IL TRIBUNALE Premesso che: nell'ambito del processo a carico di Navarria Giuseppe, Navarria Francesco, Stancanelli Raffaele e Castiglione Giuseppe indicato a margine, pervenuto al giudizio dibattimentale avanti alla scrivente, e' stata contestata ai predetti, in concorso tra loro, la fattispecie di reato prevista dall'art. 29, comma 5, in relazione al comma 6 della legge 25.3.1993, n. 81, per avere il primo, nella qualita' di Direttore Generale dell'Azienda ospedaliera Garibaldi di Catania ,organizzato due incontri di propaganda politico elettorale all'interno del predetto plesso ospedaliero nell'interesse degli altri imputati, candidati rispettivamente al Consiglio Comunale, alla carica di Sindaco ed alla Presidenza della Provincia Regionale di Catania Riferisce che: In sede dibattimentale il difensore di Stancanelli Raffaele ha eccepito l'illegittimita' costituzionale della norma incriminatrice contestata al proprio assistito per contrasto con l'art. 3 Cost., evidenziando l'irragionevolezza di una disposizione che mantenga rilevanza penale alla violazione del divieto di propaganda elettorale da parte delle pubbliche amministrazioni nell'ambito delle elezioni amministrative laddove la norma contenente la previsione di identico divieto in relazione all'elezione alla Camera dei Deputati ed al Senato della Repubblica ha perso vigenza per intervenuta abrogazione. A fondamento dell'istanza si illustra: l'art. 29, comma 6, legge 81/93 - Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale - recita «E' fatto divieto a tutte le pubbliche amministrazioni di svolgere attivita' di propaganda di qualsiasi genere, ancorche' inerente alla loro attivita' istituzionale, nei trenta giorni antecedenti l'inizio della campagna elettorale e per tutta la durata della stessa», divieto la cui violazione e' sanzionata ai sensi del precedente comma secondo cui «(...) Chiunque contravviene alle restanti norme di cui al presente articolo e' punito con la multa da lire un milione a lire cinquanta milioni.»; l'art. 5 della legge 10 dicembre 1993, n. 515 - Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica - prevedeva , sotto il titolo «Divieto di propaganda istituzionale», «E' fatto divieto a tutte le pubbliche amministrazioni di svolgere attivita' di propaganda di qualsiasi genere, ancorche' inerente alla loro attivita' istituzionale, nei trenta giorni antecedenti l'inizio della campagna elettorale e per la durata della stessa. Non rientrano nel divieto del presente articolo le attivita' di comunicazione istituzionale indispensabili per l'efficace assolvimento delle funzioni proprie delle amministrazioni pubbliche». Tale ultimo articolo, il cui testo risulta sovrapponibile alla disposizione della cui legittimita' si dubita, e' stato abrogato dall'art. 13 della legge 22.2.2000 n. 28 - Disposizioni per la parita' di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica - si' che non appare ragionevole il mantenimento della sanzione penale per una condotta che, tutt'ora oggetto di incriminazione nell'ambito della disciplina delle elezioni amministrative, non subisce sanzione ove posta in essere in occasione della competizione elettorale nazionale. A sostegno della tesi viene in particolare richiamata la sentenza della Corte costituzionale del 25 luglio 2001, n. 287, che ha dichiarato illegittimo lo stesso art. 29 ,comma 5, legge 81/93 oggi impugnato nella parte in cui punisce il fatto previsto dal precedente comma 3 con la multa anziche' con una sanzione amministrativa pecuniaria di corrispondente importo. In tale sentenza, viene evidenziato, si valuta un'ipotesi estremamente simile a quella oggetto di odierno esame, atteso che il raffronto ivi operato e' tra la previsione dell'art. 29, comma 3, della legge 81/93 e l'art. 3, comma 2, della legge 515/93, che «stabilisce, con formulazione lessicalmente identica, lo stesso obbligo per le campagne elettorali per le elezioni alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica. A questa identita' delle condotte oggetto delle due norme citate si contrappone invece un differente trattamento sanzionatorio (...)»; prosegue la motivazione: «la prospettata diversita' della disciplina sanzionatoria in riferimento a condotte sostanzialmente identiche appare quindi priva di giustificazioni. Tanto piu' che la materia della propaganda elettorale, nella quale tradizionalmente vengono ricompresi gli illeciti in esame (sentenza n. 52 del 1996), e' stata da tempo caratterizzata, a partire dalla legge n. 212 del 1956 per arrivare alla legge 22 febbraio 2000, n. 28, da una disciplina sostanzialmente applicabile a qualsiasi tipo di competizione elettorale, in base ad un criterio di omogeneita' (...)». Simile valutazione sembra potersi pienamente attagliare alla questione proposta, evidenziandosi altresi' come secondo testuale osservazione della parte «la discrasia con il dettato costituzionale tanto piu' si palesa per il comma 6 del medesimo art. 29 atteso che la corrispondente norma (art. 1 della l. 515/93) che poneva lo stesso divieto e' stata integralmente abrogata». Agli argomenti esposti puo' altresi' aggiungersi l'osservazione secondo cui la legge con la quale e' stata disposta l'abrogazione del citato art. 5 e' espressamente volta (art. 1 l. 28/00) a disciplinare uniformemente l'accesso ai mezzi di informazione durante le campagne per l'elezione al Parlamento europeo, per le elezioni politiche, regionali e amministrative e per ogni referendum - e quindi con valenza estesa a tutte le occasioni elettorali - e che l'art. 9 della stessa legge, intitolato «Disciplina della comunicazione istituzionale e obblighi di informazione» contiene una previsione la cui assonanza con il testo delle disposizioni di cui all'art. 29 comma 6 l. 81/93 ed all'art. 5 l. 515/93 abrogato sembra segnalare l'intenzione del legislatore di diversamente ed unitariamente disciplinare la tematica relativa alla condotta delle pubbliche amministrazioni in occasione delle competizioni elettorali; recita infatti l'art. 9: «Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto e' fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attivita' di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni», prevedendo, in caso di violazione del divieto interventi dell'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni.