Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1,  n.
2 e n. 3, della legge 24 gennaio 1979, n. 18 (Elezione dei membri del
Parlamento europeo  spettanti  all'Italia),  promossi  dal  Tribunale
amministrativo regionale del  Lazio  con  ordinanze  dell'11  (nn.  3
ordinanze), del 14, del 15 dicembre 2009, dell'11 (nn. 2 ordinanze) e
del 14 dicembre 2009 rispettivamente iscritte ai nn. 22, 23, 28,  29,
30, 31, 32 e 33  del  registro  ordinanze  2010  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 6  e  7, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2010. 
    Visti gli atti di  costituzione  di  Giuseppe  Gargani,  Pasquale
Sommese, Maddalena Calia, Nicola Vendola ed altri, Oliviero Diliberto
ed altri, Felice Carlo Besostri ed altri, Salvatore Caronna ed altra,
Roberto Gualtieri, Giovanni  Collino,  Oreste  Rossi,  Iva  Zanicchi,
Sonia Viale, del PD - Partito Democratico, della Regione Sardegna, di
Sebastiano Sanzarello, della Regione Siciliana, di  Gino  Trematerra,
Giommaria Uggias, dell'IDV - Italia dei Valori, di Giuseppe  Arlacchi
ed altro nonche' gli atti di intervento del Presidente del  Consiglio
dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2010 il Giudice relatore
Sabino Cassese; 
    Uditi gli avvocati Mario Sanino e Lorenzo  Lentini  per  Giuseppe
Gargani e Pasquale Sommese, Federico Sorrentino e Antonello Rossi per
Maddalena Calia, Oreste Morcavallo  per  Gino  Trematerra,  Giampaolo
Parodi e Luigi Manzi per Sonia Viale, Vincenzo Cerulli Irelli per  il
PD - Partito Democratico e Roberto Gualtieri, Stelio  Mangiameli  per
Giovanni Collino, Oreste Rossi e Iva Zanicchi, Giuseppe Morbidelli  e
Paolo Trombetti  per  Salvatore  Caronna,  Alessandra  Camba  per  la
Regione Sardegna, Giovanni Pitruzzella per la Regione Siciliana, Luca
Di Raimondo per Nicola Vendola  ed  altri,  Silvio  Crapolicchio  per
Oliviero Diliberto ed altri, Felice Carlo Besostri per  Felice  Carlo
Besostri, Sergio Scicchitano e Giommaria Uggias per Giommaria Uggias,
Sergio Scicchitano per l'IDV - Italia dei Valori e Giuseppe  Arlacchi
ed altro e l'avvocato dello Stato Sergio Fiorentino per il Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione  II
bis, con tre ordinanze di identico tenore dell'11 dicembre 2009 (r.o.
nn. 29 e 30 del 2010) e del 14 dicembre 2009 (r.o. n. 31  del  2010),
ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  21,
comma 1, n. 2, della legge 24  gennaio  1979,  n.  18  (Elezione  dei
membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia),  in  riferimento
agli artt. 1, 3, 48, 49, 51 e 97 della Costituzione,  e  all'art.  11
della Costituzione, in relazione all'art. 10 del Trattato sull'Unione
europea, come modificato dal Trattato di Lisbona, e  agli  artt.  10,
11, 39 e 40 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata e resa  esecutiva
con legge 4 agosto 1955, n. 848 (d'ora in avanti «CEDU»). 
    Ad avviso del collegio rimettente,  la  norma  censurata  sarebbe
illegittima in quanto prevede «la  soglia  nazionale  di  sbarramento
[...] senza stabilire alcun correttivo, anche in sede di riparto  dei
resti», in particolare «non  consentendo  anche  alle  liste  escluse
dalla soglia di sbarramento di partecipare all'assegnazione dei seggi
attribuiti con il meccanismo dei resti», in tal modo  privandole  del
«c.d. diritto di tribuna». 
    1.1. - Il giudice a quo riferisce che i  ricorrenti  nei  giudizi
principali hanno impugnato il verbale delle  operazioni  dell'Ufficio
elettorale centrale nazionale presso la suprema Corte di  cassazione,
con cui e' stato adottato l'atto di  proclamazione  degli  eletti  al
Parlamento europeo in esito alle elezioni svoltesi  in  data  6  e  7
giugno 2009, nonche' gli atti presupposti, connessi e consequenziali,
chiedendone  l'annullamento  nella  parte  in  cui  non  sono   stati
assegnati  seggi  alle  seguenti  liste:  «Sinistra  e   Liberta'   -
Federazione dei Verdi» (r.o. nn. 29 e 31 del  2010);  «Partito  della
Rifondazione Comunista - Sinistra Europea  -  Partito  dei  Comunisti
italiani» (r.o.  nn.  30  e  31  del  2010);  «Associazione  politica
nazionale Lista Pannella»; «La Destra»; «Movimento per le Autonomie»;
«Partito Pensionati»; «Alleanza di Centro per la Liberta'»  (r.o.  n.
31 del 2010). I ricorrenti  nei  giudizi  principali  hanno  altresi'
chiesto,  secondo  quanto  riferisce  il  collegio   rimettente,   la
conseguente proclamazione  dei  candidati  della  Lista  «Sinistra  e
Liberta' - Federazione dei Verdi», Nicola Vendola  (r.o.  n.  29  del
2010) e della lista «Partito della Rifondazione Comunista -  Sinistra
Europea - Partito dei Comunisti italiani», Oliviero  Diliberto  (r.o.
n. 30 del 2010), in sostituzione dei candidati risultati eletti della
lista «Lega Nord», ovvero  del  candidato  della  lista  «Italia  dei
Valori - Lista Di Pietro». 
    I ricorrenti nei  giudizi  principali  hanno  lamentato,  secondo
quanto rappresenta il Tribunale rimettente, che alle  predette  liste
«Sinistra e Liberta'  -  Federazione  dei  Verdi»  e  «Partito  della
Rifondazione Comunista - Sinistra Europea  -  Partito  dei  Comunisti
italiani», in ragione del  mancato  raggiungimento  della  soglia  di
sbarramento, non siano stati  attribuiti  seggi,  pur  avendo  alcuni
candidati delle medesime liste ottenuto un numero  di  voti  maggiore
rispetto ai «resti» che hanno consentito ai candidati di altre liste,
le quali hanno superato la soglia di sbarramento, di beneficiare «dei
due  seggi  residuati  dopo  l'assegnazione  dei  seggi  a  quoziente
intero».  Il  collegio  rimettente,  in  particolare,  espone  che  i
ricorrenti  nel  giudizio   principale   hanno   dedotto   la   falsa
applicazione  della  disposizione   contenuta   nell'ultimo   periodo
dell'art. 21, comma 1,  n.  2,  della  legge  n.  18  del  1979  («si
considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che
non hanno  raggiunto  il  quoziente  elettorale  nazionale»).  Questa
disposizione, a loro avviso, imporrebbe di considerare come resti, ai
fini della attribuzione dei seggi non assegnati a  quoziente  intero,
anche la  cifra  elettorale  nazionale  delle  liste  che  non  hanno
superato la soglia di sbarramento del 4%, di cui all'art.  21,  comma
1, n. 1-bis, della legge n. 18 del 1979, in modo da concedere ad esse
un «diritto di tribuna». Ove tale interpretazione non fosse  accolta,
i   ricorrenti   deducono   in   via   subordinata   l'illegittimita'
costituzionale della norma censurata. 
    Nei giudizi principali si sono costituiti o  sono  intervenuti  i
seguenti  soggetti:  Ministero  dell'interno  -  Ufficio   elettorale
centrale nazionale e  Italia  dei  Valori  (r.o.  n.  30  del  2010);
Giommaria Uggias, Sonia Viale e Lega Nord  per  l'Indipendenza  della
Padania (r.o. nn. 29 e  30  del  2010),  Salvatore  Caronna,  Roberto
Gualtieri, Oreste Rossi e Luigi De Magistris (r.o. n. 31 del 2010). 
    1.2.  -  Il  giudice  a  quo,  innanzitutto,  esclude  di   poter
accogliere il ricorso in  virtu'  della  prospettata  interpretazione
dell'art. 21, comma 1, n. 2, ultimo periodo, della legge  n.  18  del
1979, in base alla quale  tale  previsione  normativa  «consentirebbe
anche alle liste escluse dalla soglia di sbarramento  di  partecipare
all'assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo  dei  resti».
Il   collegio   rimettente   chiarisce   infatti   che   una   simile
interpretazione  poggia  su  una  indebita  sovrapposizione  fra   il
concetto  di  «cifra  elettorale  nazionale»,  che  e'   «presupposto
previsto, nel minimo del 4%, per l'ammissione al riparto dei seggi» e
«quello di quoziente elettorale nazionale», che e' invece «frutto  di
un'elaborazione matematica per l'assegnazione in concreto dei seggi». 
    L'impossibilita' di  aderire  alla  interpretazione  offerta  dai
ricorrenti impone al Tribunale rimettente di esaminare  le  eccezioni
di legittimita' costituzionale da essi sollevate in via  subordinata.
Il rimettente,  peraltro,  esclude  anche  che  la  previsione  della
clausola di sbarramento del 4%, in se' considerata, contrasti con  le
norme costituzionali o  con  il  diritto  comunitario.  Tuttavia,  il
giudice a quo ritiene rilevante, e non manifestamente  infondata,  la
questione di legittimita' costituzionale della disciplina  censurata,
in quanto riferita al «meccanismo che  esclude  il  c.d.  diritto  di
tribuna, non consentendo anche alle liste  escluse  dalla  soglia  di
sbarramento di partecipare all'assegnazione dei seggi attribuiti  con
il meccanismo dei resti». 
    In punto di rilevanza, il  collegio  rimettente  osserva  che  la
norma censurata osta all'accoglimento della  domanda  dei  ricorrenti
nel giudizio principale, candidati per una lista che non ha  superato
la soglia di sbarramento, di  partecipare  con  i  propri  voti  alla
ripartizione dei «resti». 
    In  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,  ad  avviso   del
rimettente, la disposizione, in  primo  luogo,  violerebbe  l'art.  3
Cost.   sotto   diversi   profili.   Essa   sarebbe    manifestamente
irragionevole, in quanto consentirebbe alle liste che hanno  superato
la soglia di sbarramento, «in sede di computo dei resti eccedenti  il
quorum elettorale intero», di ottenere ulteriori seggi «sulla base di
cifre elettorali irragionevolmente ben piu' modeste [...] rispetto  a
quelle riportate dalle liste che non hanno  raggiunto  la  soglia  di
sbarramento del 4% e che vengono escluse dalla norma in  esame  anche
dal predetto riparto dei resti». La disposizione  sarebbe,  poi,  non
proporzionata rispetto al fine di favorire le aggregazioni politiche,
il quale verrebbe gia' sufficientemente assicurato  dalla  esclusione
delle liste minori ad opera della clausola di sbarramento del 4%.  Un
«ulteriore profilo di  irragionevolezza»,  infine,  risiederebbe  nel
«denegato accesso al rimborso delle spese effettuate dai partiti  che
hanno partecipato con proprie liste alla competizione elettorale,  ma
che non hanno raggiunto il quorum, in quanto cio' appare suscettibile
di determinare una possibile disparita' di trattamento fra i  diversi
attori politici». 
    In secondo luogo, la disciplina censurata, ad avviso del  giudice
a quo, sarebbe illegittima in quanto «porrebbe radicalmente nel nulla
la volonta' popolare di una piu' o meno ampia  platea  di  elettori»,
rispetto ad essi  interrompendo  il  «filo  democratico»  che  unisce
insieme i diversi  momenti  in  cui  si  articola  l'esercizio  della
sovranita' popolare (art. 1  Cost.):  il  diritto  di  associarsi  in
partiti politici al fine di  concorrere  a  determinare  la  politica
nazionale (art. 49 Cost.);  il  diritto  di  concorrere  direttamente
all'elezione dei parlamentari (art. 48 Cost.); il  principio  secondo
cui  ciascun  parlamentare  esercita  i  suoi  poteri  rappresentando
l'intera Nazione e non una limitata  cerchia  di  elettori  (art.  67
Cost.). 
    In terzo luogo, la norma impugnata violerebbe l'art. 11 Cost., in
relazione sia all'art. 10  del  Trattato  sull'Unione  europea,  come
modificato dal Trattato di Lisbona,  secondo  cui  «il  funzionamento
dell'Unione  si  fonda  sulla  democrazia  rappresentativa»  e  «ogni
cittadino  ha  diritto   di   partecipare   alla   vita   democratica
dell'Unione», sia agli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU [recte: della
Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione europea],  che  sanciscono
«il  diritto  di  ciascun  individuo  di   manifestare   le   proprie
convinzioni e di godere  dell'elettorato  attivo  e  passivo  per  il
Parlamento europeo» e «non possono non porsi anche a fondamento della
necessita' di rappresentanza degli elettori comunitari nel Parlamento
europeo». 
    1.4. - E' intervenuto, in tutti  i  giudizi,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo  che  le  questioni  sollevate  siano
dichiarate manifestamente inammissibili o,  comunque,  manifestamente
infondate. 
    Secondo   la   difesa   dello   Stato,   la   questione   sarebbe
inammissibile,  innanzitutto,  per  la   «evidente   perplessita'   e
contraddittorieta' delle censure» prospettate dal giudice rimettente,
il  quale,  da  un  lato,  «riconosce  la   compatibilita'   con   la
Costituzione della  clausola  di  sbarramento»  e,  dall'altro  lato,
«solleva  questioni  attinenti  alla  legittimita'  del  sistema   di
attribuzione dei  seggi  che  non  potrebbero  essere  accolte  senza
mettere in discussione la stabilita' di quella  scelta  legislativa»,
dal momento che la clausola di sbarramento  «sarebbe  inevitabilmente
superata» ove  si  consentisse  anche  alla  liste  che  non  l'hanno
raggiunta di concorrere alla assegnazione dei seggi non attribuiti in
base  ai  quozienti  interi.   Costituisce   ulteriore   ragione   di
inammissibilita', ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato,  la
«manifesta irragionevolezza dell'intervento additivo»  richiesto.  Il
riconoscimento di un diritto di tribuna  alle  liste  che  non  hanno
superato  lo  sbarramento  risulterebbe   infatti   affidato,   nella
prospettiva  fatta  propria  dal  giudice  a   quo,   a   circostanze
accidentali: esso dipenderebbe, secondo la difesa dello Stato,  dalla
duplice circostanza che residuino seggi da assegnare dopo il  riparto
effettuato in base ai quozienti interi e che i  voti  ottenuti  dalla
lista che non ha superato la soglia di sbarramento siano maggiori dei
resti rimasti a disposizione della lista che la ha superata. 
    Nel merito, la difesa dello Stato richiama la  giurisprudenza  di
questa Corte secondo cui l'eguaglianza del voto  non  e'  compromessa
se, in virtu' del sistema elettorale prefigurato dal legislatore,  «i
suffragi espressi da taluni elettori  non  concorrono,  in  concreto,
all'attribuzione di seggi» ed aggiunge che la previsione di un quorum
funzionale per l'attribuzione dei seggi non comporta che  coloro  che
hanno votato per liste che non raggiungono il quorum restano privi di
rappresentanza politica, ma significa solo  che  tale  rappresentanza
«e'  costituita  [...]  sulla  base  della  prevalente   aggregazione
dell'opinione politica degli elettori». 
    1.5. - Si sono costituiti in giudizio i  ricorrenti  nei  giudizi
principali, chiedendo  che  questa  Corte  dichiari  l'illegittimita'
costituzionale   della   disposizione   censurata.   In   prossimita'
dell'udienza, i ricorrenti  hanno  depositato  memorie  illustrative,
ribadendo e sviluppando  quanto  affermato  nei  rispettivi  atti  di
costituzione e  insistendo  per  l'accoglimento  della  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    1.6. - Si sono altresi' costituiti in giudizio, chiedendo che  la
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
o infondata, alcuni soggetti controinteressati nei giudizi principali
(Giommaria  Uggias,  Oreste  Rossi,  Roberto  Gualtieri,   Luigi   De
Magistris, Salvatore Caronna e Francesca Balzani, Sonia Viale, Italia
dei Valori, Giuseppe Arlacchi). In prossimita'  dell'udienza,  alcuni
di essi (Roberto Gualtieri, Salvatore Caronna  e  Francesca  Balzani,
Sonia Viale) hanno depositato memorie illustrative, ribadendo  quanto
affermato nei rispettivi atti di costituzione  e  insistendo  per  la
dichiarazione di inammissibilita' o infondatezza della questione. 
    2. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione  II
bis, con cinque ordinanze di identico tenore  dell'11  dicembre  2009
(r.o. nn. 22, 23 e 28 del 2010), del 14 dicembre 2009 (r.o. n. 32 del
2010) e del 15 dicembre 2009 (r.o. n.  33  del  2010),  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1, n. 3,
della legge n. 18 del 1979, in riferimento agli artt. 1, 3,  48,  49,
51, 56, 57 e 97 Cost., nonche' agli artt. 10,  11  e  117  Cost.,  in
relazione agli artt. 1, 2 e 7  dell'Atto  relativo  all'elezione  dei
rappresentanti del Parlamento europeo a suffragio universale diretto,
allegato alla Decisione del  Consiglio  del  20  settembre  1976,  n.
76/787/CECA/CEE/Euratom,  come   modificato   dalla   Decisione   del
Consiglio 25 giugno 2002, n.  2002/772/CE/Euratom  (d'ora  in  avanti
«Atto di Bruxelles») e agli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU. 
    Secondo  il  Tribunale  rimettente,  tale  disposizione   sarebbe
illegittima nella parte in cui, «senza rispettare il numero dei seggi
preventivamente attribuito alle singole circoscrizioni, in  relazione
alla popolazione residente, ai sensi dell'art. 2 della  legge  n.  18
del  1979»,  stabilisce   quanto   segue:   «[l'Ufficio   elettorale]
attribuisce, poi, alla lista, sia essa singola sia formata  da  liste
collegate a norma dell'articolo 12, nelle varie circoscrizioni, tanti
seggi quante  volte  il  rispettivo  quoziente  elettorale  di  lista
risulti  contenuto  nella  cifra  elettorale  circoscrizionale  della
lista. I seggi che rimangono ancora  da  attribuire  sono  assegnati,
rispettivamente,  nelle  circoscrizioni  per  le  quali   le   ultime
divisioni hanno dato maggiori resti e, in caso di parita' di resti, a
quelle circoscrizioni nelle quali si e' ottenuta  la  maggiore  cifra
elettorale circoscrizionale». 
    2.1. - Il Collegio rimettente  riferisce  che  i  ricorrenti  nei
giudizi  principali  hanno  impugnato  il  verbale  delle  operazioni
dell'Ufficio elettorale centrale nazionale del 26 giugno 2009,  nella
parte in cui con esso «si e' provveduto  all'assegnazione  dei  seggi
nella competizione per il rinnovo dei rappresentanti  del  Parlamento
europeo  del  6  e  7  giugno  2009»,  contestando,  in  particolare,
l'effetto  di  «contrazione»  del   numero   di   seggi   previamente
attribuiti, ai sensi dell'art. 2 della legge n.  18  del  1979,  alle
circoscrizioni territoriali  dell'Italia  meridionale  e  dell'Italia
insulare, asseritamente  determinato  dall'applicazione  della  norma
censurata. Quest'ultima prevede, infatti, un sistema di  assegnazione
dei seggi alle liste in base al  numero  dei  votanti  nelle  singole
circoscrizioni che, ad avviso dei ricorrenti nei giudizi  principali,
si porrebbe in contrasto con il diverso criterio di attribuzione  dei
seggi sulla base della popolazione, stabilito  dal  predetto  art.  2
della legge n. 18 del 1979 conformemente al diritto europeo (art. 189
Tr. CE e Atto di Bruxelles). Il giudice a quo espone che,  alla  luce
di tali considerazioni, i ricorrenti  nei  giudizi  principali  hanno
chiesto: in via principale, la correzione  del  verbale  dell'Ufficio
elettorale  centrale  nazionale,  nonche'  di  quelli  degli   uffici
circoscrizionali, con conseguente elezione dei  ricorrenti  stessi  a
parlamentari europei, previa disapplicazione dell'art. 21 della legge
n. 18 del 1979; in via subordinata, la trasmissione degli  atti  alla
Corte costituzionale ai fini della  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale degli artt. 21 e 22 della legge n. 18 del 1979. 
    Il Tribunale amministrativo  rimettente  riferisce  che  si  sono
costituiti o sono  intervenuti  nei  giudizi  principali  i  seguenti
soggetti:  Ministero  dell'Interno  e  Ufficio  elettorale   centrale
nazionale presso la Corte suprema di cassazione (r.o. nn. 22, 28,  32
e 33 del 2010); Roberto Gualtieri (r.o. nn. 22, 23, 28, 32 e  33  del
2010); Salvatore Caronna (r.o. nn. 22, 28 e 33 del 2010); Sonia Viale
(r.o. n. 22 del 2010); Lega Nord  per  l'Indipendenza  della  Padania
(r.o. n. 22 del 2010); Partito Democratico (r.o.  n.  22  del  2010);
Regione Sardegna (r.o. nn. 28, 32 del 2010); Regione Siciliana  (r.o.
n. 32 del 2010). 
    2.2. - Cio' premesso, il giudice a quo, dopo aver ricostruito  il
contenuto  della  disciplina,  nazionale  e  sovranazionale,  per  le
elezioni del Parlamento europeo,  osserva  che  l'applicazione  della
norma  censurata  produce,  «di  fatto»,   un   effetto   distorsivo,
consistente nella assegnazione a ciascuna circoscrizione di un numero
di seggi «direttamente correlato  all'affluenza  al  voto»,  anziche'
proporzionale alla popolazione residente,  come  e'  invece  previsto
dall'art.  2  della  legge  n.  18  del  1979,  nonche'  dal  diritto
comunitario,  che  stabilisce  i   principi   della   «rappresentanza
territoriale» e della «proporzionalita'  degressiva»,  in  base  alla
quale «il numero degli eletti in ciascuna  ripartizione  territoriale
deve garantire un'adeguata  rappresentanza  della  popolazione  nella
corrispondente  circoscrizione».  In   particolare,   rispetto   alla
ripartizione di seggi effettuata  in  attuazione  dell'art.  2  della
legge n. 18 del 1979 (che prevede  18  seggi  per  la  circoscrizione
dell'Italia meridionale e 8 seggi per quella dell'Italia insulare), i
risultati elettorali del 2009 avrebbero determinato,  secondo  quanto
rileva il giudice a quo, «un deficit di rappresentanza  [...]  per  i
cittadini delle circoscrizioni del Sud e delle Isole, che hanno visto
la diminuzione di  3  e  2  rappresentanti  rispettivamente  (con  la
conseguente mancata elezione de[i]  ricorrent[i])  in  ragione  della
ripartizione di voti sulla base di altro e discordante  criterio  (di
cui all'art. 21) riferito al numero di cittadini che hanno esercitato
il diritto di voto». 
    In  ragione  del  descritto  effetto  distorsivo,   il   collegio
rimettente ha sollevato la questione di  legittimita'  costituzionale
della disposizione censurata, osservando, in punto di rilevanza,  che
«una  eventuale  pronuncia   di   incostituzionalita'   della   Corte
costituzionale imporrebbe di decidere la posizione de[i] ricorrent[i]
[...] alla stregua della nuova disciplina che ne risulterebbe». 
    In  ordine  alla  non  manifesta   infondatezza,   il   Tribunale
amministrativo rimettente dubita  della  legittimita'  costituzionale
della  disposizione  censurata  in  relazione  a  diversi   parametri
costituzionali. 
    Essa sarebbe in contrasto, in primo luogo, con  l'art.  3  Cost.,
con  riguardo  sia  alla  ragionevolezza,  sia  all'uguaglianza:   la
«intrinseca   irragionevolezza»   deriverebbe   dalla    «prospettata
contraddittorieta' [...]  con  l'intenzione  del  legislatore,  quale
risultante dai lavori  parlamentari  preparatori  e  dal  tenore  del
citato art. 2» della legge n. 18 del 1979, secondo il quale  i  seggi
devono essere distribuiti in proporzione della popolazione  residente
in ogni circoscrizione; il canone  dell'eguaglianza  sarebbe  violato
con riferimento sia al diritto di elettorato attivo, per  la  lesione
del principio di uguaglianza del voto, sia al diritto  di  elettorato
passivo, in quanto si consentirebbe «ad una o piu' liste, all'interno
delle circoscrizioni in cui vi e' stata  una  maggiore  affluenza  di
elettori, di ottenere piu'  seggi,  alterando  il  numero  di  quelli
assegnati alle medesime circoscrizioni, a scapito dei  candidati  che
concorrono nelle circoscrizioni con minore affluenza di votanti». 
    In secondo luogo,  risulterebbero  violati  i  principi  di  buon
andamento e imparzialita' di cui all'art. 97 Cost., in quanto, mentre
l'art. 2 della legge n. 18 del  1979  avrebbe  correttamente  accolto
l'indicazione del  legislatore  comunitario  relativa  alla  facolta'
degli  Stati  «di  autovincolarsi  ad  un  sistema  di   ripartizione
territoriale - per circoscrizione - dei seggi», al contrario la norma
censurata  «ancora  il  risultato  elettorale  [...]  ad  un  sistema
premiante delle circoscrizioni in cui  la  popolazione  [...]  si  e'
dimostrata politicamente e civicamente piu' matura», senza  che  tale
diverso criterio trovi «una sua ratio nell'ordinamento». 
    In terzo luogo, vi sarebbe un contrasto con l'art.  1  Cost.,  in
base al quale «anche l'esercizio delle procedure  nazionali  relative
all'attribuzione di profili di sovranita' all'Unione  europea,  quali
l'elezione degli europarlamentari», deve avvenire «in conformita'  al
principio democratico». 
    In quarto luogo, sarebbero lesi gli  artt.  10  e  11  Cost.,  in
relazione agli artt. 1, 2 e 7 dell'Atto di Bruxelles,  in  quanto  il
«sistema della ripartizione  territoriale»  dei  seggi,  benche'  non
obbligatorio in base al diritto comunitario, «risponde alle  esigenze
di proporzionalita' e rappresentativita' della popolazione»,  con  la
conseguenza che il legislatore nazionale non  potrebbe  prevedere  un
«meccanismo contrastante» con tale sistema, ma semmai alternativo  ed
equivalente nel perseguimento dello scopo. 
    In quinto luogo, sarebbero violati gli artt. 48, 49 e  51  Cost.,
considerati anche in congiunzione con gli artt. 2, 18,  21,  39,  64,
67,  82  e  118  Cost.,  i  quali  «affermano   il   criterio   della
rappresentativita' della popolazione, quale derivazione del piu' alto
principio democratico». 
    In sesto luogo, la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 10
e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt. 10, 11,  39  e  40
della CEDU [recte: della Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione
europea], i quali «sanciscono il  diritto  di  ciascun  individuo  di
manifestare le proprie convinzioni e di godere dell'elettorato attivo
e passivo per il  Parlamento  europeo»,  a  sua  volta  «strettamente
conness[i]  a  quelli  tutelati  dagli  articoli  che   nella   Carta
costituzionale affermano la regola democratica secondo  il  principio
di uguaglianza di cui  all'art.  3  Cost».  Ad  avviso  del  collegio
rimettente, che richiama in proposito le sentenze n. 348 e n. 349 del
2007 di questa Corte, la disposizione censurata sarebbe incompatibile
con le  predette  norme  della  CEDU  e,  dunque,  con  gli  obblighi
internazionali di cui agli artt. 10 e 117 Cost. 
    Infine, il giudice a quo ritiene che  la  norma  censurata  violi
anche gli artt. 56  e  57  Cost.,  che  sanciscono  il  principio  di
«rappresentativita'  del  cittadino  nelle  istituzioni»,  del  quale
costituisce   espressione   «il   criterio    della    rappresentanza
proporzionale territoriale». 
    2.3. - E' intervenuto  in  tutti  i  giudizi  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo  che  le  questioni  sollevate  siano
dichiarate manifestamente non fondate. 
    L'Avvocatura osserva, preliminarmente, che la  legge  n.  18  del
1979 prevede un sistema elettorale proporzionale «c.d. perfetto»,  il
quale  cioe'  «garantisce  in  massimo  grado  la  rappresentativita'
politica   del   corpo   elettorale,   a   parziale   scapito   della
rappresentativita' territoriale».  Cio'  premesso,  la  difesa  dello
Stato  rileva  che,  in  base  al  diritto  comunitario  citato   dal
rimettente, il criterio  della  rappresentativita'  territoriale  del
Parlamento europeo (c.d. proporzionalita' degressiva)  e'  riferibile
alle sole «rappresentanze nazionali» e non anche a rappresentanze  di
realta' territoriali interne agli Stati membri.  In  particolare,  ad
avviso dell'Avvocatura generale dello  Stato,  l'Atto  di  Bruxelles,
all'opposto di quanto ritenuto  dal  giudice  rimettente,  recherebbe
«una decisa opzione in favore della rappresentativita'  politica,  in
senso proporzionale e su base nazionale, degli eletti  al  Parlamento
europeo»,  dal  momento  che  esso  consente  la   «costituzione   di
circoscrizioni o altre suddivisioni interne [...] solo in funzione di
specificita' nazionali e a condizione che non venga  pregiudicato  il
carattere proporzionale del voto, vale a dire  la  rappresentativita'
del  voto  rispetto  alla   composizione   politica   dell'elettorato
dell'intero  Stato  membro».  Secondo  la  difesa  dello  Stato,   il
legislatore nazionale non avrebbe inteso avvalersi di tale  facolta',
dato che le circoscrizioni di cui alla  legge  n.  18  del  1979  non
perseguono lo scopo di «attribuire rilevanza a  realta'  territoriali
omogenee sul piano istituzionale», ma  rispondono  a  mere  finalita'
amministrative  «volte  a  favorire  l'ordinato   svolgimento   delle
operazioni elettorali oltre che a consentire una  effettiva  campagna
elettorale, mantenendo a livelli fisiologici il rapporto tra elettori
e candidati». 
    Sulla base di tali considerazioni,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato esclude l'asserita  lesione  delle  fonti  sovranazionali.  Ne'
sussisterebbe,  secondo  la  difesa  dello  Stato,   il   prospettato
contrasto con l'art. 3 Cost. Il principio della eguaglianza del voto,
infatti,  sarebbe  potuto  semmai  essere  «vulnerato»  dalla  scelta
dell'opposto criterio dell'attribuzione alle varie circoscrizioni  di
un numero di  seggi  fisso,  in  base  al  quale  «gli  eletti  nelle
circoscrizioni con minore affluenza finirebbero per rappresentare  un
numero minore  di  votanti».  Quanto,  poi,  all'asserita  intrinseca
irragionevolezza della disposizione censurata, per contraddittorieta'
rispetto all'art. 2 della medesima legge n. 18 del 1979, l'Avvocatura
generale dello Stato osserva  che,  in  realta',  le  due  previsioni
«fa[nno] corpo», «perche' la suddivisione dei seggi in circoscrizioni
non puo' prescindere dalla fissazione del metodo di attribuzione  dei
seggi medesimi, che la legge elettorale  in  esame  ha  stabilito  in
funzione della maggiore garanzia della  rappresentativita'  in  senso
proporzionale, come previsto  nel  principio  fondamentale  contenuto
nell'art. 1, comma 2, della legge, secondo il  quale  "l'assegnazione
dei  seggi  tra  le  liste  concorrenti  e'  effettuata  in   ragione
proporzionale" (non, quindi, su base circoscrizionale)». 
    2.4.  -  Si  sono  costituiti  tutti  i  ricorrenti  nei  giudizi
principali, chiedendo  che  questa  Corte  dichiari  l'illegittimita'
costituzionale  della  disposizione  censurata.  Si   sono   altresi'
costituite in giudizio, insistendo per l'accoglimento della sollevata
questione di  legittimita'  costituzionale,  le  Regioni  Sardegna  e
Sicilia, intervenute in alcuni dei giudizi principali. In prossimita'
dell'udienza,  alcuni   dei   ricorrenti   nei   giudizi   principali
costituitisi nel giudizio costituzionale (Giuseppe Gargani,  Pasquale
Sommese, Maddalena Calia e Sebastiano  Sanzarello)  hanno  depositato
memorie illustrative, ribadendo e sviluppando  quanto  sostenuto  nei
rispettivi atti di  costituzione  e  insistendo  affinche'  la  Corte
dichiari l'illegittimita' costituzionale della disciplina  censurata.
Anche  le  Regioni  Sicilia  e  Sardegna  hanno  depositato   memorie
illustrative  in   prossimita'   dell'udienza,   confermando   quanto
sostenuto nei  rispettivi  atti  di  costituzione  e  insistendo  per
l'accoglimento della questione di legittimita' costituzionale. 
    2.5. - Si sono costituiti in giudizio,  chiedendo  che  la  Corte
dichiari inammissibile o  infondata  la  questione,  alcuni  soggetti
controinteressati nei giudizi principali (Salvatore Caronna,  Roberto
Gualtieri, Sonia Viale, Iva Zanicchi, Giovanni Collino, Oreste Rossi,
Partito democratico). In prossimita'  dell'udienza,  alcuni  di  tali
soggetti (Salvatore Caronna, Roberto Gualtieri, Sonia Viale,  Partito
democratico) hanno depositato memorie  illustrative,  sviluppando  le
argomentazioni  svolte  nei  rispettivi  atti   di   costituzione   e
insistendo affinche' la Corte dichiari inammissibile o  comunque  non
fondata la questione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Con otto ordinanze, il  Tribunale  amministrativo  regionale
del Lazio solleva questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
21, comma 1, n. 2 e  n.  3,  della  legge  24  gennaio  1979,  n.  18
(Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia), in
riferimento agli  artt.  1,  3,  48,  49,  51,  56,  57  e  97  della
Costituzione, nonche' agli artt. 10, 11 e 117 della Costituzione,  in
relazione all'art. 10 del Trattato sull'Unione europea, agli artt. 1,
2  e  7  dell'Atto  relativo  all'elezione  dei  rappresentanti   del
Parlamento europeo a  suffragio  universale  diretto,  allegato  alla
Decisione   del    Consiglio    del    20    settembre    1976,    n.
76/787/CECA/CEE/Euratom,  come   modificato   dalla   Decisione   del
Consiglio 25 giugno 2002, n.  2002/772/CE/Euratom  (d'ora  in  avanti
«Atto di Bruxelles») e agli artt. 10, 11, 39 e 40  della  Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'
fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n.
848  (d'ora  in  avanti  «CEDU»)  [recte:  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea]. 
    All'art. 21, comma 1, n.  2,  della  legge  n.  18  del  1979  si
riferiscono, in particolare, le censure contenute in tre ordinanze di
rimessione del Tar del Lazio (r.o. nn. 29, 30  e  31  del  2010),  di
identico tenore, le quali riguardano l'accesso al riparto dei  seggi,
in base ai resti, delle liste che non abbiano superato la  soglia  di
sbarramento del 4%. 
    All'art. 21, comma 1, n. 3, si riferiscono,  invece,  le  censure
proposte dal Tar del Lazio con cinque ordinanze di  rimessione  (r.o.
nn. 22, 23, 28, 32 e 33 del 2010), anch'esse di identico  tenore,  le
quali attengono alle modalita'  di  ripartizione  dei  seggi  fra  le
diverse circoscrizioni elettorali. 
    2. - In ragione  della  loro  connessione  oggettiva,  i  giudizi
possono essere riuniti, per essere decisi con un'unica pronuncia. 
    3. - Preliminarmente, vanno esposte le principali caratteristiche
della disciplina per l'elezione dei  membri  del  Parlamento  europeo
spettanti all'Italia, nel cui contesto si collocano  le  disposizioni
oggetto di censura. 
    3.1. - L'ordinamento comunitario,  nell'attesa  dell'introduzione
di una  procedura  uniforme  per  l'elezione  dei  rappresentanti  al
Parlamento europeo, ha demandato agli Stati membri la definizione  di
tale disciplina,  fissando  tuttavia  alcuni  principi  comuni.  Tali
principi sono contenuti  nell'Atto  di  Bruxelles,  che  esprime  una
scelta di fondo a favore di sistemi elettorali di tipo proporzionale.
Esso stabilisce, infatti, che «in ciascuno Stato membro, i membri del
Parlamento europeo sono eletti a scrutinio  di  lista  o  uninominale
preferenziale con riporto di voti di tipo  proporzionale»  (art.  1),
secondo  disposizioni  nazionali  che  «non  devono   nel   complesso
pregiudicare il carattere proporzionale del voto» (art. 7);  permette
agli Stati membri di costituire circoscrizioni elettorali, ma  «senza
pregiudicare complessivamente il carattere  proporzionale  del  voto»
(art. 2); consente ai legislatori nazionali di prevedere  una  soglia
minima per l'attribuzione dei seggi, purche' essa non sia « fissata a
livello nazionale oltre il 5% dei suffragi espressi» (art. 2-bis). La
disciplina   europea,   dunque,   e'   ispirata   al   principio   di
proporzionalita' politica: consente l'istituzione  di  circoscrizioni
interne, purche' non pregiudichino tale principio. 
    3.2. - In attuazione della disciplina europea, l'Italia,  con  la
legge n. 18 del 1979, ha scelto un sistema  elettorale  proporzionale
c.d. «puro», con assegnazione dei seggi nell'ambito  di  un  collegio
nazionale  unico.  Il  collegio  e'  tuttavia  articolato  in  cinque
circoscrizioni  elettorali  (Italia  nord  occidentale;  Italia  nord
orientale; Italia centrale; Italia meridionale; Italia insulare),  in
cui devono essere presentate le liste e alle quali, in virtu' di  una
previsione introdotta con la legge 9 aprile 1984, n. 61 (Disposizioni
tecniche concernenti la elezione dei  rappresentanti  dell'Italia  al
Parlamento europeo), e' assegnato preventivamente un numero di seggi,
in proporzione alla popolazione residente. Inoltre, con la  legge  20
febbraio 2009, n. 10 (Modifiche alla legge 24 gennaio  1979,  n.  18,
concernente l'elezione dei membri del  Parlamento  europeo  spettanti
all'Italia), e' stata introdotta una soglia di sbarramento del 4% dei
voti validi espressi. 
    3.3. - Le modalita'  di  assegnazione  dei  seggi  sono  definite
dall'art. 21 della legge n. 18 del  1979,  che  prevede  le  seguenti
fasi. 
    Innanzitutto, e' determinata la «cifra elettorale  nazionale»  di
ciascuna lista, data dalla «somma dei voti  riportati  nelle  singole
circoscrizioni dalle liste aventi il medesimo contrassegno» (art. 21,
comma 1, n. 1), e sono individuate «le liste che  abbiano  conseguito
sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti  validi  espressi»
(art. 21, comma 1, n. 1-bis). 
    Successivamente, si procede al riparto  proporzionale  dei  seggi
tra le diverse liste che hanno superato la soglia di sbarramento,  in
base alla cifra elettorale nazionale di ciascuna lista e  secondo  la
formula dei quozienti interi e dei piu' alti resti.  In  particolare,
la cifra elettorale nazionale di ciascuna  lista  e'  divisa  per  il
«quoziente  elettorale  nazionale»  (dato  dal  totale  delle   cifre
elettorali nazionali delle liste ammesse alla ripartizione dei  seggi
diviso per il numero dei seggi da attribuire) e si assegnano ad  ogni
lista tanti seggi quante  volte  il  quoziente  elettorale  nazionale
risulti contenuto nella  rispettiva  cifra  elettorale  nazionale.  I
seggi residui sono poi attribuiti alle liste per le quali  le  ultime
divisioni hanno dato maggiori resti, considerandosi resti  anche  «le
cifre elettorali nazionali delle liste che  non  hanno  raggiunto  il
quoziente elettorale nazionale» (art. 21, comma 1, n. 2). 
    Infine,   si   procede   alla   distribuzione,   nelle    singole
circoscrizioni, dei seggi assegnati alle varie liste. A tal fine,  la
cifra elettorale circoscrizionale di ciascuna lista viene divisa  per
il  «quoziente  elettorale  di  lista»  (che  e'  dato  dalla   cifra
elettorale nazionale di lista diviso per il numero di seggi assegnati
alla lista stessa). Si attribuiscono, poi, ad ogni lista, nelle varie
circoscrizioni, tanti seggi  quante  volte  il  rispettivo  quoziente
elettorale  di  lista  risulti  contenuto  nella   cifra   elettorale
circoscrizionale  della  lista.  I  seggi  che  rimangono  ancora  da
attribuire sono assegnati nelle circoscrizioni per le quali le ultime
divisioni hanno dato maggiori resti (art. 21, comma 1, n. 3). 
    4. - Con le ordinanze di  cui  al  r.o.  nn.  29,  30  e  31,  il
Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha  sollevato  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma  1,  n.  2,  della
legge n. 18 del 1979, in riferimento agli artt. 1, 3, 48, 49, 51 e 97
Cost., nonche' all'art.  11  Cost.,  in  relazione  all'art.  10  del
Trattato sull'Unione europea e agli artt. 10, 11, 39 e 40 della  CEDU
[recte: della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea]. La
disposizione e' censurata nella  parte  in  cui  prevede  «la  soglia
nazionale di sbarramento  [...]  senza  stabilire  alcun  correttivo,
anche in sede di riparto dei resti», in particolare «non  consentendo
anche alle liste escluse dalla soglia di sbarramento  di  partecipare
all'assegnazione dei seggi attribuiti con il meccanismo dei resti». 
    4.1. - Il Collegio rimettente, pur riconoscendo  la  legittimita'
costituzionale  della  soglia  di  sbarramento  in  se'  considerata,
osserva che, secondo la disposizione censurata, ai fini  del  riparto
dei seggi non attribuiti in base ai quozienti interi, «si considerano
resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che  non  hanno
raggiunto il quoziente elettorale nazionale». Ad avviso del giudice a
quo, tale disciplina sarebbe illegittima nella parte in cui essa  non
prevede che si considerino resti anche le cifre elettorali  nazionali
delle liste che non hanno raggiunto la soglia di sbarramento del  4%,
negando, in tal modo, a tali liste il c.d. «diritto di tribuna». 
    Secondo il Tribunale rimettente, la  norma  censurata,  in  primo
luogo, sarebbe  in  contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  sotto  diversi
profili: essa irragionevolmente consentirebbe alle  liste  che  hanno
superato la soglia di ottenere seggi, in sede di computo  dei  resti,
sulla base di cifre elettorali piu' modeste  di  quelle  delle  liste
che, non avendo superato la soglia, risultano  invece  escluse  anche
dal riparto dei seggi in base ai resti; la norma oggetto  di  censura
sarebbe, poi, non proporzionata  rispetto  al  fine  di  favorire  le
aggregazioni  politiche,  gia'  sufficientemente   assicurato   dalla
esclusione delle liste minori  dal  riparto  dei  seggi  a  quoziente
intero;  infine,  un  ulteriore  profilo  di  irragionevolezza  viene
individuato dal Collegio rimettente nella circostanza che le liste le
quali, per mancato superamento  della  soglia,  non  ottengono  alcun
seggio, si vedono private (in base peraltro a diversa disciplina  non
censurata dal rimettente) del rimborso  delle  spese  elettorali.  In
secondo luogo, il  Tribunale  amministrativo  rimettente  lamenta  la
violazione degli artt. 1, 48,  49,  51  e  97  Cost.,  in  quanto  la
disposizione censurata «porrebbe radicalmente nel nulla  la  volonta'
popolare di una piu' o meno ampia platea  di  elettori».  Infine,  il
Collegio rimettente  deduce  la  violazione  dell'art.  11  Cost,  in
relazione sia all'art. 10  del  Trattato  sull'Unione  europea,  come
modificato dal Trattato di Lisbona,  secondo  cui  «il  funzionamento
dell'Unione  si  fonda  sulla  democrazia  rappresentativa»  e  «ogni
cittadino  ha  diritto   di   partecipare   alla   vita   democratica
dell'Unione», sia agli artt. 10, 11, 39 e 40 della CEDU [recte: della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea],  che  sanciscono
«il  diritto  di  ciascun  individuo  di   manifestare   le   proprie
convinzioni e di godere  dell'elettorato  attivo  e  passivo  per  il
Parlamento europeo». 
    4.2. - La questione e' inammissibile. 
    In primo luogo, essa e' prospettata in modo  contraddittorio.  Il
Collegio rimettente, infatti,  da  un  lato,  giudica  manifestamente
infondata una  ipotetica  questione  di  legittimita'  costituzionale
riferita alla introduzione della soglia di sbarramento,  per  effetto
della quale le liste che non raggiungono il 4% dei voti  validi  sono
escluse dal riparto dei seggi; dall'altro lato, censura la disciplina
relativa all'attribuzione dei seggi in base ai resti  in  quanto,  in
applicazione della previsione della soglia di sbarramento, esclude da
tale attribuzione le liste che non  l'abbiano  superata.  Di  qui  la
contraddizione: se la soglia di sbarramento e' legittima  -  come  il
giudice  rimettente  riconosce  -  allora  non  puo'  censurarsi   la
conseguente scelta del legislatore di escludere dall'attribuzione dei
seggi in base ai resti le  liste  che  non  l'abbiano  superata;  se,
invece, la disciplina sul riparto dei  seggi  in  base  ai  resti  e'
illegittima, nella parte in cui esclude  le  liste  che  non  abbiano
superato la soglia  di  sbarramento  -  come  il  giudice  rimettente
lamenta -  allora  non  puo'  sostenersi  che  il  legislatore  possa
legittimamente introdurre tale soglia. 
    In ogni  caso,  ove  pure  si  ammettesse  che  una  clausola  di
sbarramento, che estrometta del tutto dall'attribuzione dei seggi  le
liste sotto il 4%, senza alcun correttivo, sia  in  contrasto  con  i
parametri  costituzionali  indicati  dal  Collegio   rimettente,   va
osservato che quest'ultimo domanda una pronuncia additiva. Il giudice
a quo, infatti, chiede a questa Corte  di  introdurre  un  meccanismo
diretto  ad  attenuare  gli  effetti  della  soglia  di  sbarramento,
consistente nel concedere alle liste che non  l'abbiano  superata  la
possibilita' di partecipare, con le rispettive cifre elettorali, alla
aggiudicazione dei seggi  distribuiti  in  base  ai  resti.  Ma  tale
attenuazione  non  ha  una  soluzione  costituzionalmente  obbligata,
potendosi  immaginare  numerosi  correttivi  volti  a  temperare  gli
effetti della soglia di sbarramento, a partire dalla riduzione  della
soglia stessa. 
    Ne deriva, secondo la costante giurisprudenza  di  questa  Corte,
che la questione sollevata, sollecitando un  intervento  additivo  in
assenza di una soluzione costituzionalmente obbligata, deve ritenersi
inammissibile  (fra  le  piu'  recenti,  sentenza  n.  58  del  2010;
ordinanze n. 59 e n. 22 del 2010). 
    5. - Con le ordinanze di rimessione di cui al r.o.  nn.  22,  23,
28, 32 e 33 del 2010, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio
ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  21,
comma 1, n. 3, della legge n. 18 del 1979, in riferimento agli  artt.
1, 3, 48, 49, 51, 56, 57 e 97  Cost.,  nonche'  in  riferimento  agli
artt. 10, 11 e 117 Cost., in relazione agli artt. 1, 2 e 7  dell'Atto
di Bruxelles e agli artt. 10, 11, 39 e 40 della  CEDU  [recte:  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea]. La  disposizione
e' censurata nella parte in cui regola la distribuzione  nelle  varie
circoscrizioni dei  seggi  attribuiti  a  ciascuna  lista  sul  piano
nazionale, «senza rispettare  il  numero  dei  seggi  preventivamente
attribuito alle singole circoscrizioni, in relazione alla popolazione
residente, ai sensi dell'art. 2 della legge n. 18 del 1979». 
    5.1. - Ad avviso del Tribunale rimettente,  l'applicazione  della
norma censurata darebbe luogo ad un effetto  distorsivo,  consistente
nella «traslazione» di seggi da una circoscrizione all'altra:  alcuni
seggi,  assegnati  ad  una  determinata  circoscrizione  in  base  al
criterio della popolazione, ai sensi dell'art. 2 della  legge  n.  18
del 1979, si trasferirebbero, invece,  ad  altra  circoscrizione,  in
virtu'  del  diverso  criterio  di  riparto  previsto   dalla   norma
censurata, fondato sui voti validi espressi. Piu' precisamente,  tale
«traslazione», essendo conseguenza  del  differente  rapporto,  nelle
varie circoscrizioni, fra numero di abitanti e numero di voti  validi
espressi, penalizzerebbe le circoscrizioni nelle quali e' piu'  bassa
l'affluenza alle urne. In particolare, il Collegio rimettente  rileva
come i  risultati  elettorali  del  2009  avrebbero  determinato  «un
deficit di rappresentanza [...] per i cittadini delle  circoscrizioni
del Sud e delle Isole, che hanno  visto  la  diminuzione  di  3  e  2
rappresentanti rispettivamente, con la conseguente  mancata  elezione
dei ricorrenti nei giudizi principali». 
    Sotto tale profilo, secondo il giudice  a  quo,  la  disposizione
censurata  contrasterebbe  con  diversi   parametri   costituzionali.
Sarebbe violato, innanzitutto, l'art. 3 Cost., sia sotto  il  profilo
dell'eguaglianza, con riferimento al diritto di elettorato  attivo  e
passivo, sia sotto il  profilo  della  «intrinseca  irragionevolezza»
della norma censurata,  che  sarebbe  contraddittoria  rispetto  alla
«intenzione del legislatore, quale risultante dai lavori parlamentari
preparatori e dal tenore dell'[...] art. 2» della  legge  n.  18  del
1979,  secondo  il  quale  i  seggi  devono  essere  distribuiti   in
proporzione  della  popolazione  residente  in  ogni  circoscrizione.
Sarebbe leso, poi, il «principio di rappresentanza territoriale», che
il  collegio  rimettente  ritiene  imposto  sia  da  principi   della
Costituzione italiana (artt. 1, 48, 49,  51,  56  e  57  Cost.),  nel
presupposto che essi si applichino anche alle modalita'  di  elezione
dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, sia,  per  il
tramite degli artt. 10, 11  e  117  Cost.,  dal  diritto  europeo  e,
segnatamente, dagli artt. 1, 2 e 7 dell'Atto  di  Bruxelles,  nonche'
dagli artt. 10, 11, 39 e  40  della  CEDU  [recte:  della  Carta  dei
diritti fondamentali dell'Unione europea]. 
    5.2. - La questione e' inammissibile. 
    Il legislatore italiano, cui, come chiarito, spetta  disciplinare
la materia in attesa che l'Unione  europea  introduca  una  procedura
uniforme,  ha  optato  per  un  sistema  elettorale  proporzionale  a
collegio unico nazionale, articolato in  circoscrizioni,  nell'ambito
delle quali devono essere presentate le liste. Peraltro, la legge  n.
18 del 1979, nella sua versione originaria, non assegnava a  ciascuna
circoscrizione  un  determinato  numero  di  seggi   in   base   alla
popolazione residente, limitandosi ad indicare  il  numero  minimo  e
massimo di candidati per lista. Nelle elezioni del 1979,  quindi,  la
distribuzione dei seggi fra le circoscrizioni avvenne in ragione  dei
voti espressi  in  ciascuna  di  esse,  secondo  la  disciplina  oggi
censurata. Le liste presentate  nelle  circoscrizioni  meridionali  e
insulari, a causa anche della minore partecipazione  alla  votazione,
ottennero un numero di seggi inferiore a quello che ad  esse  sarebbe
spettato in proporzione alla  popolazione  residente  nelle  medesime
circoscrizioni. Per tentare di rimediare a questo inconveniente,  con
la legge n. 61 del 1984, il legislatore ha modificato l'art. 2  della
legge n.  18  del  1979,  prevedendo  espressamente  che  a  ciascuna
circoscrizione venga assegnato un numero di seggi proporzionale  alla
popolazione in essa residente. La legge n. 61 del 1984, pero', non ha
tratto  tutte  le  conseguenze  dalla  assegnazione  dei  seggi  alle
circoscrizioni in base alla popolazione. Essa, infatti,  ha  lasciato
inalterata la disciplina censurata, che, ai fini della  distribuzione
dei seggi fra le circoscrizioni, considera il rapporto fra  la  cifra
elettorale circoscrizionale della lista  e  il  quoziente  elettorale
nazionale di lista, anziche' il quoziente circoscrizionale. 
    Dal 1984 in poi, pertanto, nella disciplina  elettorale  italiana
per il Parlamento europeo, convivono due ordini di  esigenze:  da  un
lato, l'assegnazione  dei  seggi  nel  collegio  unico  nazionale  in
proporzione   ai   voti   validamente   espressi;   dall'altro,    la
distribuzione dei seggi fra le  circoscrizioni  in  proporzione  alla
popolazione. Il primo riflette  il  criterio  della  proporzionalita'
politica e premia la partecipazione alle consultazioni  elettorali  e
l'esercizio del diritto di voto. Il  secondo  riflette  il  principio
della rappresentanza c.d.  territoriale,  determinata  in  base  alla
popolazione  (ma  astrattamente  determinabile  anche  in   base   ai
cittadini, o agli elettori, o in base  a  una  combinazione  di  tali
criteri). 
    Tali ordini di esigenze, pero', sono difficilmente  armonizzabili
e, anzi,  non  possono  essere  fra  loro  perfettamente  conciliati.
Esistono, tuttavia,  diversi  possibili  meccanismi  correttivi  che,
senza modificare la ripartizione proporzionale dei seggi in  sede  di
collegio unico nazionale, riducono l'effetto traslativo lamentato dal
rimettente, cioe' lo scarto fra seggi conseguiti nelle circoscrizioni
in base ai voti validamente espressi e seggi  ad  esse  spettanti  in
base alla popolazione. Questi meccanismi, peraltro,  conseguono  tale
obiettivo al prezzo di alterare, in  maggiore  o  minore  misura,  il
rapporto proporzionale fra  voti  conseguiti  e  seggi  attribuiti  a
ciascuna  lista  nell'ambito  della  singola  circoscrizione.  Ma  il
legislatore, sia nel 1984 che nelle successive occasioni  in  cui  ha
riesaminato la disciplina elettorale in questione, non ha  introdotto
un meccanismo correttivo,  con  la  conseguenza  che,  nonostante  il
disposto dell'art. 2 della legge n. 18 del 1979, come modificato  nel
1984, il riparto dei seggi fra le  circoscrizioni  ha  continuato  ad
avvenire, come in  precedenza,  in  proporzione  ai  voti  validi,  a
prescindere dalla previa assegnazione in ragione  della  popolazione.
Anche dai lavori preparatori della legge n. 61  del  1984  emerge  la
consapevolezza,  da  parte  del  legislatore,  che  la  finalita'  di
rispettare la previa  assegnazione  dei  seggi  in  proporzione  alla
popolazione  avrebbe  richiesto  una  piu'  ampia   revisione   della
disciplina contenuta negli artt. 21 e 22 della legge n. 18 del  1979.
Cio' non e' pero' avvenuto, ne' allora, ne' successivamente,  quando,
con la legge n. 10  del  2009,  il  legislatore  si  e'  limitato  ad
introdurre la soglia di  sbarramento,  oltretutto  calcolandola  «sul
piano nazionale». 
    Tutto cio' premesso, deve osservarsi che il  Collegio  rimettente
sollecita una pronuncia che abbia  come  effetto  l'introduzione,  ad
opera di questa Corte, di un sistema di distribuzione dei  seggi  fra
le  circoscrizioni  che,  a  differenza  di  quello  previsto   dalla
disposizione  censurata,  sia  rispettoso  del  riparto   previamente
effettuato in base alla popolazione ai sensi dell'art. 2 della  legge
n. 18 del 1979. Ma il giudice a quo non precisa quale  dei  possibili
sistemi dovrebbe essere  introdotto  per  contemperare  il  principio
della  proporzionalita'  politica  con  quello  della  rappresentanza
territoriale. Alla disciplina prevista, per la Camera  dei  deputati,
dall'art. 83, comma 1, n.  8,  del  d.P.R.  30  marzo  1957,  n.  361
(Approvazione del testo  unico  delle  leggi  recanti  norme  per  la
elezione della Camera dei deputati), che secondo alcune parti private
intervenute nel giudizio costituzionale potrebbe applicarsi in virtu'
del rinvio di cui all'art. 51 della legge n. 18 del 1979, il Collegio
rimettente, in realta', riserva solo un breve cenno, in quella  parte
dell'ordinanza di rimessione in cui riferisce le tesi dei  ricorrenti
nei giudizi principali. In ogni caso, va detto  che  tale  disciplina
rappresenta soltanto uno dei diversi possibili meccanismi in grado di
ridurre l'effetto di  slittamento  di  seggi  da  una  circoscrizione
all'altra. Ma non puo' che spettare al legislatore  individuare,  con
specifico   riferimento   all'organo   rappresentativo    preso    in
considerazione,  la  soluzione  piu'  idonea  a  porre  rimedio  alla
lamentata incongruenza della disciplina censurata. In presenza di una
pluralita'  di  soluzioni,  nessuna  delle  quali  costituzionalmente
obbligata, questa Corte non potrebbe sostituirsi  al  legislatore  in
una scelta ad esso riservata (fra le piu' recenti, sentenza n. 58 del
2010; ordinanze n. 59 e n. 22 del 2010).