LA CORTE DI APPELLO 
 
     Letto il reclamo proposto da M. A. P., avverso la  sentenza  del
Tribunale per i Minorenni di Brescia  in  data  21  aprile-13  maggio
2009, letta la comparsa di costituzione di R. M., visto il parere del
Procuratore  Generale,  a  scioglimento   della   riserva   formulata
all'udienza  dell'8  febbraio  2010,  ha  pronunciato   la   seguente
ordinanza. 
    Osservato che: 
        che il Tribunale per i Minorenni di Brescia, con sentenza  n.
65/09  del  21  aprile-13  maggio  2009  ha  autorizzato   R.   M. al
riconoscimento del figlio minore  D.  P.,  nato  ad  A.  L.  il  ...:
«...anche nel dissenso della madre di questi P. M. A.»; 
        che il T.M. ha motivato la decisione assumendo che non  erano
emersi a carico di R. M. elementi negativi tali  da  giustificare  il
rigetto della domanda, essendo egli immune da precedenti penali o  di
polizia ed avendo lavorato sino al 2003. Ha osservato, ancora, che M.
era stato inviato «d'urgenza» dal medico curante  in  data  7  agosto
2003 al  CPS  per  manifestati  propositi  auto-lesivi,  venendo  ivi
riscontrate  solo  «ansia  ed  instabilita'  emotiva»  per  l'incerta
situazione sentimentale in cui versava  e  l'avvenuto  ritorno  della
convivente dal marito, con diagnosi di «reazione  depressiva  lieve»,
presenza in carico cessata in data 4 settembre 2003. Ha osservato che
M., da allora, non assumeva piu' alcuna terapia farmacologica  e  che
era stato riscontrato che non era portatore di patologie psichiche ma
solo di «fragilita'  dell'io»,  condizione  la  quale  poteva  essere
supportata  nell'avvicinamento  al   figlio   dall'intervento   degli
operatori  dei  servizi  sociali.   Ha   concluso   che   sussisteva:
«...interesse del minore ad essere riconosciuto da M.,  tenuto  conto
che allo stato D. risulta riconosciuto da un  solo  genitore  e  che,
qualora malauguratamente dovesse venirgli meno il  supporto  materno,
non sussisterebbe alcuna figura giuridicamente tenuta a farsi  carico
di lui...», che inoltre era carente la prova  che  il  riconoscimento
fosse stato solo un «mezzo» del M. per re-insinuarsi nella vita della
P., la quale  gli  aveva  invece  sempre  impedito  di  esprimere  la
paternita' con un atteggiamento  oppositivo,  manifestato  anche  nel
giudizio, ove senza plausibili  giustificazioni  aveva  rifiutato  di
acconsentire alla «sottoposizione del minore» agli esami  ematologici
disposti  dal  Tribunale  dei  Minori,  circostanza  che  era  stata:
«..valutata quale rinuncia della resistente a  coltivare  l'eccezione
di carenza di legittimazione attiva in capo a  M.  e  quale  contegno
processuale che, unito a quanto l'istruttoria  ha  portato  in  luce,
rafforza il convincimento del Collegio circa la sussistenza  in  capo
al minore dell'interesse ad  essere  riconosciuto  da  M.  ..»  (cfr.
ibidem); 
        che  M.  A.  P.  ha  tempestivamente  impugnato  la  sentenza
chiedendone l'integrale riforma ed il rigetto della domanda.  In  via
subordinata ha  formulato  le  domande  in  epigrafe  trascritte.  Ha
censurato la sentenza osservando: 1) che M.  aveva  riconosciuto  non
solo rientrando a casa, durante  la  loro  coabitazione,  il  di  lei
marito, ma anche di avere saputo che allora trascorreva con questo  i
week-ends; 2) che il suo «rifiuto a sottoporre il  figlio»  ad  esami
emato-genetici  non  era  stato  ingiustificato  ma  motivato   dalla
necessita'  di  una  pronuncia  «preliminare»  del  T.M.  di  Brescia
«sull'interesse» del piccolo D. (ora di anni sei)  al  riconoscimento
di paternita', a suo parere inesistente in quanto «inopportuno e  non
conveniente»; 3) che il figlio D. aveva gia' un  padre,  P.  S.,  suo
marito, che aveva sempre considerato come «suo papa'» e  che  si  era
sempre occupato di lui  come  dell'altro  figlio,  pur  non  avendolo
ancora potuto riconoscere in quanto «ammalato per tumore»; 4) che  al
momento del parto non aveva potuto indicare il marito quale padre del
figlio a causa del: «violento intervento oppositivo di M.»,  che  era
stato poi allontanato dai suoi parenti; 5) che il  figlio  non  aveva
alcun interesse al riconoscimento di  M.  per  il  suo  comportamento
violento, manifestato sia fuori di casa (sfondamento della  porta  di
ingresso dell'abitazione) che entro le mura  domestiche  nei  di  lei
confronti (pugni in faccia, morso al labbro), oltre che  per  la  sua
mancanza da  anni  di  ogni  attivita'  lavorativa  (egli  coabitava,
addirittura, all'eta' di anni 35 ancora  con  i  nonni,  dopo  essere
stato allontanato da casa dai genitori), infine per  non  avere  egli
adempiuto mai ad alcuno degli obblighi correlati alla paternita';  6)
che il figlio viveva  inserito  in  uno  stabile  ambiente  familiare
allargato e che, da sempre, si «riconosceva a scuola con  il  cognome
materno»; 7) che il T.M. non aveva tenuto in adeguata  considerazione
gli effetti che sul minore avrebbe prodotto iI riconoscimento, ne'  i
conflitti tra i nuclei familiari, ne' la necessita' di  prevedere  un
intervento di accompagnamento e di sostegno del  figlio,  ne'  infine
che  il  preteso  padre  presentava  «fragilita'  dell'io»  e   aveva
interrotto anche la sua presa in carico presso il Centro Psicosociale
di Nembro (Bergamo) proprio nel momento in cui avrebbe avuto  maggior
bisogno di essere sostenuto onde potersi avvicinare adeguatamente  al
figlio; 
        che R. M., costituitosi, ha chiesto il  rigetto  del  gravame
deducendo sussistere i presupposti per autorizzare il  riconoscimento
del figlio. Ha evidenziato che la sua  paternita'  era  provata  «dal
rifiuto della P. a sottoporre D. agli esami  ematologici»  e  che  un
eventuale sacrificio del diritto alla genitorialita' poteva ricorrere
solo  se  il  preteso  padre  avesse  tenuto  una  condotta  tale  da
giustificare  la   «dichiarazione   di   decadenza   dalla   potesta'
genitoriale» mentre, diversamente, sussisteva  quasi  automaticamente
l'interesse del minore all'accertamento del rapporto di filiazione; 
        che il P.G. ha chiesto l'accoglimento del  gravame  reputando
sussistere: «un  fatto  impeditivo  di  importanza  proporzionale  al
valore del diritto genitoriale sacrificato» in  considerazione  della
particolare situazione del  minore,  che  non  aveva  mai  visto  ne'
sentito parlare del detto preteso  padre  e  che  viveva  attualmente
sereno insieme alla madre ed al marito della stessa: «...che per  lui
e' il padre», nonche' al fratello maggiore; e  del  pregiudizio  alla
vita dello stesso minore, nella quale l'irruzione:  «...di  un  altro
padre (con il relativo carico  di  conflittualita'  verso  gli  altri
soggetti della famiglia) produrrebbe un autentico sconquasso...», che
non era nemmeno certo potesse essere «neutralizzato»  dal  lavoro  di
accompagnamento e sostegno svolto dagli operatori sociali; 
        che questa Corte di Appello, con ordinanza  del  14  dicembre
2009, ha fatto  presente  alle  parti  l'opportunita'  che  le  parti
prendessero posizione circa la necessita' dell'intervento in causa di
un curatore «a tutela degli interessi del minore»,  concedendo  breve
termine per il deposito di memorie sul punto; 
        che in data 27 gennaio 2010 M. A. P. ha  depositato  memoria,
insistendo sul fatto  che  era:  «...contrario  all'interesse  di  D.
l'imporgli per decreto un altro padre (per di piu' in via presuntiva,
come fatto dal T.M.)..» e deducendo poi che nella fattispecie non era
necessaria la nomina di  un  curatore  «speciale»  non  assumendo  il
minore la qualita' di «parte» processuale e richiamando  al  riguardo
giurisprudenza di legittimita', secondo cui: «...quando il figlio non
abbia ancora compiuto i sedici anni... il consenso del  genitore  che
l'ha riconosciuto si giustifica esclusivamente per il suo  potere  di
rappresentare il minore e, quindi, di valutarne l'interesse morale  e
materiale   rispetto   al   secondo   riconoscimento    (potere    di
rappresentanza che viene  esercitato  anche  nell'eventuale  giudizio
promosso con ricorso avverso il rifiuto del consenso, ove la qualita'
di parte sostanziale spetta al minore)..» (Cass. 10 novembre 1988  n.
6059); 
        che R. o M., con memoria del 29  gennaio  2010,  ha  espresso
parere favorevole alla nomina  di  un  curatore  speciale  che  possa
prendere autonomamente le parti del piccolo D. e non si e' opposto ad
alcun tipo di indagine e di supporto  volti  a  rendere  migliore  il
futuro  del  bimbo  migliore  e   diretti:   «..davvero   nel   senso
dell'interesse» del medesimo; 
    rilevato che: 
        ai sensi dell'art. 250 codice civile il figlio naturale  puo'
essere riconosciuto (nei modi previsti dall'art. 254  codice  civile)
da ciascuno dei due genitori, anche se gia' uniti in  matrimonio  con
altra persona all'epoca  del  concepimento,  sia  congiuntamente  che
separatamente. Il riconoscimento, tuttavia,  se  il  minore  ha  gia'
compiuto i sedici anni non produce effetto «senza  il  suo  assenso»,
diversamente dal caso in cui il figlio  minore  sia  infra-sedicenne,
ove non  opera  solamente  se  non  vi  e'  «il  consenso  dell'altro
genitore» che lo rappresenta, e che in tale ultima ipotesi, comunque,
il quarto comma della norma dispone che  il  consenso:  «...non  puo'
essere rifiutato ove il  riconoscimento  risponda  all'interesse  del
figlio. Se vi e' opposizione,  su  ricorso  del  genitore  che  vuole
effettuare il riconoscimento, sentito il  minore  in  contraddittorio
con il genitore  che  si  oppone  e  con  l'intervento  del  pubblico
ministero,  decide  il  tribunale  con  sentenza  che,  in  caso   di
accoglimento della domanda, tiene luogo al consenso mancante»; 
        nel giudizio instaurato ai sensi del quarto  comma  dell'art.
250 codice civile,  tuttavia  e'  principio  costantemente  affermato
dalla giurisprudenza di legittimita'  che  il  figlio  naturale,  non
ancora sedicenne, non assuma la qualita' di parte: «..per cui non  e'
necessaria la nomina di un curatore speciale...» e  che:  «..Inoltre,
posto che la  prescrizione  concernente  l'audizione  del  minore  e'
rivolta a soddisfare  l'esigenza  di  accertare  se  il  rifiuto  del
consenso dell'altro  genitore,  che  per  primo  abbia  proceduto  al
riconoscimento,  risponda  o  meno  all'interesse  del  figlio,  tale
audizione puo' essere  disposta  anche  d'ufficio,  col  solo  limite
dell'incapacita' del minore, per eta' o altra  causa,  di  affrontare
l'esame e di rispondere coerentemente alle  domande.  Il  giudice  ha
l'obbligo di esporre le ragioni che hanno impedito l'incombente  solo
se il relativo adempimento sia stato a lui  richiesto  o  il  mancato
ascolto sia stato eccepito ed il vizio procedurale  dipendente  dalla
mancata audizione del minore non e'  rilevabile  d'ufficio,  ma  deve
essere eccepito dalla parte» (in tal  senso  cfr.  Cass.  11  gennaio
2006, n. 395, in argomento vedasi anche Cass. n. 3180 del 1982, Cass.
n. 11263 del 1994, Cass. n. 6784 del 2000, Cass. 6470 del 2001, Cass.
n. 14934 del  2004  e  Cass.  n.  21359  del  2004),  venendo  ancora
precisato dalla S.C. che il riconoscimento del figlio naturale,  gia'
riconosciuto da un genitore,  costituisce:  «oggetto  di  un  diritto
soggettivo dell'altro genitore», il quale: «...non si pone in termini
di contrapposizione con l'interesse del minore,  ma  come  misura  ed
elemento di definizione dello stesso, che e'  segnato  dal  complesso
dei  diritti  che  al  minore  derivano  dal  riconoscimento  e,   in
particolare, dal diritto all'identita' personale, inteso come diritto
ad una genitorialita' piena e non dimidiata» (Cass. 3  novembre  2004
n. 21088); 
    reputato, che: 
        se non puo', invero, essere posto in dubbio che il diritto al
riconoscimento del figlio naturale  «gia'  riconosciuto»  costituisca
per  l'altro  genitore  un  diritto   soggettivo   costituzionalmente
garantito dall'art. 30 Cost. entro i limiti normativi indicati  (art.
250 c.c.), parimenti  non  puo'  essere  negato  che  sia  necessario
riconoscere anche al minore infra-sedicenne, in caso  di  opposizione
dell'altro   genitore,   «piena   tutela»   dei    suoi    preminenti
personalissimi diritti  ed  interessi,  tutela  che  puo'  essere  in
concreto attuata solo e soltanto se l'interessato sia  «autonomamente
rappresentato e difeso  in  giudizio»;  e  che  questo  diritto,  non
soltanto e'  garantito  dai  principi  costituzionali  di  protezione
dell'infanzia, del giusto processo e di diritto di difesa (artt.  24,
30 terzo comma, 31  e 111  Cost),  ma  e'  altresi'  affermato  nella
Convenzione dei diritti del fanciullo di New  York  del  20  novembre
1989 (ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991 n. 176)  e
nella  Convenzione  Europea  di  Strasburgo  del  25   gennaio   1996
(ratificata e resa esecutiva con legge 2 marzo 2003 n. 77); 
      
    osservato, altresi', che: 
        il  diritto  del  minore  alla  «piena   tutela»   dei   suoi
personalissimi diritti ed interessi e' riconosciuto  dal  legislatore
in altre ipotesi normative, ove sono state predisposte a sua garanzia
specifiche forme di difesa in giudizio ovvero la nomina di  peculiari
figure a sua tutela, come nel caso: 
          di riscontrato contrasto tra figli legittimi e genitori  (o
quello che esercita in via esclusiva la potesta'),  ove  e'  previsto
che: «...non  possano  o  non  vogliano  compiere  uno  o  piu'  atti
nell'interesse del figlio, eccedente l'ordinaria amministrazione,  il
giudice..omissis...puo'  nominare  al  figlio  un  curatore  speciale
autorizzandolo al compimento di tali atti...» (art. 321 c.c.); 
          di procedimento di  decadenza  della  potesta'  sui  figli,
ovvero di reintegrazione della stessa o  di  condotta  del  genitore,
nonche'  di  rimozione  o   riammissione   dell'amministrazione   del
patrimonio del minore (art. 330, 332, 333, 334,  335  c.c.),  ove  il
legislatore ha espressamente previsto che il minore:  «sia  assistito
da un difensore» (comma quarto aggiunto all'art. 336  c.c.  dall'art.
37, comma terzo, della legge 28 marzo 2001, n. 149); 
          di  impugnazione  da  parte  del  riconosciuto   ai   sensi
dell'art. 264 c.c. nel quale il giudice puo' dare l'autorizzazione a:
«... impugnare il riconoscimento nominando un  curatore  speciale»  e
nel corso del giudizio  ad  esso  conseguente  poi  puo'  intervenire
l'adozione anche di provvedimenti ex art. 268 e ss.  c.c.  «opportuni
nell'interesse del minore»; 
      
          di giudizio per  la  dichiarazione  di  adottabilita',  ove
l'art. 17, comma secondo, della legge 4 maggio 1983 n. 184  prevedeva
che nel giudizio di opposizione avverso il provvedimento sullo  stato
di adottabilita' venisse nominato dal presidente del tribunale per  i
minorenni «... un curatore speciale al minore», e detta previsione e'
ora confermata dall'art. 14 della legge modificativa 28 marzo 2001 n.
149; 
    osservato: 
        quanto  alle   motivazioni   in   ordine   alla   «rilevanza»
dell'incidente nel caso oggetto del giudizio, che  la  stessa  appare
evidente considerato: 
          che benche' sia stato oggetto di positivo accertamento,  in
primo grado, l'autonomo e personale «interesse» (art. 250  c.c.)  del
piccolo D. P., di anni sei,  ad  essere  riconosciuto  da  parte  del
preteso genitore, in contrasto con la ferma opposizione  della  madre
naturale M. A. P. (che lo aveva gia' riconosciuto alla  nascita)  che
ha impedito addirittura che il minore fosse  sottoposto  al  disposto
esame ematologico, non si e' tuttavia provveduto alla  nomina  di  un
«curatore speciale» a tutela di questo ne' ad assicurare al  medesimo
un'autonoma difesa processuale, e cio' non essendo  ritenuto  «parte»
del processo; 
          che il riconoscimento autorizzato dal Tribunale dei  Minori
e' ora oggetto di riesame a seguito di gravame  dell'altro  genitore,
cui ha aderito il P.G. (che ha chiesto la  riforma  della  sentenza),
sul quale resiste il  padre  (che  ha  ottenuto  l'autorizzazione  al
riconoscimento), e che nella presente fase di gravame  -  ancora  una
volta - permangono il coatto «silenzio»  e  l'impossibilita'  di  una
autonoma «autodifesa» del figlio non ancora sedicenne; 
          che pertanto appare pregiudiziale la  preventiva  decisione
sulla conformita' al dettato costituzionale della  norma  di  cui  si
discute; 
    ritenuto, per tali ragioni tutte: 
        sussistere dubbi di incostituzionalita' dell'art. 250  c.p.c.
per la mancata previsione per il figlio infra-sedicenne  di  adeguate
forme di «tutela» dei suoi preminenti personalissimi  diritti,  nella
specie di autonoma rappresentazione e  difesa  in  giudizio,  diritti
costituzionalmente garantiti, e per il contrasto  della  disposizione
normativa con: 
          a) l'art. 2 della Costituzione, per violazione del diritto,
annoverato fra quelli fondamentali, all'identita' sociale; 
      
          b)  l'art.  3  della   Costituzione,   sotto   il   profilo
dell'ingiustificata   disparita'   di    trattamento    del    minore
infra-sedicenne figlio rispetto a quello previsto  per  il  sedicenne
gia' riconosciuto da uno dei genitori (cui e' riconosciuto il  potere
di impedire il detto riconoscimento negando il «proprio» assenso); 
          c)  l'art.  24  della  Costituzione,  per  violazione   del
principio del diritto di difesa; 
          d)  l'art.  30,  terzo  comma,  della   Costituzione,   per
violazione della tutela giuridica assicurata in ogni caso dalla legge
ai figli nati fuori dal matrimonio; 
          e) dall'art. 31,  secondo  comma,  della  Costituzione,  in
quanto il figlio infra-sedicenne, senza autonoma tutela e difesa, per
effetto di un riconoscimento inveridico, potrebbe «da subito»  venire
assoggettato ad un riconoscimento non veritiero o, comunque, non  nel
suo interesse e prima ancora di poter esperire l'impugnazione ex art.
264 c.c. ed ottenere - per legge - in tale giudizio la nomina  di  un
curatore «speciale» ed ogni altro  provvedimento  opportuno  nel  suo
interesse; 
          f) dall'art. 111 della  Costituzione,  per  violazione  del
diritto al giusto processo, nel pieno e paritario contraddittorio tra
tutte le parti interessate;