IL GIUDICE DI PACE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza, alla pubblica  udienza  del
23 settembre 2010, nel procedimento penale n.  22/09  Reg.  Gen.  del
Giudice di pace a carico di Nero Salvatore, nato il 24 novembre  1974
in Agrigento, difeso,  ex  art.  102  c.p.p.,  dagli  avv.ti  Ignazio
Valenza e Giusy Katiuscia Amato e imputato del reato p.  e  p.  dagli
artt. 81 cpv. e 582 c.p. 
 
                              F a t t o 
 
    Con atto di citazione a giudizio, notificato all'imputato  il  15
giugno 2009, il Pubblico Ministero, dott.ssa  Lucia  Brescia,  citava
per l'udienza del 22 ottobre 2009, davanti  a  questo  giudice,  Nero
Salvatore «in ordine al reato p. e p. dagli artt. 81 cpv. e 582  c.p.
perche', in esecuzione di un medesimo disegno  criminoso,  aggredendo
ripetutamente Scaglia Daniele  con  pugni  al  viso  ed  alla  testa,
nonche' al gomito sinistro ed alla gamba  destra,  gli  cagionava  le
lesioni personali  meglio  descritte  nel  referto  medico  in  atti,
giudicate guaribili in giorni cinque», in Agrigento, il  20  novembre
2008. 
    Persona offesa Scaglia Daniele, in atti  identificato,  assistito
dall'avv. Giuseppe Arnone. 
    All'udienza del 22 ottobre 2009, il Giudice di pace promuoveva la
conciliazione tra le parti e, rilevato  che  la  stessa  non  sortiva
esito  positivo,  disponeva  procedersi  oltre.  La  persona   offesa
dichiarava di volersi costituire parte civile e depositava, all'uopo,
atto di costituzione di parte civile. 
    A questo punto, la difesa dell'imputato produceva  documentazione
attestante l'avvenuta  riparazione  del  danno  cagionato  dal  reato
mediante risarcimento, ritenuto  equo  nella  misura  di  € 750,00  e
chiedeva  la  definizione  anticipata  del  procedimento   ai   sensi
dell'art. 35  del  d.lgs.  n.  274/2000.  Il  Pubblico  Ministero  si
rimetteva al Giudice  e  l'avvocato  di  parte  civile  si  opponeva,
ritenendo la somma offerta largamente inadeguata. 
    Il  Giudice  si  riservava   sulle   questioni   preliminari   e,
all'udienza del 24 dicembre 2009, ammetteva la costituzione di  parte
civile  e  rigettava  l'istanza   di   definizione   anticipata   del
procedimento,  ritenuta  la  somma  corrisposta  dall'imputato   alla
persona offesa non adeguata, allo stato, a soddisfare le esigenze  di
riprovazione del reato per i motivi di cui  all'ordinanza,  letta  in
pubblica  udienza,  da  intendersi,  in  questa  sede,  integralmente
riportata.  Si  procedeva,  quindi,  all'apertura  del  dibattimento,
all'ammissione delle prove ed all'esame di due  testimoni  (la  parte
civile  Scaglia  Daniele  ed  il  teste  Cali'  Giovanni).  All'esito
dell'escussione dei testi, il Pubblico Ministero procedeva, ai  sensi
dell'art. 516  c.p.p.,  alla  modifica  del  capo  di  imputazione  e
precisamente: la parte in cui  indicava  «gli  cagionava  le  lesioni
personali, meglio descritte nel referto  medico  in  atti,  giudicate
guaribili in giorni cinque» veniva modificata in  «gli  cagionava  le
lesioni personali, meglio  descritte  nei  referti  medici  in  atti,
giudicate guaribili in giorni quindici». 
    La  difesa  dell'imputato,  quindi,  rilevava  l'inammissibilita'
della contestazione perche' l'art. 516 c.p.p. fa riferimento a  fatti
nuovi emersi nel corso dell'istruttoria  dibattimentale  mentre,  nel
caso di specie, la certificazione medica, posta a base della modifica
del capo di imputazione, era allegata ab origine all'atto di  querela
e, pertanto, ben nota alla Pubblica accusa ed, altresi',  perche'  la
stessa era stata rilasciata dal medico curante anziche' da  personale
sanitario di struttura pubblica; il Giudice,  sentite  le  parti,  si
riservava  sulla  questione  e,  all'udienza  del  22  aprile   2010,
scioglieva la riserva, ritenendo ammissibile  la  contestazione,  con
ordinanza cui ci si riporta integralmente. 
    La  difesa  dell'imputato,  a  questo  punto,  preso  atto  della
modifica del capo di  imputazione  ai  sensi  dell'art.  516  c.p.p.,
considerato che la Corte costituzionale, con le sentenze n. 265/94  e
530/95, aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli  artt.
516 e 517 c.p.p. nella parte in cui non prevedevano  la  possibilita'
di richiedere l'applicazione di pena e l'oblazione  a  seguito  della
nuova contestazione e che la ratio sottesa ad  entrambe  le  pronunce
era esattamente la medesima che consentirebbe l'estinzione del  reato
nel caso di specie ex art. 35 del d.lgs. n. 274/2000  e,  quindi,  la
definizione anticipata del procedimento, chiedeva di  essere  rimesso
in termini al fine di effettuare la  opportuna  offerta  risarcitoria
alla parte civile, finalizzata alla richiesta di estinzione del reato
ex art. 35 del d.lgs. n. 274/00. 
    Il Giudice di pace si riservava ed, all'udienza del 23  settembre
2010, sollevava  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  del
combinato disposto degli artt.  35  del  d.lgs.  n.  274/2000  e  516
c.p.p., laddove non prevedono che, in caso di modifica  del  capo  di
imputazione  nel  corso  del  dibattimento,  anche  quando  la  nuova
contestazione concerna un fatto che  gia'  risultava  dagli  atti  di
indagine al momento  dell'esercizio  dell'azione  penale  e/o  quando
l'imputato  abbia   tempestivamente   e   ritualmente   proposto   la
definizione anticipata del procedimento  in  ordine  alle  originarie
imputazioni,  l'imputato,  in  relazione  al   fatto   diverso   come
contestato,  abbia  diritto  di  formulare  istanza  di   definizione
anticipata del procedimento ex art. 35  d.lgs.  n.  274/00  per  tale
reato ed esservi ammesso, in  presenza  dei  requisiti  previsti  dal
medesimo articolo, nonostante il  superamento  del  termine  in  esso
previsto (udienza di comparizione), ritenuta la  questione  rilevante
ai fini del decidere, non manifestamente  infondata  e  pregiudiziale
alla definizione del procedimento e disponeva  il  deposito  a  parte
della presente ordinanza, sospendendo il procedimento, salvo  l'esito
del giudizio promosso alla Corte costituzionale. 
    Sussistono, infatti, a parere di questo  decidente,  giustificati
motivi per ritenere gli artt. 35 del d.lgs. n. 274/2000 e  516  c.p.p
viziati da illegittimita' costituzionale sotto i profili che verranno
appresso specificati. 
Sulla rilevanza della questione 
    Va ritenuta rilevante la questione di legittimita' costituzionale
del combinato disposto degli artt. 516 c.p.p. e 35 d.lgs.  n.  274/00
laddove  non  prevedono  che,  in  caso  di  modifica  del  capo   di
imputazione  nel  corso  del  dibattimento,  anche  quando  la  nuova
contestazione concerna un fatto che  gia'  risultava  dagli  atti  di
indagine  al  momento  dell'esercizio  dell'azione  penale  e  quando
l'imputato  abbia   tempestivamente   e   ritualmente   proposto   la
definizione anticipata del procedimento  in  ordine  alle  originarie
imputazioni.  L'art.  35  del  decreto  legislativo  n.  274/00   non
consente, infatti, oltre l'udienza di  comparizione,  che  l'imputato
possa usufruire di quello che  puo'  essere  considerato  un  vero  e
proprio rito alternativo, non  menzionato  nel  codice  di  procedura
penale, ma introdotto con il predetto decreto sulla competenza penale
del giudice di pace  e  riguardante  esclusivamente  il  procedimento
davanti a  quest'ultimo.  L'imputato  ha  chiesto  di  potere  essere
rimesso in termini per effettuare la opportuna  offerta  risarcitoria
alla parte civile, finalizzata alla richiesta di estinzione del reato
ex  art.  35  del  d.lgs.  n.  274/00  e,  qualora   si   dichiarasse
l'illegittimita'  delle   norme   censurate,   consentendo,   quindi,
l'ammissione al rito alternativo in caso di riparazione del  danno  a
mezzo  risarcimento,  anche  oltre  l'udienza  di  comparizione,   e'
evidente che conseguirebbe il particolare esito  dell'estinzione  del
reato da dichiararsi in sentenza, per di piu' conforme a  quella  che
e'  la  ratio  del  procedimento  dinnanzi  al   Giudice   di   pace,
caratterizzato dalla celerita' del rito e dalla conciliazione tra  le
parti ove possibile: tale conclusione sarebbe, invece, impossibile in
caso di legittimita' delle disposizioni citate. 
Sulla non manifesta infondatezza 
    Violazione dell'art. 3 della Costituzione. 
    Nella disciplina vigente, di cui si prospetta la  censurabilita',
si ricollega la possibilita' di adire la procedura  alternativa  solo
qualora il fatto venga contestato  fin  dall'emissione  dell'atto  di
citazione: da cio'  consegue  che  la  possibilita'  di  ottenere  la
definizione anticipata del procedimento, per di piu', con conseguenze
sanzionatorie certe, e  con  trattamento  assai  piu'  favorevole  di
quello conseguente a una  condanna  penale,  e'  rimessa  a  soggetto
(Pubblico Ministero)  estraneo  all'imputato  in  favore  del  quale,
invece, al disciplina e' stata posta. Sembra sussistere, pertanto, la
violazione  del   principio   di   uguaglianza,   sul   piano   della
irragionevolezza   della   disciplina,   essendo   una    valutazione
discrezionale ed insindacabile del P.M.  o,  meglio,  anche  la  sola
scrupolosita' con cui quest'ultimo assume le  proprie  determinazioni
in ordine all'esercizio dell'azione penale a condizionare il rito  da
applicare  ed  a  privare  l'interessato  dei  benefici  connessi  ai
procedimenti speciali. 
    La Corte costituzionale  ha  da  tempo  riconosciuto  la  propria
competenza a sindacare la «ragionevolezza» di disposizioni  normative
che ledono il principio di uguaglianza, anche quando la legge,  senza
un ragionevole motivo, faccia un trattamento diverso ai cittadini che
si  trovino  in  situazione  uguale,   posto   che   un   trattamento
differenziato puo' trovare legittima applicazione solo ove  vi  siano
ragionevoli motivi che giustifichino tale trattamento  differenziato;
la discrezionalita'  legislativa,  quindi,  deve  trovare  sempre  un
limite nella ragionevolezza delle statuizioni volte a giustificare la
disparita' di trattamento fra cittadini. L'istituto della definizione
anticipata del procedimento si fonda sia sull'interesse  dello  Stato
di definire con economia di tempo e di spese i procedimenti  relativi
ai reati di minore importanza, sia sull'interesse del  contravventore
di  evitare  l'ulteriore  corso  del  procedimento  e  la   eventuale
condanna, con tutte le conseguenze di essa (cfr. sentenza n. 207  del
1974 e sentenza n. 530 del 1995). Effetto tipico  di  tale  forma  di
definizione anticipata del procedimento e',  infatti,  la  estinzione
del reato, per cui appare del  tutto  evidente  come  la  domanda  di
ammissione dell'imputato  esprima  una  modalita'  di  esercizio  del
diritto di difesa. Considerate,  quindi,  la  natura  e  la  funzione
dell'istituto in esame sopra indicate, la preclusione dell'accesso al
medesimo - e ai  connessi  benefici  -  nel  caso  in  cui  il  reato
suscettibile di estinzione ex art. 35 d.lgs.  n.  274/00  costituisca
oggetto di contestazione nel corso dell'istruzione dibattimentale per
modifica ai sensi dell'art. 516 c.p.p., risulta  priva  di  razionale
giustificazione. L'avvenuto superamento del limite temporale (udienza
di comparizione) previsto, in linea  generale,  per  la  proposizione
della domanda di definizione  anticipata  del  procedimento  mediante
risarcimento del danno (e la cui  ratio  e'  quella  di  evitare  che
l'imputato possa vanificare l'attivita' processuale a  seconda  degli
esiti  del  dibattimento)  non  e',  infatti,  nel  caso  in   esame,
riconducibile a libera scelta dell'imputato, e cioe'  ad  inerzia  al
medesimo addebitabile, sol  che  si  consideri  che  la  facolta'  in
discussione non puo' che sorgere nel momento stesso in cui  il  reato
e' oggetto di contestazione. 
    L'art. 3 della Costituzione risulta  violato  anche  sotto  altro
aspetto. La disciplina, infatti, si presta anche ad  una  censura  di
disparita'  di  trattamento  di  situazioni  identiche;  colui   che,
infatti, abbia commesso lo stesso reato, ma  abbia  «la  fortuna»  di
essere imputato per quello, puo' chiedere la  definizione  anticipata
del procedimento; tale possibilita' e', invece,  negata  all'imputato
cui l'addebito sia mosso in dibattimento. Nel caso di specie, per  di
piu', non si ravvisa, come ribadito, alcuna  inerzia  nella  condotta
processuale  dell'imputato,  il  quale  aveva  gia'  optato  per  una
definizione anticipata del processo. La disparita' e' anche,  quindi,
tra imputati per i quali non  sia  stato  aperto  il  dibattimento  e
imputati che chiedono la definizione anticipata del processo  per  il
reato  risultante  dalla  modifica  dell'imputazione  fatta  a  norma
dell'art.  516  c.p.p.,  qualora  in   precedenza,   all'udienza   di
comparizione,  tale  richiesta  era  stata   fatta   per   il   reato
originariamente contestato nell'atto di citazione a  giudizio  e  non
accolta. 
Violazione degli artt. 24 e 111 della Costituzione 
    L'art. 24 Cost. prevede che: «Tutti possono agire in giudizio per
la tutela dei propri diritti ed interessi  legittimi.  La  difesa  e'
diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento». 
    Ritiene questo giudice, a  fronte  della  modifica  del  capo  di
imputazione ex art. 516 c.p.p., che all'imputato non  sia  assicurato
l'esercizio del diritto di difesa, in violazione dell'art.  24  della
Costituzione, in quanto  la  determinazione  unilaterale  dell'organo
dell'accusa, il quale, pur a conoscenza del fatto diverso, omette  la
contestazione nell'atto di citazione a giudizio, priva l'imputato  di
una  delle  possibili  opzioni  processuali.  Nel  caso  di   specie,
precludendo, quindi, alla parte di ridelineare la  propria  strategia
difensiva in seguito alla modificazione dell'imputazione, si  finisce
per fare ricadere su di essa gli  effetti  dell'errore  commesso  dal
Pubblico Ministero che ha formulato una ipotesi  penale  difforme  da
quella reale. La variazione del capo  di  imputazione,  nel  caso  di
specie,  non  e'  determinata  da  una  evenienza   fisiologica   del
procedimento, nel senso che non si tratta di contestazione suppletiva
originata  dall'istruttoria  dibattimentale,  per  cui  il   relativo
rischio rientrerebbe, semmai, nel calcolo  dell'imputato,  bensi'  da
una  patologia  processuale,  originata  da  un  errore   dell'organo
dell'accusa  ovvero   da   una   scelta,   insindacabile   da   parte
dell'imputato,  del  Pubblico  Ministero,  circa   la   delimitazione
dell'area dei fatti peri quali ha inteso esercitare  l'azione  penale
attraverso l'emissione dell'atto di citazione, che,  proprio  perche'
tale, non puo' risolversi in un pregiudizio per  l'imputato  di  essa
non responsabile, il quale ha il diritto di  prediligere  la  propria
strategia difensiva, previa valutazione informata e consapevole. 
    Nel caso di specie, per  di  piu',  nessuna  inerzia,  come  gia'
ribadito, puo' addebitarsi all'imputato, il quale aveva gia'  chiesto
la  definizione  anticipata  del  procedimento,  a  meno  di   volere
ipotizzare  un  (insussistente)  dovere  di  autodenuncia  di   fatti
ulteriori rispetto  a  quelli  enunciati  nell'atto  di  citazione  a
giudizio  per  prevenire  l'eventuale  contestazione  nel  corso  del
dibattimento. 
    Inoltre, dal momento che l'operato del Pubblico Ministero risulta
assistito da una presunzione di legalita' e, soprattutto, dal momento
che il principio di completezza delle indagini preliminari piu' volte
ribadito  dalla  Consulta,  comportano   un   legittimo   affidamento
dell'imputato  sulle  scelte   compiute   dal   PM,   consentire   la
contestazione  suppletiva  di  fatti  di  reato  e  circostanze  gia'
conosciute al  PM  ma  non  contestati  con  l'atto  di  citazione  a
giudizio,  equivarrebbe  a  legittimare   la   situazione   in   cui,
volutamente, il PM lascia incomplete le indagini al fine di  impedire
l'accesso al rito  alternativo.  Paradossalmente  si  dovrebbe  anche
ritenere necessario, sempre e comunque,  dubitare  della  buona  fede
dell'organo dell'accusa e valutare la possibilita' che  egli  formuli
l'imputazione per il reato X, meditando pero',  previa  vanificazione
della  facolta'  di  richiedere   la   definizione   anticipata   del
procedimento, e, quindi, nel caso  in  cui  il  giudicante  ritenesse
incongrua l'offerta  gia'  formulata,  di  ottenere  una  piu'  grave
sanzione per il reato Y a lui gia'  noto  anche  se  non  ritualmente
contestato. 
    Pertanto la Corte in precedenti pronunce,  ha  affermato  che  e'
necessario offrire riparo ad una patologia processuale  che,  proprio
perche' tale, non puo' risolversi in un pregiudizio per l'imputato di
essa non responsabile (sent. n. 76/1993). 
    Risulta  violato,  a  parere  di  questo  giudicante,  anche   il
principio del giusto processo  (art.  111  della  Costituzione),  che
implica la lealta'  processuale  delle  parti,  dal  momento  che  la
normativa di cui si denuncia la censurabilita' pone le  parti  su  un
piano di assoluta disparita', rispetto al dettato di cui all'art. 111
della Costituzione.