IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 3256 del ruolo generale degli affari contenziosi civili per l'anno 2009, promossa da G.F., (elettivamente domiciliato in Capoterra, presso lo studio dell'Avvocato Katia Marras che lo rappresenta e difende per procura speciale a margine del ricorso introduttivo, ricorrente contro S.F. elettivamente domiciliata in Cagliari, presso lo studio dell'Avvocato Alessandra Puggioni, che la rappresenta e difende per procura speciale a margine della comparsa di costituzione, resistente, e con la partecipazione del Pubblico ministero, in persona del Procuratore della Repubblica presso questo Tribunale, intervenuto per legge. I n f a t t o Con ricorso depositato il 4 aprile 2009 F.G. ha presentato reclamo davanti a questo Tribunale avverso l'ordinanza del giudice istruttore pronunciata il 17 marzo 2009 nell'ambito del procedimento di separazione giudiziale pendente tra l'odierno ricorrente e la moglie F.S., con la quale, in accoglimento dell'istanza di quest'ultima: era stato aumentato l'importo dell'assegno stabilito, in via temporanea ed urgente, a suo carico dal Presidente del Tribunale, a titolo di contributo nel mantenimento dei figli minori e della moglie ed ordinato il versamento diretto agli aventi diritto da parte del datore di lavoro del ricorrente; erano state, inoltre, richieste informazioni al Servizio Sociale del comune di V.S.P. in ordine al rapporto tra le figlie minori S. e L.G. ed il padre, con particolare riferimento ad eventuali condotte pregiudizievoli poste in essere dal genitore, quali l'abuso di sostanze stupefacenti e la frequentazione notturna di locali. A fondamento del reclamo il G. ha dedotto l'iniquita' del provvedimento impugnato sia sotto il profilo della mancata valutazione da parte del giudice istruttore delle condotte pregiudizievoli poste in essere nei confronti delle minori dalla madre F.G., quali segnalate dal ricorrente in sede di memorie ex art. 183, VI comma n. 2 c.p.c., sia, con riferimento alle questioni economiche, per avere il giudice istruttore erroneamente stimato nell'importo mensile di euro 1.923,42 euro il reddito del G., pari invece all'importo di euro1.203,82. F.G. ha quindi domandato che il Collegio, in riforma del provvedimento impugnato, disponesse accertamenti presso il Servizio sociale del comune di P. in ordine al rapporto tra le figlie minori e la madre, e revocasse l'importo di euro 750,00 posto a carico del G. a titolo di contributo nel mantenimento del coniuge e delle figlie, nonche' l'ordine di versamento diretto da parte della societa' R. S.p.a. Si e' costituita in giudizio F.G. la quale ha eccepito, in rito, l'inammissibilita' del ricorso e, nel merito, la sua infondatezza. I n d i r i t t o Questo collegio e' chiamato a decidere sul reclamo proposto, con riferimento all'art. 669-terdecies, avverso l'ordinanza con cui il giudice istruttore, nel corso del procedimento di separazione tra F.G. e F.S., ha accolto l'istanza di modifica dei provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente ai sensi del terzo comma dell'articolo 708 c.p.c formulata dalla S. Deve rilevarsi, anzitutto, che nell'ambito del giudizio di separazione, disciplinato dagli artt. 706 e seguenti c.p.c., non esiste alcuna disposizione che espressamente consenta il reclamo delle ordinanze di revoca o modifica dei cosiddetti provvedimenti presidenziali, adottate dal giudice istruttore, poiche' l'art. 709, comma quarto, c.p.c., laddove dispone che «i provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente del tribunale con l'ordinanza di cui al terzo comma dell'articolo 708 possono essere revocati o modificati dal giudice istruttore», non contiene alcun riferimento alla assoggettabilita' a gravame di quei provvedimenti. Ne', ad avviso di questo Tribunale, e' dato rinvenire nel sistema alcuna norma che consenta di ritenere aperta la strada del reclamo contro i suddetti provvedimenti del giudice istruttore tramite un'interpretazione estensiva o analogica. Essi rimangono pertanto, allo stato, suscettibili di riforma esclusivamente ad opera dello stesso giudice istruttore che li aveva originariamente pronunciati, ai sensi dell'art. 177 c.p.c. Deve, in particolare, ritenersi che il principio di tipicita' e tassativita' dei mezzi di impugnazione impedisca il ricorso al reclamo previsto dall'art. 669-terdecies c.p.c. nell'ambito del procedimento cautelare uniforme di cui al capo III, sezione I, del libro quarto del codice di procedura civile. La soluzione negativa circa la proponibilita' del rimedio in questione discende dalla natura del provvedimento del giudice istruttore, alla luce della complessiva articolazione del giudizio di separazione. Il Collegio ritiene, invero, che i provvedimenti provvisori di separazione non rivestano carattere cautelare. In essi non si rinviene, anzitutto, il requisito, tipico di quella materia, del periculum in mora, quale e' connotato dal necessario collegamento con la posizione di una delle parti del giudizio. Nel processo di separazione le parti sono poste, a priori, su un piano di parita', in quanto i provvedimenti provvisori non tutelano il ricorrente ma, indipendentemente dall'iniziativa processuale, il coniuge che verra' ritenuto, all'esito di una prima delibazione, economicamente piu' debole, e la prole; cosicche' si ritiene manchi la finalita' propria dei provvedimenti cautelari, che si fonda sulla necessita' di salvaguardare, ad iniziativa dei singolo interessato, il diritto che viene prospettato come a rischio di lesione, in funzione della effettivita' della tutela giurisdizionale propria della fase di merito. E' pur vero che anche i provvedimenti previsti nel procedimento di separazione sono volti ad evitare gli inconvenienti insiti nella durata del processo; ma l'urgenza e' presupposta in astratto, una volta per tutte, dal legislatore. Si prescinde, cioe', dallo specifico accertamento che nei provvedimenti stricto sensu cautelari si rende, invece, di volta in volta necessario, in quanto questi sono chiamati a neutralizzare un pericolo eventuale di tardivita', odi pratica infruttuosita', della tutela giurisdizionale. Se i provvedimenti cautelari sono finalizzati ad assicurare gli effetti della successiva tutela di merito, anticipandoli o garantendone il risultato, cosi' da porsi in funzione strumentale rispetto alle sorti del giudizio di merito, i provvedimenti emessi dal presidente o dal giudice istruttore nel giudizio di separazione non sono, per contro, preordinati alla cautela conservativa del risultato finale del processo, ne' si pongono in finzione meramente anticipatoria di una futura soddisfazione dei diritti tutelati. Essi rispondono, invece, alla finalita' di stabilire un regime attuale, congruo e pertinente rispetto alle esigenze delle parti e della prole, attraverso una regolamentazione immediata dei rapporti, che soddisfi i bisogni essenziali delle persone coinvolte; e cio' in attesa della pronuncia sulla separazione giudiziale, di cui il provvedimento provvisorio non costituisce anticipazione. Rispetto a tale conclusione, non appare decisivo in senso contrario il rilievo dell'attenuazione del carattere della strumentalita' dei provvedimenti cautelari, quale deriva dalla riforma introdotta con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, che ha reso facoltativa l'introduzione del giudizio di merito con riguardo ad alcune misure cautelari, rendendole ultrattive. E neppure decisivo appare l'argomento, prospettato in correlazione con il precedente, che richiama la regola della persistente efficacia, anche dopo l'estinzione del processo, ai sensi dell'art. 189 disp. att. c.p.c, dell'ordinanza con cui il presidente del tribunale o il giudice istruttore danno i provvedimenti di cui all'art. 708: si tratta di aspetti i quali, ad avviso di questo giudice, non mutano la natura dei provvedimenti provvisori, che si e' cercato di porre in evidenza. Deve rilevarsi, al riguardo, che la domanda cautelare puo' essere ultrattiva solo in quanto idonea ad anticipare gli effetti della (ipotetica) decisione di merito, come previsto dall'art. 669-octies, comma sesto, c.p.c. (giacche' la pronuncia ottenuta, in sede cautelare, in senso corrispondente alla tutela del diritto richiesto, puo' far venir meno l'interesse ad ottenere una nuova decisione meramente confermativa); mentre il provvedimento del presidente, o quello del giudice istruttore, non hanno alcuna funzione anticipatoria degli effetti della domanda relativa al regolamento dei rapporti relativi ai figli e di quelli economici: essi hanno la diversa funzione di regolare provvisoriamente quei rapporti - per cosi' dire - in tempo reale, momento per momento, eventualmente anche per il tempo successivo alla estinzione del processo, trattandosi di rapporti i quali non tollerano mai, per loro natura, alcun ritardo, ne' alcuna soluzione di continuita', nella loro disciplina e nella soddisfazione delle esigenze loro proprie. In particolare, le ragioni che stanno alla base del carattere ultrattivo dei provvedimenti provvisori si collegano alla necessita', del tutto peculiare, di evitare che l'estinzione del procedimento possa far venire meno, a discapito del coniuge piu' debole, la regolamentazione di una separazione che diventa di mero fatto. La finalita' e', dunque, quella di non privare la famiglia di una disciplina, sia pure tendenzialmente provvisoria, dei rapporti, qualora per vicende delle parti o del processo si sia verificata l'estinzione del giudizio; e non l'altra di surrogare in via definitiva la sentenza di merito. I provvedimenti del giudice istruttore, cosi' come quelli del presidente del tribunale, presentano, dunque, un carattere meramente sommario, essendo emanati nel corso del giudizio ordinario di cognizione, e sono destinati ad essere assorbiti nella sentenza definitiva di merito. Ne' e' significativa in senso contrario l'attribuzione ad essi della qualifica di cautelari, che si rinviene in alcune rare sentenze della Corte di cassazione (v. sentenze 5 giugno 1990, n. 5384; 12 aprile 1994, n. 3415), trattandosi di definizione usata in contesti nei quali si prescinde dalla considerazione ex professo del problema relativo alla natura dei provvedimenti oggi in questione. Il rapporto tra questi provvedimenti e la sentenza definitiva - diversamente che per le misure cautelari - non si pone, quindi, in termini di conferma, revoca o riforma, perche' la sentenza definitiva ha la diversa funzione di mettere fine al regime provvisorio, instaurandone uno diverso (anche quando rende definitive le medesime soluzioni adottate in sede provvisoria). Non appare, d'altronde, applicabile alle ordinanze del giudice istruttore, nell'attuale situazione normativa, alcun mezzo di impugnativa alternativo al reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. Appare, al riguardo, necessario operare un breve excursus sull'evoluzione normativa della disciplina di cui agli artt. 708 e 709 c.p.c. in tema di rapporti tra ordinanza presidenziale e provvedimenti di revoca o modifica del giudice istruttore. La formulazione originaria dell'art. 708 c.p.c. non contemplava alcun mezzo di reclamo avverso le ordinanze presidenziali recanti i provvedimenti temporanei ed urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole. L'articolo di legge si chiudeva infatti, al quarto comma, con la seguente previsione: «Se si verificano mutamenti nelle circostanze, l'ordinanza del presidente puo' essere revocata o modificata dal giudice istruttore a norma dell'art. 177». La scelta del legislatore era, dunque, inequivocabilmente diretta ad escludere ogni mezzo di impugnativa sia nei confronti dell'ordinanza presidenziale, che nei confronti di quella del giudice istruttore di modifica o revoca della prima: provvedimenti considerati entrambi, dalla giurisprudenza dominante, di natura sommaria ed ordinatoria, e non cautelare. Con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80, e' stata trasferita all'ultimo comma dell'art. 7199 c.p.c. la disposizione prima collocata all'ultimo comma dell'art. 708 c.p.c., il cui testo e' stato in parte modificato («I provvedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente con l'ordinanza di cui al terzo comma dell'art. 708 possono essere revocati o modificati dal giudice istruttore») con l'eliminazione del riferimento ai «mutamenti nelle circostanze» che, in precedenza, costituivano il presupposto legittimante la revoca o la modifica dell'ordinanza presidenziale. Con la legge 8 febbraio 2006, n. 54, e' stato infine coniato un nuovo ultimo comma dell'art. 708 c.p.c., con cui e' stato introdotto innovativamente l'istituto del reclamo avverso l'ordinanza presidenziale, da proporsi davanti alla Corte d'appello, nel termine di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento; mentre l'art. 709, ultimo comma, c.p.c. e' rimasto immutato. Cio' che non era consentito prima della promulgazione ed entrata in vigore della legge n. 54/2006 (il reclamo avverso i provvedimenti del giudice istruttore) e' rimasto dunque normativamente precluso anche successivamente, essendo stato limitato lo strumento del reclamo alla sola ordinanza pronunciata dal presidente del Tribunale nella prima fase del giudizio di separazione. Deve, piu' in generale, ancor oggi escludersi che le parti possano provocare il controllo giurisdizionale dei provvedimenti istruttori davanti ad un'autorita' giudiziaria diversa, qualora i provvedimenti temporanei e urgenti nell'interesse della prole e dei coniugi siano stati dati per la prima volta, ovvero modificati o revocati, da parte del giudice istruttore nella fase del giudizio di separazione successiva a quella c.d. «presidenziale». Si sottolinea come la via del reclamo davanti alla Corte d'appello, previsto dall'art. 708, quarto comma, c.p.c., non sia praticabile neppure per analogia, essendo esso un rimedio tutt'affatto singolare, predisposto ad hoc per le ordinanze pronunciate dal presidente del tribunale, con lo scopo di evitare che il giudice del riesame, ove individuato nel collegio dello stesso tribunale, potesse essere indebitamente condizionato, in una sede formale di «gravame», dall'autorevolezza e dalla posizione di preminenza (almeno sotto il profilo organizzativo dell'ufficio) del giudice di prima istanza. Ed infatti costituisce «diritto vivente», secondo la giurisprudenza maggioritaria fino ad oggi espressa dalle Corti d'appello - che questo giudice condivide - la regola secondo cui il suddetto reclamo, ove proposto avverso le ordinanze del giudice istruttore, debba essere dichiarato inammissibile, o comunque estraneo alla sfera di competenza del giudice d'appello (si vedano: Corte d'appello di Genova, 10 novembre 2006; Corte d'appello di Catania, 14 novembre 2007; Corte d'appello di Bari, 22 agosto 2007). L'ostacolo interpretativo, ritenuto - a ragione - insuperabile, e' stato in particolare individuato nel principio generale di tipicita' e tassativita' dei mezzi di impugnazione, che esclude ogni forma di interpretazione analogica o estensiva del singolo istituto processuale, pur in presenza di una comunanza di natura tra i provvedimenti presidenziali e quelli del giudice istruttore. Ne' sarebbe conferente, ai fini qui in esame, il richiamo alla norma di cui all'art. 709-ter c.p.c., nella parte in cui prevede, all'ultimo comma, che «i provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari». Invero, l'organo giudicante cui fa palesemente riferimento tale norma e' il tribunale in composizione collegiale, quale giudice naturale delle controversie in materia di famiglia; ed i mezzi di gravame ordinari, citati nella norma (avente sul punto carattere meramente ricognitivo), sono pertanto quelli conseguenti alla pronuncia con sentenza, conclusiva del procedimento in corso, ovvero con decreto, in caso di procedimento instaurato ai sensi dell'art. 710 c.p.c (e dunque, rispettivamente, l'appello ai sensi dell'art. 324 c.p.c ovvero il reclamo di cui all'art. 739 c.p.c.). Quando sia invece il giudice istruttore ad adottare, in via provvisoria, i provvedimenti di cui all'art. 709-ter citato, si ritiene che cio' avvenga nell'esercizio del generale potere di modifica dei provvedimenti di cui all'art. 709 c.p.c., come tali evidentemente non impugnabili «nei modi ordinari». Ad avviso di questo Tribunale, deve infine escludersi la reclamabilita' dei provvedimenti del giudice istruttore ai sensi dell'art. 739 c.p.c., essendo essi estranei alla previsione di cui all'art. 742-bis c.p.c., in quanto pronunciati nel corso delle cause di separazione: per ormai unanime interpretazione giurisprudenziale, invero, le ordinanze in questione devono considerarsi emesse in sede di giurisdizione contenziosa e non volontaria. Alla stregua della disamina che precede, non appare ipotizzabile, ad avviso di questo Tribunale, alcuna interpretazione dell'attuale dettato normativo che consenta di affermare la possibilita' di un riesame dei provvedimenti del giudice istruttore davanti ad un organo «terzo», come accade invece per quelli pronunciati dal presidente nella prima fase del giudizio di separazione. Appare dunque sussistente una lacuna normativa, che nessuna soluzione ermeneutica puo' colmare, la quale sembra porsi in contrasto, secondo l'opinione del remittente, con il principio costituzionale di uguaglianza, con quello del diritto alla difesa e con il principio di cui all'art. 111 della Costituzione. Non vi e' alcuno spazio per una interpretazione costituzionalmente orientata del dettato normativo, che apra la strada al reclamo delle ordinanze del giudice istruttore pronunciate ai sensi dell'art. 709 c.p.c. Appare, per quanto fin qui esposto, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale relativa alla non reclamabilita', davanti al tribunale in composizione collegiale, dei provvedimenti provvisori del giudice istruttore; e la lacuna sembra potersi colmare, solo ed unicamente, mediante un intervento della Corte costituzionale che renda applicabile ai quei provvedimenti il rimedio del reclamo al tribunale in composizione collegiale, con strumento analogo (non quanto ai presupposti ma quanto agli aspetti procedurali), a quello di cui di cui all'art. 669-terdecies c.p.c. La questione di costituzionalita' viene sollevata, in particolare, con riguardo all'art. 709, ultimo comma, c.p.c., nella parte in cui esso non prevede la reclamabilita' dinanzi al tribunale in composizione collegiale delle ordinanze del giudice istruttore pronunziate ai sensi del citato articolo. L'omessa previsione del rimedio del reclamo appare irragionevole, innanzitutto, alla luce del principio di cui all'art. 3 Cost., in rapporto all'esistenza, invece, di uno specifico rimedio impugnatorio nei confronti di un provvedimento avente natura analoga rispetto all'ordinanza del giudice istruttore: l'art. 708, quarto comma, c.p.c. consente, infatti, il reclamo dell'ordinanza emessa dal presidente del tribunale nella prima fase del giudizio di separazione, cosi' riconoscendo, esclusivamente in relazione ad essa, la possibilita' del controllo davanti ad altro organo giurisdizionale. Va sottolineato, sotto il profilo in esame, come le situazioni che sono oggetto del differente trattamento normativo appaiano della medesima natura, non sussistendo differenza alcuna tra la condizione di chi subisca, sul piano personale e/o patrimoniale, gli effetti dei provvedimenti temporanei ed urgenti pronunciati con ordinanza del presidente del tribunale, e quella di chi debba sopportare un analogo provvedimento, assunto come lesivo dei propri diritti, emesso nel prosieguo dello stesso giudizio dal giudice istruttore (in ipotesi, dopo un brevissimo lasso di tempo, e rispetto a circostanze talvolta pienamente sovrapponibili, o che si differenziano soltanto per aspetti marginali). Ne' tale trattamento sperequato puo' dirsi compensato dalla previsione dell'art. 177 c.p.c., che consente la revocabilita' e modificabilita' delle ordinanze da parte dello stesso organo che le abbia pronunciate, restando comunque esclusa la possibilita' del riesame da parte di un altro giudice, in posizione di terzieta'. Sembra, invero, evidente che i rimedi della reclamabilita' davanti ad altro giudice e della riproponibilita' dell'istanza davanti allo stesso giudice operano su piani diversi, si' che la disponibilita' del secondo non vale certamente a surrogare la funzione di garanzia propria del primo. La rilevata violazione del principio di uguaglianza, per il trattamento irragionevolmente differenziato di situazioni analoghe, si accompagna nel caso in esame, ad avviso di questo giudice, alla violazione del diritto di cui all'art. 24 della Costituzione, essendo irragionevolmente esclusa, per le ordinanze del giudice istruttore, la ricorribilita' ad uno strumento di difesa (il reclamo dinanzi al collegio) di analoga valenza garantistica rispetto a quello ritenuto, dallo stesso legislatore, necessario con riguardo ad un'altra fase dello stesso procedimento. Sembra a questo giudice remittente altresi' violato, limitatamente ad una soltanto delle due situazioni considerate, il paradigma costituzionale del giusto processo di cui all'art. I, secondo comma della Costituzione, che impone al legislatore di regolamentare ogni procedimento giurisdizionale in modo che esso possa svolgersi davanti ad un giudice terzo ed imparziale: solo la possibilita' di adire un giudice diverso da quello del provvedimento contestato assicurerebbe, sull'istanza di revoca o modifica dei provvedimenti del giudice istruttore, la piena terzieta' ed imparzialita' dell'organo decidente. Conclusivamente, deve, come anticipato, sollevarsi, in quanto non manifestamente infondata, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 709 c.p.c. (in relazione agli artt. 3, 24 e 111, secondo comma, Cost.), nella parte in cui non consente di sottoporre a reclamo, davanti al tribunale in composizione collegiale, le ordinanze del giudice istruttore pronunciate in materia di revoca o modifica dei provvedimenti temporanei ed urgenti emessi dal presidente del tribunale nell'interesse della prole e dei coniugi. L'intervento della Corte costituzionale non appare precluso dall'attuale inutilizzabilita', che si e' sopra cercato di porre in evidenza, del rimedio tipico di cui all'art. 669-terdecies ai fini in questione. L'ordinamento non limita, invero, all'odierno reclamo cautelare l'ambito dei mezzi di riesame: esso gia' ammette, invero; altri strumenti di garanzia, all'interno del medesimo grado, differenti da quello del reclamo contro i provvedimenti cautelari: tale e', pur con le sue peculiarita', l'attuale reclamo ex art. 178 c.p.c. contro la pronuncia di estinzione del procedimento. Sembra dunque potersi ipotizzare un intervento della Corte, per effetto del quale l'ambito dei rimedi collegiali sia ulteriormente ampliato. La prospettata questione di legittimita' costituzionale appare altresi', all'evidenza, rilevante, giacche' solo una pronuncia di illegittimita' della norma denunciata consentirebbe l'esame nel merito del reclamo proposto avverso l'ordinanza pronunciata dal giudice istruttore nel corso del presente giudizio, evitando un giudizio di inammissibilita'; ne' puo' incidere sul giudizio di rilevanza il fatto che il ricorso sia stato qualificato dall'interessato quale reclamo ex art. 669-terdecies, essendo chiara la volonta' di ottenere comunque, al di la del nome juris utilizzato, un riesame da parte di un giudice diverso da quello che ha adottato il provvedimento. Il presente procedimento, non potendo essere definito indipendentemente dalla risoluzione della segnalata questione di legittimita' costituzionale, deve essere sospeso.