Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  5,  penultimo
comma,  della  legge  9  dicembre  1985,  n.  705   (Interpretazione,
modificazioni  ed  integrazioni  al  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sul  riordinamento  della  docenza
universitaria, relativa fascia di formazione nonche'  sperimentazione
organizzativa e didattica),  promosso  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per  il  Lazio  nel  procedimento  vertente  tra  A.  T.  e
l'Universita' degli studi di Roma «La Sapienza», con ordinanza del 23
dicembre 2008, iscritta al n.  237  del  registro  ordinanze  2009  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2009. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  A.  T.  nonche'  l'atto   di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del  21  settembre  2010  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    Uditi l'avvocato Angelo Clarizia  per  A.  T.,  l'avvocato  dello
Stato Massimo  Salvatorelli  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale del  Lazio  (d'ora  in
avanti T. A. R.), con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato,
in riferimento all'art. 3, primo e secondo comma, della Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'articolo  5,  penultimo
comma,  della  legge  9  dicembre  1985,  n.  705   (Interpretazione,
modificazioni  ed  integrazioni  al  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sul  riordinamento  della  docenza
universitaria, relativa fascia di formazione nonche'  sperimentazione
organizzativa e didattica), che stabilisce: «I  professori  collocati
in aspettativa, fermo  restando  quanto  previsto  dall'articolo  13,
quarto comma, mantengono il regime di  impegno  per  il  quale  hanno
optato  in  precedenza  agli   effetti   della   determinazione   del
trattamento di quiescenza  e  delle  relative  incompatibilita';  una
nuova opzione puo'  essere  esercitata  al  termine  del  periodo  di
aspettativa ed ha effetto dall'anno accademico successivo; tuttavia i
professori collocati in aspettativa in  regime  di  impegno  a  tempo
pieno possono, allo scadere del  biennio  di  cui  al  secondo  comma
dell'art. 11, optare per il regime di impegno a tempo definito». 
    2. - Il rimettente  riferisce  che  il  ricorrente  nel  giudizio
principale, professore ordinario a tempo definito presso la  facolta'
di economia e commercio dell'Universita'  degli  studi  di  Roma  "La
Sapienza", e' stato collocato in aspettativa, ai sensi dell'art.  13,
primo comma, n. 3, del decreto del  Presidente  della  Repubblica  11
luglio 1980,  n.  382  (Riordinamento  della  docenza  universitaria,
relativa fascia di formazione nonche' sperimentazione organizzativa e
didattica), dal 7 ottobre 2000 al 3  maggio  2006,  perche'  nominato
Avvocato  generale  della  Corte  di  giustizia   della   CEE   (oggi
dell'Unione europea), e  poi  fino  al  6  ottobre  2012,  in  quanto
nominato giudice della stessa Corte di  giustizia.  Aggiunge  che  il
docente ha impugnato la determinazione adottata dall'Universita', con
la quale gli e'  stato  negato  il  richiesto  passaggio  dal  regime
d'impiego a tempo definito a quello a tempo  pieno.  A  sostegno  del
provvedimento di diniego l'ente ha richiamato il disposto dell'art. 5
della legge n. 705 del 1985. 
    Il ricorrente, a sua  volta,  ha  dedotto  il  proprio  interesse
all'impugnativa,   adducendo   i   negativi   risvolti   patrimoniali
concernenti la determinazione della  base  pensionabile  e  derivanti
dalla citata disposizione, in quanto, ai sensi  dell'art.  40,  primo
comma, del d.P.R. n. 382 del 1980, la base pensionabile e'  correlata
al numero degli anni in cui un professore universitario ha esercitato
in regime a tempo  pieno.  Inoltre,  ha  posto  in  rilievo  che,  in
pendenza del periodo di aspettativa, sara' collocato fuori ruolo  per
il compimento del settantesimo anno di  eta'  a  decorrere  dall'anno
accademico 2010-2011 e pertanto, ai sensi dell'art. 11 del d.P.R.  n.
312 del 1980, non potra' piu' esercitare l'opzione a favore del tempo
pieno. 
    Il T. A. R. prosegue osservando che,  con  l'unico  e  articolato
motivo di  doglianza,  il  docente  ha  prospettato  l'illegittimita'
costituzionale del citato art. 5 della legge  n.  705  del  1985,  in
forza del quale la determinazione di rigetto e' stata  adottata,  per
violazione dell'art. 3 Cost. 
    A tal fine ha sottolineato che  il  divieto  normativo  «viene  a
concretizzare  un'ingiustificata  disparita'   di   trattamento   nei
confronti dei professori universitari che alla data  di  collocamento
in aspettativa si trovavano in regime di  impegno  a  tempo  definito
rispetto  a  quelli  che  si  trovavano,  sempre   al   momento   del
collocamento in aspettativa, in regime di  tempo  pieno,  atteso  che
solo a questi ultimi il menzionato art. 5 consente, anche durante  il
periodo di aspettativa, alla scadenza del biennio di cui  al  secondo
comma dell'art. 11, di optare  per  il  regime  di  impegno  a  tempo
definito. Ha evidenziato, inoltre, la palese illogicita' del ripetuto
divieto normativo, il quale rende irreversibile durante il periodo di
aspettativa - e nel particolare caso del ricorrente in via definitiva
- una determinata scelta  di  impegno  universitario  che  era  stata
compiuta  precedentemente  al  collocamento  in  aspettativa,  in  un
momento  in  cui  non  potevano  essere  valutate  compiutamente   le
conseguenze di tale scelta». 
    Il rimettente ritiene che i dubbi di  costituzionalita'  espressi
dal ricorrente non siano manifestamente infondati e che,  quindi,  le
relative questioni meritino di essere sottoposte alle valutazioni  di
questa Corte. 
    La fondatezza di tale conclusione risulterebbe  avvalorata  dalla
circostanza che, ai sensi dell'art. 13, sesto comma,  del  d.P.R.  n.
382 del 1980, durante il periodo di aspettativa non  cessa  qualsiasi
rapporto di impegno con l'Universita'  di  appartenenza,  considerato
che, in base al testuale disposto della norma, i professori collocati
in  aspettativa  conservano  il  titolo  a  partecipare  agli  organi
universitari cui appartengono, con le modalita' previste dalla legge,
mantengono l'elettorato attivo per la formazione delle commissioni di
concorso e per l'elezione  delle  cariche  accademiche  ed  hanno  la
possibilita'  di  svolgere  cicli  di  conferenze  e  di  lezioni  ed
attivita' seminariali. E'garantita loro, altresi', la possibilita' di
svolgere attivita' di ricerca, previa  intesa  con  il  consiglio  di
facolta' e sentito il consiglio d'istituto  o  di  dipartimento,  ove
istituito, e di accedere ai fondi per la ricerca scientifica. 
    In  tale  contesto  il  Tribunale  rimettente  osserva   che   il
denunziato divieto, «comportante una illegittima  compressione  della
facolta'  di  scelta  per  l'odierno  istante,  risulta   essere   in
contrasto, per le argomentazioni di cui sopra, con  il  primo  ed  il
secondo comma dell'art. 3 della Costituzione». 
    3. - La parte privata ha depositato, in data  4  settembre  2009,
atto  di   costituzione,   concludendo   per   la   declaratoria   di
illegittimita' costituzionale dell'art.  5,  penultimo  comma,  della
legge n. 705 del 1985, nei termini di cui all'ordinanza del T. A.  R.
del Lazio. 
    In prossimita' dell'udienza di discussione,  poi,  ha  depositato
una   memoria   illustrativa,   insistendo    per    l'illegittimita'
costituzionale della norma censurata, nella parte in cui non consente
ai professori collocati in aspettativa, in regime di impegno a  tempo
definito, di optare comunque per il regime di impegno a tempo  pieno,
alla scadenza del biennio di cui all'art. 11 del d.P.R.  n.  382  del
1980. Dopo aver riassunto il giudizio a quo, la  parte  sintetizza  i
passi salienti dell'ordinanza di rimessione, la  quale  ha  posto  in
evidenza come la norma impugnata contrasti con l'art. 3  Cost.  sotto
un duplice profilo: per ingiustificata disparita'  di  trattamento  e
per irragionevolezza. 
    Quanto al primo aspetto, sarebbe  evidente  che  la  disposizione
dettata dall'art. 5 della legge  n.  705  del  1982,  consentendo  ai
professori, collocati in aspettativa obbligatoria in regime di  tempo
pieno,  di  optare  per  il  regime  a  tempo   definito,   crea   un
ingiustificato regime di maggior favore  per  i  professori  a  tempo
pieno e comporta una irragionevole discriminazione per i professori a
tempo definito, cosi' ingiustamente penalizzati.  Quanto  al  secondo
profilo, la disposizione impugnata irragionevolmente consentirebbe ai
professori in regime di tempo definito al momento del collocamento in
aspettativa   di   esercitare   l'opzione   soltanto    al    termine
dell'aspettativa  stessa.  Di  fatto  il  professore   collocato   in
aspettativa obbligatoria finirebbe per subire il regime nel quale  si
trovava al momento iniziale di essa, senza aver  potuto  valutare  le
conseguenze  di  tale  scelta.   Tali   profili   di   illegittimita'
costituzionale non sarebbero superabili per via interpretativa,  onde
sarebbe indispensabile una pronuncia di  questa  Corte  che  preveda,
anche per i professori in regime di tempo  definito  al  momento  del
collocamento in aspettativa, la possibilita' di esercitare  l'opzione
per il regime di impegno a tempo pieno, allo scadere del  biennio  di
cui all'art. 11 del d.P.R. n. 382 del 1980. 
    4. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  spiegato  intervento
nel giudizio di legittimita' costituzionale con atto depositato il 20
ottobre 2009, sostenendo che la questione, per come proposta, sarebbe
inammissibile o infondata. 
    Ad avviso della difesa dello Stato, sarebbe lecito  dubitare  che
l'ordinanza di rimessione contenga una  valutazione  effettiva  della
rilevanza e della non  manifesta  infondatezza  della  questione,  in
quanto il T. A. R. si limiterebbe ad accogliere in modo  acritico  le
eccezioni di illegittimita' costituzionale sollevate  dal  ricorrente
(costituenti l'unico  motivo  d'impugnazione  del  provvedimento  del
rettore), rinviando in forma generica, per la valutazione della  loro
fondatezza, alla sola circostanza che,  in  forza  dell'art.  13  del
d.P.R. n. 382  del  1980,  durante  il  periodo  di  aspettativa  non
cesserebbe ogni tipo di rapporto tra il professore e l'Universita' di
appartenenza. 
    Non sarebbe spiegato, pero', perche' i momenti di  partecipazione
del cattedratico in  aspettativa  all'attivita'  istituzionale  della
propria Universita' renderebbero irragionevole  e  illogico  rinviare
alla fine del periodo di aspettativa la nuova scelta  sul  regime  di
impegno effettivo di quello stesso docente,  che  aveva  inizialmente
optato per il  regime  a  tempo  definito.  Inoltre,  l'ordinanza  di
rimessione non illustrerebbe i profili di non manifesta  infondatezza
con riguardo all'asserita disparita' di trattamento rispetto a chi in
origine aveva optato per il regime a tempo indeterminato. 
    Di qui l'addotta inammissibilita' della questione. 
    Essa, comunque, sarebbe infondata nel merito, non sussistendo  le
lamentate violazioni dell'art. 3 Cost. 
    In primo luogo, i due regimi di impegno dei professori, di cui si
tratta, sarebbero molto  diversi,  derivanti  da  una  libera  scelta
iniziale  del  docente  e  tali  da   giustificare   un   trattamento
differenziato.  Invero,  alla  forma  d'impiego  a   tempo   definito
sarebbero  collegati  caratteri  di  eccezionalita'  e   peculiarita'
rispetto a quella a tempo pieno, in guisa da determinare una serie di
limitazioni e incompatibilita' differenti rispetto a quelle  previste
per  l'altra  opzione,  sicche'  le  due  categorie   non   sarebbero
sovrapponibili. 
    Richiamato il disposto dell'art. 5, penultimo comma, della  legge
n. 785 del 1985, la difesa dello Stato osserva che  la  detta  norma,
dopo aver previsto una disciplina  generale  applicabile  a  tutti  i
professori ordinari collocati in aspettativa (primi due periodi della
norma medesima), prevede un'ipotesi eccezionale per il caso in cui il
docente in aspettativa sia a tempo pieno. A quest'ultimo e'  concesso
di optare per il tempo definito allo scadere  del  biennio  "minimo",
senza dover attendere la scadenza dell'aspettativa (terzo periodo). 
    La  ratio   di   tale   disposizione   derogatoria,   ad   avviso
dell'interveniente,  sarebbe  quella  di  realizzare,  da  un   lato,
l'interesse del docente a tempo pieno ad  ottenere  la  modifica  del
regime di impegno e, dall'altro, l'interesse pubblico ad  incentivare
scelte dei docenti che assicurino risparmi di spesa, considerato che,
ai sensi dell'art. 40, primo comma, del d.P.R. n. 382  del  1980,  la
base pensionabile e' commisurata  al  numero  di  anni  prestati  dal
professore in regime di tempo pieno. 
    La differenza di posizione del docente, collocato in  aspettativa
in regime di tempo definito, sarebbe  palese.  Per  tale  ipotesi  il
legislatore avrebbe ragionevolmente ritenuto, anche  nell'ottica  del
contenimento della spesa pubblica, di non  consentire  al  docente  a
tempo definito di optare per  il  tempo  pieno,  perche'  durante  il
periodo di aspettativa la sua prestazione professionale nei confronti
dell'Universita'  di  appartenenza  non  potrebbe  certo   avere   un
incremento, ma anzi dovrebbe essere  contenuta  nei  limiti  previsti
dall'art. 13, penultimo  comma,  del  d.P.R.  n.  382  del  1980.  In
sostanza,  nessun  interesse  pubblico  degno   di   tutela   sarebbe
ravvisabile nella opzione del docente che  volesse,  in  costanza  di
aspettativa obbligatoria, modificare il proprio regime di impegno  da
tempo definito a tempo pieno. 
    In prossimita' dell'udienza  di  discussione  l'Avvocatura  dello
Stato ha depositato memoria in cui ribadisce e sviluppa gli argomenti
addotti nell'atto di intervento. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale del  Lazio  (d'ora  in
avanti,  T.  A.  R.)   dubita   della   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 5, penultimo comma, della legge 9 dicembre 1985, n. 705
(Interpretazione,  modificazioni  ed  integrazioni  al  decreto   del
Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, sul riordinamento
della docenza universitaria, relativa fascia  di  formazione  nonche'
sperimentazione organizzativa e didattica), in  riferimento  all'art.
3, primo e  secondo  comma,  della  Costituzione.  La  norma  de  qua
stabilisce che «I professori collocati in aspettativa, fermo restando
quanto previsto dall'art. 13, quarto comma, mantengono il  regime  di
impegno per il quale hanno optato in precedenza  agli  effetti  della
determinazione  del  trattamento  di  quiescenza  e  delle   relative
incompatibilita'; una nuova opzione puo' essere esercitata al termine
del  periodo  di  aspettativa  ed  ha  effetto  dall'anno  accademico
successivo; tuttavia i professori collocati in aspettativa in  regime
di impegno a tempo pieno possono, allo scadere del biennio di cui  al
secondo comma dell'articolo 11, optare per il  regime  di  impegno  a
tempo definito». 
    Il giudice a quo, nel condividere le censure mosse dal ricorrente
A. T. (professore universitario ordinario a tempo definito, collocato
in aspettativa dal 7 ottobre 2000 fino  al  6  ottobre  2012  per  le
ragioni  di  cui  in  narrativa,   che   si   e'   visto   respingere
dall'Universita' la domanda  diretta  ad  ottenere  il  passaggio  al
regime a tempo pieno, in base  a  quanto  prescrive  la  disposizione
censurata),  ritiene  che  la   normativa   in   questione   realizzi
un'ingiustificata  disparita'  di  trattamento  nei   confronti   dei
professori  universitari  che,  alla   data   del   collocamento   in
aspettativa, si trovavano in  regime  a  tempo  definito  rispetto  a
quelli che erano in regime a tempo pieno, in quanto soltanto a questi
ultimi il menzionato art. 5 consentirebbe di  optare  per  il  regime
d'impegno a tempo definito. Inoltre, il divieto normativo imposto  ai
docenti  a  tempo  definito  sarebbe  palesemente  illogico,  perche'
renderebbe irreversibile durante il periodo di  aspettativa  (e,  nel
particolare caso  del  ricorrente,  in  via  definitiva)  una  scelta
d'impegno  universitario   compiuta   prima   del   collocamento   in
aspettativa, in un momento in cui le conseguenze di tale  scelta  non
potevano essere valutate compiutamente. 
    I dubbi sulla legittimita' costituzionale della  norma  sarebbero
avvalorati dal rilievo che, durante il periodo  di  aspettativa,  non
cessa qualsiasi rapporto di impegno tra il docente e l'Universita' di
appartenenza, come risulta dall'art. 13, sesto comma, del  d.P.R.  n.
382 del 1980. 
    Pertanto,  il  contestato  divieto,  «comportante  un'illegittima
compressione della facolta' di scelta per l'odierno istante,  risulta
essere in contrasto, per le argomentazioni di cui sopra, con il primo
ed il secondo comma dell'art. 3 della Costituzione». 
    2. - La difesa dello Stato  deduce  in  via  preliminare  che  la
questione sarebbe inammissibile, perche' il rimettente si limiterebbe
«ad accogliere  acriticamente  le  eccezioni  di  incostituzionalita'
sollevate dalla difesa del ricorrente (costituenti l'unico motivo  di
impugnazione del provvedimento rettorale),  rinviando  genericamente,
per la valutazione della loro fondatezza, alla sola circostanza  che,
sulla base dell'art.  13  del  DPR  382/80,  durante  il  periodo  di
aspettativa non cesserebbe ogni tipo di rapporto tra il professore  e
l'Universita' di appartenenza». Non sarebbe spiegato, pero',  perche'
questi  momenti   di   partecipazione   del   docente   all'attivita'
istituzionale della propria Universita' renderebbero irragionevole ed
illogico rinviare alla fine  del  periodo  di  aspettativa  la  nuova
scelta sul regime di impegno effettivo di quel medesimo docente,  che
aveva inizialmente  optato  per  il  regime  a  tempo  definito.  Ne'
sarebbero chiariti i profili  di  non  manifesta  infondatezza  circa
l'asserita disparita'  di  trattamento  rispetto  al  professore  che
inizialmente aveva optato per il regime a tempo pieno. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    L'ordinanza di rimessione, sia  pure  ad  un  livello  minimo  di
sufficienza, da' conto dei motivi che hanno indotto il  T.  A.  R.  a
sollevare la questione di legittimita' costituzionale. Infatti,  essa
riporta in sintesi gli argomenti addotti dal ricorrente nel  giudizio
principale a sostegno della  denunziata  disparita'  di  trattamento,
argomenti individuati nel rilievo che soltanto ai docenti  in  regime
di  tempo  pieno  al  momento  del  collocamento  in  aspettativa  e'
consentito, anche durante tale  periodo,  di  optare  per  il  regime
d'impegno a tempo definito, mentre analoga facolta' non  e'  data  ai
professori che,  essendo  al  momento  iniziale  dell'aspettativa  in
regime d'impegno a tempo definito, intendano passare, sempre  durante
l'aspettativa medesima, all'impegno a tempo pieno. A tale rilievo  il
rimettente  presta   adesione,   ravvisando   in   detta   disciplina
«un'illegittima compressione della facolta' di scelta  per  l'odierno
istante». 
    Inoltre,  il  Tribunale  amministrativo  condivide  il   presunto
carattere illogico del menzionato divieto normativo,  perche'  questo
«rende irreversibile durante  il  periodo  di  aspettativa  -  e  nel
particolare caso del ricorrente in via definitiva -  una  determinata
scelta   di   impegno   universitario   che   era   stata    compiuta
precedentemente al collocamento in aspettativa, in un momento in  cui
non potevano essere valutate compiutamente  le  conseguenze  di  tale
scelta». 
    Infine, il rimettente ravvisa un ulteriore argomento, a  sostegno
dei prospettati dubbi di legittimita'  costituzionale,  nel  richiamo
all'art. 13, sesto comma, del d.P.R. n. 382 del 1980. 
    Pertanto, un apparato argomentativo nell'ordinanza di  rimessione
sussiste, ancorche' esposto in forma molto concisa. 
    3. - La questione, tuttavia, non e' fondata. 
    La norma censurata si articola  in  tre  proposizioni.  La  prima
riguarda tutti i professori collocati in aspettativa, per i quali  e'
previsto il mantenimento del regime d'impegno  (a  tempo  pieno  o  a
tempo definito) da loro  in  precedenza  scelto  agli  effetti  della
determinazione   del   trattamento   economico   e   delle   relative
incompatibilita'. La seconda stabilisce che una  nuova  opzione  puo'
essere esercitata al termine del periodo di aspettativa ed ha effetto
dall'anno accademico successivo. La terza  introduce  un'eccezione  a
tale principio, dettando la regola che  «i  professori  collocati  in
aspettativa in regime d'impegno a tempo pieno possono,  allo  scadere
del biennio di cui al secondo  comma  dell'art.  11,  optare  per  il
regime d'impegno a tempo definito». 
    Pertanto, solo  a  quest'ultima  categoria  di  docenti  e'  data
facolta', in corso di aspettativa, di modificare il regime  d'impegno
(da tempo pieno a tempo definito), mentre non e' consentita l'opzione
inversa (da tempo definito a tempo pieno). 
    Si tratta di accertare, dunque, se la possibilita' offerta  dalla
normativa censurata ai professori collocati in aspettativa in  regime
d'impegno a tempo pieno sia conforme al principio di  uguaglianza  di
cui all'art. 3  Cost.,  oppure  se  essa  realizzi  un'ingiustificata
disparita' di trattamento nei confronti dei  professori  universitari
che, alla data di collocamento in aspettativa, si trovavano in regime
d'impegno a tempo definito. 
    Al riguardo, si deve osservare che i due regimi sono notevolmente
diversi, come emerge dall'art. 11  del  d.P.R.  n.  382  del  1980  e
successive  modificazioni.  Per  cogliere  le  principali  differenze
(ignorate dall'ordinanza di rimessione) e' sufficiente  rilevare  che
il regime d'impegno a tempo definito e' incompatibile con le funzioni
di   rettore,   preside,   membro   elettivo   del    consiglio    di
amministrazione, direttore di dipartimento e direttore dei  corsi  di
dottorato di ricerca, mentre e' compatibile  con  lo  svolgimento  di
attivita'  professionali  e  di   attivita'   di   consulenza   anche
continuativa esterne  e  con  l'assunzione  di  incarichi  retribuiti
(escluso l'esercizio del commercio e dell'industria). Per contro,  il
regime a tempo pieno e' incompatibile con lo svolgimento di attivita'
professionale e di consulenza esterna e con l'assunzione di qualsiasi
incarico retribuito  (oltre  che  con  l'esercizio  del  commercio  e
dell'industria), con  esclusione  delle  perizie  giudiziarie  e  dei
particolari incarichi provenienti  da  amministrazioni  dello  Stato,
enti pubblici e organismi a prevalente partecipazione statale, di cui
al citato art. 11. 
    In sostanza, come questa Corte gia' pose in rilievo (sentenza  n.
145 del 1985, punto 2 del Considerato in  diritto),  il  legislatore,
dapprima con la legge 21 febbraio 1980, n. 28 (Delega al Governo  per
il riordinamento della docenza universitaria  e  relativa  fascia  di
formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica),  poi
con la disciplina attuativa dettata dal d.P.R. n.  382  del  1980  (e
successive modificazioni), ha  operato  una  differenziazione  tra  i
docenti di ruolo a seconda che essi  intendano,  sulla  base  di  una
scelta  soggettiva  e   personale,   dedicare   la   loro   attivita'
esclusivamente all'insegnamento  universitario  o,  invece,  svolgere
anche attivita' professionali, cioe'  attivita'  esulanti  da  quella
didattica e  scientifica,  che  e'  caratteristica  fondamentale  del
docente universitario. 
    Si e' in presenza, quindi, di  una  significativa  diversita'  di
stato giuridico che rende non omogenee le posizioni  dei  docenti  in
regime d'impegno a  tempo  pieno  e  quelle  dei  docenti  in  regime
d'impegno a tempo definito e, dunque, giustifica  una  diversita'  di
trattamento in presenza di situazioni specifiche. 
    Con riguardo alla questione in esame, l'art. 13 del d.P.R. n. 382
del 1980 ha previsto il collocamento in aspettativa obbligatoria  per
i professori ordinari (a tempo pieno o a tempo definito) in  caso  di
elezione  o  nomina  ad  importanti  incarichi  istituzionali  (nella
specie, a componente delle istituzioni dell'Unione europea). La norma
qui censurata, poi, disciplina nei sensi sopra indicati, per entrambe
le categorie di professori collocati in aspettativa, il  mantenimento
del regime  d'impegno  per  il  quale  hanno  optato  in  precedenza,
recependo le scelte effettuate dai docenti. Essa aggiunge, sempre per
entrambe le categorie, che una nuova opzione puo'  essere  esercitata
al  termine  del  periodo  di  aspettativa,  con  effetto   dall'anno
accademico  successivo.  Introduce,  tuttavia,  un'eccezione  per   i
professori collocati in aspettativa in  regime  di  impegno  a  tempo
pieno, ai quali e' consentito,  nell'arco  di  tempo  indicato  dalla
norma, di optare per il regime d'impegno a tempo definito. 
    Tale  disposizione  derogatoria  non  soltanto  non  crea  alcuna
ingiustificata disparita' di trattamento, avuto riguardo al carattere
non omogeneo dello  stato  giuridico  degli  appartenenti  all'una  o
all'altra categoria, ma non si rivela  neppure  irragionevole.  Essa,
infatti, e' coerente con la posizione del docente in regime d'impegno
a tempo definito che, avendo minori obblighi verso  l'Universita'  di
appartenenza, ha  maggiori  possibilita'  di  conciliare,  almeno  in
parte, gli impegni connessi alla carica ricoperta (che, in  linea  di
principio, creano comunque una situazione d'incompatibilita') con  le
attivita' in ambito  universitario  consentite  dall'art.  13,  sesto
comma, del d.P.R. n. 382 del 1980,  sicche'  ben  si  spiega  che  il
legislatore abbia inteso favorire il passaggio  dal  regime  a  tempo
pieno a quello a tempo definito. Lo stesso  non  puo'  dirsi  per  il
percorso inverso, perche' il tempo pieno  postula  l'obbligo  per  il
docente di dedicarsi in  via  principale  ed  assorbente  ai  compiti
istituzionali dell'Universita' di appartenenza,  con  la  conseguenza
che tale regime appare incompatibile con  le  cariche  e  gli  uffici
previsti dall'art. 13 del d.P.R. n. 382 del 1980 in modo  molto  piu'
marcato del regime a tempo definito. 
    Ben si spiega, dunque, che il legislatore non abbia  ritenuto  di
prevedere,  in  costanza   della   posizione   di   aspettativa,   la
possibilita' di passare da  quest'ultimo  regime  a  quello  a  tempo
pieno. 
    Ne' vale addurre che la norma renderebbe  irreversibile,  durante
il  periodo  di  aspettativa,  una  scelta  d'impegno   universitario
compiuta in precedenza, in un momento  in  cui  non  potevano  essere
valutate  compiutamente  le  conseguenze  di  tale  scelta.  Si  deve
replicare che,  quando  il  ricorrente  nel  giudizio  principale  fu
collocato in aspettativa (ottobre 2000, come emerge dall'ordinanza di
rimessione), il quadro normativo rilevante era gia' definito, sicche'
il  docente  ben  poteva  compiere  ogni  valutazione  riguardo  alle
conseguenze derivanti dall'accettazione dell'incarico. 
    Sulla base delle considerazioni che  precedono  la  questione  di
legittimita' costituzionale, sollevata dall'ordinanza di  rimessione,
deve essere dichiarata non fondata.