ORDINANZA 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 10-bis  e  16,
comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero), rispettivamente  aggiunto  e
modificato  dall'art.  1  della  legge  15   luglio   2009,   n.   94
(Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), e  dell'art.  62-bis
del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468), aggiunto dall'art.  1  della  stessa
legge 15 luglio 2009, n. 94, promossi dal Giudice di pace di  Orvieto
con ordinanze del 28 settembre 2009 e del  5  ottobre  2009  (n.  due
ordinanze), dal Giudice di pace di Cuneo con ordinanza del 16 ottobre
2009, dal Giudice di pace di Gubbio con due ordinanze del 15  ottobre
2009 e dal Giudice di pace di Vigevano con ordinanza del  2  novembre
2009, rispettivamente iscritte ai nn. 282, 302, 303, 312, 324, 325  e
326 del registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica nn. 47 e 51, prima serie speciale, dell'anno 2009  e
nn. 1 e 3, prima serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del  9  giugno  2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con tre ordinanze di analogo tenore, emesse  il  28
settembre 2009 (r.o. n. 282 del 2009) e il 5 ottobre  2009  (r.o.  n.
302 e n. 303 del 2009), il Giudice di pace di  Orvieto  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera  a),  della
legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni  in  materia  di  sicurezza
pubblica), allegando la violazione degli artt. 2, 3, 10, 25,  secondo
e terzo comma, «in relazione agli artt. 13 e  27»,  e  dell'art.  111
della Costituzione; 
        che, ad avviso del giudice a  quo,  la  norma  incriminatrice
censurata - la quale punisce con l'ammenda da 5.000  a  10.000  euro,
«salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, lo straniero che fa
ingresso  ovvero  si  trattiene  nel  territorio  dello   Stato,   in
violazione delle disposizioni del [citato]  testo  unico  nonche'  di
quelle di cui all'articolo 1 della  legge  28  maggio  2007,  n.  68»
(Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite,
affari, turismo e studio) - si porrebbe in contrasto con il principio
di ragionevolezza, in quanto priva di ratio giustificatrice; 
        che l'obiettivo che la disposizione impugnata si  prefigge  -
di allontanare, cioe',  lo  straniero  «clandestino»  dal  territorio
nazionale - sarebbe, infatti, gia'  conseguibile  tramite  l'istituto
dell'espulsione   amministrativa:   espulsione    eseguibile    senza
necessita' di nulla-osta da  parte  dell'autorita'  giudiziaria,  nel
caso di pendenza di procedimento penale per il reato in  esame  (art.
10-bis, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998); 
        che  la  pena  pecuniaria   comminata   per   la   violazione
rimarrebbe, d'altro canto, solo «teorica», dovendo essere applicata a
persone nullatenenti e  prive  di  «sicura  domiciliazione»,  sicche'
anche la sua conversione in lavoro sostitutivo «non otterrebbe  alcun
risultato utile»; 
    che risulterebbero violati, inoltre, i principi di offensivita' e
proporzionalita', giacche', come chiarito dalla Corte  costituzionale
con la sentenza n. 78 del 2007, il  mancato  possesso  di  un  titolo
valido per il soggiorno nello Stato non e', di per  se',  sintomatico
di una particolare  pericolosita'  sociale:  pericolosita'  che,  per
contro -  alla  luce  dell'espressione  «fatto  commesso»,  contenuta
nell'art.  25,  secondo  comma,  Cost.,  nonche'  del  principio   di
personalita' della responsabilita'  penale  (art.  27  Cost.)  e  del
criterio    dell'extrema    ratio    -    costituirebbe    condizione
imprescindibile  affinche'  possano  irrogarsi  sanzioni  di   natura
criminale; 
        che la norma censurata violerebbe, ancora, gli artt. 2  e  10
Cost., per contrasto con il principio di solidarieta' - posto tra  «i
valori fondamentali dell'uomo» da plurime convenzioni  internazionali
- assumendo un «connotato discriminatorio» nei confronti  di  persone
che versano in condizioni di bisogno; 
        che un ulteriore e conclusivo profilo di irrazionalita' della
norma  si  connetterebbe  alla  circostanza  che,  in  rapporto  alla
sottofattispecie   dell'illegale   trattenimento,   non   sia   stata
introdotta una disciplina transitoria, «quale quella prevista per  le
colf e badanti»: con la conseguenza che il migrante clandestino, gia'
presente nel territorio dello Stato alla data di  entrata  in  vigore
della novella, non avrebbe alcuna possibilita' di  evitare  i  rigori
della legge penale; 
        che, con ordinanza del 16  ottobre  2009  (r.o.  n.  312  del
2009), il Giudice di pace di Cuneo ha sollevato, in riferimento  agli
artt. 3, 24, 27, secondo comma, e 97 Cost., questione di legittimita'
costituzionale del medesimo art. 10-bis del d.lgs. n. 286  del  1998,
«in combinato disposto» con l'art. 16-bis [recte: 62-bis] del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468), aggiunto dall'art. 1, comma 17,  lettera  d),
della legge n. 94 del 2009; 
        che, anche secondo detto giudice, la  scelta  di  configurare
come reato l'ingresso e la permanenza illegali dello straniero  nello
Stato italiano si porrebbe in contrasto con l'art. 3 Cost., in quanto
carente di ogni «fondamento giustificativo»; 
        che  lo  scopo  della  fattispecie  incriminatrice   sarebbe,
infatti,  quello  di  allontanare  al  piu'   presto   lo   straniero
«irregolare»   dal   territorio   dello   Stato,    come    attestano
inequivocamente  le  circostanze  che  il  giudice  di   pace   possa
sostituire la pena pecuniaria con l'espulsione ai sensi dell'art.  16
del d.lgs. n. 286 del 1998; che l'espulsione  in  via  amministrativa
dell'imputato non richieda il nulla osta dell'autorita' giudiziaria e
che l'avvenuta  esecuzione  dell'espulsione  venga  configurata  come
causa di improcedibilita' dell'azione penale (art. 10-bis, commi 4  e
5, del d.lgs. n. 286 del 1998); 
        che,  in  questa  ottica,  l'incriminazione  si  rivelerebbe,
peraltro, del tutto inutile, giacche' l'obiettivo con essa perseguito
era  gia'  raggiungibile  mediante  l'espulsione  coattiva   in   via
amministrativa, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del
1998: espulsione di cui la norma censurata non amplia in alcun modo i
presupposti, ne' rende piu' facile l'esecuzione; 
        che  l'art.  3  Cost.  risulterebbe  violato  anche  per   la
irragionevole disparita' di  trattamento  tra  la  nuova  fattispecie
criminosa e quella di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286
del 1998, che punisce lo straniero che non ottemperi  all'ordine  del
questore di allontanamento dal territorio nazionale solo  in  assenza
di un «giustificato motivo»; 
        che l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286  del  1998  -  nella  sua
correlazione con il disposto dell'art.  16-bis  [recte:  62-bis]  del
d.lgs. n. 274 del 2000, che abilita il giudice di pace  ad  applicare
la misura dell'espulsione a  titolo  di  sanzione  sostitutiva  -  si
porrebbe in contrasto  anche  con  l'art.  97,  primo  comma,  Cost.,
giacche' l'avvio di due  distinti  procedimenti  -  amministrativo  e
penale - aventi la  medesima  finalita'  risulterebbe  irrazionale  e
foriero di ingiustificati «oneri economici per il contribuente»; 
        che ulteriori dubbi di costituzionalita' sarebbero  suscitati
dal comma 5 dell'art. 10-bis, che impone al  giudice  di  pronunciare
sentenza di non luogo a procedere ove l'espulsione amministrativa sia
stata materialmente effettuata; 
        che tale previsione si porrebbe, difatti, in contrasto con il
diritto di  difesa  (art.  24  Cost.),  in  quanto  trascurerebbe  il
possibile interesse dell'imputato alla prosecuzione del  processo  al
fine  di  vedere  accertata,  nel  merito,  la   propria   innocenza,
imponendo,  in  pari  tempo,  al  giudice  un   automatico   «avallo»
dell'operato della pubblica  amministrazione:  il  che  confermerebbe
come  l'assetto  normativo  sia  ispirato  ad  una  «presunzione   di
colpevolezza» collidente con l'art. 27, secondo comma, Cost.; 
        che la questione sarebbe, infine, rilevante,  in  quanto  nel
giudizio a quo l'imputato e' chiamato a rispondere del reato  di  cui
alla   norma   denunciata,   cosi'    che    la    declaratoria    di
incostituzionalita' di quest'ultima ne comporterebbe l'assoluzione; 
        che l'art. 10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998  e'  stato
sottoposto a scrutinio  di  costituzionalita',  in  riferimento  agli
artt. 2, 3, 25, secondo comma, e 97 Cost., anche dal Giudice di  pace
di Vigevano, con ordinanza emessa il 2 novembre 2009 (r.o. n. 326 del
2009) nel corso di  un  processo  penale  nei  confronti  di  quattro
persone imputate del reato previsto dalla norma impugnata; 
        che il  rimettente  lamenta,  anzitutto  -  sulla  scorta  di
argomenti analoghi a quelli svolti dal Giudice di pace di Cuneo -  la
contrarieta' della norma impugnata all'art. 3 Cost., sotto i  profili
della  carenza  di  ratio  giustificatrice  e  della  disparita'   di
trattamento rispetto alla fattispecie criminosa di cui  all'art.  14,
comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 - pure piu' grave e destinata
ad assorbire quella in esame -  a  fronte  della  mancata  previsione
della «scriminante» del «giustificato motivo»; 
        che il giudice a quo  denuncia,  inoltre,  l'irragionevolezza
del trattamento  sanzionatorio  della  nuova  fattispecie  criminosa,
complessivamente considerato: non soltanto, cioe', della comminatoria
della pena  dell'ammenda  -  pena  che  risulterebbe  priva  di  ogni
efficacia  deterrente  nei  confronti  di   soggetti   quasi   sempre
totalmente impossidenti, quali gli stranieri clandestini -  ma  anche
del divieto di applicazione della sospensione condizionale della pena
e  della  facolta',  concessa  al  giudice,  di  sostituire  la  pena
pecuniaria con una sanzione piu' grave,  quale  l'espulsione  per  un
periodo non inferiore a cinque anni; 
        che sarebbero lesi, ancora, gli artt. 3 e 25, secondo  comma,
Cost., in  quanto  la  nuova  figura  di  reato  solo  apparentemente
sanzionerebbe una condotta, mentre, in  realta',  sarebbe  diretta  a
colpire una condizione personale e sociale dello straniero, legata al
mancato possesso di un titolo abilitativo all'ingresso o al soggiorno
nel territorio dello Stato: condizione che  verrebbe  arbitrariamente
considerata come sintomatica di pericolosita' sociale; 
        che risulterebbe violato anche l'art. 97, primo comma, Cost.,
giacche' la previsione di due distinti procedimenti -  amministrativo
e penale - diretti allo stesso fine di allontanare lo  straniero  dal
territorio dello  Stato  influirebbe  sulla  ragionevole  durata  del
processo penale, oltre a provocare inutili incrementi di costi  e  di
«incombenti»; 
        che la nuova fattispecie si porrebbe  in  contrasto,  infine,
con l'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti  inviolabili
dell'uomo  e  richiede  l'adempimento  dei  doveri  di   solidarieta'
politica, economica e sociale; 
        che quanto, infine,  alla  rilevanza  della  questione,  essa
sarebbe indubbia, giacche' nel caso di declaratoria di illegittimita'
costituzionale della norma  censurata  gli  imputati  non  andrebbero
incontro a nessuna conseguenza penale; 
        che con due ordinanze di identico tenore, emesse  nell'ambito
di distinti processi penali il 15 ottobre 2009 (r.o. n. 324 e n.  325
del 2009), il Giudice di pace di Gubbio ha sollevato, in  riferimento
agli artt. 2, 3, 10, 25, 27 e 117 Cost.,  questione  di  legittimita'
costituzionale degli artt. 10-bis e 16, comma  1,  «ultimo  periodo»,
del d.lgs. n. 286 del 1998 e dell'art. 62-bis del d.lgs. n.  274  del
2000; 
        che secondo il giudice a quo, l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286
del 1998 - in correlazione con il successivo art. 16, comma  1,  che,
nel testo modificato dall'art. 1, comma 16, lettera b), e  comma  22,
lettera o), della legge n. 94 del 2009, consente al giudice  di  pace
di  applicare  allo  straniero  condannato  per  la   contravvenzione
prevista   dalla   norma   impugnata    la    sanzione    sostitutiva
dell'espulsione  -  violerebbe  i  principi  di  materialita'  e   di
necessaria offensivita' del reato, desumibili dall'art.  25,  secondo
comma, Cost.; 
        che la norma incriminatrice reprimerebbe, infatti,  una  mera
condizione personale - lo «status» di clandestino - di  cui  verrebbe
arbitrariamente presunta la pericolosita', sottoponendo a  pena,  non
un fatto offensivo di un bene giuridico tutelato, in  via  diretta  o
mediata, nella Costituzione, ma la mera disobbedienza alle  norme  in
tema di controllo dei flussi migratori; 
        che  la  fattispecie  criminosa   in   questione   lederebbe,
altresi', gli artt. 3 e 27 Cost., per contrasto  con  i  principi  di
eguaglianza e di «colpevolezza ed esigibilita'», stante  la  mancanza
di qualsiasi riferimento -  presente,  invece,  nell'art.  14,  comma
5-ter, del d.lgs. n. 286 del  1998  -  all'eventuale  sussistenza  di
giustificati motivi di inosservanza del precetto; 
        che   l'art.   3   Cost.   sarebbe    violato    anche    per
l'irragionevolezza della scelta di  criminalizzare  l'ingresso  o  la
permanenza  irregolari  nel  territorio  dello  Stato:   scelta   che
colliderebbe con il principio di sussidiarieta' o di  extrema  ratio,
in forza del quale e' consentito ricorrere alla sanzione penale  solo
quando nessun altro strumento, civile  o  amministrativo,  si  riveli
idoneo; 
        che dalla lettura congiunta  degli  artt.  10-bis  e  16  del
d.lgs. n. 286 del 1998 emergerebbe, infatti, chiaramente che  l'unico
scopo perseguito dal legislatore con l'introduzione del  nuovo  reato
e' l'allontanamento dello straniero «irregolare» dal territorio dello
Stato: obiettivo che  risultava  tuttavia  conseguibile,  gia'  prima
della novella, tramite l'istituto dell'espulsione amministrativa; 
        che  ne   deriverebbe   anche   un   ulteriore   profilo   di
compromissione dell'art. 27 Cost., assistendosi ad  un  uso  distorto
della sanzione penale, la quale verrebbe impiegata dal legislatore  a
fini di mera «deterrenza», con  conseguente  strumentalizzazione  del
singolo a scopi di politica criminale; 
        che il principio di personalita' della responsabilita' penale
risulterebbe vulnerato anche perche' la norma - a parita' di condotta
-  discrimina  gli  stranieri  che  siano  stati   espulsi   in   via
amministrativa (nei cui confronti andra' pronunciata sentenza di  non
luogo a procedere) e coloro che non lo siano stati (i quali  andranno
invece  incontro  alla  condanna):  con   la   conseguenza   che   la
responsabilita'  penale  dell'imputato  verrebbe   a   dipendere   da
circostanze estranee alla sua sfera di dominio, e segnatamente  dalla
mera  discrezionalita'   o   disponibilita'   di   mezzi   da   parte
dell'autorita' amministrativa; 
        che i denunciati profili di  irragionevolezza  non  sarebbero
affatto superati dalla comminatoria della pena dell'ammenda da  5.000
a 10.000 euro, sottratta alla sospensione  condizionale  (trattandosi
di  reato  di  competenza  del  giudice  di  pace)  e  all'oblazione:
risultando evidente come si tratti di sanzione ineffettiva  a  fronte
della  normale  condizione  di  insolvibilita'  degli  imputati,  con
l'unico  «effetto  collaterale»  di  un  inutile  «sovraccarico»  del
sistema giudiziario; 
        che del  tutto  irrazionale  sarebbe,  poi,  che  detta  pena
pecuniaria possa essere sostituita con una  sanzione  sostitutiva  di
gran lunga piu' afflittiva, quale l'espulsione dal  territorio  dello
Stato non inferiore a cinque anni: tanto piu' che, in tutti gli altri
casi contemplati dall'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286  del  1998,
la misura sostitutiva dell'espulsione resta applicabile  solo  quando
il giudice ritenga di dover irrogare pene detentive fino a due anni e
non ricorrano le condizioni per  la  sospensione  condizionale  della
pena; 
        che  la  fattispecie  incriminatrice  censurata  risulterebbe
altresi' inconciliabile con il principio di solidarieta', di cui agli
artt. 2 e 3, primo e secondo comma,  Cost.,  venendo  a  colpire,  in
combinazione con l'istituto del concorso di persone nel reato,  tutte
le condotte che,  se  pure  animate  solo  da  fini  di  solidarieta'
politica, economica e  sociale,  si  risolvano  in  una  agevolazione
dell'ingresso o del  trattenimento  nel  territorio  dello  Stato  di
persone che versano in condizioni di «subalternita'» e indigenza; 
        che la disciplina censurata violerebbe,  ancora,  l'art.  117
Cost., ponendosi in contrasto con  il  Protocollo  addizionale  della
Convenzione delle Nazioni Unite contro  la  criminalita'  organizzata
transnazionale per  combattere  il  traffico  illecito  di  migranti,
adottato il 15 dicembre 2000, il quale -  nell'impegnare  ogni  Stato
Parte a conferire il carattere di  reato  a  una  serie  di  condotte
attinenti al traffico dei  migranti  (art.  6)  -  statuisce  che  «i
migranti non diventano assoggettati  all'azione  penale  fondata  sul
presente protocollo per  il  fatto  di  essere  stati  oggetto  delle
condotte di cui all'art. 6» (art. 5) e obbliga, altresi',  gli  Stati
contraenti a prendere «misure adeguate, comprese quelle di  carattere
legislativo se necessario, per preservare e tutelare i diritti  delle
persone che sono state oggetto delle  condotte  di  cui  all'art.  6»
(art. 16); 
        che sarebbe leso, infine, l'art.  10  Cost.,  che  impone  la
conformazione  dell'ordinamento  italiano  ai  principi  di   diritto
internazionale generalmente riconosciuti; 
        che  la  Dichiarazione  universale  dei  diritti   dell'uomo,
approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10  dicembre
1948, afferma, infatti, che «ogni individuo ha  diritto  di  lasciare
qualsiasi paese, incluso il  proprio,  e  di  ritornare  nel  proprio
paese» (art. 13), «il diritto di cercare e di godere in  altri  paesi
asilo  dalle  persecuzioni»  (art.  14),  nonche'  il  diritto   alla
possibilita' di assicurare a se' e alla propria famiglia un'esistenza
conforme alla dignita' umana (art.  23):  disposizioni,  queste,  che
impedirebbero al legislatore di ricollegare alla sola  condizione  di
migrante, sia pure non regolare, «trattamenti  deteriori  rispetto  a
quel  minimum  di  garanzie  rintracciabili   nei   cc.dd.   principi
fondamentali inalienabili»; 
        che la questione sarebbe rilevante nei giudizi a quibus,  che
vedono due persone nate in Marocco imputate della contravvenzione  di
cui all'art. 10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  con  possibile
applicazione della sanzione sostitutiva dell'espulsione: giudizi che,
dunque, nel caso di accoglimento della questione, si  concluderebbero
con l'assoluzione degli imputati; 
        che in tutti i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano dichiarate  inammissibili  per  difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza o, comunque, infondate nel merito. 
    Considerato che le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni
identiche o analoghe, onde  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per
essere definiti con unica decisione; 
        che i giudici a quibus dubitano,  in  riferimento  a  plurimi
parametri, della legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), che punisce con l'ammenda da 5.000  a
10.000 euro, salvo che il fatto  costituisca  piu'  grave  reato,  lo
straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel  territorio
dello Stato; 
        che alcuni dei rimettenti estendono le proprie censure  anche
alle norme che accordano al giudice penale - e, in specie, al giudice
di pace, competente  per  il  reato  in  questione  -  il  potere  di
sostituire la pena pecuniaria con la misura  dell'espulsione  per  un
periodo non inferiore a cinque anni: vale a dire l'art. 16, comma  1,
del d.lgs. n. 286 n. 1998, come modificato  dall'art.  1,  comma  16,
lettera b), e comma 22, lettera  o),  della  legge  n.  94  del  2009
(ordinanze r.o. n. 324 e n. 325 del  2009  del  Giudice  di  pace  di
Gubbio), e l'art. 62-bis del 28 agosto  2000,  n.  274  (Disposizioni
sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14
della legge 24 novembre 1999, n. 468), aggiunto  dall'art.  1,  comma
17, lettera d), della legge n. 94 del 2009 (ordinanza r.o. n. 312 del
2009 del Giudice di pace di Cuneo; ordinanze r.o. n. 324 e n. 325 del
2009 del Giudice di pace di Gubbio); 
        che    le    eccezioni    di    inammissibilita'    sollevate
dall'Avvocatura generale dello Stato sono fondate, giacche' tutte  le
ordinanze di rimessione presentano carenze in  punto  di  descrizione
della fattispecie concreta e di motivazione sulla rilevanza  tali  da
precludere lo scrutinio nel merito delle questioni; 
        che, in rapporto alle ordinanze di rimessione del Giudice  di
pace di Orvieto (r.o. n. 282, n. 302 e n. 303 del  2009),  l'indicato
difetto di descrizione e di motivazione e' totale; 
        che il Giudice di pace di Cuneo (ordinanza r.o.  n.  312  del
2009) si limita, dal canto suo, a far cenno alla circostanza che, nel
giudizio a quo, si procede per il reato  di  cui  l'art.  10-bis  del
d.lgs.  n.   286   del   1998,   cosi'   che   la   declaratoria   di
incostituzionalita'   della   norma    comporterebbe    l'assoluzione
dell'imputato:  manca,  tuttavia,  ogni  specifico  riferimento  alla
vicenda concreta  che  ha  dato  origine  all'imputazione,  idoneo  a
permettere la verifica dell'asserita rilevanza della questione; 
        che, da ultimo, il Giudice di pace di Gubbio e il Giudice  di
pace  di  Vigevano  riproducono,   nell'epigrafe   delle   rispettive
ordinanze di rimessione (r.o. n. 324 e n. 325 del 2009; r.o.  n.  326
del 2009), i capi di imputazione: i  quali  si  risolvono,  peraltro,
nella  sostanza,  in  una  mera  e  generica  parafrasi  della  norma
incriminatrice - persino quanto al  riferimento  in  via  alternativa
alle condotte di ingresso e di  permanenza  illegale  nello  Stato  -
senza che, di nuovo, venga riferito alcunche' sulle vicende che hanno
dato origine al giudizio e sulla loro effettiva  riconducibilita'  al
paradigma punitivo censurato; 
        che le questioni vanno dichiarate,  pertanto,  manifestamente
inammissibili. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.