Ordinanza 
 
nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), e degli artt.  20-bis  e  20-ter  del
decreto legislativo  28  agosto  2000,  n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468),  aggiunti  dall'art.  1,  comma  17,
lettera b), della citata legge n. 94 del 2009, promossi  dal  Giudice
di pace di Albano Laziale con quattro ordinanze del 5 novembre  2009,
dal Giudice di pace di Cuorgne' con ordinanza del 30 novembre 2009  e
dal Giudice di pace di Albano Laziale con ordinanza del 24 marzo 2010
e con tre ordinanze del 5 maggio 2010 rispettivamente iscritte ai nn.
da 67 a 70, 124, 172, da 197 a 199  del  registro  ordinanze  2010  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11, 18, 24 e
27, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre  2010  il  giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto che con quattro ordinanze identiche nella  parte  motiva
(R.O. n. 67, n. 68, n. 69 e n.  70  del  2010),  emesse  tutte  il  5
novembre 2009, il Giudice di pace di Albano Laziale,  nell'ambito  di
distinti procedimenti penali, ha sollevato questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis del  decreto  legislativo  25  luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera a),  della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), e degli artt. 20-bis e 20-ter del decreto  legislativo  28
agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice
di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24  novembre  1999,  n.
468), aggiunti dall'art. 1, comma 17, lettera b), della citata  legge
n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 3, 10,  24,  25,  27,  97,
102, 111 e 112 della Costituzione; 
    che il giudice a quo, in tutte le ordinanze, premette in fatto di
dover giudicare cittadini  extracomunitari,  imputati  del  reato  di
«ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato»; 
    che, in particolare, il rimettente afferma che  l'art.  1,  comma
16, lettera a), della legge n. 94 del 2009 ha introdotto  nel  d.lgs.
n. 286 del 1998 l'art. 10-bis, il quale prevede la nuova  fattispecie
criminosa dell'ingresso e soggiorno  illegale  nel  territorio  dello
Stato, sanzionando con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro «lo straniero
che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio  dello  Stato,  in
violazione delle disposizioni del presente  testo  unico  nonche'  di
quelle di cui all'articolo 1 della legge 28 maggio 2007 n. 68»; 
    che,  a  parere  del   giudice   rimettente,   la   nuova   norma
incriminatrice e' in  contrasto  innanzitutto  con  il  principio  di
eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. inteso  sia  come  necessita'  di
diverso trattamento di situazioni differenti, sia come necessita'  di
pari trattamento di situazioni simili; 
    che tale violazione, anche in relazione  agli  artt.  102  e  112
Cost., si realizzerebbe mediante gli art. 20-bis e 20-ter del  d.lgs.
n. 274 del 2000 che prevedono la richiesta di  citazione  contestuale
per l'udienza da parte della polizia  giudiziaria  quando  «ricorrono
gravi e comprovate ragioni di urgenza che non consentono di attendere
la  fissazione  dell'udienza  ai  sensi  del  comma  3  del  medesimo
articolo, ovvero se l'imputato si trova a qualsiasi titolo sottoposto
a misure di limitazione o privazione della liberta' personale»; 
    che,  secondo  il  Giudice  di  pace  di  Albano  Laziale,   tali
disposizioni delineerebbero  un  nuovo  rito,  ossia  il  giudizio  a
presentazione immediata (art. 20-bis), prevedendone una variante  per
i casi di urgenza o per gli imputati sottoposti a misure  restrittive
della liberta', vale a dire il giudizio a citazione contestuale (art.
20-ter), con una procedura unica nell'ordinamento che  configurerebbe
una sorta di tertium genus tra reati procedibili a  querela  e  reati
procedibili d'ufficio; 
    che,  in  altri  termini,  il  legislatore  avrebbe  previsto  un
singolare rito, relativo ad una  singola  fattispecie,  per  di  piu'
delegando ad un'autorita' amministrativa l'inizio dell'azione  penale
obbligatoria; 
    che, secondo il rimettente, «il vulnus rappresentato dal delegare
a  una   autorita'   amministrativa   l'inizio   dell'azione   penale
obbligatoria, peraltro per un reato contravvenzionale  che  piu'  che
far riferimento alla notitia criminis fa riferimento  a  uno  status,
sembra riportare a epoca non  solo  antecedente  la  Costituzione  ma
forse antecedente la Rivoluzione francese (principio della  divisione
dei poteri) o addirittura la Magna Charta Libertatum»; 
    che, inoltre, nell'ordinanza di rimessione si evidenzia come, nei
confronti  dello  straniero  di  cui  si  accerti  la  condizione  di
soggiorno illegale, si debbano aprire due distinti procedimenti: uno,
amministrativo, destinato a sfociare nel provvedimento prefettizio di
espulsione da eseguirsi a cura del questore e l'altro, penale,  nelle
forme del citato art. 20-bis e 20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000, con
una evidente duplicazione di procedimenti; 
    che tale duplicazione, in sede penale, della procedura  esistente
in via amministrativa violerebbe il principio  di  ragionevolezza  di
cui all'art. 3 Cost. e anche il principio  di  buon  andamento  della
pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost.; 
    che il Giudice  di  pace  di  Albano  Laziale  lamenta  anche  la
disparita' di trattamento, asseritamente introdotta dalla  disciplina
in esame, in relazione all'ipotesi di cui all'art. 14,  comma  5-ter,
del d.lgs. n. 286 del 2000 a causa  della  mancata  previsione  della
esclusione della  colpevolezza  in  caso  di  «giustificato  motivo»,
differenza di trattamento non giustificabile neanche  dalla  maggiore
gravita' del reato e rilevante nel caso di specie in quanto nei  casi
sottoposti al suo esame gli imputati verserebbero tutti in uno  stato
di indigenza (mancanza di una fissa  dimora)  tale  da  far  ritenere
sussistente  una  obiettiva  difficolta'  a  ottemperare  alla  nuova
fattispecie incriminatrice; 
    che, per tali motivi, il rimettente  ritiene  non  manifestamente
infondata la questione di costituzionalita'  relativa  alla  asserita
violazione  del  principio  di  uguaglianza  e   del   principio   di
personalita' della responsabilita' penale (artt. 3 e  27  Cost.)  «in
quanto il  reato  equipara  ope  legis  la  condizione  di  soggiorno
illegale del clandestino  a  una  posizione  soggettiva  di  presunta
pericolosita' sociale che, invece, deve essere accertata in  concreto
in relazione a determinati fatti, circostanze e persone»; 
    che la norma censurata lederebbe anche il diritto di difesa e  il
diritto ad un giusto processo, in quanto non  sarebbe  conforme  agli
artt. 24 e 111 Cost. un processo non basato sul contraddittorio e nel
quale non e' garantita l'adeguata preparazione del diritto di difesa; 
    che tale diritto sarebbe  leso  dalla  possibilita'  di  eseguire
l'espulsione dello  straniero  senza  il  nulla  osta  dell'autorita'
giudiziaria competente di cui all'art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 286
del 1998, con  la  conseguente  concreta  possibilita'  che  l'azione
penale si concluda prima dello svolgimento del processo o durante  il
medesimo, dopo che «sia intervenuta l'esecuzione  della  pena  voluta
dal legislatore (l'espulsione dello straniero)»; 
    che, infine, sarebbe violato l'art.  10  Cost.  con  riguardo  ai
principi  affermati  in   materia   di   immigrazione   dal   diritto
internazionale e dalle convenzioni internazionali e con gli  obblighi
assunti dall'Italia  in  materia  di  trattamento  dei  migranti:  in
particolare la Convenzione OIL 24 giugno  1975,  n.  143,  ratificata
dalla legge 10 aprile 1981, n.  158  (Ratifica  ed  esecuzione  delle
convenzioni numeri 92, 133 e 143  dell'Organizzazione  internazionale
del lavoro); 
    che, con ordinanza del 30 novembre 2009 (R.O. n. 124  del  2010),
il Giudice di pace di Cuorgne' ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998,  aggiunto
dall'art. 1, comma 16, lettera a), della legge n. 94  del  2009,  per
violazione degli artt. 2, 3, primo  comma,  10  e  97,  primo  comma,
Cost.; 
    che il rimettente, nell'ambito di un procedimento penale che vede
un cittadino straniero imputato del reato di cui all'art. 10-bis  del
d.lgs. n. 286  del  1998,  ritiene  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la eccezione di costituzionalita' sollevata, nel corso  del
giudizio, dalla Procura della Repubblica di Ivrea; che l'ordinanza di
non riporta le  argomentazioni  addotte  a  sostegno  della  ritenuta
incostituzionalita' della norma censurata; 
    che con quattro ordinanze, identiche nella parte motiva (R.O.  n.
172, n. 197, n. 198 e n. 199 del 2010), emesse, la prima, il 24 marzo
2010  e,  le  altre,  il  5  maggio  2010,  nell'ambito  di  distinti
procedimenti penali,  il  Giudice  di  pace  di  Albano  Laziale,  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  10-bis
del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall'art. 1, comma  16,  lettera
a), della legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 3, 25 e 27
Cost.; 
    che,  a  parere  del   rimettente,   la   norma   censurata   non
rispetterebbe il principio di offensivita' delle condotte ex  art.25,
secondo comma, Cost. secondo il quale il ricorso alla sanzione penale
e' ammesso nel nostro ordinamento esclusivamente a protezione di beni
giuridici di rilievo costituzionale e solo come  scelta  estrema  del
legislatore, mentre le  condotte  incriminate  dall'art.  10-bis  del
d.lgs. n. 286 del 1998 non sarebbero lesive del bene della  sicurezza
pubblica ne'  sarebbero  di  particolare  pericolosita'  sociale,  ma
piuttosto espressione di una condizione individuale, quale quella  di
migrante, la cui incriminazione sarebbe discriminatoria; 
    che, inoltre, la sanzione penale sarebbe  caratterizzata  da  una
forma di  subordinazione  nei  confronti  dell'azione  amministrativa
diretta all'espulsione o al respingimento, dato che l'art. 10-bis, al
comma 2 e al comma 5,  prevede  la  non  applicabilita'  della  norma
incriminatrice o  la  pronuncia  di  una  sentenza  di  non  luogo  a
procedere nel caso di respingimento e espulsione, cosi'  violando  il
«principio della estrema ratio» gia' citato; 
    che risulterebbe violato anche il  principio  di  uguaglianza,  a
causa della possibilita' di applicare  la  sanzione  penale  non  «in
funzione di volonta' o atti del soggetto incriminato», ma in funzione
della discrezionalita'  e  disponibilita'  di  mezzi  della  pubblica
amministrazione che deve disporre  il  provvedimento  di  espulsione,
potendo cosi' verificarsi che uno stesso comportamento venga  o  meno
sanzionato a causa di circostanze estranee alla sfera  di  intervento
degli imputati; 
    che il rimettente lamenta, sempre in violazione del principio  di
uguaglianza, la mancata previsione della scriminante del giustificato
motivo, cosi' come per l'analogo reato di cui all'art. 14,  comma  5,
d.lgs. n. 286 del 1998; 
    che, infine, i principi di ragionevolezza  e  di  buon  andamento
della pubblica amministrazione di  cui  agli  artt.  3  e  97  Cost.,
verrebbero violati dalla previsione di  una  sanzione  penale  «fuori
della  solvibilita'  della  stragrande  maggioranza  degli  stranieri
incriminati»,  in  tal  modo  compromettendo   l'effettivita'   della
sanzione stessa e la sua funzione deterrente e rieducativa,  con  una
irragionevole proliferazione di processi e un  dispendio  di  risorse
pubbliche; 
    che nel  giudizio  relativo  all'ordinanza  n.  67  del  2010  e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che la
questione sia dichiarata inammissibile o infondata; 
    che, a parere dell'Avvocatura dello Stato, l'individuazione delle
condotte penalmente punibili e delle  relative  sanzioni  e'  materia
riservata alla piu'  ampia  discrezionalita'  del  legislatore,  come
costantemente affermato dalla Corte costituzionale; 
    che, ad avviso della difesa statale, la questione  relativa  alla
violazione  del  principio  di  eguaglianza  sarebbe   inammissibile,
perche' il parametro costituzionale e' solo evocato e non e'  neanche
indicata la fattispecie posta a raffronto; 
    che  la  questione  sarebbe,  comunque,  infondata   nel   merito
trattandosi   di   scelte   riservate   alla   discrezionalita'   del
legislatore; 
    che sarebbe infondata anche la denunciata violazione degli  artt.
102 e 112  Cost.,  in  quanto  la  norma  in  esame  non  inciderebbe
sull'esercizio della funzione giurisdizionale ne' dell'azione penale,
poiche'  rimette  al  pubblico   ministero   la   piena   valutazione
dell'ammissibilita' e della fondatezza della richiesta di giudizio  o
di citazione contestuale presentate dalla polizia giudiziaria; 
    che sarebbe errata  la  ricostruzione  del  rimettente  circa  la
duplicazione  del  procedimento   di   espulsione   (l'uno   in   via
amministrativa, l'altro in sede penale), in quanto il processo penale
tende all'accertamento della responsabilita' dell'imputato e, nel suo
contesto, l'espulsione del condannato «rappresenta un  effetto  della
condanna;  piu'  precisamente  di   irrogazione   di   una   sanzione
sostitutiva, coerente con l'interesse punitivo dello Stato»; 
    che inconferente sarebbe, altresi', il  riferimento  all'art.  97
Cost., trattandosi di disposizione inapplicabile  all'amministrazione
della giustizia; 
    che, per quel che concerne la  mancata  previsione  della  «quasi
esimente» del «giustificato  motivo»,  la  fattispecie  criminosa  in
questione  resterebbe  comunque   soggetta   ai   principi   generali
applicabili in materia penale, che comprendono  varie  cause  di  non
punibilita' quali l'inesigibilita' del comportamento «virtuoso»; 
    che la questione relativa alla asserita violazione degli articoli
24 e 111 Cost. appare mal posta, atteso che il diritto di difesa e il
diritto ad un giusto  processo  non  impongono  la  celebrazione  del
processo penale pur in presenza di un evento  (nel  caso,  l'avvenuta
espulsione) che comporta il venir  meno  dell'interesse  dello  Stato
alla sua pretesa punitiva; 
    che, da ultimo, la questione relativa alla  violazione  dell'art.
10 Cost. risulta inammissibile, risultando solamente enunciata ma non
motivata. 
    Considerato che le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni
identiche o analoghe, onde  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per
essere definiti con unica decisione; 
    che i  giudici  a  quibus  dubitano,  in  riferimento  a  plurimi
parametri, della legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), che punisce con l'ammenda da 5.000  a
10.000 euro, salvo che il fatto  costituisca  piu'  grave  reato,  lo
straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel  territorio
dello Stato; 
    che il Giudice di pace di  Albano  Laziale  in  alcune  ordinanze
estende le sue censure anche agli artt. 20-bis e 20-ter  del  decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468), nella parte in cui rispettivamente  prevedono
il giudizio a  presentazione  immediata  a  richiesta  della  polizia
giudiziaria (art. 20-bis) e, nei casi di urgenza o per  gli  imputati
sottoposti  a  misure  restrittive  della  liberta'   personale,   la
possibilita' per la polizia giudiziaria di formulare la richiesta  di
citazione contestuale (art. 20-ter); 
    che tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in  punto
di descrizione della fattispecie e  di  motivazione  sulla  rilevanza
tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni; 
    che quanto all'ordinanza di rimessione del  Giudice  di  pace  di
Cuorgne' (R.O. n. 124 del 2010), l'indicato difetto di descrizione  e
di motivazione e' totale; 
    che le restanti ordinanze, provenienti dal  Giudice  di  pace  di
Albano  Laziale,  si  limitano,   quanto   alla   descrizione   della
fattispecie, a far cenno alla circostanza che, nel giudizio a quo, si
procede per il reato di cui l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998,
cosi'  che  la  declaratoria  di  incostituzionalita'   della   norma
comporterebbe l'assoluzione  dell'imputato,  mancando,  tuttavia,  in
esse ogni specifico riferimento alla vicenda  concreta  che  ha  dato
origine   all'imputazione,   idoneo   a   permettere   la    verifica
dell'asserita rilevanza della questione; 
    che, con riferimento alle censure relative agli  artt.  20-bis  e
20-ter del d.lgs. n. 274 del 2000, il rimettente non riferisce  quali
siano state, in concreto, le modalita' di citazione degli imputati e,
trattandosi di censure relative  a  norme  che  prevedono  differenti
modalita' di citazione,  tale  omissione  impedisce  di  valutare  la
rilevanza della questione; 
    che,  inoltre,  dalla  scarna  motivazione  sulla  non  manifesta
infondatezza, emerge un'erronea  interpretazione  delle  disposizioni
impugnate, dal momento che  il  rimettente  censura  l'illegittimita'
costituzionale dell'attribuzione del potere di esercizio  dell'azione
penale alla polizia giudiziaria, mentre tale  potere  e'  chiaramente
attribuito al pubblico ministero; 
    che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto,  manifestamente
inammissibili.