Il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e  difeso
dall'Avvocatura Generale dello Stato (C.F. 80224030587) e  presso  la
stessa domiciliato in Roma alla Via  dei  Portoghesi  n.  12,  giusta
delibera adottata dal Consiglio dei ministri nella  riunione  del  24
settembre 2010, ricorrente; contro la Regione Puglia, in persona  del
Presidente della  Giunta  Regionale  in  carica,  con  sede  in  Bari
Lungomare Nazario Sauro, n. 33, intimata, per la  declaratoria  della
illegittimita' costituzionale della legge della Regione Puglia del  2
agosto 2010, n. 10, pubblicata sul BUR del 9  agosto  2010,  n.  232,
recante l'«attuazione dei programmi  comunitari  e  nazionali  e  dei
processi di stabilizzazione», per violazione dell'art.  117,  secondo
comma, lett. l), e terzo comma, Cost., in relazione agli artt. 1,  7,
comma 6, e 36 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nonche' degli artt. 3
e 97 Cost. 
 
                                Fatto 
 
    La Regione Puglia ha emanato la 1.r. n. 10 del  2010,  pubblicata
sul BUR  del  9  agosto  2010,  n.  232,  recante  l'«attuazione  dei
programmi comunitari e nazionali e dei processi di stabilizzazione». 
    L'articolo unico di tale legge prevede, al primo comma,  che  «al
fine di assicurare il rispetto  degli  obiettivi  stabiliti  e  degli
obblighi assunti con l'Unione Europea, la Regione Puglia continua  ad
avvalersi,   sino   alla   scadenza    inizialmente    stabilita    o
successivamente prorogata, degli incarichi dirigenziali a  termine  e
dei contratti di  lavoro  a  tempo  determinato,  di  consulenza,  di
collaborazione  coordinata  continuativa  nonche'  dei  contratti  di
servizi stipulati o  comunque  utilizzati  per  attuare  i  programmi
comunitari  ovvero  i  programmi  finanziati  su  fondi   statali   a
destinazione vincolata (grassetto nostro: n.d.r.)». 
    Il secondo comma prevede inoltre che «la Regione Puglia  continua
altresi' ad avvalersi, sino alla scadenza  inizialmente  stabilita  o
successivamente  prorogata,  dei  contratti   di   lavoro   a   tempo
determinato stipulati nell'ambito delle procedure di  stabilizzazione
di cui alla  legge  24  dicembre  2007,  n.  244  (grassetto  nostro:
n.d.r.)». 
    Il terzo ed ultimo comma fa infine salva l'applicazione dell'art.
76, comma 4,  della  legge  6  agosto  2008,  n.  133  (ovvero,  piu'
esattamente, dell'art. 76, comma 4, del d.l. 25 giugno 2008, n.  112,
conv. in legge, con modificazioni, dalla  1egge  6  agosto  2008,  n.
133), che vieta all'ente - in caso di mancato rispetto del  patto  di
stabilita'  interno  nell'esercizio  precedente  -  di  procedere  ad
assunzioni  di  personale  a  qualsiasi  titolo,   con   qualsivoglia
tipologia  contrattuale,  ivi  compresi  rapporti  di  collaborazione
continuata  e  continuativa  e   di   somministrazione,   anche   con
riferimento ai  processi  di  stabilizzazione  in  atto,  nonche'  di
stipulare  contratti  di  servizio  con  soggetti  privati   che   si
configurino come elusivi della predetta disposizione. 
    La suddetta legge (o, quanto  meno,  primi  due  commi  dell'art.
unico sopra  richiamato,  atteso  che  l'ultimo  comma  si  limita  a
riaffermare  la  vigenza   di   una   norma   statale   autonomamente
applicabile) si espone a censure di illegittimita' costituzionale per
i seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1.  Violazione  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 14, commi 19 e 21, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, conv.  in
legge, con modificazioni dall'art. 1, comma 1, legge 30 luglio  2010,
n. 122. 
    La legge  regionale  in  esame,  nel  fare  salvi  gli  incarichi
dirigenziali a termine ed i contratti di lavoro a  temo  determinato,
di consulenza, di  collaborazione  coordinata  e  continuativa  ed  i
contratti di servizio stipulati o utilizzati per attuare i  programmi
comunitari o i programmi finanziati su fondi statali  a  destinazione
vincolata,  nonche'  i  contratti  di  lavoro  a  tempo   determinato
stipulati  nell'ambito  delle  procedure  di  stabilizzazione  ex  1.
244/07, si pone in assoluto contrasto con la  disposizione  contenuta
nell'art. 14, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, conv.,  con  modif.,
dalla 1. 122/2010, il quale prevede  che  -  nei  casi  previsti  dal
precedente comma 19 (e cioe' nei casi di mancato rispetto  del  patto
di  stabilita'  interno  nell'esercizio  finanziario   2009)   -   «i
conferimenti  di   incarichi   dirigenziali   a   personale   esterno
all'amministrazione regionale  ed  i  contratti  di  lavoro  a  tempo
determinato, di consulenza, di collaborazione coordinata continuativa
ed assimilati, nonche' i contratti  di  cui  all'art.  76,  comma  4,
secondo periodo del di. n. 112 del 2008, convertito con modificazioni
dalla legge n. 133 del 2008 (e cioe'  i  contratti  di  servizio  con
soggetti privati che  si  configurino  come  elusivi  della  predetta
disposizione:  n.d.r.),  deliberati,  stipulati  o  prorogati   dalla
regione ... sono revocati di diritto (grassetto nostro: n.d.r.)». 
    Secondo quanto  accertato  dal  Ministro  dell'economia  e  delle
finanze, la Regione Puglia non ha rispettato il patto  di  stabilita'
interno, in guisa che per l'inequivoco disposto della predetta  norma
statale  si  devono  ritenere  revocati  di  diritto  gli   incarichi
dirigenziali ed i contratti di  lavoro  che  la  legge  impugnata  ha
inteso invece salvaguardare. 
    Il contrasto non e' privo di rilievo sul piano costituzionale  ed
implica la manifesta illegittimita' della normativa regionale. 
    Secondo   noti   e   consolidati   principi    affermati    dalla
giurisprudenza  di  codesta  Corte,  le  norme  che  disciplinano  il
cosiddetto  «patto  di  stabilita'»  costituiscono   espressione   di
esigenze  di  contenimento  della  spesa  pubblica,  finalizzate   al
raggiungimento di obiettivi nazionali di stabilizzazione  finanziaria
ed imposte dai vincoli comunitari, e rientrano percio' nella  materia
del  «coordinamento  della  finanza  pubblica»  che  appartiene  alla
competenza legislativa concorrente dello Stato e  delle  Regioni.  Ed
invero, le disposizioni che mirano «ad  assicurare  il  rispetto  dei
parametri fissati nel patto  di  stabilita'  e  crescita  dell'Unione
europea ..., allo scopo di soddisfare esigenze di razionalizzazione e
contenimento  della  spesa  pubblica  ...,  costituiscono   legittimo
esercizio della competenza statale  di  coordinamento  della  finanza
pubblica» (Corte Cost., 6 giugno 2008, n. 190.  Nello  stesso  senso,
cfr. Corte Cost., sentenze n. 139 del 2009; nn. 289 e 120  del  2008,
n. 82 del 2007; n. 64 del 2005). 
    In questa prospettiva, le disposizioni della  legge  statale  che
fissano limiti alle capacita' di spesa;  ai  fini  del  rispetto  del
patto di stabilita' e  del  riequilibrio  finanziario,  costituiscono
norme di principio che limitano l'autonomia  finanziaria  degli  enti
locali e la capacita' legislativa delle Regioni, cosi'  che  si  deve
escludere che queste ultime possano introdurre norme  derogatorie  (o
addirittura   contrapposte)   in   base   ai   propri    poteri    di
auto-organizzazione (sulla competenza della  legislazione  statale  a
prevedere vincoli di riequilibrio della finanza pubblica, cfr.  Corte
Cost., n. 417 del 2005 e  nn.  353,  345  e  36  del  2004,  riferite
specificamente alle Regioni a statuto speciale;  nel  senso  che  una
disposizione statale di principio  in  tema  di  coordinamento  della
finanza pubblica puo' incidere sulla  materia  dell'organizzazione  e
del funzionamento della Regione, cfr. Corte Cost., n. 159  del  2008;
n. 188 del 2007 e n. 2 del 2004). 
    La legge impugnata e' dunque manifestamente  illegittima  per  il
rilevato contrasto con  la  normativa  statale  recentemente  emanata
nella medesima materia. La circostanza che il  legislatore  regionale
si sia premurato di far salve le disposizioni dell'art. 76, comma  4,
del d.l. n. 112 del 2008, convertito  in  legge,  con  modificazioni,
dalla 1. n. 133 del 2008, non e' d'altronde sufficiente ad evitare il
predetto contrasto ed il conseguente vizio di incostituzionalita': le
norme richiamate e  fatte  salve  dalla  legge  regionale  riguardano
infatti il divieto di procedere  a  nuove  assunzioni  di  personale,
mentre quelle dell'art. 14, comma  21,  del  d.l.  n.  78  del  2010,
convertito in legge con modificazioni, dalla 1. n. 122 del 2010,  che
nel caso di specie risultano  trasgredite,  prevedono  la  revoca  di
diritto dei rapporti pendenti.  La  Regione  ha  dunque  mostrato  di
essere  consapevole  della  natura  vincolante  delle  norme  statali
recanti la disciplina del patto di  stabilita',  ma  ha  adottato  un
comportamento incoerente, rispettando alcune disposizioni soltanto  e
violando le altre. 
2. Violazione dell'art. 117,  secondo  comma,  lett.  l),  Cost.,  in
relazione agli artt. 1 e 36 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. 
    I primi due commi della legge regionale impugnata dispongono  che
la Regione Puglia «continua ad avvalersi» dei contratti di  lavoro  a
tempo determinato, gia'  stipulati  per  l'attuazione  dei  programmi
comunitari e nazionali e dei processi di stabilizzazione, «sino  alla
scadenza   inizialmente   stabilita   o   successivamente   prorogata
(grassetto nostro: n.d.r.)». Poiche' la legge non  chiarisce  che  se
intende riferirsi soltanto ai rapporti gia' prorogati  «prima»  della
sua entrata in vigore, cosi'  da  salvaguardare  soltanto  i  termini
«gia'» prorogati in precedenza, si puo' legittimamente  ritenere  che
la formula adoperata comporta la possibilita' di prorogare  anche  in
futuro i rapporti a tempo  determinato  pendenti.  In  tal  modo,  la
«ratio legis» rappresentata  non  soltanto  dalla  conservazione  dei
rapporti in essere fino alla  loro  naturale  scadenza,  in  base  ai
termini (originari o prorogati) gia' in precedenza fissati, ma  anche
e soprattutto dall'intento di precostituire le  condizioni  normative
per disporre successive proroghe dei rapporti attualmente pendenti. 
    In questa prospettiva, pienamente legittimata dall'ambiguita' del
testo, la legge si espone  ad  ulteriori  censure  di  illegittimita'
costituzionale. 
    L'art. 36, primo comma, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, dispone
che «per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario  le
pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente  con  contratti  di
lavoro subordinato a tempo indeterminato  seguendo  le  procedure  di
reclutamento previste dall'articolo 35 (grassetto  nostro:  n.d.r.)».
In deroga a  questa  regola  di  carattere  generale,  il  successivo
secondo comma dello stesso articolo dispone che  «per  rispondere  ad
esigenze  temporanee  ed  eccezionali  le  amministrazioni  pubbliche
possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e
di impiego del personale previste dal codice civile e dalle leggi sui
rapporti  di  lavoro  subordinato  nell'impresa  (grassetto   nostro:
n.d.r.)».  Il  terzo  comma  prevede  quindi  opportune  misure   per
«combattere gli abusi nell'utilizzo del lavoro flessibile». 
    Queste disposizioni sono espressione del potere legislativo dello
Stato nella materia «ordinamento civile», che appartiene alla propria
competenza esclusiva ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lett. l),
Cost.;  inoltre,  ai  sensi  dell'art  1  dello  stesso  d.lgs.  esse
costituiscono  parametro  interposto   per   la   valutazione   della
costituzionalita' della legge regionale impugnata, perche'  rientrano
tra le norme generali  sull'ordinamento  generale  del  lavoro  nelle
Amministrazioni pubbliche. Da cio' consegue che  -  come  specificato
dal terzo comma del predetto art. 1 - «le Regioni a statuto ordinario
si attengono ad esse, tenendo conto della peculiarita' dei rispettivi
ordinamenti». 
    Per tali disposizioni il ricorso allo strumento del  rapporto  di
lavoro subordinato a tempo determinato deve intendersi  di  carattere
assolutamente eccezionale e temporaneo e puo' avvenire al solo  scopo
di sopperire per periodi di tempo  limitato  a  fatti  e  circostanze
straordinarie; e cio' in quanto  le  pubbliche  Amministrazioni,  per
provvedere  allo  svolgimento  delle   proprie   ordinarie   funzioni
istituzionali, si devono avvalere in via di principio di personale di
ruolo  a  tempo  indeterminato,  assunto  a  seguito   del   regolare
espletamento di apposite procedure concorsuali. 
    Questi principi risultano violati dalla legge regionale in esame,
che mantiene in  vita  i  rapporti  di  lavoro  subordinato  a  tempo
determinato pendenti senza rispettare i requisiti dell'eccezionalita'
e della temporaneita'. Sotto il  primo  profilo,  infatti,  essa  non
indica le ragioni straordinarie che possano giustificare il ricorso a
lavoratori dipendenti a tempo determinato, ma fa anzi  riferimento  a
funzioni e compiti (quali l'attuazione dei programmi comunitari e dei
programmi finanziati su fondi statali a destinazione  vincolata)  che
rientrano  nell'ambito  dell'attivita'  ordinaria  di  istituto;  per
quanto riguarda invece il requisito della  durata,  essa  concede  la
possibilita' di ulteriori proroghe dei termini vigenti, in  contrasto
con il carattere della temporaneita' dei rapporti di lavoro in esame.
In sostanza, la legge impugnata tende a conservare indefinitamente la
vigenza dei rapporti di lavoro subordinato a  tempo  determinato  per
far fronte alle normali esigenze operative dell'Ente, cosi'  violando
le vincolanti disposizioni di carattere generale stabilite dal citato
art. 36, d.lgs. 165/01. 
3. Violazione dell'art. 117,  secondo  comma,  lett.  l),  Cost.,  in
relazione agli artt. 1 e 7, comma 6, del d.lgs.  30  marzo  2001,  n.
165. 
    Considerazioni  sostanzialmente  analoghe  a  quelle  svolte  nel
precedente motivo di ricorso si devono  svolgere  con  riguardo  alla
disposizione  del  primo  comma  dell'articolo  unico   della   legge
regionale impugnata, secondo  cui  rimangono  in  vigore  «sino  alla
scadenza inizialmente stabilita o  successivamente  prorogata»  anche
«gli incarichi dirigenziali a termine» ed «i contratti di consulenza,
di  collaborazione  coordinata  e  continuativa  ed  i  contratti  di
servizio stipulati per l'attuazione dei  programmi  comunitari  e  di
quelli finanziati su fondi statali a destinazione vincolata». 
    Secondo l'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del 2001 (che,  come
gia' rilevato, rientra tra le disposizioni generali che  disciplinano
l'organizzazione degli uffici e i rapporti di  lavoro  e  di  impiego
alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, e che -  costituendo
espressione della potesta' legislativa esclusiva  dello  Stato  nella
materia «ordinamento civile» - rappresentano principi fondamentali ai
sensi  dell'art.  117  Cost.),  la  pubblica   Amministrazione   puo'
conferire incarichi di tal genere solo per esigenze a  cui  non  puo'
far  fronte  con   personale   in   servizio,   allorche'   ricorrano
congiuntamente i seguenti presupposti di legittimita': 
      a)  l'oggetto  della  prestazione   deve   corrispondere   alle
competenze    attribuite     dall'ordinamento     all'amministrazione
conferente, ad obiettivi e progetti specifici e  determinati  e  deve
risultare    coerente    con    le    esigenze    di    funzionalita'
dell'amministrazione conferente; 
      b)  l'amministrazione  deve  avere  preliminarmente   accertato
l'impossibilita' oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili
al suo interno; 
      c) la prestazione deve essere di natura temporanea e  altamente
qualificata; 
      d) devono essere  preventivamente  determinati  durata,  luogo,
oggetto e compenso della collaborazione (cfr. sul punto Corte  Conti,
sez. giurisdizionale, sent. 27 febbraio 2007, n. 141). 
    Lo stesso art. 7, comma 6, del d.lgs.  165/2001  prevede  inoltre
che  il  ricorso  a  contratti   di   collaborazione   coordinata   e
continuativaper lo svolgimento di funzioni ordinarie o l'utilizzo dei
collaboratori come lavoratori subordinati e' causa di responsabilita'
amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti. 
    La norma regionale in esame  si  pone  in  contrasto  con  questi
principi fondamentali della materia, perche' prevede la conservazione
e/o la proroga di siffatti rapporti di lavoro autonomo: 
      per il solo fatto della loro attuale pendenza; 
      per lo svolgimento di ordinarie funzioni d'istituto; 
      senza alcuna  verifica  dell'obiettiva  impossibilita'  di  far
fronte ad esse con il personale di ruolo; 
      senza il rispetto  degli  specifici  limiti  temporali  imposti
dalla loro natura eccezionale. 
      Da cio' consegue l'incostituzionalita' della norma, non essendo
concesso alle Regioni derogare  alle  norme  di  principio  stabilite
dalla legislazione statale nella materia. 
4. Violazione dell'art. 97 Cost. 
      La legge impugnata appare incostituzionale anche per violazione
dei principi contenuti nell'art. 97 Cost. 
      In primo luogo essa mantiene  in  vita  i  rapporti  di  lavoro
precario esistenti senza preoccuparsi di  verificare  se  essi  siano
stati costituiti nel rispetto delle regole di  selezione  concorsuale
stabiliti in via  generale  dalla  suddetta  norma  costituzionale  e
ribaditi, anche con riferimento  ai  lavori  subordinati  a  termine,
dall'art. 36, secondo comma, del d.lgs. n.  165  del  2001.  Inoltre,
sotto altro profilo, il continuativo ricorso a personale non di ruolo
nuoce al buon andamento della pubblica Amministrazione,  che  postula
invece l'utilizzazione di personale dotato dei necessari requisiti di
preparazione,  di  esperienza  e  di   professionalita',   verificati
attraverso  una  regolare  procedura  concorsuale  di  assunzione   e
maturati attraverso lo sviluppo di una regolare carriera. 
      Con riferimento ad  una  fattispecie  analoga,  codesta  Ecc.ma
Corte Costituzionale ha recentemente  affermato  che  «la  previsione
dell'assunzione (sia pure a tempo determinato) di personale  sfornito
dei requisiti normalmente richiesti per lo svolgimento delle funzioni
che   e'   destinato    ad    espletare    determina    l'inserimento
nell'organizzazione  pubblica  di  soggetti  che   non   offrono   le
necessarie garanzie di professionalita' e competenza»  (Corte  Cost.,
sentenza n.  27  del  2008),  e  che  la  mancata  osservanza  «della
disposizione di cui all'art. 7, comma 6, del d.lgs. n. 165 del  2001,
si pone in contrasto con gli  artt.  3  e  97  Cost.»  (Corte  Cost.,
sentenza n. 252 del 2009). 
      Tali  ragioni  appaiono  estensibili  anche  alla   fattispecie
normativa  in  esame,  che  appare  percio'  contraria  ai   principi
costituzionali. 
5. Violazione dell'art. 3 Cost. 
    Sotto un ultimo profilo, la legge regionale impugnata si espone a
vizi di legittimita' costituzionale per la violazione  del  principio
di uguaglianza stabilito dall'art. 3  Cost.  Infatti,  essa  consente
alle categorie di lavoratori prese in  considerazione  di  proseguire
e/o di prolungare il loro rapporto di lavoro con la Regione Puglia, a
differenza di quanto avviene in identiche condizioni  per  le  stesse
categorie di lavoratori in servizio presso le altre Regioni, che sono
assoggettati al rispetto delle condizioni e dei limiti stabiliti  dai
citati artt. 7, comma 6, e 36, del d.lgs.  165/2001,  nonche'  -  nei
casi di avvenuta violazione del patto di stabilita' - alla revoca  di
diritto dei propri rapporti.