Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  119,  secondo
comma, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel  testo  anteriore
alle modifiche apportate dai decreti legislativi 9 gennaio 2006, n. 5
(Riforma organica della  disciplina  delle  procedure  concorsuali  a
norma dell'articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80)  e
12 settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e  correttive  al
r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nonche' al d.lgs. 9 gennaio 2006,  n.  5,
in materia di disciplina del fallimento, del concordato preventivo  e
della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi  dell'articolo  1,
commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80) promosso dalla
Corte d'appello di Napoli nel procedimento vertente tra A.C.  e  A.G.
ed altri con ordinanza del 30 aprile 2009,  iscritta  al  n.  18  del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 6, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Udito nella camera di consiglio del 26  maggio  2010  il  Giudice
relatore Alfio Finocchiaro. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con ordinanza del 30 aprile 2009, la Corte d'appello di Napoli ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 119,
secondo comma, del regio decreto 16 marzo 1942,  n.  267  (Disciplina
del  fallimento,  del  concordato  preventivo,   dell'amministrazione
controllata e della liquidazione coatta  amministrativa),  nel  testo
anteriore alle modifiche apportate dal decreto legislativo 9  gennaio
2006,  n.  5  (Riforma  organica  della  disciplina  delle  procedure
concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della legge  14  maggio
2005, n. 80), e dal decreto legislativo 12  settembre  2007,  n.  169
(Disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942, n. 267,
nonche' al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina  del
fallimento, del concordato preventivo  e  della  liquidazione  coatta
amministrativa, ai sensi dell'articolo 1, commi 5, 5-bis e  6,  della
legge 14 maggio 2005, n. 80), nella  parte  in  cui  prevede  che  il
termine di quindici giorni per proporre reclamo avverso il decreto di
chiusura del fallimento decorre, per i soggetti  legittimati  a  tale
impugnazione agevolmente identificabili sulla base degli  atti  della
procedura fallimentare, dalla data dell'affissione  di  tale  decreto
alla  porta  esterna  del  tribunale,  anziche'  dalla   data   della
comunicazione dell'estratto del medesimo decreto che a tali  soggetti
deve essere inviata a norma del combinato disposto dello stesso  art.
119, secondo comma, e dell'art. 17, primo comma, del  r.d.  16  marzo
1942, n. 267 (nel testo originario) e dell'art.  136  del  codice  di
procedura  civile,  per  violazione  degli  artt.  3   e   24   della
Costituzione. 
    Il reclamo in questione risulta proposto da A.C. - titolare di un
credito  prededucibile  liquidato  dal  giudice  delegato,   ma   non
integralmente soddisfatto, prima che la  procedura  fallimentare  nei
confronti della A.G. s.a.s. fosse chiusa ai sensi dell'art.  118,  n.
2, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 e, dunque, certamente legittimata a
proporre siffatta impugnazione - il  13  gennaio  2003,  mediante  il
deposito  nella  cancelleria  della  Corte  d'appello  del   relativo
ricorso, allorche' era gia' scaduto il  termine  di  quindici  giorni
previsto dall'art. 119, secondo comma, della legge fallimentare,  per
la sua proposizione, termine che decorre dalla  data  dell'affissione
per estratto alla porta esterna del tribunale del decreto di chiusura
del fallimento. L'affissione, nella specie, risultava eseguita il  13
dicembre   2002:   il   reclamo   andrebbe,   pertanto,    dichiarato
inammissibile perche' tardivo. 
    Il  rimettente   afferma   di   non   ignorare   che   la   Corte
costituzionale, con la sentenza n. 153 del 1980,  ha  gia'  giudicato
tale previsione normativa non in contrasto  con  l'art.  24,  secondo
comma,  Cost.,  poiche'  giustificata:  a)   dalla   difficolta'   di
identificare coloro che hanno interesse a proporre reclamo contro  il
decreto di chiusura del fallimento; b)  dall'esigenza  di  assicurare
un'unitaria trattazione e decisione di tutti i reclami  eventualmente
proposti; c) dalla possibilita' per chi si ritenga pregiudicato dalla
chiusura del fallimento  disposta  per  insufficienza  di  attivo  di
chiederne  la  riapertura  ai  sensi  dell'art.   121   della   legge
fallimentare. 
    Tuttavia, siffatti argomenti, secondo il giudice a quo, a maggior
ragione se considerati alla stregua dell'art. 3 Cost.,  non  appaiono
convincenti e adeguati rispetto ad altre piu' recenti pronunce  della
medesima Corte costituzionale in ordine alle  forme  di  propalazione
degli atti - e, in particolare, di quelli aventi natura  decisoria  -
previsti dalla legge fallimentare.  Vengono  citate  le  sentenze  di
questa Corte: n. 255 del 1974; nn. 151, 152 e 155 del  1980;  n.  303
del 1985; nn. 55, 102 e 156 del 1986; n. 273 del  1987;  n.  881  del
1988. 
    Il rimettente riferisce a questo punto di  avere  gia'  sollevato
questa stessa questione di costituzionalita'  e  che  tuttavia  nelle
more del  relativo  giudizio  incidentale,  l'art.  119  della  legge
fallimentare veniva modificato, prima, dal  d.lgs.  n.  5  del  2006,
entrato in vigore il 16 luglio 2006, e, poi, dal d.lgs.  n.  169  del
2007, entrato in vigore il 1° gennaio 2008, sicche' questa Corte, con
ordinanza n. 303 del 2008, dispose la restituzione  degli  atti  alla
Corte d'appello ai fini di una rivalutazione, sulla  base  dello  ius
superveniens, non solo della persistente rilevanza  della  questione,
ma    altresi'    della    possibilita'     di     un'interpretazione
costituzionalmente orientata della norma censurata. 
    Riassunto il giudizio, il giudice rimettente ha osservato che  la
questione conserva intatta la sua rilevanza nel giudizio a quo. 
    Infatti, a suo avviso, secondo quanto puo' ricavarsi dagli  artt.
150 e 153 d.lgs. n. 5 del 2006 e dall'art. 22 d.lgs. n. 169 del 2007,
le modifiche apportate da tali decreti  legislativi  alla  disciplina
della procedura fallimentare contenuta nel r.d.  16  marzo  1942,  n.
267, nel suo testo originario, non sono  applicabili  alle  procedure
fallimentari aperte prima del 16 luglio 2006, come quella di  specie,
ne', deve  ritenersi,  alle  relative  procedure  incidentali,  quali
quella di chiusura del fallimento, regolata dagli artt. 118-120 della
legge fallimentare. 
    Di conseguenza, deve ritenersi che,  nella  specie,  vada  ancora
applicato l'art. 119, secondo comma, della  legge  fallimentare,  nel
testo anteriore alle modifiche  apportatevi  dai  suindicati  decreti
legislativi, che faceva decorrere il termine per la proposizione  del
reclamo avverso il decreto di  chiusura  del  fallimento  dalla  data
dell'affissione di tale decreto per estratto alla porta  esterna  del
tribunale per tutti i soggetti legittimati a tale impugnazione. 
    Ne'  pare  al  rimettente  che  la  questione  incidentale   gia'
sollevata   possa   essere   superata    attraverso    una    lettura
costituzionalmente  orientata   della   norma   impugnata,   che   fa
chiaramente  ed  inequivocamente  decorrere   il   termine   per   la
proposizione  del  reclamo  avverso  il  decreto  di   chiusura   del
fallimento dalla data dell'affissione di tale  decreto  per  estratto
alla porta esterna del tribunale per tutti i soggetti  legittimati  a
tale impugnazione e, dunque, anche per quelli,  come  la  reclamante,
agevolmente identificabili sulla  base  degli  atti  della  procedura
fallimentare. 
    Ritiene pertanto il  rimettente  che  la  questione  sia  tuttora
rilevante nel caso di specie, in cui il decreto di chiusura reclamato
non risulta esser mai stato comunicato, a norma  dell'art.  136  cod.
proc. civ., alla reclamante, che ne ha preso  visione  per  la  prima
volta il 7 gennaio 2003, ossia quando  ormai  era  troppo  tardi  per
proporre reclamo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte  d'Appello  di  Napoli  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 119, secondo comma,  del  regio  decreto  16
marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del  fallimento,  del  concordato
preventivo, dell'amministrazione  controllata  e  della  liquidazione
coatta amministrativa), nel testo anteriore alle modifiche  apportate
dal decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica  della
disciplina delle procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma
5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), e dal decreto  legislativo  12
settembre 2007, n. 169 (Disposizioni integrative e correttive al r.d.
16 marzo 1942, n. 267, nonche' al d.lgs. 9 gennaio  2006,  n.  5,  in
materia di disciplina del fallimento,  del  concordato  preventivo  e
della liquidazione coatta amministrativa, ai sensi  dell'articolo  1,
commi 5, 5-bis e 6, della legge 14 maggio 2005, n. 80),  nella  parte
in cui prevede che il termine di quindici giorni per proporre reclamo
avverso il decreto di chiusura del fallimento decorre, per i soggetti
legittimati a tale  impugnazione,  agevolmente  identificabili  sulla
base  degli   atti   della   procedura   fallimentare,   dalla   data
dell'affissione alla porta esterna del tribunale, anziche' dalla data
della comunicazione dell'estratto del medesimo decreto,  che  a  tali
soggetti deve essere inviata a norma  del  combinato  disposto  degli
artt. 119, secondo comma e 17, primo  comma,  dello  stesso  r.d.  16
marzo 1942, n.  267,  e  136  del  codice  di  procedura  civile,  in
violazione degli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, per
la irragionevolezza della  individuazione  del  dies  a  quo  per  la
proposizione del reclamo dall'affissione  dell'estratto  del  decreto
anche con riguardo ai creditori  agevolmente  identificabili  solo  a
causa  della  difficolta',   agli   stessi   non   addebitabile,   di
identificare gli altri creditori, e  per  il  vulnus  al  diritto  di
difesa dei primi. 
    2. - La questione e' fondata. 
    2.1.  -  Questa  Corte,  nell'esaminare  identico  problema,   ha
dichiarato, a suo tempo, non fondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale   dell'art.   119,   secondo   comma,   della    legge
fallimentare, nella parte in cui  fa  decorrere  il  termine  per  la
proposizione del reclamo dalla data  di  affissione  del  decreto  di
chiusura del fallimento (sentenza n. 153 del 1980),  argomentando  la
legittimita'  della  scelta  del   legislatore   sulla   base   della
difficolta' di identificare coloro che  hanno  interesse  a  proporre
reclamo contro il decreto di chiusura del fallimento e sulla esigenza
di riunione di piu' reclami in unica trattazione camerale. 
    Successivamente a tale decisione, pero', la Corte ha  avuto  modo
di pronunciarsi piu' volte - a proposito di disposizioni della  legge
fallimentare nella versione originaria - sulla  possibilita'  che  la
legge faccia decorrere  termini  perentori,  previsti  per  impugnare
provvedimenti  (asseritamente)  lesivi  di  diritti  soggettivi,   da
momenti (emanazione del provvedimento, affissione) diversi da  quelli
della notificazione o comunicazione dei provvedimenti stessi. 
    In proposito e' stato osservato che «la  scelta  dell'affissione,
quale forma di pubblicita' idonea a  far  decorrere  il  termine  per
l'impugnazione di  un  atto,  puo'  essere  giustificata  solo  dalla
difficolta' di individuare  coloro  che  possono  avere  interesse  a
proporre l'impugnazione stessa (sentenze n. 273 del 1987 e n. 153 del
1980), risultando priva di razionale giustificazione  se  riferita  a
soggetti preventivamente individuati dal legislatore (sentenze n. 251
del 2001, n.  151  del  1980,  n.  255  del  1974).  Cio'  in  quanto
l'affissione  determina  una  mera   presunzione   legale,   peraltro
insuperabile, di conoscenza dell'atto ed e' quindi compatibile con il
diritto  di  difesa  del  destinatario   nei   soli   casi   in   cui
l'individuazione di questi, ed il  conseguente  ricorso  a  mezzi  di
comunicazione  diretta  dell'atto  stesso  risultino  impossibili   o
estremamente difficoltosi» (sentenza n. 224  del  2004,  n.  154  del
2006). 
    Sulla  base  di  questi   principi   la   Corte   ha   dichiarato
l'illegittimita' costituzionale: a) dell'art. 98, primo comma,  della
legge fallimentare, nella parte in cui prevede  che  il  termine  per
l'opposizione dei creditori esclusi o  ammessi  con  riserva  decorra
dalla data del deposito dello stato passivo in  cancelleria  anziche'
dalla data di ricezione delle raccomandate con avviso di ricevimento,
con le  quali  il  curatore  deve  dare  loro  notizia  dell'avvenuto
deposito (sentenza n. 102 del 1986); b) dell'art. 190, secondo comma,
della legge fallimentare, nella parte in cui fa decorrere il  termine
di decadenza di dieci giorni per il reclamo avverso il  provvedimento
del giudice delegato di cessazione degli effetti dell'amministrazione
controllata  dalla  data  del  decreto  anziche'  dalla  sua  rituale
comunicazione  all'interessato  (sentenza  n.  881  del   1988);   c)
dell'art. 209, secondo comma, della legge fallimentare,  nella  parte
in cui prevede, per la liquidazione  coatta  amministrativa,  che  il
termine di quindici giorni per proporre  l'impugnazione  dei  crediti
ammessi decorre dalla data del deposito in cancelleria, da parte  del
commissario liquidatore, dell'elenco dei crediti  medesimi,  anziche'
da quella di ricezione  della  lettera  raccomandata  con  avviso  di
ricevimento, con la quale lo stesso  commissario  deve  dare  notizia
dell'avvenuto deposito ai singoli interessati (sentenza  n.  201  del
1993); d) dell'articolo 144, quarto comma, della legge  fallimentare,
nella parte in cui prevede che il termine  per  la  proposizione  del
reclamo decorre dalla affissione della sentenza stessa anziche' dalla
sua comunicazione (sentenza n. 224 del 2004); e)  dell'articolo  213,
secondo comma, della stessa legge fallimentare, nella parte in cui fa
decorrere, nei confronti dei creditori ammessi, il termine perentorio
di venti giorni  per  proporre  contestazioni  avverso  il  piano  di
riparto,  totale  o  parziale,  dalla  pubblicazione  nella  Gazzetta
Ufficiale  della  notizia  dell'avvenuto  deposito  del  medesimo  in
cancelleria,  anziche'  dalla  comunicazione  dell'avvenuto  deposito
effettuata a mezzo di raccomandata con avviso di  ricevimento  ovvero
con altre modalita' previste dalla legge (sentenza n. 154 del 2006). 
    Alla luce dei principi enunciati dalla richiamata  giurisprudenza
e'  evidente  che  la  norma  denunciata  nel  testo  anteriore  alle
modifiche apportate - non  potendosi  queste  ultime,  contenute  nel
d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina  delle
procedure concorsuali a norma dell'articolo 1, comma 5, della  l.  14
maggio 2005, n. 80) e nel decreto legislativo 12 settembre  2007,  n.
169 (Disposizioni integrative e correttive al r.d. 16 marzo 1942,  n.
267, nonche' al d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, in materia di disciplina
del  fallimento,  del  concordato  preventivo,   dell'amministrazione
controllata e della  liquidazione  coatta  amministrativa,  ai  sensi
dell'articolo 1, commi 5, 5-bis della  l.  14  maggio  2005,  n.  80)
applicarsi a procedure fallimentari  chiuse  nel  2003  (argomentando
dagli artt. 150 e 153 d.lgs. n. 5 del 2006 e 22  d.lgs.  n.  169  del
2007), come ha plausibilmente motivato  il  giudice  a  quo  -  nello
stabilire che il termine di  quindici  giorni  per  proporre  reclamo
avverso il decreto di chiusura del fallimento decorre, per i soggetti
legittimati a questa impugnazione, dalla data dell'affissione di tale
decreto alla porta esterna del  tribunale,  sacrifica  gravemente  ed
ingiustificatamente il diritto dei creditori di avere conoscenza  del
decreto, per potere proporre reclamo avverso lo  stesso.  Gravemente,
in quanto richiede un  onere  di  diligenza  inesigibile,  attesa  la
necessita' di accedere, almeno ogni quindici  giorni,  per  tutta  la
durata della procedura, sovente tutt'altro che breve,  per  accertare
la data del deposito, dal quale soltanto decorre il termine  de  quo;
ingiustificatamente,   perche'   l'indeterminatezza   dei    soggetti
interessati  puo'  legittimare  modalita'  di  «informazione»,  quale
quella prevista dalla norma censurata; il che pero' non  avviene  nel
caso come quello del titolare di un credito  prededucibile  liquidato
dal giudice delegato, ma non integralmente soddisfatto, in  cui  tali
soggetti siano non solo individuabili, ma  altresi'  individuati.  In
tale ipotesi, che ricorre nel caso di specie,  l'onere  di  diligenza
che la norma censurata impone ai creditori e' incomparabilmente  piu'
gravoso e gravido di conseguenze pregiudizievoli di quello  cui  deve
sottoporsi l'ufficio che sia tenuto a dare conoscenza del decreto  di
chiusura del fallimento ai creditori ben individuati (sentenza n. 154
del 2006). 
    L'art. 119, secondo comma, della legge  fallimentare  -  nel  suo
testo   originario    -    deve,    pertanto,    essere    dichiarato
costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui fa decorrere,  nei
confronti dei soggetti interessati  e  gia'  individuati  sulla  base
degli atti processuali, il termine per il reclamo avverso il  decreto
motivato del tribunale di  chiusura  del  fallimento  dalla  data  di
pubblicazione dello stesso nelle forme prescritte dall'art. 17  della
stessa legge fallimentare, anziche' dalla comunicazione dell'avvenuto
deposito effettuata  a  mezzo  lettera  raccomandata  con  avviso  di
ricevimento ovvero  a  mezzo  di  altre  modalita'  di  comunicazione
previste dalla legge (sentenza n. 154 del 2006).