LA CORTE DI APPELLO 
 
    Ha pronunziato, all'esito dell'udienza  del  6  maggio  2010,  la
seguente  ordinanza  nel  proc.  n.  9/2010  Registro   Estradizioni,
relativo alla richiesta di consegna di N.M., nato  a B  (Romania)  il
...., a carico del quale e' stato emesso mandato di  arresto  Europeo
dal Tribunale di V. (Romania) in data 25 settembre 2008; 
    Sentita la relazione del Consigliere dott. Daniele Cappuccio; 
    Sentiti il Procuratore Generale e la difesa del Nica; 
    Letti gli atti,  ivi  compresi  quelli  depositati  dalla  difesa
all'udienza; 
 
                               Osserva 
 
    Il Procuratore Generale  ha  chiesto  disporsi  la  consegna  del
cittadino romeno N. M. - arrestato in Italia il  5  aprile  2010,  in
quanto destinatario di un mandato di arresto Europeo alla  competente
autorita' dello Stato di  Romania  -  all'autorita'  dello  Stato  di
Romania,  richiedente,   ex legge   n.   69   del   2005,   ai   fini
dell'esecuzione di una pena privativa della liberta' personale. 
    Risulta dagli atti che il ricorrente e' destinatario del  mandato
di arresto Europeo in data 25 settembre 2008 n. 9 del Tribunale di V.
(Romania), per il reato di tentato omicidio, perche'  il  12  ottobre
2003, essendo venuto a rubare noci dalla zona  del  comune  distretto
V., ha avuto una discussione contraddittoria con la vittima B., di 60
anni, al quale ha dato con  una  mazza  piu'  colpi  con  una  grande
intensita' nella zona della testa, cosi' mettendo in pericolo la vita
del B. 
    Per tale fatto, punito ai sensi degli artt. 20, 73 lettera B, 76,
comma 2, 99 e 174  del  codice  penale  romeno,  il N.  ha  riportato
condanna definitiva, ad anni 1 e mesi 6  di  reclusione,  emessa  l'1
ottobre 2004 dalla Corte di appello di G. in parziale  riforma  della
sentenza  emessa  dal  Tribunale  di  V.  l'8 luglio  2004,  divenuta
irrevocabile in forza di sentenza dell'Alta  Corte  di  Cassazione  e
Giustizia - Sezione penale - del 17 febbraio 2005. 
    E' stata versata in atti documentazione (certificato  storico  di
residenza e stato di famiglia), che dimostra che il N.  ha  effettiva
residenza in Italia ed ha ivi istituito la sede principale anche  dei
suoi interessi affettivi: egli,  in  effetti,  e'  residente  dal  17
settembre  2009  in  V.  (Ragusa),  ove  vive  anche  il  suo  nucleo
familiare, composto in  totale  da  cinque  persone;  a  V.  risulta,
peraltro, essere nato, il ..., il figlio del N ancora, il N, in  sede
di udienza di convalida, ha chiesto di essere ammesso a  scontare  la
pena residua, complessivamente pari ad un anno e  venticinque  giorni
di detenzione, in Italia, in modo da  poter  stare  vicino  alla  sua
famiglia. 
    Cio' posto, va detto che, stando a costante giurisprudenza  della
Corte di Cassazione (Cass. Pen. Sez. 6ª n. 21669/2007, Kabrine),  non
puo' nella specie applicarsi il disposto della legge n. 69 del  2005,
art. 18, comma 1, lett. r), il cui particolare regime si  applica  al
solo cittadino italiano e non puo' estendersi in  via  interpretativa
allo straniero residente in territorio italiano. 
    In altra decisione  di  legittimita'  (Cass.  Pen.  sez.  6ª,  n.
1421/2009 Markovic), si conferma  testualmente,  a  proposito  di  un
cittadino straniero condannato con sentenza definitiva, che «non puo'
trovare accoglimento la sua richiesta di scontare la pena in  Italia,
posto che, ai sensi della citata norma dell'art. 18, comma  1,  lett.
r), tale  possibilita'  e'  stata  prevista  per  il  solo  cittadino
italiano e non per lo straniero, quand'anche residente nel territorio
dello Stato». 
    Il cit. art. 18, comma 1, lett. r), riprende in forma di  rifiuto
della consegna la disposizione contenuta nell'art. 4,  par.  6  della
decisione quadro 2002/584/GAI del  Consiglio,  del  13  giugno  2002,
relativa al mandato d'arresto Europeo, che consente di  non  eseguire
la consegna «se il mandato d'arresto Europeo e' stato  rilasciato  ai
fini dell'esecuzione di  una  pena  o  di  una  misura  di  sicurezza
privative della liberta', qualora la persona ricercata  dimori  nello
Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o vi  risieda,  se  tale
Stato si impegni a  eseguire  esso  stesso  tale  pena  o  misura  di
sicurezza conformemente al suo diritto interno». 
    Secondo  la  giurisprudenza  della  Corte   di   Cassazione,   il
particolare regime stabilito dalla legge n. 69  del  2005,  art.  18,
comma 1, lett. r), in tema di mandato esecutivo, si applica  al  solo
cittadino italiano (Cass. pen. Sez. 6, n. 21669 del 31 maggio 2007  -
1º giugno 2007, Kabrine) e non puo' estendersi in via  interpretativa
allo straniero che risieda sul  territorio  italiano,  in  quanto  la
decisione-quadro 2002/584/GAI si  limita  a  facoltizzare  gli  Stati
membri dell'Unione Europea ad estendere le guarentigie, eventualmente
riconosciute ai propri cittadini, anche agli stranieri residenti  sul
loro territorio (Cass. pen. Sez. F, n. 34210, del 4 settembre 2007  -
7 settembre 2007, Dobos, Rv. 237055; Sez. 6, n. 16213, del 16  aprile
2008 - 17 aprile 2008, Badilas, Rv. 239720, in via mass.; Sez. 6,  n.
25879, del 25 giugno 2008 - 26 giugno 2008, Vizitiu, RV. 239946). 
    Cio' posto, ritiene la Corte di appello che il presente giudizio,
che attiene alla consegna o meno del cittadino romeno  N.  M.  ,  nel
quadro dell'istituto del mandato di arresto Europeo, non puo'  essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale - gia' deferita al  giudice  delle  leggi
dalla stessa Corte di  legittimita'  con  ordinanza  n.  33511  della
Sezione Sesta del 15 luglio/27  agosto  2009  (imp.  Papierz)  -  che
risulta pertanto rilevante ai fini della decisione,  considerato  che
le disarmonie di trattamento tra cittadini italiani e residenti,  nei
contesti prospettati e come si argomentera' piu' oltre, sono idonee a
concretizzare l'ulteriore requisito della non manifesta  infondatezza
della questione, a sensi della legge 11 marzo 1953, n. 87,  art.  23,
comma 2. 
    La questione e' di risolutiva rilevanza nella vicenda,  dato  che
il ha fornito la prova necessaria,  e  nei  termini  richiesti  dalla
giurisprudenza  della  Corte  di   Cassazione,   del   suo   concreto
radicamento sul territorio e della sua abitudine alla dimora,  ed  il
relativo giudizio (di consegna oppure di  rifiuto  di  consegna)  non
puo' quindi essere definito in modo  indipendente  dalla  risoluzione
della questione di legittimita' costituzionale della norma  dell'art.
18, comma 1, lett. r), che dovrebbe essere applicata. 
    La nozione di «residente», infatti va determinata in modo che sia
funzionale all'assimilazione dello straniero residente al  cittadino,
operata dall'art. 4, n. 6 della decisione-quadro  2002/584/GAI-quadro
2002/584/GAI, con la  conseguenza  che  assume  rilievo  l'esistenza,
nella  specie  non  contestata,  di  un  «radicamento  reale  e   non
estemporaneo» dello straniero in Italia, che dimostri che egli  abbia
ivi istituito, con continuita'  temporale  e  sufficiente  stabilita'
territoriale, la sede principale e  non  occasionale,  anche  se  non
esclusiva, dei propri interessi affettivi, professionali od economici
(Cass. pen. cfr.: Sez. 6, n. 12665, del 19  marzo  2008  -  21  marzo
2008, Vaicekauskaite, Rv. 239156),  richiedendosi  inoltre  che  tale
scelta sia altresi' indicativa di una volonta' di stabile  permanenza
nel territorio italiano, per un apprezzabile periodo di tempo  (Cass.
pen. Sez. 6, n. 17643, del 28 aprile 2008-30 aprile  2008,  Chaloppe,
Rv. 239651). 
    II  ricorrente  quindi,  in  quanto  «cittadino  dello  Stato  di
emissione», che ha pero' individuato nel territorio  dello  Stato  di
esecuzione la sede principale dei suoi interessi,  avrebbe  titolo  a
vedere accolta la sua domanda, laddove fosse rimosso il vizio dedotto
di illegittimita' costituzionale della  norma  ostativa,  individuata
nel citato art. 18, comma 1, lett. r), nella parte in cui non prevede
il rifiuto della consegna del «residente non cittadino italiano». 
    Sull'applicabilita' al solo cittadino  italiano  del  particolare
regime previsto dalla legge n. 69 del 2005, art. 18, comma  1,  lett.
r), (Cass. pen. Sez. 6, n. 21669 del 31 maggio 2007 - 1° giugno 2007,
Kabrine) e sulla impossibilita' di estenderlo, in via interpretativa,
allo straniero che dimori o risieda sul territorio italiano, la Corte
di legittimita' si' e'  in  origine  pronunciata  nel  senso  che  la
decisione-quadro 2002/584/GAI da una mera facolta' agli Stati  membri
dell'Unione  Europea  di  estendere  le   guarentigie   eventualmente
riconosciute ai propri cittadini anche agli stranieri  residenti  sul
loro territorio (Cass. pen. Sez. F, n. 34210, del 4 settembre  2007-7
settembre 2007, Dobos, Rv. 237055; Sez. 6, n. 16213,  del  16  aprile
2008-17 aprile 2008, Badilas, Rv. 239720; Sez. 6, n.  25879,  del  25
giugno 2008-26 giugno 2008, Vizitiu, RV. 239946). 
      
    Tale indirizzo e' stato ancora ribadito con la  precisazione  che
la limitazione del rifiuto, in favore del  solo  cittadino  italiano,
non si porrebbe in contrasto con i principi  della  Decisione  quadro
2002/584/GAI, posto che  quest'ultima  enuncia  «ipotesi  di  rifiuto
facoltative» la cui  trasposizione,  in  una  specifica  disposizione
interna, e' affidata  all'autodeterminazione  decisoria  dei  singoli
legislatori nazionali. 
    Si tratterebbe, dunque,  di  una  scelta  di  politica  criminale
rispondente ad esigenze dell'ordinamento nazionale  ed  a  canoni  di
valutazione discrezionale, che sarebbero immuni da possibili  censure
di  irragionevolezza,  e  sulla  quale  nessuna  incidenza   potrebbe
esercitare la sentenza della Corte di  Giustizia  CE  del  17  luglio
2008, C- 66/08, Kozlowsky, che  si  e'  invece  limitata  ad  offrire
l'interpretazione uniforme della nozione di residenza richiamata  nel
su citato art. 4, punto 6, senza esprimersi  in  via  generale  sulla
correttezza  o  meno  delle  normative  nazionali   attuative   della
Decisione quadro in tema di rifiuto della consegna (Cass.  Pen.  Sez.
F, n. 35286, del 2/9/2008 -15/09/2008, Zvenca). 
    Tale interpretazione e' stata pero' disattesa dalla stessa  Corte
di Cassazione nelle ordinanze, la prima delle quali  e'  stata  sopra
menzionata,  con  cui  ha  deferito  alla  Corte  costituzionale   lo
scrutinio di legittimita' costituzionale  della  norma  in  discorso,
ordinanze  il  cui  contenuto  motivazionale  la  Corte  di   Appello
condivide e fa  proprio  (tanto  da  utilizzarlo  in  funzione  della
proposizione  della   questione   di   legittimita'   costituzionale,
adempimento che, benche' la questione sia gia'  pendente,  si  impone
stante  l'autonomia  del   presente   giudizio   e   la   contingente
sottoposizione del  N.  a  misura  cautelare  coercitiva),  dovendosi
verificare la possibilita' di seguire una interpretazione diversa  da
quella  accolta  in  prima  battuta,  esplorando  la  sussistenza  di
eventuali letture conformi a Costituzione,  prima  di  sollevare  una
questione di legittimita' costituzionale. 
    Nella specie  peraltro,  l'univocita'  testuale  che  connota  il
tenore  della  norma  dell'art.  18,  comma  1,  lett.   r)   (m.a.e.
esecutivo),  nonche'  la  valutazione  comparativa  con  il  disposto
dell'art. 19, comma 1, lett. c) (m.a.e. processuale) non  autorizzano
soluzioni  interpretative  diverse  da  quelle  fatte  proprie  dalla
decisione impugnata. 
    Va infatti preso atto che il  legislatore  ha  fatto  una  scelta
normativa, la quale, per la sua precisa connotazione anche lessicale,
impedisce  una  qualsiasi  forma  di   superamento   od   aggiramento
ermeneutico  in  termini  di   applicazione   analogica:   la   norma
esclusivamente  applicabile  risulta  essere   pacificamente   quella
indicata nella sentenza impugnata e cioe' la L. n. 69 del 2005,  art.
18, comma 1, lett. r). 
    Neppure puo' ritenersi che il riferimento alla  decisione  quadro
consenta una dilatazione interpretativa in bonam partem, che  estenda
allo  straniero  «residente  dello  Stato»  e  destinatario  di   una
«richiesta di consegna  esecutiva»  il  piu'  favorevole  trattamento
riservato al cittadino, a cio' ostando il chiaro disposto  limitativo
dell'art. 18, comma 1, lett. r. E' vero infatti, come piu'  volte  ha
chiarito la Corte di giustizia delle Comunita' Europee, che i giudici
nazionali, in linea con il «principio di  interpretazione  conforme»,
sono tenuti a interpretare il proprio diritto interno  -  per  quanto
possibile - alla luce della lettera e  dello  scopo  della  decisione
quadro, al fine di conseguire il risultato perseguito da  questa,  ma
e' anche vero che tale obbligo cessa allorche' il diritto  interno  -
come nella specie - non consenta un'interpretazione  compatibile  con
la decisione quadro, non  potendo  il  principio  di  interpretazione
conforme servire da  fondamento  a  un'interpretazione  contra  legem
(cfr. Corte di giustizia delle Comunita' Europee, sentenza 16  giugno
2005, Pupino). 
    L'art. 18, comma 1,  lett.  r),  nel  limitare  al  cittadino  la
previsione del rifiuto della consegna, si pone in  contrasto  con  la
normativa comunitaria cui la  L.  n.  69  del  2005  ha  inteso  dare
attuazione. 
    In effetti l'art. 4, n. 6  della  decisione-quadro  2002/584/GAI,
con la previsione che l'autorita'  giudiziaria  dell'esecuzione  puo'
rifiutare la consegna per un m.a.e.  esecutivo  «qualora  la  persona
ricercata dimori nello Stato membro di esecuzione, ne sia cittadino o
vi risieda», regola un caso di rifiuto rimesso, a quanto  pare,  alla
discrezionalita' del legislatore nazionale, ma non consente a  questo
di differenziare la posizione del cittadino da quella del  «residente
non  cittadino»,  dato  che  l'esecuzione  della  pena  nello   Stato
richiesto della consegna,  anziche'  in  quello  della  condanna,  e'
prevista non per il riconoscimento di un  privilegio  in  favore  del
cittadino,  solo  eventualmente  estensibile  al  residente,  ma  per
consentire alla pena di svolgere nel migliore dei modi la funzione di
risocializzazione del condannato, rendendo possibile il  mantenimento
dei  suoi  legami  familiari  e  sociali  per  favorire  un  corretto
reinserimento al termine dell'esecuzione;  funzione  questa  che  non
tollera distinzioni tra cittadino e residente. 
    Le medesime ragioni sorreggono la disposizione dell'art. 5, n.  3
della decisione-quadro, in tema di  m.a.e.  processuale,  secondo  la
quale «se la persona oggetto del mandato d'arresto Europeo ai fini di
un'azione penale e' cittadino  o  residente  dello  Stato  membro  di
esecuzione, la consegna puo' essere subordinata alla  condizione  che
la persona, dopo essere stata ascoltata,  sia  rinviata  nello  Stato
membro di esecuzione per scontarvi la pena». 
    Anche in questo caso la posizione del cittadino e'  parificata  a
quella del  residente  e  non  potrebbe  ritenersi  giustificata  una
differenziazione della legislazione nazionale tra le  due  posizioni.
Ancor meno giustificata  quindi  risulta  una  differenziazione  come
quella operata  dalla legge  n.  69  del  2005,  che  per  il  m.a.e.
esecutivo, nell'art. 18, comma 1, lett. r), tratta  il  residente  in
modo  diverso  dal  cittadino,  mentre  per  il  m.a.e.  processuale,
nell'art. 19, comma 1, lett. c), lo parifica. 
    Insomma, nella prospettiva della decisione quadro, una disparita'
di  trattamento  tra  cittadini   e   residenti   non   puo'   essere
giustificata, avuto riguardo al «principio di individualizzazione del
regime  di  (futura)  esecuzione»,  il  quale  non  puo'  che  essere
«indistintamente»  preordinato  e  finalizzato   ad   accrescere   le
opportunita' di inserimento del condannato nel  tessuto  relazionale,
sociale, affettivo, ma anche economico ed abitativo, piu'  funzionale
allo sviluppo delle potenzialita' socializzanti e  rieducative  della
pena, inflitta (oppure infliggenda)  dallo  Stato  di  emissione,  ma
della cui positiva operativita' vengono a trarre diretto ed immediato
beneficio  sia  lo  Stato  di  esecuzione,  in  quanto  Stato   della
cittadinanza o della residenza del consegnando, sia gli  altri  Stati
dell'Unione Europea. 
    Infatti, come ha rilevato l'Avvocato  generale  della  Corte  CEE
nelle  conclusioni  prodotte  nel  proc.  n.   C-123/08,   Wolzenburg
«l'apertura delle frontiere ha reso  gli  Stati  membri  solidalmente
responsabili nella lotta contro la criminalita'» e percio' «si impone
la trasposizione dell'art. 4, n. 6 della decisione quadro nel diritto
di ciascuno Stato membro, affinche' il mandato di arresto Europeo non
si applichi a discapito del reinserimento della persona condannata e,
quindi, dell'interesse legittimo  di  tutti  gli  Stati  membri  alla
prevenzione della criminalita',  che  il  motivo  di  non  esecuzione
enunciato in tale disposizione mira a garantire». 
    E' da aggiungere che l'obiettivo perseguito dall'art. 4, n.  6  e
art. 5, n. 3 della decisione quadro e'  riconducibile  al  principio,
consacrato nell'art. 27 Cost., comma 3, che le pene  «devono  tendere
alla rieducazione del condannato»  e  che  sotto  questo  aspetto  il
ricorrente    ha    fondatamente     prospettato     l'illegittimita'
costituzionale dell'ari. 18, comma 1, lett. r) anche con  riferimento
a tale disposizione costituzionale. 
    I rilievi finora svolti riguardano la posizione del residente non
cittadino, in genere, sia che  appartenga  a  uno  Stato  dell'Unione
Europea sia che appartenga a uno Stato terzo, ma nel caso  in  esame,
essendo stata richiesta la consegna del cittadino di uno Stato membro
dell'Unione Europea, si pone un'ulteriore e piu' specifica questione,
relativa alla conformita' dell'art. 18, comma 1, lett. r) alle  norme
comunitarie e in particolare  al  principio  di  non  discriminazione
sancito dall'art. 12 CE. 
    Ai sensi dell'art. 17 CE, n. 1, chiunque abbia la cittadinanza di
uno Stato membro e' cittadino dell'Unione e, ai  sensi  dell'art.  18
CE, n. 1, ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e  di
soggiornare liberamente nel  territorio  degli  Stati  membri,  fatte
salve le limitazioni e le condizioni previste dal Trattato CE e dalle
disposizioni adottate in applicazione dello stesso. Percio', ai  fini
della determinazione dello Stato nel quale deve essere  eseguita  una
pena,  risulta  ingiustificata  una  differenziazione  tra  cittadini
dell'Unione  e  appare  condivisibile  l'affermazione   dell'Avvocato
generale della Corte CE che «in conformita' dell'art. 4, n.  6  della
decisione quadro, un cittadino di un altro Stato membro che dimori  o
risieda  nello  Stato  membro  di  esecuzione,  ai  sensi  di  questa
disposizione e' assimilato a un cittadino di tale  Stato,  nel  senso
che deve poter beneficiare di una decisione di non  esecuzione  della
consegna e della possibilita' di scontare la pena nel detto Stato». 
    L'art. 18, comma 1, lett. r), limita pero', come si e' visto,  il
rifiuto della consegna al  caso  in  cui  la  richiesta  riguardi  un
«cittadino italiano»,  imponendola  per  tutti  gli  altri  cittadini
dell'Unione Europea, e anche sotto questo aspetto  puo'  fondatamente
prospettarsi che, contrariamente a quanto dispone l'art.  117  Cost.,
comma  1,  non  siano   stati   rispettati   i   «Vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario». 
    Anche se la disposizione della legge n. 69  del  2005,  art.  18,
comma 1,  lett.  r),  non  dovesse  risultare  in  contrasto  con  la
normativa  comunitaria  resterebbe  comunque  priva  di   ragionevole
giustificazione  la  diversita'  di  trattamento  del  residente  non
cittadino, nel  caso  di  m.a.e.  esecutivo  e  nel  caso  di  m.a.e.
processuale. 
    In questo secondo caso infatti, come  si  e'  visto,  l'art.  19,
comma 1, lett. c) parifica il residente al cittadino, stabilendo  che
la consegna puo' essere subordinata alla «condizione che la  persona,
dopo essere stata ascoltata,  sia  rinviata  nello  Stato  membro  di
esecuzione  per  scontarvi  la  pena»,  e  non  c'e'  alcuna  ragione
plausibile perche' il residente possa scontare la pena nello Stato di
esecuzione quando il m.a.e. e' processuale  e  non  anche  quando  il
m.a.e. e' esecutivo. 
    A ben vedere anzi potrebbe avere una qualche giustificazione  una
disciplina  inversa,  perche',  nel   caso   di   m.a.e.   esecutivo,
l'esecuzione della pena in Italia  impedisce  l'allontanamento  della
persona di cui e' stata richiesta la consegna e  quindi  consente  il
mantenimento, per quanto e' possibile, delle sue relazioni  familiari
e sociali, mentre nel caso di m.a.e. processuale la persona non  puo'
non essere consegnata allo  Stato  di  emissione  e  la  restituzione
all'Italia per scontarvi la pena e' destinata ad avvenire quando tali
rapporti hanno gia' subito un affievolimento. Percio'  e'  in  questo
caso che potrebbe risultare meno dannosa l'esecuzione della  condanna
nello Stato di emissione, nel quale la  persona  oggetto  del  m.a.e.
resterebbe per scontare la pena dopo essere  stata  detenuta  per  il
processo. 
    In  conclusione   appare   non   manifestamente   infondata,   in
riferimento all'art. 3 Cost., art. 27 Cost.,  comma  3,  e  art.  117
Cost.,  comma  1,  la  questione   di   legittimita'   costituzionale
della legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 18, comma 1, lett. r),  nella
parte in cui non prevede il rifiuto della consegna del residente  non
cittadino. Si impone pertanto  la  rimessione  della  questione  alla
Corte costituzionale per  la  sua  decisione  ai  sensi  della  Legge
Costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, art. 1 e legge 11  marzo  1953,
n. 87, art. 23.