Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2110 del codice
civile promosso dal Tribunale di Arezzo nel procedimento vertente tra
S. M. e l'INPS con ordinanza del 16 giugno 2009 iscritta  al  n.  281
del registro ordinanze 2009 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 47, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di costituzione  di  S.  M.  e  dell'INPS  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  16  novembre  2010  il  giudice
relatore Maria Rita Saulle; 
    Uditi l'avvocato Antonietta Coretti per l'INPS e l'avvocato dello
Stato Maria Gabriella Mangia per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Arezzo, con ordinanza emessa  il  16  giugno
2009 nel corso di un giudizio promosso da  S.  M.  contro  l'Istituto
Nazionale  della  Previdenza  Sociale  (INPS),   ha   sollevato,   in
riferimento agli artt. 3, 32 e 38 della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2110 del codice  civile,  nella
parte in cui prevede  che  al  lavoratore  sottoposto  a  dialisi  e'
attribuita l'indennita' di malattia nel limite  di  centottantagiorni
in un anno. 
    Il giudice a quo, in punto di fatto, riferisce che il ricorrente,
affetto da insufficienza renale, nel corso dell'anno 2007, dopo  aver
usufruito del numero massimo di giorni di malattia  per  i  quali  e'
prevista la relativa indennita',  si  e'  assentato  dal  lavoro  per
sottoporsi al trattamento di dialisi per ulteriori diciassette giorni
per i quali l'INPS, in applicazione dell'art. 2110 cod. civ., non  ha
riconosciuto il suddetto beneficio. 
    Il suddetto diniego era conseguenza del fatto che l'Istituto,  ai
fini del calcolo dei giorni per i quali e' prevista  l'indennita'  in
esame, somma le giornate di assenza dal lavoro per l'esecuzione della
terapia dialitica a quelle conseguenti a un'altra eventuale  malattia
che determina l'incapacita' lavorativa. 
    Cosi' riportata  la  fattispecie  sottoposta  al  suo  esame,  il
Tribunale ritiene la disciplina contenuta nell'art.  2110  cod.  civ.
non ragionevole e contraria al principio di  uguaglianza,  in  quanto
prevede  una  tutela  attenuata   per   i   lavoratori   affetti   da
insufficienza renale rispetto a quelli colpiti da tubercolosi o da un
infortunio sul lavoro che, sottoposti ad una differente  e  specifica
normativa, possono godere dell'indennita' di malattia anche oltre  il
termine di centottanta giorni. 
    Il remittente ritiene, poi, l'art. 2110 cod.  civ.  in  contrasto
con 1'art. 38, secondo comma, Cost. e, in particolare, con i principi
di solidarieta' sociale da esso previsti  a  tutela  dei  lavoratori,
volti a garantire a questi ultimi «mezzi adeguati» alle loro esigenze
di vita proprio in caso di malattia. 
    Infine,  la  norma  censurata   violerebbe   l'art.   32   Cost.,
rappresentando la  salute  un  diritto  fondamentale  finalizzato  «a
garantire le condizioni  di  integrita'  psico-fisica  delle  persone
bisognose di cura», soprattutto allorquando ricorrano circostanze  di
indispensabilita' come nei casi in cui, per i dializzati,  si  e'  in
presenza di trattamenti «salvavita». 
    Il Tribunale osserva, poi, che la rilevanza «della questione  del
giudizio a quo risiede nel fatto che essa  dipende  dall'accoglimento
della domanda nel merito». 
    2. - Si e' costituito in  giudizio  il  ricorrente  nel  giudizio
principale chiedendo l'accoglimento della sollevata questione. 
    La parte privata, dopo aver riportato  le  norme  che  nel  tempo
hanno  disciplinato  le  prestazioni  economiche  che   spettano   al
lavoratore in caso di malattia, rileva che dalla  formulazione  della
norma  impugnata  si  evince  che  solo  l'infortunio,  la   malattia
professionale, la gravidanza e il puerperio,  in  quanto  oggetto  di
trattamenti  previdenziali  differenziati,  non  sono  sottoposti  al
limite massimo di periodo indennizzabile da essa previsto. 
    Il ricorrente nel  giudizio  a  quo  ritiene,  pertanto,  che  la
mancata inclusione tra tali ipotesi dei trattamenti dialitici si pone
in contrasto con i parametri costituzionali indicati dal remittente. 
    3. - Si e' costituito  in  giudizio  l'Istituto  Nazionale  della
Previdenza Sociale (INPS) chiedendo, in via preliminare, che la Corte
dichiari la questione inammissibile. 
    3.1  -  Rileva  l'Istituto  che   il   remittente   non   avrebbe
correttamente individuato la norma applicabile nel  giudizio  a  quo,
essendo il ricorrente  un  dipendente  di  una  societa'  che  svolge
attivita' di commercio e  risultando,  pertanto,  a  lui  applicabile
l'art. 3 del d.lgs. C.p.S. 31 ottobre 1947, n. 1304  (Trattamento  di
malattia    dei    lavoratori    del    commercio,    del    credito,
dell'assicurazione e dei servizi tributari appaltati), il quale fissa
in centottanta giorni il periodo massimo di  malattia  indennizzabile
per il lavoratore. 
    Sempre  in  punto  di  ammissibilita',  l'INPS  osserva  che   il
rimettente  ha  omesso  di  verificare  se  il  contratto  collettivo
nazionale  applicabile  nel  caso  di   specie   preveda,   o   meno,
un'ulteriore tutela della malattia rispetto a  quella  previdenziale.
Il legislatore, infatti, avrebbe rimesso all'autonomia collettiva  la
possibilita' di porre a  carico  del  datore  di  lavoro  l'eventuale
riconoscimento dell'indennita'  di  malattia  anche  per  un  periodo
superiore a quello fissato in via generale dalla legge. 
    3.2 - Nel merito l'Istituto di previdenza  ritiene  la  questione
non fondata. 
    Quanto alla presunta violazione dell'art. 3  della  Costituzione,
l'INPS si limita ad osservare che le fattispecie  poste  a  raffronto
sono tra loro eterogenee, in quanto la tutela  privilegiata  prevista
per i casi di tubercolosi si giustifica  con  il  fatto  che  a  tale
malattia era collegata un'elevata mortalita' e una estrema  facilita'
di trasmissione, tali  da  fare  qualificare  questa  patologia  come
malattia sociale. 
    Analoghe considerazioni valgono per la tutela prevista per i casi
di  infortunio  sul  lavoro  o  malattia  professionale,  la   quale,
peraltro, risulta  affidata  ad  un  ente  diverso  dall'INPS,  cioe'
all'INAIL. 
    Quanto alla presunta  violazione  degli  artt.  32  e  38  Cost.,
l'Istituto osserva che il  remittente  ha  richiesto  alla  Corte  un
intervento lasciato alla discrezionalita' del legislatore,  derivando
proprio dall'eventuale accoglimento della sollevata questione  quella
irragionevolezza tra situazioni  analoghe  lamentata  dal  Tribunale.
Resterebbero, infatti, esclusi dalla estensione del  periodo  massimo
indennizzabile  i  lavoratori   sottoposti   a   trattamenti   medici
altrettanto rilevanti rispetto a quello oggetto del caso concreto. 
    4. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il quale ha concluso per una pronuncia di  inammissibilita'  o
infondatezza della questione. 
    In via preliminare, la difesa erariale rileva che la questione ha
ad oggetto l'art. 2110 cod. civ. il quale, pero',  rimette  ad  altre
fonti la determinazione del periodo massimo indennizzabile in caso di
malattia del lavoratore. 
    Nel merito  l'Avvocatura  osserva  che  la  disciplina  contenuta
nell'art. 2110 cod. civ. e'  frutto  dell'esercizio  legittimo  della
discrezionalita' del legislatore, potendosi ravvisare  una  eventuale
violazione dei parametri costituzionali indicati dal remittente  solo
nel caso in cui nella disposizione indicata venga  esclusa,  ai  fini
del riconoscimento della menzionata indennita', una  qualsiasi  forma
di malattia. 
    In particolare,  quanto  alla  presunta  violazione  dell'art.  3
Cost.,  non  sarebbe  irragionevole  la  scelta  del  legislatore  di
riservare una  particolare  disciplina  per  le  persone  affette  da
tubercolosi, stante la differenza che esiste  tra  tale  patologia  e
quella da cui e' affetto il ricorrente nel giudizio principale. 
    Anche le censure che hanno come riferimento gli  artt.  32  e  38
Cost. sarebbero infondate, in quanto,  da  un  lato,  tali  parametri
rimettono al legislatore la determinazione  dell'entita'  delle  cure
che devono essere garantite dallo Stato; e, dall'altro,  non  risulta
che quelle di cui ha usufruito il ricorrente nel giudizio  principale
non abbiano soddisfatto il requisito dell'adeguatezza richiesto dalle
indicate norme costituzionali. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale di Arezzo dubita, in riferimento agli artt.  3,
32  e  38  della  Costituzione,  della  legittimita'   costituzionale
dell'art. 2110 del  codice  civile,  nella  parte  in  cui  limita  a
centottanta giorni  all'anno  il  riconoscimento  dell'indennita'  di
malattia a favore del lavoratore che si sottopone a dialisi. 
    2. - Il giudizio principale ha ad oggetto il ricorso proposto  da
una  persona  affetta  da  insufficienza  renale  contro   l'Istituto
Nazionale della Previdenza  Sociale  (INPS)  e,  in  particolare,  il
diniego da esso opposto al riconoscimento dell'indennita' di malattia
per i giorni eccedenti il limite sopra indicato. 
    Il limite in tal senso imposto dall'art. 2110 cod. civ.  sarebbe,
a parere del remittente,  in  contrasto  con  gli  evocati  parametri
costituzionali,  in  quanto  prevede  una  tutela  attenuata  per   i
lavoratori sottoposti  a  dialisi  rispetto  a  quella  garantita  al
lavoratore in stato di infortunio o colpito da tubercolosi. 
    Tale disciplina, oltre ad essere irrazionale e in  contrasto  con
il  principio  di  uguaglianza,  non  garantirebbe  il  rispetto  dei
principi fissati dagli artt. 32 e 38  della  Costituzione  in  ordine
alla adeguatezza delle cure e al sostegno economico che lo Stato deve
garantire ai lavoratori in occasione della malattia. 
    3. - La questione e' inammissibile per l'inesatta identificazione
del   quadro   normativo   rispetto   al    sollevato    dubbio    di
costituzionalita' (ex plurimis ordinanza n. 92 del 2009). 
    L'art. 2110, primo comma,  cod.  civ.  prevede  che  in  caso  di
infortunio, di malattia, di gravidanza o di puerperio,  se  la  legge
non stabilisce forme equivalenti di previdenza o  di  assistenza,  e'
dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un'indennita'  nella
misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dagli  usi  o
secondo equita'. 
    Tale disposizione si limita a garantire, in caso di malattia  del
lavoratore, il diritto al trattamento economico ed alla conservazione
del posto di lavoro nella misura e nei tempi determinati dalla  legge
e dalle norme contrattuali. Essa, quindi, non  determina  il  termine
massimo indennizzabile per  i  periodi  di  malattia  dei  lavoratori
riservando  tale  disciplina  a  altre  fonti  legali,  ai  contratti
collettivi, agli usi e all'equita'. 
    Il Tribunale ha ricostruito il quadro normativo senza tener conto
di tali ulteriori fonti applicabili  nel  caso  di  specie  quale  il
d.lgs. C.p.S. 31 ottobre 1947, n. 1304 (Trattamento di  malattia  dei
lavoratori del  commercio,  del  credito,  dell'assicurazione  e  dei
servizi tributari appaltati), il quale in caso  di  malattia  pone  a
carico dell'allora Istituto Nazionale per l'Assicurazione  contro  le
Malattie (INAM), al quale oggi e'  subentrato  l'INPS,  il  pagamento
della relativa indennita'. In  particolare,  l'art.  3  espressamente
stabilisce che «L'indennita' giornaliera  di  malattia  e'  dovuta  a
decorrere dal quarto giorno di malattia e per un periodo  massimo  di
180 giorni in un anno». 
    L'indicazione del periodo massimo  indennizzabile  e'  stata  poi
ripresa dal contratto collettivo nazionale di lavoro per i dipendenti
da aziende del commercio, dei servizi e del terziario,  stipulato  il
24 luglio 2004, che all'art. 104 prevede che «Durante la malattia, il
lavoratore non in prova ha diritto alla conservazione del  posto  per
un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare [...]», precisando
il successivo  art.  105  (Trattamento  economico  di  malattia)  che
«Durante il periodo di malattia, previsto  dall'articolo  precedente,
il lavoratore avra' diritto alle normali scadenze dei periodi di paga
[...]». 
    L'inconferenza della disposizione censurata  nonche'  il  mancato
esame  da  parte  del  remittente  delle  disposizioni   indicate   e
l'incompleta  ricostruzione  del  quadro  normativo  di   riferimento
compromettono l'iter logico argomentativo posto  a  fondamento  della
sollevata censura e ne determinano  l'inammissibilita'  precludendone
lo scrutinio.