiesto di essere giudicato con il rito abbreviato. All'esito della discussione nell'ambito della quale il p.m. ha concluso chiedendo la condanna a pena nel cui calcolo e' compreso l'aumento per l'aggravante contestata - il tribunale riteneva di sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art.1 lettera f) d.l. 23 maggio 2008 n. 92 recante Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica di modifica dell'art.61 del codice penale mediante introduzione dell'aggravante del «fatto commesso da soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale» per sospetta violazione degli artt. 3, 25 comma 2, 27 comma 1 e 3, Cost. La Corte costituzionale, con ordinanza n. 277 del 29 ottobre 2009 ha restituito gli atti al giudice a quo perche' possa procedere «ad una nuova valutazione circa la rilevanza e la non manifesta infondatezza» della questione di costituzionalita' precedentemente sollevata, in ragione delle novita' legislative nel frattempo sopravvenute e ritenute dalla Consulta «tali da incidere, in via diretta o mediata, sulla disciplina introdotta dalla disposizione censurata». Il riferimento e' da intendersi: 1) alla nuova formulazione della aggravante di clandestinita', a seguito della conversione con modifiche dell'originario decreto-legge, intervenuta con legge 24 luglio 2008, n. 125; 2) alla norma d'interpretazione autentica dell'aggravante di clandestinita', introdotta dall'art. 1, comma 1, Legge 15 luglio 2009, n. 94; 3) all'inserimento nell'ordinamento della nuova fattispecie criminosa di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, ex art. 10-bis Testo Unico sull'immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286), introdotto dall'art. 1 comma 16, legge 15 luglio 2009, n. 94. Secondo la Corte costituzionale spetta al giudice a quo valutare l'impatto di tali variazioni ordinamentali sul quadro normativo di riferimento. Innanzitutto, sotto il profilo della «disciplina codicistica della successione nel tempo di leggi penali». In secondo luogo, in rapporto al «mutato equilibrio tra i fattori» che il giudice delle leggi e' chiamato a prendere in considerazione ai fini della decisione richiesta, in considerazione del fatto che «le condotte riconducibili alla previsione censurata costituiscono oramai l'oggetto di un'autonoma incriminazione, e non la mera espressione di un illecito amministrativo». All'udienza odierna il difensore dell'imputato ha sollevato questione di costituzionalita' dell'aggravante di clandestinita' di cui all'art. 61 n. 11-bis c.p. per violazione degli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione, illustrando oralmente le argomentazioni a sostegno dell'eccezione. Ritiene questo giudice che la questione sia rilevante e non manifestamente infondata. 2.1 - La questione e' rilevante. Ighodaro Sunny e' un cittadino nigeriano privo di permesso di soggiorno (vedi verbale di identificazione fg.10 e dichiarazioni rese nel corso dell'interrogatorio «non ho documenti» «sono clandestino» fg. 38). Il Pubblico Ministero ha contestato l'aggravante di cui all'art. 61 numero 11-bis del codice penale introdotto dal d.l. 23 maggio 2008 n. 92 (art. 1 lettera f). All'odierna udienza il p.m. ha precisato che la contestazione dell'aggravante deve tenersi ferma, in quanto la legge di conversione del decreto legge, pur modificandone il testo, non ne ha modificato la sostanza. Ci si deve dunque porre il problema della continuita' normativa tra la norma di diritto penale sostanziale che ha introdotto l'aggravante nel decreto-legge e il testo risultante dalla norma di conversione. In tema di conversione di decreto-legge, all'introduzione di emendamenti nella legge di conversione non sempre puo' ricondursi la conseguenza di determinare automaticamente la perdita di efficacia ex tunc del decreto-legge, ne' correlativamente, quella di attribuire valore ex nunc al precetto della legge di conversione per mezzo del quale ha trovato ingresso la modificazione, dovendo, al contrario, aversi riguardo allo specifico contenuto degli emendamenti e alla reale portata dei mutamenti al testo del decreto. «Solo gli emendamenti sostitutivi (o innovativi) e quelli soppressivi, disponendo la riscrittura ovvero l'eliminazione della decretazione d'urgenza, hanno efficacia ex nunc, mentre quelli semplicemente modificativi, consistendo in una variazione che non investe il nucleo precettivo fondamentale della norma del decreto-legge, si saldano con quest'ultima in modo continuo, si' che hanno efficacia ex nunc, decorrente dalla data della normazione di urgenza. (Fattispecie relativa ai rapporti tra d.l. n. 59 del 1978 e legge di conversione n. 191 del 1978 in materia di sequestro di persona a scopo di estorsione: Cass. 21 maggio 1998 n. 7451). Alla luce di questa regola di diritto, secondo questo interprete la legge di conversione non ha modificato il contenuto precettivo della disposizione introdotta dal decreto-legge. Il nuovo testo introduce un riferimento al principio di colpevolezza «l'avere il colpevole commesso il fatto» del tutto superfluo in quanto l'aggravante non puo' che applicarsi al responsabile dei fatto secondo principio di colpevolezza (esistenza quindi dell'elemento soggettivo del dolo o della colpa). Il nuovo testo precisa inoltre che il fatto deve essere commesso «mentre» il soggetto si trova illegalmente sul territorio nazionale, differenziandosi solo apparentemente dal testo precedente («fatto commesso da soggetto che si trovi illegalmente...») giacche' entrambi i testi debbono interpretarsi nel senso di una contestualita' tra la condotta del reato e la «condotta» accessoria. Se era il «fatto» a dover essere commesso «da chi» si trova illegalmente sul territorio nazionale ora e' «il colpevole» che deve avere commesso il fatto «mentre» si trova sul territorio nazionale illegalmente: in entrambi i casi e' chiarissimo che il fatto deve essere commesso da persona che e' clandestino mentre lo compie; interpretazioni diverse non sarebbero ammissibili secondo il significato comune delle parole. Cosi' riformulata la disposizione in esame resta comunque rilevante nel giudizio. infatti l'imputato, al momento della commissione del reato per il quale e' processato, gia' rivestiva la condizione di straniero privo di permesso di soggiorno: resta dunque giustificata la contestazione della relativa aggravante da parte del p.m. e, conseguentemente, si conferma l'applicabilita' dell'art. 61 n. 11 bis c.p. nell'ambito del processo. 2.2. - L'interpretazione autentica dell'aggravante. A tenore della sopravvenuta norma d'interpretazione autentica avente ad oggetto l'art. 61 n. 11-bis c.p., l'aggravante di clandestinita' «si intende riferita ai cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi». in ragione di cio' viene a circoscriversi l'ambito soggettivo di applicazione della disposizione interpretata, non piu' contestabile ai cittadini cd. comunitari. La norma d'interpretazione autentica, tipicamente retroattiva, non preclude a questo giudice l'applicazione dell'art. 61 n. 11-bis c.p. Infatti l'imputato a processo, nato in Benin City (Wan), e' cittadino nigeriano, dunque extracomunitario. Come tale, rientra certamente nella sfera soggettiva di applicazione della cd. aggravante di clandestinita'. 2.3. - I rapporti tra aggravante di clandestinita' e reato di immigrazione clandestina. L'introduzione del nuovo reato di immigrazione clandestina attribuisce ora all'illegale presenza dello straniero sul territorio dello Stato un duplice, complementare rilievo penale: a) quale autonoma fattispecie penale; b) quale circostanza aggravante comune per una serie indeterminata di reati. Infatti, l'entrata in vigore del nuovo art. 10-bis Testo Unico sull'immigrazione non comporta alcun effetto abrogativo dell' art. 61 n. 11-bis c.p. essendone differenti gli ambiti di applicazione. Tutte le aggravanti comuni operano nei confronti di fattispecie penali solamente «quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali» (art. 61 c.p., prima parte): anche l'ipotesi di cui al n. 11-bis non fa eccezione. Ne consegue che l'aggravante di clandestinita' non e' riferibile a reati che sanzionino direttamente l'illegale presenza o permanenza nel territorio nazionale del soggetto agente: in caso contrario si produrrebbe una duplicita' del trattamento sanzionatorio per identica condotta (rectius, nel caso in esame, per identica condizione giuridica). In tal senso e' la stessa ordinanza n. 277/2009 della Corte costituzionale nella parte in cui dichiara l'inammissibilita' della questione avente ad oggetto l'art. 61 n. 11-bis c.p. promossa dal Tribunale di Livorno. Come, dunque, l'aggravante di clandestinita' gia' risultava incompatibile - ad esempio - con il reato di cui all'art. 14, comma 5-ter, Testo Unico sull'immigrazione (inadempimento dell'ordine del questore di allontanamento dal territorio dello Stato), cosi' ora risulta incompatibile con l'inedito reato di cui all'art. 10-bis del medesimo Testo Unico (ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato). Questo rapporto di coesistenza tra autonoma fattispecie penale e aggravante comune esclude che la sopravvenuta introduzione dell'art. 10-bis incida - facendola venir meno - sulla rilevanza nel processo a quo 61 n. 11-bis c.p. L'imputato e' infatti perseguito per un reato comune (produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, ex art. 73 comma 1-bis, d.P.R. n. 300 del 1990, Testo Unico sugli stupefacenti) rispetto al quale puo' essere certamente contestato l'aggravio di pena conseguente alla condizione di clandestinita' del soggetto agente. In conclusione, e' da escludersi che l'entrata in vigore del reato di immigrazione clandestina abbia dato vita ad un fenomeno di assorbimento dell'aggravante contestata, con la conseguente irrilevanza della questione di legittimita' costituzionale di quest'ultima. 2.4. - Ancora sulla rilevanza processuale dell'aggravante di clandestinita'. Per puro tuziorismo va, infine, rilevato come l'astratta possibilita' che gli effetti della circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 11-bis c.p. vengano neutralizzati - ex art. 69 c.p. - a seguito di un sempre possibile giudizio di equivalenza o prevalenza di contrapposte circostanze attenuanti, egualmente non fa venire meno la rilevanza della quaestio. L'ipotizzato bilanciamento, infatti, e' imposto proprio dalla ricorrenza dell'aggravante di clandestinita' che, dunque, entra a pieno titolo nel procedimento decisorio cui e' chiamato questo giudice, indipendentemente dal concreto computo del quantum dell'eventuale pena irrogata. 3. - Sulla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale: violazione del principio di colpevolezza per il fatto» e impossibilita' di un'interpretazione conforme a Costituzione. Nonostante la riformulazione intervenuta in sede di conversione del decreto-legge che l'aveva originariamente introdotta la nuova aggravante risulta marcatamente informata a canoni propri del diritto penale d'autore. La sua formulazione generica la rende infatti applicabile a qualunque reato comune (delitto, contravvenzione) di qualunque natura (dolosa, colposa, preterintenzionale) a prescindere dall'esistenza di una qualsiasi relazione tra la condotta penalmente sanzionata e la situazione soggettiva di clandestinita'. In tal modo l'aumento di pena viene a dipendere non gia' dalla gravita' oggettiva del fatto (come, ad esempio, per aver adoperato sevizie o per aver agito con crudelta' verso le persone) ovvero da una condotta materiale del soggetto attivo (come, ad esempio, ccade per le aggravanti della latitanza o della recidiva) bensi' esclusivamente dallo status soggettivo del reo. Si puo' sospettare, dunque, la violazione degli artt. 25, comma 2 e 27, comma 1, Cost. perche', cosi' conformata, l'aggravante in esame lede il principio costituzionale di colpevolezza per il «fatto» materiale di reato, affiancandovi una diversa colpevolezza per lo status personale del soggetto agente. E', questo, un dubbio di legittimita' non superabile attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata. In particolare, per agganciare l'aggravio di pena ad una condotta materiale dello straniero (e non ad una mera qualita' personale) e' stato ipotizzato che l'aggravante in esame si applicherebbe soltanto a chi sia gia' stato colpito - al momento della commissione del reato aggravato dalla circostanza in esame - da un provvedimento di espulsione (ministeriale, prefettizia, giudiziaria) o da altro provvedimento (amministrativo o giurisdizionale) previsto dalla legge che imponga il suo allontanamento dal territorio nazionale. Ma e' soluzione ermeneutica non percorribile. Essa infatti non trova agganci testuali nella lettera, omnicomprensiva, dell'art. 61 n. 11-bis c.p. La stessa interpretazione autentica sopravvenuta, pur ridefinendo l'ambito soggettivo di applicazione della circostanza aggravante (vedi, supra, punto 2) ricorre al solo criterio della nazionalita' dello straniero e non anche al fatto pregresso dell'essersi sottratto ad una misura di allontanamento. A precludere la praticabilita' dell'ipotizzata interpretazione adeguatrice del dato legislativo alla Costituzione e', dunque, l'inequivoco tenore letterale dell'art. 61 n. 11-bis c.p.: come insegna il giudice delle leggi, «tale circostanza segna il confine, in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimita' costituzionale» (sentenza n. 219/2008). 3.1. - Violazione del principio di eguaglianza davanti alla legge. Proprio perche' l'aggravante differenzia la misura della pena non sulla qualita' dell'azione bensi' sulla base di chi la commette o la omette, l'aggravante in esame introduce irragionevoli disparita' di trattamento a parita' di condotta materiale. La medesima condotta criminale, le medesime modalita' di esecuzione del reato, finiscono per essere punite diversamente a seconda se a commetterle e' un soggetto regolarmente o irregolarmente presente sul territorio italiano. Con effetti paradossali, ad esempio, nell'ipotesi di concorso nel reato, dove il clandestino sara' punito piu' severamente del suo complice. La violazione del principio di eguaglianza e' ancora piu' evidente oggi, dopo l'intervento nel 2009 del legislatore interprete. Per quanto entrambi illegalmente presenti sul territorio nazionale, infatti, si valuta piu' pericolosa (giustificando per questo un aggravio di pena) la presenza di uno straniero extracomunitario o di un apolide rispetto a quella di uno straniero comunitario. L'effetto giuridico e' costituzionalmente irragionevole: la pena applicata per un identico reato variera' a seconda che il soggetto agente sia marocchino o rumeno, tunisino o bulgaro, albanese o polacco, apolide o cittadino comunitario. Si aggiunga, inoltre, che ora - a seguito dell'interpretazione imposta ope legis - la configurabilita' dell'aggravante in esame diventa la variabile di un fatto storico (l'ingresso o l'associazione all'UE del Paese di appartenenza) del tutto indipendente dalla condotta e dalla volonta' dell'imputato e che puo' in ipotesi intervenire anche in pendenza di giudizio. Palese, dunque, la violazione dell'art. 3 comma 1, Cost. espressivo del principio di eguale trattamento di fronte alla legge penale. 3.2. - Violazione della finalita' rieducativa della pena: art. 27, terzo comma della Costituzione. L'aumento di pena conseguente ad una aggravante per status che prescinde totalmente dalle modalita' dell'azione criminosa si traduce in un aumento edittale estraneo alla finalita' rieducativa della sanzione penale. La funzione di risocializzazione della pena, infatti, ha un senso solo ed esclusivamente rispetto a condotte materiali imputabili al reo. Tale condizione costituzionalmente imposta viene meno per quel «di piu'» di detenzione carceraria legata ad una mera condizione soggettiva di clandestinita'. E' vero che, ora, l'ingresso o il soggiorno illegale nel territorio italiano configura un illecito penale; tuttavia l'eccedenza della sanzione continua a dipendere da uno status che, rilevante per tutti gli stranieri quando integra l'autonoma fattispecie di reato ex art. 10-bis Testo Unico sull'immigrazione, comporta invece un aggravio di pena esclusivamente per alcuni (apolidi ed extracomunitari). La violazione della finalita' rieducativa della pena emerge anche in via mediata. Ai sensi dell'art. 656 comma 9 lett. a), c.p.p. modificato dall'art. 2, lett. m), legge 24 luglio 2008, n. 125, all'applicazione dell'aggravante di clandestinita' consegue in automatico l'effetto processuale del divieto di sospensione dell'esecuzione della pena detentiva. L'ingiustificata presunzione di pericolosita' che sorregge la circostanza aggravante dell'art. 61 n. 11-bis c.p. viene, in tal modo, a saldarsi con una seconda ed altrettanto ingiustificata presunzione assoluta circa l'impossibilita' di ammettere l'extracomunitario irregolare o clandestino ad un percorso rieducativo attraverso qualsiasi misura alternativa alla reclusione. Tutto cio' in contrasto con l'opposto orientamento gia' espresso dalla Corte costituzionale nella sentenza interpretativa di accoglimento n. 78/2007 laddove, dichiarando l'illegittimita' degli artt. 47, 48 e 50, Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ordinamento penitenziario) ha statuito che la condizione di straniero irregolarmente soggiornante non puo' escludere l'accesso alle misure alternative alla detenzione. 3.3. - Irrazionalita' intrinseca dell'aggravante, L'aggravante di clandestinita' rivela ulteriori profili di intrinseca irragionevolezza. Innanzitutto, nella sua stessa giustificazione, secondo la quale la condizione di clandestinita' rappresenterebbe un elemento che agevola, aggravandola, la condotta prevista e punita come reato. Siamo in presenza di una presunzione legislativa priva di razionale fondamento: perche' e' scollegata - come si e' gia' detto - alla condotta materiale sanzionata e aggravata; perche' non esiste alcuna relazione automatica tra l'adempimento degli obblighi previsti dalla legge nazionale sull'ingresso o il soggiorno nel territorio italiano e la commissione o non commissione del reato comune aggravato. In secondo luogo, l'aggravante muove da una presunzione assoluta di pericolosita' di tutti gli extracomunitari che si trovino «illegalmente» sul territorio nazionale. E poiche' l'ambito di applicazione dell'aggravante prescinde dalla circostanza che l'illegalita' della presenza sul territorio nazionale sia originaria o sopravvenuta (e magari per ragioni del tutto incolpevoli) non si distingue neppure tra irregolari (cui, in ipotesi, non e' stato rinnovato per tempo il permesso di soggiorno a causa di un ritardo amministrativo) e clandestini (che, in ipotesi, non hanno volontariamente adempiuto al provvedimento di allontanamento): il che, a voler assumere la presenza illecita sul territorio nazionale come «ribellione» all'ordinamento da parte del soggetto, rende impossibile apprezzarne il «grado» di intensita' e soprattutto di «responsabilita'» individuale. Deve osservarsi infine che, a differenza di quanto previsto nell'ipotesi di trattenimento dello straniero sul territorio dello Stato in violazione dell'ordine di allontanamento emesso dal questore, la cui applicazione viene circoscritta dal requisito negativo espresso nella formula «senza giustificato motivo» (art. 14, comma 5-ter, Testo Unico sull'immigrazione, come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189) nulla di simile e' contemplato con riferimento all'ambito applicativo dell'aggravante in esame. Viene cosi' meno quel ruolo chiave che detta clausola assolverebbe operando da «valvola di sicurezza» del meccanismo repressivo, evitando che la sanzione penale scatti allorche' - anche al di fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione - l'osservanza del precetto appaia concretamente «inesigibile» (sentenza n. 5/2004, punto 2.1 del considerato in diritto; sul ruolo essenziale di tale clausola vedi anche sentenza n. 22/2007). Elemento, questo, che marca anche una differenza strutturale di fondo con l'aggravante della latitanza (art. 61 n. 6 c.p.), subordinata alla circostanza che il colpevole abbia commesso il reato aggravato «durante il tempo in cui si e' sottratto volontariamente» all'arresto o alla cattura o alla carcerazione per un precedente reato. Siamo in presenza, dunque, di una irrazionalita' intrinseca dell'aggravante in esame, con conseguente violazione del generale canone di ragionevolezza, imposto all'intero ordinamento dall'art. 3, Cost. 3.4. - Ancora sui rapporti tra aggravante di clandestinita' e reato di immigrazione clandestina. Nell'ordinanza di restituzione degli atti la Corte costituzionale afferma che, «nel valutare la legittimita' della previsione quale circostanza aggravante comune di ogni pregressa violazione delle norme in materia di immigrazione», e' compito di questo Tribunale «procedere ad una nuova ponderazione del ruolo che, in tale prospettiva, deve assegnarsi al carattere amministrativo, o penalmente illecito della violazione medesima». La mutata natura dell'illecito non incide in modo sostanziale, a giudizio di questo interprete, sulla non manifesta infondatezza della questione proposta. I profili di incostituzionalita' fin qui prospettati, infatti, riguardano la formulazione, l'ambito di applicazione soggettiva, le conseguenze sul piano dell'esecuzione penale e, infine, l'irragionevolezza intrinseca della circostanza aggravante di cui all'art. 61 n. 11-bis c.p. Si tratta cioe' di censure di costituzionalita' che sono indipendenti dalla natura (originariamente) amministrativa o (attualmente) penale dell'illecita presenza dello straniero extracomunitario sul territorio nazionale. In particolare, non sembra possibile ritenere che - elevata la clandestinita' a fattispecie penale autonoma - l'aggravio di pena sarebbe ora conseguenza (non di uno status, bensi') di una condotta materiale riconducibile alla volonta' del soggetto agente. Cio' che l'art. 10-bis Testo Unico sull'immigrazione sanziona e' solo apparentemente una condotta (l'azione dell'ingresso o l'omissione del mancato allontanamento); in realta' il vero oggetto d'incriminazione resta la mera condizione personale dello straniero costituita dal mancato possesso di un titolo abilitativo all'ingresso e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato. Ne' puo' sostenersi che, a seguito dell'introduzione della fattispecie penale di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, l'aggravante di clandestinita' operi ora come una sorta di recidiva. Una simile ipotesi e' contraddetta dalle marcate differenze che intercorrono tra l'operativita' dell'art. 99 c.p. e dell' art. 61 n. 11-bis c.p. L'aggravante della recidiva e' applicabile a chi, essendo stato gia' condannato in via definitiva per un delitto non colposo, commette nuovamente altro delitto non colposo. L'aggravante di clandestinita', invece, non presuppone un accertamento definitivo di condanna per il nuovo reato ex art. 10-bis Testo Unico immigrazione (o per altro reato), essendo sufficiente ai fini della sua contestazione l'accertamento giudiziale dello stato di illegale presenza sul territorio nazionale del soggetto agente al momento della commissione dell'illecito penale. L'aggravante della recidiva, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, non riguarda piu' i reati contravvenzionali. L'aggravante di cui all'art. 61 n. 11-bis c.p. e' invece applicabile anche alle contravvenzioni. L'aggravante della recidiva trova la sua ratio in una presunzione di pericolosita' qualificata del soggetto agente giudicato definitivamente per un delitto doloso. L'aggravante di clandestinita' non puo' ricondursi a tale ratio, secondo quanto la giurisprudenza costituzionale ha, piu' volte, affermato: cfr., ex plurimis, la sentenza n. 22/2007, esplicita nell'escludere che la condizione di straniero irregolare o clandestino, in quanto tale, possa associarsi ad una accertata o presunta pericolosita'. Anche dopo la modifica introdotta con la gia' citata legge n. 251 del 2005, la Corte costituzionale e' intervenuta piu' volte a mitigare - attraverso la prefigurazione di interpretazioni costituzionalmente orientate - i rigidi automatismi legislativi della recidiva riformata (cfr, ad esempio, la sentenza n. 192/2007). Viceversa, la contestazione dell'aggravante di clandestinita' risponde ad un automatismo neppure mitigato dalla clausola di salvaguardia - non contemplata nell'art. 61 n. 11-bis c.p. - che ne leghi la contestabilita' ad una presenza illegale sul territorio italiano «senza giustificato motivo» (in analogia a quanto previsto all'art. 14 comma 5-ter, Testo Unico sull'immigrazione, come modificato della legge 30 luglio 2002, n. 189). Semmai la sopravvenuta introduzione nell'ordinamento del reato di ingresso e soggiorno illegale entra altrimenti in gioco, confermando l'irragionevolezza della circostanza aggravante impugnata. L'art. 10-bis Testo Unico sull'immigrazione, infatti, giustifica il ricorso alla sanzione penale come reazione alla violazione delle regole sull'ingresso ed il soggiorno nello Stato. La medesima giustificazione non puo' pero' valere a fondare l'aggravio di pena per un qualsiasi reato comune solo perche' commesso da un extracomunitario privo di un valido titolo di soggiorno e senza che la sua presenza irregolare sul territorio nazionale si ponga in un nesso di strumentalita' rispetto alla commissione del reato medesimo. Siamo dunque in presenza di una circostanza aggravante priva di una ratio costituzionalmente apprezzabile: tale non puo' essere una presunzione assoluta di pericolosita' dell'extracomunitario presente illecitamente sul territorio; tale non puo' essere la violazione della legislazione nazionale in materia di ingresso e di soggiorno (ora rafforzata dal nuovo reato di immigrazione clandestina). 4. - Conclusioni. Richiesta di una sentenza di accoglimento semplice e di una declaratoria di illegittimita' consequenziale. E' infine opportuna una precisazione in riferimento al «chiesto» rivolto alla Corte costituzionale. Le scelte in materia di penalizzazione delle condotte e di determinazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano certamente nell'ambito dell'autonomia legislativa. Tuttavia la giurisprudenza costituzionale e' pacifica nel riconoscere la possibilita' di sottoporre al proprio controllo (anche) scelte normative in tema di pene e reati, laddove contrastino in modo manifesto con il generale canone di ragionevolezza, rivelando cosi' un uso costituzionalmente distorto della discrezionalita' legislativa (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 26/1979, 102/1985, 341/1994, 313/1995, 217/1996, 287/2001 e le ordinanze nn. 163/1996, 110/2002, 323/2002, 172/2003, 158/2004). Non si ignora il complesso di ragioni che, anche in recenti pronunce (cfr. le sentenze nn. 22/2007, 236/2008, 156/2009) hanno indotto la Corte costituzionale ad escludere l'ammissibilita' di un proprio intervento manipolativo capace di rimediare ad un quadro normativo in materia di sanzioni penali per l'illecito ingresso o trattenimento di stranieri nel territorio nazionale, frutto di stratificazioni normative successive non prive di «squilibri, sproporzioni e disarmonie» (come si esprime la sentenza n. 22/2007). Tali ragioni, tuttavia, non sono di ostacolo ad una sentenza di accoglimento semplice, ablativa dell'art. 61 n. 11-bis c.p., ora addirittura agevolata dall'introduzione del reato di cui all'art. 10-bis Testo Unico sull'immigrazione, la cui fattispecie ricalca quanto previsto come circostanza aggravante dalla disposizione di cui si chiede la declaratoria d'incostituzionalita'. In considerazione dell'inscindibile nesso strutturale tra disposizione interpretata e disposizione interpretativa, va chiesta anche la dichiarazione d'incostituzionalita' dell'art. 1, comma 1, legge 15 luglio 2009, n. 94. In via consequenziale, ai sensi dell'art. 27 legge 11 marzo 1953 n. 87, si chiede alla Corte costituzionale di estendere la eventuale dichiarazione di illegittimita' anche all'art. 656, comma 9, lett. a) c.p.p. come modificato dall'art. 2 lett. m), legge 24 luglio 2008, n. 125, limitatamente alle parole «e per i delitti in cui ricorre l'aggravante di cui all'art. 61, primo comma, 11-bis». Una volta annullata la disposizione oggetto della presente quaestio legitimitatis, infatti, il sopra riportato segmento normativo non avrebbe piu' alcuna autonomia applicativa (cfr., in tal senso, la sentenza n. 24/2004).