Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 2,  3,
4, 5 e 6, della legge  20  giugno  2003,  n.  140  (Disposizioni  per
l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche'  in  materia  di
processi penali  nei  confronti  delle  alte  cariche  dello  Stato),
promosso dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli
nel procedimento penale a carico  di  M.  C.  con  ordinanza  del  30
settembre 2009, iscritta al n.  76  del  registro  ordinanze  2010  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 12, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 23  giugno  2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 30  settembre  2009,  il  Giudice
dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di  Napoli  ha   sollevato
questione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art.  3,
primo comma, della Costituzione, dell'art. 6, commi 2, 3, 4, 5  e  6,
della legge 20 giugno 2003, n.  140  (Disposizioni  per  l'attuazione
dell'art. 68 della Costituzione nonche' in materia di processi penali
nei confronti delle alte cariche dello Stato),  nella  parte  in  cui
richiede l'autorizzazione della Camera di  appartenenza  al  fine  di
utilizzare  le  intercettazioni  «occasionali»  di  conversazioni   o
comunicazioni di un membro del Parlamento, anche quando si tratti  di
utilizzazione nei confronti dello stesso parlamentare interessato; 
        che il giudice a quo  premette  che  il  pubblico  ministero,
esercitata l'azione penale nei confronti di numerosi imputati, tra  i
quali  M.  C.,  membro,  all'epoca  dei  fatti,  del   Senato   della
Repubblica, cui erano contestati  alcuni  reati  contro  la  pubblica
amministrazione (artt. 317, 323  e  326  del  codice  penale),  aveva
depositato la documentazione relativa a  intercettazioni  telefoniche
concernenti il citato M. C., chiedendo che fosse inoltrata al  Senato
l'istanza  di  autorizzazione  alla   loro   utilizzazione   prevista
dall'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003; 
        che, in conformita' a tale disposizione,  era  stata  fissata
udienza camerale, nel  corso  della  quale  era  stata  sollevata  la
questione di costituzionalita'; 
        che, in punto di  rilevanza,  il  rimettente  evidenzia  come
ricorrano, nella specie, i presupposti d'insorgenza  dell'obbligo  di
richiedere l'autorizzazione prescritta dal citato art. 6, comma 2: le
intercettazioni  in  discussione  non  costituirebbero,  difatti,  il
frutto di captazioni «dirette» delle comunicazioni del  parlamentare,
ma dell'occasionale interlocuzione del medesimo con  altri  imputati,
le cui utenze erano state sottoposte legittimamente a  controllo,  ai
sensi degli artt. 266 e seguenti del codice di procedura penale; 
        che la richiesta del pubblico ministero, d'altro  canto,  non
riguarda la posizione degli imputati non parlamentari -  rispetto  ai
quali, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 390 del
2007, non e' piu' necessaria alcuna autorizzazione  della  Camera  di
appartenenza  -  ma  unicamente  quella  del  membro  del  Parlamento
coinvolto; 
        che   l'utilizzazione,   nel   processo   in   corso,   delle
conversazioni   intercettate   sarebbe,    inoltre,    «assolutamente
"necessaria" (rectius: rilevante)»: i colloqui intercettati, infatti,
non solo sarebbero attinenti  ai  fatti  contestati,  ma  soprattutto
rappresenterebbero «un fondamentale strumento per svelare  il  legame
che intercorre tra le condotte attribuite al  parlamentare  e  quelle
contestate agli  altri  imputati»,  risultando  cosi'  influenti  sui
provvedimenti adottandi a conclusione dell'udienza preliminare o  del
rito alternativo, eventualmente richiesto dall'imputato; 
        che, quanto alla non manifesta  infondatezza,  il  rimettente
osserva  che  l'autorizzazione  della  Camera  di  appartenenza   per
l'utilizzazione delle comunicazioni del parlamentare  occasionalmente
intercettate non e' prevista dall'art. 68, terzo  comma,  Cost.,  che
contempla   esclusivamente   un'autorizzazione   «preventiva»    «per
sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni,  in  qualsiasi
forma, di conversazioni o comunicazioni»; 
        che il meccanismo di controllo  previsto  dall'art.  6  della
legge n. 140 del 2003 si porrebbe, pertanto, in contrasto con  l'art.
3 Cost., non potendosi ritenere che il diritto alla riservatezza  del
parlamentare, tutelato dalla norma censurata, assuma, nella gerarchia
dei valori costituzionalmente protetti, un peso maggiore rispetto  al
principio d'eguaglianza dei cittadini davanti alla giurisdizione; 
        che il contrasto con l'art. 3 Cost. emergerebbe  anche  sotto
altro profilo, atteso che la norma impugnata, a seguito della  citata
sentenza n. 390 del 2007, consente di utilizzare  le  intercettazioni
di cui si discute nei confronti dei terzi, indipendentemente da  ogni
autorizzazione, determinando, con cio', un'ingiustificata  disparita'
di  trattamento  rispetto   all'utilizzazione   nei   confronti   del
parlamentare coinvolto, subordinata, viceversa, all'autorizzazione; 
        che nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile per difetto di motivazione  sulla  rilevanza
o, comunque, manifestamente infondata nel merito. 
    Considerato che il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale
di Napoli dubita, in  riferimento  all'art.  3,  primo  comma,  della
Costituzione, della legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi 2,
3, 4, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003,  n.  140  (Disposizioni  per
l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche'  in  materia  di
processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato),  nella
parte residuata alla declaratoria di incostituzionalita' recata dalla
sentenza n. 390 del 2007: chiedendo, in particolare, che sia  rimosso
l'obbligo di chiedere l'autorizzazione della Camera  di  appartenenza
al  fine  di   utilizzare   le   intercettazioni   «occasionali»   di
conversazioni o comunicazioni di membri del Parlamento, anche  quando
si discuta dell'utilizzazione nei confronti dello stesso parlamentare
interessato; 
        che, conformemente a quanto eccepito dall'Avvocatura generale
dello Stato, l'ordinanza di rimessione presenta carenze in  punto  di
descrizione  della  fattispecie  concreta  e  di  motivazione   sulla
rilevanza - con particolare riguardo  alla  natura  «casuale»  e  non
«indiretta» delle intercettazioni di cui si discute  nel  giudizio  a
quo - tali da precludere lo scrutinio nel merito della questione; 
        che questa Corte  -  puntualizzando  la  distinzione  tra  le
ipotesi considerate dagli artt. 4 e 6 della legge n. 140 del  2003  -
ha  rilevato,  infatti,   che   la   disciplina   dell'autorizzazione
preventiva, delineata dal primo dei  citati  articoli  in  attuazione
dell'art. 68, terzo comma, Cost. - il quale «vieta di  sottoporre  ad
intercettazione,   senza   autorizzazione,   non   le   utenze    del
parlamentare, ma le sue comunicazioni» -  deve  trovare  applicazione
«tutte le volte in cui il parlamentare sia  individuato  in  anticipo
quale  destinatario  dell'attivita'  di  captazione»:   dunque,   non
soltanto quando siano sottoposti a intercettazione  utenze  o  luoghi
appartenenti  al  soggetto  politico  o  nella   sua   disponibilita'
(intercettazioni «dirette»), ma anche quando siano monitorati  utenze
o luoghi  di  soggetti  diversi,  che  possono  tuttavia  «presumersi
frequentati dal parlamentare» (intercettazioni «indirette»:  sentenza
n. 390 del 2007); 
        che, viceversa, la disciplina dell'autorizzazione successiva,
prevista  dall'impugnato  art.  6,  si  riferisce   unicamente   alle
intercettazioni «casuali» (o «fortuite»): rispetto alle quali,  cioe'
-  «proprio  per  il  carattere  imprevisto  dell'interlocuzione  del
parlamentare»  -  «l'autorita'  giudiziaria  non  potrebbe,   neanche
volendo,  munirsi  preventivamente  del  placet   della   Camera   di
appartenenza» (sentenza n. 390 del 2007); 
        che,  nella  specie,  il  giudice  a  quo   assume   che   le
intercettazioni di cui si discute nel giudizio  principale  avrebbero
natura «occasionale», con conseguente sussistenza del presupposto  di
applicabilita'  della  norma  censurata,  ma   lo   fa   in   termini
sostanzialmente apodittici, ricollegando detta  natura,  in  pratica,
alla sola circostanza che l'attivita' di captazione e' stata disposta
su utenze in uso ad altri imputati; 
        che, come gia' chiarito  da  questa  Corte,  pronunciando  su
questioni di legittimita' costituzionale analoghe a  quella  odierna,
siffatta indicazione non puo' ritenersi sufficiente; 
        che, in sede di motivazione  sulla  rilevanza,  e',  infatti,
necessario che «il giudice mostri di aver tenuto effettivamente conto
del complesso di  elementi  significativi  al  fine  di  affermare  o
escludere la "casualita'" dell'intercettazione», alla  stregua  della
distinzione dianzi tracciata: «e  cosi',  ad  esempio,  dei  rapporti
intercorrenti tra parlamentare e terzo sottoposto a  intercettazione,
avuto riguardo al tipo di attivita' criminosa  oggetto  di  indagine;
del  numero  di  conversazioni  intercorse  tra   il   terzo   e   il
parlamentare; dell'arco di tempo durante il quale tale  attivita'  di
captazione e' avvenuta, anche rispetto  a  eventuali  proroghe  delle
autorizzazioni e al momento in cui sono sorti  indizi  a  carico  del
parlamentare» (sentenza n. 114 del 2010); 
        che l'odierno  rimettente  -  il  quale  non  specifica,  tra
l'altro,  i  fatti  per  cui  si  procede,  limitandosi  a  un   mero
riferimento numerico agli articoli di legge che prevedono le astratte
ipotesi di reato  cui  tali  fatti  dovrebbero  corrispondere  -  non
precisa neppure se, nel momento  in  cui  le  intercettazioni  ebbero
luogo, il  parlamentare  figurasse  gia'  nel  novero  delle  persone
sottoposte  a  indagini:  ipotesi  nella  quale  «la   qualificazione
dell'intercettazione  come  "casuale"»  richiederebbe  «una  verifica
particolarmente attenta»; 
        che  in  tale  eventualita',   difatti,   pur   non   potendo
ipotizzarsi  una  presunzione  assoluta  del  carattere   «indiretto»
dell'intercettazione,  tale  da  fare   sorgere   sempre   l'esigenza
dell'autorizzazione  preventiva  (sentenza  n.  390  del  2007),   il
sospetto  dell'elusione  della  garanzia  e'  comunque   piu'   forte
(sentenza n. 114 del 2010); 
        che anche in caso  contrario,  tuttavia  -  ove,  cioe',  gli
indizi di reita' nei confronti  del  membro  del  Parlamento  fossero
emersi  solo  nel   corso   dell'attivita'   di   intercettazione   -
occorrerebbe  pur  sempre  verificare   se   non   sia   intervenuto,
nell'autorita' giudiziaria, «un mutamento di  obbiettivi:  nel  senso
che - in ragione anche dell'obbligo  di  perseguire  gli  autori  del
reato   -   le   ulteriori   intercettazioni   potrebbero   risultare
finalizzate, nelle strategie investigative dell'organo inquirente,  a
captare non piu'  (soltanto)  le  comunicazioni  del  terzo  titolare
dell'utenza, ma (anche) quelle del  suo  interlocutore  parlamentare»
(sentenza n. 113 del 2010, concernente  anch'essa  una  questione  di
costituzionalita' analoga all'attuale); 
        che nell'ipotesi ora indicata - tanto piu' verosimile qualora
si fosse di fronte a  operazioni  protratte  nel  tempo  e  il  terzo
sottoposto a controllo risultasse essere  un  interlocutore  abituale
del  parlamentare  (circostanze  esse  pure   non   specificate   dal
rimettente) - «ogni  "casualita'"  verrebbe  evidentemente  meno:  le
successive captazioni delle comunicazioni del membro del  Parlamento,
lungi dal restare  fortuite,  diverrebbero  "mirate"  (e,  con  cio',
"indirette"),  esigendo  quindi  l'autorizzazione  preventiva   della
Camera, ai sensi dell'art. 4» (sentenza n. 113 del 2010); 
        che  a  cio'  conseguirebbe   un   piu'   o   meno   energico
restringimento delle intercettazioni assoggettabili al regime di  cui
all'art. 6, che imporrebbe - quantomeno - di rivedere la  valutazione
sulla necessita' della loro utilizzazione,  presupposta  dalla  norma
impugnata (sentenza n. 113 del 2010): valutazione che - come ad altro
fine rimarcato da questa Corte - spetta  indubbiamente  all'autorita'
giudiziaria, «la quale peraltro deve, essa per prima, commisurare  le
proprie   scelte   anche   all'esigenza   del    sacrificio    minimo
indispensabile dei valori di liberta' e indipendenza  della  funzione
parlamentare» (sentenza n. 188 del 2010); 
        che,  nell'assenza  delle  verifiche  dianzi  indicate  e  di
adeguata  corrispondente  motivazione  sul  punto,  la  questione  va
dichiarata, dunque, manifestamente inammissibile. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.