LA CORTE DI APPELLO 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile  iscritta
al n. 169 del Ruolo Generale delle cause dell'anno 2006 (vi e' rinvio
dalla C.S.C.), riservata all'udienza collegiale del  10  giugno  2010
tra MIRTO Gian Paolo e MIRTO Alessio, quali eredi mortis causa  della
sig.ra Clotilde Ippolito Mirto, elettivamente  domiciliati  in  Lecce
alla Via  Augusto  Imperatore  n.  16,  presso  lo  studio  dell'avv.
Giovanni Pellegrino, che  li  rappresenta  e  difende  in  virtu'  di
procura a margine dell'atto di citazione in riassunzione; appellanti, 
    e Comune di Francavilla Fontana (c.f. 00176620748), rappresentato
e difeso dall'avv. Ernesto Sticchi Damiani, in virtu'  di  mandato  a
margine della comparsa di risposta ed in virtu' di delibera  di  G.C.
n. 109 del 6 aprile 2006 ed elettivamente domiciliato presso  il  suo
studio in Lecce alla Via 95° Rgt. Fanteria n. 9 - appellato. 
 
                                Fatto 
 
    La vicenda, dalla quale e' scaturito il processo, si ricollega ad
un duplice procedimento ablatorio, avviato dal Comune di  Francavilla
Fontana, con due distinti decreti di occupazione d'urgenza, l'uno  in
data 14 febbraio 1980  ed  il  secondo  in  data  12  novembre  1983,
riguardanti un unico fondo di proprieta' di Clotilde  Ippolito  Mirto
(originariamente in cat. Fl. 119 part.lla n. 74). 
    Il primo provvedimento riguardo' un'area di mq  459,  poi  -  con
scrittura privata  autenticata  del  29  giugno  1983  -  oggetto  di
cessione volontaria con acconto e riserva di conguaglio;  il  secondo
riguardo' la parte residua dello stesso fondo di mq 5000, poi  estesa
di altri 779 mq. 
    Ritenendo  di  essere  stata   lesa   nella   propria   posizione
soggettiva, la Ippolito convenne con atto 17 novembre 1990 innanzi al
Tribunale di  Brindisi  il  Comune  di  Francavilla  Fontana  per  la
determinazione dell'indennita' di  esproprio  ex  L.  2359  del  1865
quanto alla parte ceduta e per il risarcimento  del  danno  -  stante
l'intervenuta inefficacia della dichiarazione di P.U. -  quanto  alla
porzione di mq 5779. 
    Il giudice adito con sentenza n. 244 del 1995 rigetto' la domanda
risarcitoria sul rilievo che il decreto di esproprio, emesso in  data
19 gennaio 1993 era stato emanato «nei termini  prorogati  ex  lege»;
accolse la domanda di conguaglio, che fisso' - considerata di  natura
edificatoria l'area ceduta - in £. 26.370.094. 
    Impugnata la pronuncia da entrambe le parti, la  Corte  d'Appello
di Lecce, con sentenza n. 161 del 2002, rigetto' l'appello principale
della Ippolito - concernente la domanda risarcitoria -, dichiaro'  la
nullita' della citata pronuncia nella restante parte e,  pronunciando
nel merito  della  domanda  di  conguaglio  condanno'  il  Comune  al
pagamento  della  somma  di  euro  7.237,43  confermando  la   natura
edificatoria dell'area. 
    A seguito di ricorsi in Cassazione - principale  quello  di  Gian
Paolo e Alessio Mirto (eredi della Ippolito) e incidentale del Comune
- la Suprema Corte, con sentenza  n.  20459/  del  2005,  casso'  con
rinvio la sentenza della Corte d'Appello  con  riferimento  sia  alla
mancata verifica della (dedotta) inefficacia della  dichiarazione  di
P.U. in ordine all'occupazione della porzione di  mq  5779  sia  alla
riconosciuta natura  edificatoria  dell'altra  porzione  di  mq  459,
attesa la inclusione di questa nel P.R.G. all'epoca vigente  in  zona
tipizzata come «F22  Area  pubblica  di  uso  pubblico»  destinato  a
«Servizi ed attivita' collettive verde e sport, parcheggi; servizi ed
attivita'  ospedaliere.  Attrezzature  per   l'istruzione   superiore
all'obbligo»:  tipizzazione,  «riconducibile  nell'alveo  dei   suoli
gravati da vincolo di inedificabilita', che l'art. 5-bis al  comma  3
associa ai suoli indennizzabili a valore agricolo»;  e  «destinazione
da  ritenersi  programmatica  per  il  contenuto  conformativo  della
proprieta' che deriva dalla definizione astratta e generale...  della
zona di cui il terreno medesimo fa parte». 
    Riassunta la causa dai  Mirto,  questa  Corte,  con  sentenza  n.
611/2010 qualifico' come usurpativa l'occupazione da parte del Comune
del suolo di mq 5579 e non edificatorio la porzione di mq 459. 
 
                               Diritto 
 
    Com'e' noto, l'indennita' di esproprio per i suoli agricoli  e  -
come nella specie - per quelli gravati da vincolo di inedificabilita'
va determinata, ai sensi  della  normativa  vigente  all'epoca  della
cessione, sulla base  del  «valore  agricolo  medio  del  terreno,  a
prescindere dalla sua destinazione economica, quale si  determina  in
base  alla  media  dei  valori,  nell'anno   solare   precedente   il
provvedimento  ablativo,  dei  terreni  ubicati   nell'ambito   della
medesima regione agraria, nei quali siano praticate le stesse colture
in   opera   nel   fondo   espropriato»:   tanto,   per   consolidata
giurisprudenza  della  Suprema  Corte  (v.  Cass.  8797/1992;   Cass.
5506/1994) in applicazione degli artt. 15 e 16 L. n. 865 del  1971  e
succ.   mod.,   che   devolvono    alla    Commissione    provinciale
l'individuazione del valore agricolo medio. 
    La giurisprudenza ha, altresi', puntualizzato - anche  in  questo
caso orientamento univoco -  che  il  parametro  di  riferimento  non
coincide «con il prezzo di mercato del fondo  e  con  il  suo  valore
venale». 
    Reputa  la  Corte  -  come  sottolineato  dall'appellante   nella
comparsa conclusionale - che l'ordinamento si stia evolvendo in senso
divergente. In particolare per le aree edificabili, a  seguito  della
declaratoria di illegittimita' costituzionale - con la nota  sentenza
n. 348 del 2007 - dell'art. 5-bis, commi 1 e 2 del  decreto-legge  11
luglio 1992 n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto
1992 ed, ai sensi dell'art. 27 L. n. 87 del 1953, dell'art. 37, commi
1 e 2 d.P.R. n. 327 del 2001, si applica il criterio  del  valore  di
mercato del bene: ai sensi dell'art. 39 L.  n.  2359  del  1865  «nei
giudizi di espropriazione in corso soggetti al regime pregresso»  (c.
Cass. n. 28431/2008); ai sensi dell'art. 2, comma 89, lett. A  L.  24
dicembre 2007 n. 244, «nei procedimenti espropriativi in  corso»  (v.
Cass. S.U. n. 5265/2008). 
    In definitiva, sotto questo profilo, il Giudice delle leggi prima
ed il Legislatore dopo nonche' la giurisprudenza, formatasi a seguito
di quegli interventi, hanno preso come punto di arrivo - quanto  alle
aree edificabili - il prezzo di mercato a valore venale del bene che,
nella disciplina pregressa, rappresentava il solo punto di  partenza:
il che sta ulteriormente a significare che oggi,  per  i  giudizi  in
corso, sempre relativamente alle aree predette, il  «serio  ristoro»,
di cui e' cenno in  numerose  sentenze  della  Corte  Costituzionale,
viene fatto coincidere con il prezzo di mercato. 
    Gia' sotto questo profilo, la  diversa  disciplina  di  cui  agli
artt. 5 bis, 3° e 4° c. L. 352/1992 e 40, 1° e 2° c., d.P.R. 327/2001
disancorata dal prezzo di mercato o  valore  venale,  applicabile  ai
suoli agricoli ed a quelli - come nella specie - attinti  da  vincoli
di inedificabilita', appare  irragionevole  e  come  tale  di  dubbia
costituzionalita' ex art. 3 Cost. 
    Il «valore agrario», previsto di fatto in via automatica e,  come
tale, non influenzabile  da  quello  venale,  puo'  non  rivelarsi  e
plausibilmente non si rivela nella presente vicenda in considerazione
della qualita' e della localizzazione del fondo (alla  periferia  del
paese) un «serio ristoro»: ne' sotto questo profilo puo' omettersi di
sottolineare che, in ogni caso, l'indennita' di esproprio per i suoli
agricoli o a questi equiparati, calcolata con il criterio del  valore
venale non rappresenta di norma - a differenza dei suoli  edificabili
-  un  onere,  particolarmente  impegnativo,  dal  punto   di   vista
economico, per l'ente espropriante. 
    Sotto altro  aspetto,  ritiene  la  Corte  che  la  questione  di
costituzionalita' della sopracitata normativa si ponga  con  riguardo
all'art. 117 Cost., che  rappresento'  il  parametro  di  riferimento
costituzionale, in base al quale la  Corte  Costituzionale  dichiaro'
con la sentenza 348/2007 l'incostituzionalita' dell'art. 5-bis, commi
1 e 2 L. 359/1992 e dell'art. 37, commi 1 e 2 del d.P.R. n.  327  del
2001. 
    Trattasi, come e' stato sottolineato in dottrina, di un parametro
sopravvenuto  rispetto  all'entrata  in  vigore  delle   disposizioni
legislative   censurate,   essendo   stato   introdotto   con   legge
costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, entrata in vigore il  successivo
9 novembre. 
    La Corte Europea dei diritti dell'uomo in una sua  pronuncia  del
2006 osservo': «Benche' lo stato contraente gode  di  un  margine  di
discrezionalita' nel determinare l'indennizzo in  dipendenza  di  una
espropriazione legittima, l'art. 5-bis  L.  n.  359/92,  parametrando
l'indennita' di espropriazione ad un valore  largamente  inferiore  a
quello  di  mercato  del   bene   espropriato   senza   prendere   in
considerazione la tipologia dell'esproprio, determina una rottura del
«giusto equilibrio» tra le esigenze  dell'interesse  generale  e  gli
imperativi    della    salvaguardia    dei    diritti    fondamentali
dell'individuo,  violando  l'art.  1  del  protocollo  n.   1   della
convenzione europea dei  diritti  dell'uomo.  Infatti,  alla  stregua
della giurisprudenza della Corte dei diritti dell'uomo e'  consentita
una quantificazione dell'indennizzo inferiore al  valore  commerciale
nei soli casi  di  espropriazione  correlata  a  riforma  economiche,
sociali e politiche o  in  presenza  di  particolari  circostanze  di
pubblica utilita'». 
    A  parte  la  considerazione  che  il  dictum  sembra   riferirsi
all'intero articolo 5-bis -  e  quindi  anche  all'espropriazione  di
suoli  agricoli  e  di  suoli  a  questi  equiparati   sul   versante
dell'indennizzo - gia' si e' rilevato che per le aree edificatorie e'
stato (salvo le ipotesi marginali di cui all'art. 2  L.  n.  244  del
2007) adottato il criterio del valore di mercato. 
    A sua volta, l'art. 1 del protocollo n. 1  -  per  quel  che  qui
interessa - stabilisce  che  «ogni  persona  fisica  o  giuridica  ha
diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato  della
sua proprieta'  se  non  per  causa  di  pubblica  utilita'  e  nelle
condizioni previste dalla legge e dai principi generali  del  diritto
internazionale». 
    In sintesi la norma  costituzionale  sopravvenuta,  vale  a  dare
adeguata copertura costituzionale agli obblighi assunti  dallo  Stato
in  forza  di  trattato  internazionale  validamente   ratificato   e
trasposto nell'ordinamento  interno,  sicche'  il  «nuovo»  parametro
costituzionale  «comporta  l'obbligo  del  legislatore  ordinario  di
rispettare dette norme, con la conseguenza  che  la  norma  nazionale
incompatibile con la norma della CEDU  e  dunque  con  gli  «obblighi
internazionali», di cui all'art. 117, comma 2, Cost., viola per  cio'
stesso tale parametro costituzionale». 
    Ritiene la Corte, sulla base dei rilievi svolti, che l'osservanza
dell'obbligo internazionale esiga  la  piena  riparazione  del  danno
anche nella espropriazione di suoli  agricoli  (o  equiparati  quanto
all'indennizzo), attraverso la commisurazione dell'indennita' al loro
valore di mercato. 
    Tale conclusione si  correla,  peraltro,  alla  funzione  sociale
della  espropriazione,  finalizzata  all'acquisizione  di   un   bene
infungibile, esistente  nel  mercato  e,  di  norma,  destinato  alla
realizzazione   di   un'opera   pubblica,    non    attraverso    una
contrattazione, rispetto alla quale - come osservato in dottrina - il
consenso potrebbe essere negato ovvero sottostare ad una speculazione
in danno dell'espropriante, ma appunto a  mezzo  dell'espropriazione,
che «supplisce alla funzione  della  vendita,  alla  stregua  di  una
vendita  forzosa»,  con  la  conseguenza  della   sostituzione   «nel
patrimonio dell'espropriato di un bene specifico infungibile  con  un
tandundem in denaro, pari al prezzo» di una libera vendita: prezzo di
mercato che, peraltro, e'  applicato  a  tutto  il  resto  (progetto,
appalto, ecc.»). 
    Sul piano della  rilevanza,  va  osservato  che  nella  causa  va
risolta  la  questione  della   determinazione   dell'indennita'   di
esproprio quanto al fondo di mq 459 dei Mirto, attinta da vincolo  di
in edificabilita', segnalando che la Suprema Corte di Cassazione  (v.
sent. 3022/2008) ha escluso che la sentenza n.  348  del  2007  della
Corte Costituzionale abbia "toccato il criterio del  valore  agricolo
medio" per i suoli con destinazione agricola.