Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 11,  comma
5, e 57, comma 1, della legge della Regione Marche 22 dicembre  2009,
n. 31 (Disposizioni per la formazione del  Bilancio  annuale  2010  e
pluriennale  2010/2012  della  Regione  -  Legge  Finanziaria  2010),
promosso dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  ricorso
notificato il 19-23 febbraio 2010, depositato in  cancelleria  il  25
febbraio 2010 ed iscritto al n. 26 del registro ricorsi 2010. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Marche; 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  19  ottobre  2010  il  giudice
relatore Luigi Mazzella; 
    Uditi l'avvocato dello Stato Amedeo Elefante  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Stefano Grassi per la Regione
Marche. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha   promosso,   in
riferimento agli articoli 117, commi primo,  secondo  lettera  l),  e
terzo,  e  120,  primo  comma,  della  Costituzione,   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 11, comma 5, e 57,  comma  1,
della  legge  della  Regione  Marche  22   dicembre   2009,   n.   31
(Disposizioni  per  la  formazione  del  Bilancio  annuale   2010   e
pluriennale 2010/2012 della Regione - Legge Finanziaria 2010). 
    1.1. - Quanto all'art. 11, comma 5, della citata legge regionale,
il ricorrente afferma che la norma censurata dispone che  le  risorse
destinate al finanziamento del trattamento economico  accessorio  del
personale addetto alle segreterie particolari  dei  componenti  della
Giunta   regionale,   dei   componenti   l'Ufficio   di    Presidenza
dell'Assemblea  legislativa  regionale,  del  personale  dei   gruppi
politici, degli assistenti dei consiglieri regionali e degli  autisti
hanno carattere di certezza, stabilita' e continuita' e  confluiscono
tra quelle di cui all'art. 31,  comma  2,  del  contratto  collettivo
nazionale di lavoro del personale del comparto delle Regioni e  delle
Autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005 e il  biennio
economico  2002-2003.  Quest'ultimo  stabilisce  che   l'importo   e'
suscettibile  di  incremento  in  base  a   specifiche   disposizioni
contrattuali, nonche' per effetto  di  ulteriori  applicazioni  della
disciplina di cui all'art. 15 del contratto collettivo del 1º  aprile
1999, limitatamente, pero', agli  effetti  derivanti  dall'incremento
delle risorse aggiuntive. 
    Ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri,  l'art.  11,
comma  5,  della  legge  della  Regione  Marche  n.  31   del   2009,
stabilizzando, in modo generico, le risorse destinate al  trattamento
accessorio del personale da esso  menzionato,  interverrebbe  in  una
materia riservata alla contrattazione collettiva  e  si  porrebbe  in
contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo  III  del  decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165  (Norme  generali  sull'ordinamento
del lavoro alle  dipendenze  delle  amministrazioni  pubbliche),  che
disciplina le procedure  da  seguire  in  sede  di  contrattazione  e
prevede l'obbligo del  rispetto  della  normativa  contrattuale,  con
conseguente violazione dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),
Cost., il quale riserva  allo  Stato  la  competenza  legislativa  in
materia di ordinamento civile. 
    1.2. - Con riferimento alle questioni relative all'art. 57, comma
1, della legge della Regione Marche n. 31  del  2009,  il  ricorrente
premette che tale norma dispone che, ai sensi dell'articolo 5,  comma
1, lettera g), del decreto  legislativo  29  dicembre  2003,  n.  387
(Attuazione  della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato interno dell'elettricita')  e  secondo  quanto  previsto  dal
Piano  energetico  ambientale   regionale   (PEAR),   approvato   con
deliberazione  16  febbraio  2005,  n.  175,  gli  impianti  per   la
produzione di energia elettrica alimentati da biomasse da autorizzare
nel   territorio   regionale    devono    possedere    le    seguenti
caratteristiche: a) capacita' di generazione non  superiore  a  5  MW
termici; b) autosufficienza produttiva mediante utilizzo di  biomasse
locali o reperite in ambito regionale; c) utilizzazione del calore di
processo, in modo da evitarne la dispersione nell'ambiente. 
    Cosi' disponendo il legislatore regionale avrebbe ecceduto  dalla
propria  competenza  legislativa,   invadendo   quella   statale   in
riferimento  ai  principi  fondamentali  in  materia  di  produzione,
trasporto e distribuzione  nazionale  dell'energia,  con  conseguente
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost. 
    Infatti, la disposizione censurata, stabilendo che  gli  impianti
per la produzione di energia  elettrica  alimentati  da  biomasse  da
autorizzare nel territorio regionale debbano, tra l'altro,  possedere
capacita' di generazione non superiore a 5 MW termici, si porrebbe in
contrasto con il citato art. 5, comma 1, lettera g),  del  d.lgs.  n.
387 del 2003 (qualificabile come principio fondamentale),  il  quale,
in ordine alla valorizzazione energetica delle biomasse, si limita  a
prevedere  la  possibilita'  di  individuare  le  condizioni  per  la
promozione  prioritaria  degli  impianti  cogenerativi   di   potenza
elettrica inferiore a 5 MW, mentre la norma regionale  impugnata  non
stabilisce  criteri  di   promozione   prioritaria,   bensi'   limiti
dimensionali cogenti, ponendosi in contrasto anche con i principi  di
cui all'art. 6 della  direttiva  27  settembre  2001,  n.  2001/77/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del  Consiglio  sulla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato interno dell'elettricita'). 
    Inoltre, la norma impugnata contrasterebbe con  il  principio  di
liberta'  dell'attivita'  di  produzione  dell'energia  elettrica   -
sancito all'art. 1 del decreto  legislativo  16  marzo  1999,  n.  79
(Attuazione della direttiva 96/92/CE  recante  norme  comuni  per  il
mercato interno  dell'energia  elettrica)  -  perche'  stabilisce  un
divieto di autorizzazione di  impianti  a  biomassa  (di  generazione
superiore a 5 MW termici, che non abbiano autosufficienza  produttiva
mediante utilizzo di biomasse locali o reperite in ambito regionale e
che non siano cogenerativi) che  non  trova  (ne'  potrebbe  trovare)
riscontro  nella  normativa  di  livello  comunitario  e   nazionale.
Infatti, da un lato, divieti generali per l'utilizzo  di  determinate
fonti rinnovabili sono in contrasto  con  il  predetto  principio  e,
dall'altro, eventuali restrizioni o divieti di utilizzo,  per  essere
compatibili anche con il principio comunitario di libera circolazione
delle  merci,  devono  fondarsi   su   criteri   di   ragionevolezza,
adeguatezza e proporzionalita' in  relazione  a  problemi  di  salute
pubblica   o   ambientali,   da   valutarsi   comunque    nell'ambito
dell'istruttoria per i singoli procedimenti amministrativi. 
    Ad   avviso   del   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri
sussisterebbe, inoltre, lesione dell'art. 117,  primo  comma,  Cost.,
perche' l'art. 57, comma 1, della legge della Regione  Marche  n.  31
del 2009 si porrebbe in contrasto con  l'ordinamento  comunitario  in
tema di liberta' di stabilimento e tutela della concorrenza, violando
gli artt. 43 e 81 del  Trattato  25  marzo  1957  che  istituisce  la
Comunita' europea, i quali vietano, rispettivamente,  le  restrizioni
alla liberta' di stabilimento dei cittadini di uno Stato  membro  nel
territorio di un altro Stato membro e  gli  accordi  consistenti  nel
limitare o  controllare  la  produzione,  gli  sbocchi,  lo  sviluppo
tecnico o gli investimenti. 
    Conseguentemente sussisterebbe contrasto anche  con  l'art.  120,
primo comma, Cost.,  che  fa  espressamente  divieto  al  legislatore
regionale di adottare  provvedimenti  che  ostacolino,  in  qualsiasi
modo, la libera circolazione  delle  persone  e  delle  cose  tra  le
Regioni o che limitino l'esercizio del diritto al lavoro in qualunque
parte del territorio nazionale. 
    2. - La Regione Marche si e' costituita in giudizio e ha  chiesto
che le questioni  di  legittimita'  costituzionale  siano  dichiarate
inammissibili o infondate. 
    2.1. - Ad avviso della Regione, la  questione  relativa  all'art.
11, comma 5, della  legge  della  Regione  n.  31  del  2009  sarebbe
inammissibile perche' il ricorrente  in  realta'  prospetterebbe  due
distinte censure fondate su ricostruzioni dell'assetto costituzionale
delle  competenze  legislative  tra  esse  incompatibili:  la  prima,
secondo  la  quale  si  verterebbe  in  una  materia  riservata  alla
competenza esclusiva dello Stato, con conseguente difetto assoluto di
potesta'  legislativa  in  capo  alle  Regioni;  la  seconda,  basata
sull'asserito contrasto in concreto  tra  la  norma  impugnata  e  la
disciplina statale, presupponente invece  il  riconoscimento  di  uno
spazio  di  operativita'  a  favore  della  legislazione   di   fonte
regionale. 
    Un ulteriore motivo di inammissibilita' e' ravvisato dalla difesa
della  Regione  nella  genericita'  della   deduzione   dell'asserito
contrasto con le disposizioni contenute negli artt. 40 ss. del d.lgs.
n.  165  del  2001  e  nella  mancata  individuazione  del   precetto
costituzionale rispetto al quale  quelle  disposizioni  assumerebbero
natura di parametro interposto,  non  potendo  valere,  al  riguardo,
l'invocazione  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,
poiche' tale precetto esclude in  radice  qualunque  possibilita'  di
intervento  da   parte   delle   Regioni,   indipendentemente   dalla
conformita'  o  meno  delle  norme  regionali  alla   disciplina   di
produzione statale. 
    Nel merito, la questione non sarebbe fondata, perche'  frutto  di
una  lettura  erronea  della  disposizione  impugnata  e  del  quadro
normativo nel quale essa si inserisce. 
    In particolare, ad avviso della Regione  Marche,  il  trattamento
economico accessorio previsto dall'art.  11,  comma  5,  della  legge
della Regione Marche n. 31 del 2009 e' quello gia' disciplinato dalla
legge della Regione Marche 8 agosto 1997, n. 54 (Misure flessibili di
gestione del personale della Regione e degli Enti da essa  dipendenti
e norme sul funzionamento  e  sul  trattamento  economico  accessorio
degli addetti alle segreterie particolari), la quale, in  particolare
all'art.  10,  ha  escluso  il  personale  addetto   alle   strutture
organizzative di diretta collaborazione della Giunta  e  dell'Ufficio
di Presidenza del Consiglio regionale «dalla  fruizione  di  tutti  i
trattamenti   accessori   diversi   dal    trattamento    stipendiale
fondamentale, quali compensi per lavoro straordinario,  compensi  per
la produttivita' e progetti obiettivi o altri  previsti  dai  vigenti
CCNL, per il personale  delle  Regioni  e  delle  autonomie  locali»,
provvedendo  a  «compensare  l'esclusione»  da  tali  competenze  con
«un'indennita' annua lorda» stabilita in misura forfetaria diversa in
relazione alle diverse categorie di personale.  Tale  disciplina,  ai
sensi dell'art. 11 della medesima legge della Regione  Marche  n.  54
del 1997, e' espressamente qualificata come transitoria,  «in  attesa
della  specifica  disciplina   contrattuale   cosi'   come   previsto
dall'articolo 12, comma 1, lettera n), della legge 15 marzo 1997,  n.
59». 
    Quest'ultima disposizione autorizzava il legislatore delegato  ad
attuare, «senza aggravi di spesa e, per il personale disciplinato dai
contratti collettivi  nazionali  di  lavoro  fino  ad  una  specifica
disciplina contrattuale», la  revisione  del  «trattamento  economico
accessorio degli addetti ad  uffici  di  diretta  collaborazione  dei
Ministri, prevedendo, a fronte delle responsabilita' e degli obblighi
di reperibilita' e  disponibilita'  ad  orari  disagevoli,  un  unico
emolumento,   sostitutivo   delle   ore   di   lavoro   straordinario
autorizzabili in via aggiuntiva e dei compensi  di  incentivazione  o
similari». 
    Tale disciplina, per gli uffici  di  diretta  collaborazione  dei
ministeri, e'  attualmente  contenuta  nell'art,  14,  comma  2,  del
decreto  legislativo  30  marzo  2001,   n.   165   (Norme   generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche),  il  quale   stabilisce   che   «con   decreto   adottato
dall'autorita' di governo competente, di concerto con il Ministro del
tesoro,  del  bilancio   e   della   programmazione   economica,   e'
determinato, in attuazione dell'articolo  12,  comma  1,  lettera  n)
della legge 15 marzo 1997, n. 59, senza aggravi di spesa  e,  per  il
personale disciplinato dai contratti collettivi nazionali di  lavoro,
fino  ad  una  specifica  disciplina  contrattuale,  il   trattamento
economico accessorio, da corrispondere mensilmente,  a  fronte  delle
responsabilita', degli obblighi di reperibilita' e di  disponibilita'
ad orari disagevoli, ai dipendenti assegnati agli uffici dei Ministri
e dei Sottosegretari di Stato. Tale trattamento, consiste in un unico
emolumento, e' sostitutivo dei compensi per il lavoro  straordinario,
per la produttivita' collettiva e per la qualita'  della  prestazione
individuale». 
    Pertanto il modello di disciplina del trattamento accessorio  del
personale degli  uffici  di  diretta  collaborazione  assunto  sia  a
livello statale per i ministeri,  sia  dalla  Regione  Marche  per  i
propri  organi  politici  prevedeva,  per  il  personale  di  diretta
collaborazione  dei  vertici   politici   dell'amministrazione,   una
normativa transitoriamente derogatoria rispetto a quella generalmente
fissata dalla contrattazione collettiva per il restante personale, in
attesa di una specifica disciplina contrattuale. 
    Tanto premesso, la difesa regionale afferma che l'art. 11,  comma
5, della legge della  Regione  Marche  n.  31  del  2009,  dopo  aver
stabilito che le risorse finanziarie  stanziate  per  il  trattamento
economico  accessorio  del  personale   degli   uffici   di   diretta
collaborazione   «hanno   carattere   di   certezza,   stabilita'   e
continuita'», dispone che tali risorse «confluiscono  tra  quelle  di
cui all'articolo 31, comma 2, del contratto collettivo  nazionale  di
lavoro del personale del comparto delle  Regioni  e  delle  Autonomie
locali per il quadriennio normativo 2002/2005 e il biennio  economico
2002/2003». 
    A sua volta, l'art. 31 del contratto collettivo  del  22  gennaio
2004 appena citato disciplina le c.d. "risorse decentrate", ossia «le
risorse finanziarie destinate alla incentivazione delle politiche  di
sviluppo delle risorse umane e della produttivita'»,  stabilendo  che
esse «vengono determinate annualmente dagli enti con effetto  dal  31
dicembre 2003 ed a valere  per  l'anno  2004,  secondo  le  modalita'
definite dal presente articolo» (comma  1).  Il  successivo  comma  2
dello stesso art.  31  individua  «le  risorse  aventi  carattere  di
certezza,  stabilita'  e  continuita'  determinate  nell'anno  2003»,
aggiungendo  che  il  relativo  importo  resta  confermato   ed   «e'
suscettibile di incremento ad opera di  specifiche  disposizioni  dei
contratti collettivi nazionali  di  lavoro  nonche'  per  effetto  di
ulteriori applicazioni della disciplina dell'art. 15,  comma  5,  del
CCNL  del  1°  aprile  1999  limitatamente  agli  effetti   derivanti
dall'incremento delle dotazioni organiche». 
    Ad avviso della Regione  Marche,  il  legislatore  regionale  ben
poteva  incrementare  l'importo  delle  c.d.  "risorse   decentrate",
aggiungendovi quelle relative al trattamento economico accessorio del
personale addetto agli uffici di diretta collaborazione gia' previsto
dalla legge della Regione n. 54 del 1997, poiche' l'art. 31, comma 2,
del contratto collettivo del 22 gennaio 2004 e' diretto  solamente  a
costituire un presidio minimo a garanzia dell'importo  delle  risorse
in  questione,  mediante  la  specifica  previsione  delle  fonti  di
finanziamento che necessariamente debbono confluire nel  fondo  delle
"risorse  decentrate"  e,  altresi',  mediante  la  previsione  degli
incrementi   cui   obbligatoriamente   l'ente    interessato    debba
considerarsi assoggettato. Il contratto collettivo, invece, non vieta
in alcun modo  che  l'ente  interessato  provveda  spontaneamente  ad
incrementare l'importo delle "risorse  decentrate"  oltre  la  misura
minima obbligatoria contrattualmente stabilita. 
    La   difesa   regionale   menziona,   quindi,   le   disposizioni
contrattuali che prevedono che le «risorse decentrate siano dirette a
promuovere  miglioramenti  dei  livelli  di  efficienza  dei  servizi
erogati dall'ente pubblico e a premiare la qualita' delle prestazioni
lavorative» (art. 17 del contratto collettivo  del  1°  aprile  1999;
art. 18 dello stesso contratto collettivo, come sostituito  dall'art.
37 del contratto collettivo del 22 gennaio 2004; art. 5 del contratto
collettivo del 31 luglio 2009). 
    In conclusione, a parere della Regione Marche, si deve  escludere
che il legislatore regionale abbia invaso il campo di disciplina  del
rapporto di lavoro riservato  alla  contrattazione  collettiva  e  la
competenza legislativa statale nella materia dell'ordinamento civile,
perche' la norma impugnata, senza alcun maggiore onere per  la  spesa
pubblica, si e'  limitata  a  disporre  che  le  risorse  finanziarie
destinate al trattamento economico  accessorio  del  personale  degli
uffici di diretta  collaborazione  degli  organi  politici  regionali
assumano quei caratteri di certezza, stabilita' e continuita' tali da
consentirne la confluenza tra le c.d. "risorse  decentrate"  previste
nel vigente contratto collettivo nazionale di comparto da distribuire
secondo i criteri di premialita' rispetto alla effettiva  qualita'  e
quantita'  della  prestazione  lavorativa   e   come   strumenti   di
incentivazione della produttivita' e  di  miglioramento  dei  servizi
cosi' come disciplinati dalla contrattazione collettiva. 
    Ne conseguirebbe, da un lato, il pieno  riconoscimento  da  parte
della Regione del ruolo che la legislazione statale  vigente  assegna
alla  contrattazione  collettiva  e,   dall'altro,   un'anticipazione
(ancorche' solo parziale) dell'adeguamento dell'ordinamento regionale
ai nuovi principi fondamentali stabiliti nel decreto  legislativo  27
ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15,  in
materia di ottimizzazione della produttivita' del lavoro  pubblico  e
di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni),  e,  in
particolare, dell'art. 31, comma 2, di tale decreto  legislativo  che
prevede espressamente che «le regioni, anche per  quanto  concerne  i
propri enti e le amministrazioni del Servizio sanitario nazionale,  e
gli enti locali, nell'esercizio delle rispettive potesta'  normative,
prevedono  che  una  quota  prevalente  delle  risorse  destinate  al
trattamento   economico   accessorio   collegato   alla   performance
individuale venga attribuita al personale dipendente e dirigente  che
si colloca nella fascia di merito alta e che le fasce di merito siano
comunque non inferiori a tre». 
    Del resto, un'eventuale pronuncia di accoglimento della questione
determinerebbe un nuovo dispiegamento della vis normativa degli artt.
9, 10 e 11 della legge della Regione Marche n. 54 del 1997, con tutti
gli effetti ad essi connessi  di  perdurante  sottrazione  al  regime
della contrattazione collettiva  e  di  attribuzione  forfetaria  del
trattamento economico accessorio del personale addetto agli uffici di
diretta collaborazione degli organi politici. 
    2.2. - Quanto alla questione relativa all'art. 57, comma 1, della
legge della Regione Marche  n.  31  del  2009,  la  Regione  sostiene
anzitutto che le censure con le quali il Presidente del Consiglio dei
ministri lamenta la  violazione  del  diritto  comunitario  sarebbero
inammissibili. 
    In particolare, quanto all'asserito contrasto della norma «con  i
principi di cui all'art. 6 della direttiva 2001/77/CE», il ricorrente
avrebbe omesso di indicare il parametro costituzionale  necessario  a
configurare la questione di costituzionalita'.  Invece,  quanto  alla
doglianza concernente  la  violazione  dell'art.  117,  primo  comma,
Cost.,  il  ricorrente  ha  individuato,  quali   norme   comunitarie
interposte, gli artt. 43 e 81 del Trattato CE, ormai non piu' vigenti
a  seguito  dell'entrata  in  vigore  del  Trattato  di   Lisbona   e
sostituiti, rispettivamente, dagli artt. 49 e 101  del  Trattato  sul
funzionamento dell'Unione europea. 
    Nel  merito,  la  Regione  Marche  afferma  che  il   presupposto
interpretativo dal quale muove la controparte (e  secondo  cui  dalla
disposizione censurata si ricaverebbe il  divieto  di  autorizzazione
per  gli  impianti  alimentati  a  biomasse  che  non  possiedano  le
caratteristiche  individuate  nella  disposizione  medesima)  sarebbe
erroneo. 
    Infatti, proprio nel  rispetto  della  logica  della  «promozione
prioritaria  degli  impianti  cogenerativi   di   potenza   elettrica
inferiore a 5 MW» di cui all'art. 5, comma 1, lettera g), del  d.lgs.
n. 387 del 2003 e sulla base degli indirizzi contenuti nel  PEAR,  il
legislatore regionale ha fissato una volta per tutte le condizioni  e
le caratteristiche degli impianti alimentati a biomasse  in  presenza
delle  quali  il  rilascio   della   relativa   autorizzazione   deve
considerarsi automatico, eliminando in via generale e  astratta,  per
gli  impianti  dotati  di  determinati  requisiti,  qualunque  potere
discrezionale     dell'autorita'     competente      al      rilascio
dell'autorizzazione e anche il potere  della  medesima  autorita'  di
imporre specifiche prescrizioni per la  realizzazione  e  l'esercizio
del  singolo  impianto.  Rimarrebbe  del  tutto   impregiudicata   la
possibilita'  di   autorizzare   secondo   le   ordinarie   procedure
amministrative gli impianti che non presentino quei requisiti. 
    In questo senso la norma censurata sarebbe coerente con la logica
dell'art. 6 della direttiva n. 2001/77/CE, attuata in Italia  con  il
d.lgs. n. 387 del 2003, ai sensi del quale «gli Stati  membri  o  gli
organismi  competenti  individuati  dagli   Stati   membri   valutano
l'attuale  quadro  legislativo  e   regolamentare   esistente   delle
procedure  di  autorizzazione  o  delle  altre   procedure   di   cui
all'articolo 4 della direttiva 96/92/CE applicabili agli impianti  di
produzione di elettricita'  da  fonti  energetiche  rinnovabili  allo
scopo  di:  -  ridurre  gli  ostacoli  normativi  e  di  altro   tipo
all'aumento della produzione di  elettricita'  da  fonti  energetiche
rinnovabili, - razionalizzare e accelerare le procedure all'opportuno
livello amministrativo, - garantire che  le  norme  siano  oggettive,
trasparenti e non discriminatorie e tengano  pienamente  conto  delle
particolarita'  delle  varie  tecnologie  per  le  fonti  energetiche
rinnovabili». 
    La Regione Marche aggiunge  che  la  prospettata  interpretazione
dell'art. 57, comma 1, della legge regionale n. 31 del  2009  non  e'
smentita dal successivo comma  3  del  medesimo  art.  57,  il  quale
dispone che «gli impianti di  cui  al  comma  1  sono  autorizzabili,
previa valutazione da parte della Regione, anche in deroga  a  quanto
previsto  nel  medesimo  comma  1  se  riguardano   i   progetti   di
riconversione industriale di cui all'articolo 2 del decreto-legge  10
gennaio   2006,   n.   2   (Interventi   urgenti   per   i    settori
dell'agricoltura, dell'agroindustria, della pesca, nonche' in materia
di fiscalita' d'impresa), convertito con modificazioni nella legge 11
marzo 2006, n. 81, e hanno le seguenti caratteristiche: a)  esistenza
del  piano  industriale  che  preveda  una  dimensione  dell'impianto
coerente con le esigenze della riconversione; b) preminente interesse
di carattere generale sul piano occupazionale; c) utilizzo  di  nuove
tecnologie ecosostenibili; d) valorizzazione delle produzioni in  una
organizzazione di filiera corta». 
    Infatti, anche tale disposizione, anziche' esprimere  un  divieto
di autorizzabilita' di tutti gli impianti diversi da quelli  da  essa
contemplati, contiene una norma promozionale e semplificatoria  delle
procedure di autorizzazione per impianti che, pur non presentando  le
caratteristiche  di  cui  all'art.  57,  comma  1,  posseggano  altri
requisiti espressamente predeterminati dalla stessa norma  in  esame,
ma  la  cui  sussistenza  in  concreto  richiede  una  valutazione  a
carattere discrezionale affidata direttamente alla Regione. 
    In conclusione, ad avviso  della  resistente,  essendo  possibile
attribuire all'art. 57, comma 1, legge della Regione Marche n. 31 del
2009 un significato conforme ai parametri costituzionali invocati dal
ricorrente, le  relative  questioni  di  legittimita'  costituzionale
promosse dal Presidente del Consiglio  dei  ministri  debbono  essere
dichiarate non fondate. 
    3. - In  prossimita'  dell'udienza  di  discussione,  la  Regione
Marche  ha  depositato  una  memoria  nella   quale   insiste   nelle
conclusioni rassegnate nell'atto di costituzione, ribadendo anche  le
argomentazioni ivi contenute. 
    La Regione aggiunge, a proposito della questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 57, comma 1, legge della Regione  Marche  n.
31 del 2009, che tale disposizione e'  conforme  agli  obblighi  piu'
recentemente  previsti  dal  legislatore  dell'Unione  europea   che,
all'art.  13,  paragrafo  1,  della  Direttiva  23  aprile  2009,  n.
2009/28/CE (Direttiva del Parlamento europeo e  del  Consiglio  sulla
promozione  dell'uso  dell'energia  da  fonti  rinnovabili,   recante
modifica  e  successiva  abrogazione  delle  direttive  2001/77/CE  e
2003/30/CE), impone agli Stati membri di adottare misure  dirette  ad
assicurare,  tra  l'altro,   la   semplificazione   delle   procedure
amministrative e di autorizzazione  relativamente  agli  impianti  di
produzione di energia da fonti rinnovabili e a quelli  alimentati  da
biomasse. 
    La difesa regionale evidenzia, inoltre, che  la  norma  impugnata
non deroga alla disciplina  statale  dei  procedimenti  autorizzatori
posta dall'art. 12 del  d.lgs.  n.  387  del  2003,  con  conseguente
eterogeneita' della presente fattispecie rispetto a quelle su cui  si
e' espressa la Corte costituzionale e relative a norme regionali  che
invece introducevano quelle deroghe. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. -  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  promosso
questioni di legittimita' costituzionale degli articoli 11, comma  5,
e 57, comma 1, della legge della Regione Marche 22 dicembre 2009,  n.
31 (Disposizioni per  la  formazione  del  Bilancio  annuale  2010  e
pluriennale 2010/2012 della Regione - Legge Finanziaria 2010). 
    2. - Quanto alla questione relativa all'art. 11, comma  5,  della
citata legge regionale, occorre delineare il quadro  normativo  e  di
contrattazione collettiva nel  quale  si  inserisce  la  disposizione
impugnata. 
    Il trattamento economico dei dipendenti pubblici il cui  rapporto
di impiego e' contrattualizzato e' definito dai contratti  collettivi
(art. 45, comma 1, del decreto legislativo  30  marzo  2001,  n.  165
recante «Norme generali sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze
delle  amministrazioni  pubbliche»).  Tuttavia  la  stessa  normativa
statale dispone  che  per  determinate  categorie  di  personale  (e,
precisamente, per i «dipendenti assegnati agli uffici dei Ministri  e
dei  Sottosegretari  di  Stato»),  il   trattamento   accessorio   e'
costituito, «fino ad una specifica disciplina  contrattuale»,  da  un
unico emolumento determinato «con decreto adottato dall'autorita'  di
governo competente», il quale «e' sostitutivo  dei  compensi  per  il
lavoro straordinario,  per  la  produttivita'  collettiva  e  per  la
qualita' della prestazione individuale» (art. 14, comma 2, del d.lgs.
n. 165 del 2001). 
    In senso analogo alla  normativa  statale  dispone  quella  della
Regione Marche. Infatti, secondo l'art. 10 della legge della  Regione
Marche 8 agosto 1997,  n.  54  (Misure  flessibili  di  gestione  del
personale della Regione e degli Enti da essa dipendenti e  norme  sul
funzionamento e sul trattamento economico  accessorio  degli  addetti
alle segreterie particolari), i dipendenti assegnati alle  segreterie
particolari dei componenti della Giunta regionale e  dell'Ufficio  di
Presidenza del Consiglio regionale e gli autisti sono  esclusi  dalla
fruizione di tutti i trattamenti accessori  diversi  dal  trattamento
stipendiale fondamentale, quali compensi  per  lavoro  straordinario,
compensi per la produttivita' e progetti obiettivi o  altri  previsti
dal contratto collettivo per  il  personale  delle  Regioni  e  delle
autonomie locali (commi 1 e 7); per compensare  tale  esclusione,  al
personale in  questione  e'  corrisposta  un'indennita'  annua  lorda
erogata in 12 rate mensili e fissata dalla stessa legge  (commi  2  e
8). 
    L'art. 11 della  legge  della  Regione  Marche  n.  54  del  1997
stabilisce - al pari della normativa statale - che il trattamento  in
questione ha natura transitoria, in  attesa  che  venga  adottata  la
specifica disciplina contrattuale. 
    Passando all'esame dei contatti collettivi del  comparto  Regioni
ed autonomie locali (che sono quelli che qui interessano), essi hanno
costantemente disciplinato il trattamento accessorio. 
    Con l'art.  31  del  contratto  collettivo  nazionale  di  lavoro
sottoscritto il 22 gennaio 2004 (relativo al quadriennio  2002-2005),
e' stato, poi, stabilito che  le  risorse  che  in  precedenza  erano
destinate  al  finanziamento  della  gran  parte   delle   voci   del
trattamento accessorio che avessero carattere di certezza, stabilita'
e continuita', sarebbero confluite in un unico importo (comma 2).  La
stessa  clausola  contrattuale  individuava  le  risorse  dirette   a
costituire tale unico importo e prevedeva come  esso  avrebbe  potuto
essere incrementato negli anni successivi (art. 31, comma  2,  ultimo
periodo, e comma 3; art. 32). 
    Intervenendo in un simile quadro normativo  e  di  contrattazione
collettiva, l'art. 11, comma 5, della legge della Regione  Marche  n.
31 del 2009 dispone che le risorse  destinate  al  finanziamento  del
trattamento accessorio delle categorie di personale regionale di  cui
all'art. 10 della legge della Regione Marche n.  54  del  1997  hanno
carattere di certezza, stabilita' e continuita'  e  confluiscono  nel
citato importo unico previsto dall'art. 31, comma  2,  del  contratto
collettivo del 22 gennaio 2004. 
    Ad avviso del Presidente del Consiglio dei  ministri,  la  norma,
stabilizzando, in modo generico, le risorse destinate al  trattamento
accessorio del personale da esso  menzionato,  interverrebbe  in  una
materia riservata alla contrattazione collettiva  e  si  porrebbe  in
contrasto con le disposizioni contenute nel Titolo III del d.lgs.  n.
165 del 2001, che disciplina le  procedure  da  seguire  in  sede  di
contrattazione e  prevede  l'obbligo  del  rispetto  della  normativa
contrattuale,  con  conseguente  violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera l), Cost., il quale riserva allo Stato  la  competenza
legislativa in materia di ordinamento civile. 
    3. - L'art. 57, comma 1, della legge della Regione. Marche n.  31
del 2009 dispone che «ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera  g),
del d.lgs. 29 dicembre  2003,  n.  387  (Attuazione  della  direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia  elettrica  prodotta
da   fonti    energetiche    rinnovabili    nel    mercato    interno
dell'elettricita') e secondo quanto  previsto  dal  Piano  energetico
ambientale regionale (PEAR), approvato  con  Delib.G.R.  16  febbraio
2005, n. 175, gli impianti per la  produzione  di  energia  elettrica
alimentati da biomasse da autorizzare nel territorio regionale devono
possedere le seguenti caratteristiche: a)  capacita'  di  generazione
non superiore a 5 MW termici; b) autosufficienza produttiva  mediante
utilizzo di biomasse  locali  o  reperite  in  ambito  regionale;  c)
utilizzazione  del  calore  di  processo,  in  modo  da  evitarne  la
dispersione nell'ambiente». 
    In sostanza, la disposizione fissa i requisiti che debbono essere
posseduti dagli impianti  per  la  produzione  di  energia  elettrica
alimentati da  biomasse  affinche'  possano  essere  autorizzati  nel
territorio della Regione Marche. 
    Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  censura  la  norma
affermando   che   essa   viola   vari   parametri    costituzionali.
Precisamente: l'art. 117, terzo comma, Cost. (perche' si verte  nella
materia di  competenza  concorrente  della  produzione,  trasporto  e
distribuzione nazionale dell'energia e la norma  regionale  contrasta
con i principi fondamentali posti dalla legislazione statale); l'art.
117, primo comma, Cost. (per contrasto con gli  artt.  43  e  81  del
Trattato 5 marzo 1957 che istituisce la Comunita'  europea,  i  quali
vietano,   rispettivamente,   le   restrizioni   alla   liberta'   di
stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio  di  un
altro  Stato  membro  e  gli  accordi  consistenti  nel  limitare   o
controllare la produzione, gli sbocchi, lo  sviluppo  tecnico  o  gli
investimenti);  l'art.  120,  primo  comma,  Cost.  (che   vieta   al
legislatore regionale di adottare provvedimenti  che  ostacolino,  in
qualsiasi modo, la libera circolazione delle persone e delle cose tra
le Regioni o che  limitino  l'esercizio  del  diritto  al  lavoro  in
qualunque parte del territorio nazionale). 
    4. - La Regione Marche ha sollevato eccezioni di inammissibilita'
rispetto ad entrambe le questioni di legittimita' costituzionale. 
    4.1. - Con riferimento a quella relativa all'art.  11,  comma  5,
della legge della Regione Marche n. 31 del 2009, la difesa  regionale
sostiene che la questione  sia  inammissibile  perche'  formulata  in
termini contraddittori e generici. 
    In particolare, la Regione afferma che il ricorrente  in  realta'
prospetterebbe  due  distinte  censure   fondate   su   ricostruzioni
dell'assetto costituzionale delle  competenze  legislative  tra  esse
incompatibili: la prima,  secondo  la  quale  si  verterebbe  in  una
materia  riservata  alla  competenza  esclusiva  dello   Stato,   con
conseguente difetto assoluto di potesta'  legislativa  in  capo  alle
Regioni; la seconda, basata sull'asserito contrasto in  concreto  tra
la norma impugnata e la disciplina statale, che presuppone invece  il
riconoscimento  di  uno  spazio  di  operativita'  a   favore   della
legislazione di fonte regionale. 
    Un ulteriore motivo di inammissibilita' e' ravvisato dalla difesa
regionale nella genericita' della deduzione  dell'asserito  contrasto
con le disposizioni contenute negli artt. 40 ss. del  d.lgs.  n.  165
del 2001 e nella mancata individuazione del  precetto  costituzionale
rispetto  al  quale  quelle  disposizioni  assumerebbero  natura   di
parametro interposto, non potendo valere, al riguardo,  l'invocazione
dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.,  poiche'  tale
precetto esclude in radice qualunque possibilita'  di  intervento  da
parte delle Regioni, indipendentemente dalla conformita' o meno delle
norme regionali alla disciplina di produzione statale. 
    4.1.1. - L'eccezione non e' fondata. 
    La censura non e' contraddittoria ne' generica. 
    Infatti dal ricorso emerge con chiarezza che  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri imputi alla Regione di aver  invaso  un  campo
(quello dell'ordinamento civile)  riservato  in  via  esclusiva  allo
Stato. Il richiamo alle disposizioni del d.lgs. n. 165  del  2001  e'
operato non tanto  per  denunciare  un  autonomo  vizio  della  norma
impugnata, consistente nel contrasto tra quest'ultima e la  normativa
statale, quanto piuttosto per confermare come anche  da  quest'ultima
si ricavi, in  modo  incontrovertibile,  che  si  tratta  di  aspetti
oggetto di contrattazione collettiva  e,  dunque,  appartenenti  alla
materia dell'ordinamento civile. 
    4.2. - Rispetto alla  questione  di  legittimita'  costituzionale
avente ad oggetto l'art. 57,  comma  1,  della  legge  della  Regione
Marche n. 31 del 2009, la Regione ha eccepito preliminarmente che, in
merito all'asserito contrasto della  norma  con  i  principi  di  cui
all'art.  6  della  direttiva  27  settembre  2001,   n.   2001/77/CE
(Direttiva del Parlamento europeo e del  Consiglio  sulla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato interno dell'elettricita'), il ricorrente avrebbe  omesso  di
indicare il parametro  costituzionale  necessario  a  configurare  la
questione di costituzionalita'. 
    4.2.1. - L'eccezione non e' fondata. 
    Lo Stato ha menzionato i principi espressi dalla  predetta  norma
comunitaria, non quale autonomo parametro interposto di  un  precetto
costituzionale non identificato, ma  semplicemente  per  sottolineare
che le previsioni della norma statale interposta - l'art. 5, comma 1,
lettera  g),  del  decreto  legislativo  29  dicembre  2003,  n.  387
(Attuazione  della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato interno dell'elettricita') - sono conformi ai principi  della
legislazione comunitaria. 
    5. - Nel merito, la questione  relativa  all'art.  11,  comma  5,
della legge della Regione Marche n. 31 del 2009 e' fondata. 
    Tale norma stabilisce che le risorse destinate  al  finanziamento
del trattamento accessorio dei  dipendenti  addetti  alle  segreterie
particolari dei componenti della Giunta regionale e  dell'Ufficio  di
Presidenza del Consiglio regionale e degli  autisti  -  categorie  di
personale  sottratte  all'operativita'  delle  voci  di   trattamento
accessorio definite dalla contrattazione  collettiva  -  confluiscono
nelle risorse previste dalla contrattazione medesima  per  finanziare
quelle voci. La disposizione,  quindi,  sopprime  sostanzialmente  lo
speciale regime del trattamento economico accessorio,  in  precedenza
previsto per gli impiegati addetti alle segreterie particolari e  per
gli autisti, con la conseguenza che  anche  ad  essi  si  applica  il
trattamento accessorio  disciplinato  dal  contratto  collettivo  che
viene  ad  essere  esteso,  in  questa  maniera,  a  lavoratori   che
originariamente non ne erano destinatari. 
    Questa Corte ha gia' dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
di norme regionali che  determinavano  il  trattamento  economico  di
alcune categorie di dipendenti pubblici (sentenza n. 189  del  2007),
affermando che in tal modo esse  si  ponevano  in  contrasto  con  il
generale principio, secondo il quale  il  trattamento  economico  dei
dipendenti  pubblici,  il   cui   rapporto   di   lavoro   e'   stato
"privatizzato",  deve  essere   disciplinato   dalla   contrattazione
collettiva. Principio fondato  sull'esigenza,  connessa  al  precetto
costituzionale  di  eguaglianza,  di  garantire   l'uniformita'   nel
territorio  nazionale  delle  regole  fondamentali  di  diritto   che
disciplinano i rapporti fra privati. 
    In  conclusione,  la  norma  oggetto  della  presente  questione,
attribuendo a determinati dipendenti regionali un  certo  trattamento
accessorio in  luogo  di  quello  precedentemente  goduto,  tocca  un
aspetto essenziale del regime giuridico del rapporto contrattuale  di
lavoro subordinato che lega i dipendenti pubblici  al  loro  ente  di
appartenenza (nella fattispecie, alla  Regione).  Essa  interviene  a
disciplinare i reciproci diritti ed obblighi delle  parti  di  natura
economica,  che   sono   sicuramente   riconducibili   alla   materia
dell'ordinamento civile, di esclusiva competenza statale. 
    Va, dunque, dichiarata l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
11, comma 5, della legge della Regione Marche  n.  31  del  2009  per
violazione  dell'art.  117,  secondo   comma,   lettera   l),   della
Costituzione. 
    6. - Anche la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
57, comma 1, della legge della Regione  Marche  n.  31  del  2009  e'
fondata. 
    La  norma  impugnata  disciplina  una  particolare  tipologia  di
impianti di produzione di energia. Si verte, pertanto, in materia  di
produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, oggetto
di competenza legislativa concorrente. 
    Orbene, la previsione di limiti  generali  alla  possibilita'  di
realizzare impianti di produzione di energia alimentati  da  biomasse
e' riconducibile, non gia' alla disciplina  di  dettaglio,  bensi'  a
quella  attinente  ai  principi  fondamentali  della  materia.  Essa,
pertanto, e' preclusa alle Regioni. 
    Nella fattispecie, poi, la  norma  regionale  si  pone  in  netto
contrasto con la disciplina statale. Invero, il  d.lgs.  n.  387  del
2003 (testo normativo che esprime principi fondamentali in materia di
produzione, trasporto e distribuzione dell'energia: sentenze n.  194,
n. 168, n. 124 e n. 119 del 2010; n. 282 del 2009 e n. 364 del 2006),
all'art.  5,  prevede  l'istituzione  di  una  commissione   per   la
predisposizione di una relazione contenente le indicazioni necessarie
per la valorizzazione energetica delle biomasse,  dei  gas  residuati
dai processi di depurazione e del biogas. In particolare, il comma 1,
lettera g), della norma richiede alla  commissione  di  indicare  «le
condizioni per la promozione prioritaria degli impianti  cogenerativi
di potenza elettrica inferiore a 5 MW». 
    La normativa statale certamente esprime un favor per gli impianti
con capacita' generativa inferiore a 5  MW,  ma  non  contiene  alcun
divieto di realizzazione di impianti con capacita' di generazione  di
energia superiore a quel limite. Invece, la norma regionale impugnata
richiede, quale condizione  per  la  concessione  dell'autorizzazione
alla costruzione, che l'impianto abbia una capacita'  generativa  non
superiore a 5 MW termici. 
    La tesi sostenuta dalla difesa della Regione, secondo la quale la
norma  censurata  si  limiterebbe  a  fissare  le  condizioni  e   le
caratteristiche degli impianti  alimentati  a  biomasse  in  presenza
delle  quali  il  rilascio  della  relativa  autorizzazione  dovrebbe
considerarsi automatico, restando impregiudicata la  possibilita'  di
autorizzare,  secondo  le  ordinarie  procedure  amministrative,  gli
impianti che non presentino quei requisiti, e' contraddetta dal testo
della disposizione. 
    La norma, infatti, afferma testualmente che «gli impianti per  la
produzione di energia elettrica alimentati da biomasse da autorizzare
nel   territorio   regionale    devono    possedere    le    seguenti
caratteristiche: a) capacita' di generazione non  superiore  a  5  MW
termici (...)», per cui gli impianti  che  posseggono  una  capacita'
generativa superiore a 5 MW termici non possono  essere  autorizzati.
La disposizione non configura, quindi, una semplice promozione per la
realizzazione di impianti aventi capacita' di generazione inferiore a
5 MW, ma esprime un vero e  proprio  divieto  di  autorizzazione  per
impianti dotati di capacita' generativa maggiore. 
    L'art. 57, comma 1, legge della Regione Marche n.  31  del  2009,
contrastando con il principio fondamentale in materia  di  produzione
di energia espresso dall'art. 5, comma 1, lettera g), del  d.lgs.  n.
387 del 2003, e' dunque illegittimo  per  violazione  dell'art.  117,
terzo comma, della Costituzione. 
    7. -  La  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  deve
essere estesa, ai sensi dell'art. 27 della legge n. 87 del  1953,  ai
commi 2 e 3 dell'art. 57 della legge della Regione Marche n.  31  del
2009. 
    In particolare, il comma 2 rende  inapplicabile  uno  dei  limiti
previsti al comma 1 (quello relativo all'utilizzazione del calore  di
processo) agli impianti alimentati a biogas. Il comma 3, poi, prevede
che siano autorizzabili, in deroga a quanto previsto nel comma 1, gli
impianti che riguardano i progetti di  riconversione  industriale  di
cui all'art. 2 del decreto-legge 10 gennaio 2006,  n.  2  (Interventi
urgenti per i  settori  dell'agricoltura,  dell'agroindustria,  della
pesca, nonche' in materia di  fiscalita'  d'impresa),  convertito  in
legge, con modificazioni, dall'art. 1 della legge 11 marzo  2006,  n.
81, purche' posseggano certe caratteristiche stabilite  dallo  stesso
comma 3. Si tratta di  norme  che,  introducendo  deroghe  ai  limiti
previsti dalla disposizione dichiarata  illegittima,  non  conservano
alcuna autonomia, una volta venuta meno la disposizione  della  quale
costituiscono parziale deroga. 
    8. -  Restano  assorbiti  gli  altri  profili  di  illegittimita'
costituzionale denunciati dal Presidente del Consiglio dei ministri.