IL TRIBUNALE A scioglimento della riserva di cui al verbale di udienza che precede, letti gli atti, esaminati i documenti di causa, viste le richieste delle parti, ha pronunciato la seguente ordinanza ex art. 23 legge 11 marzo 1953. n. 87 nella nella causa iscritta al n. 1525 R.G. A. C. del 2009 avente ad oggetto: computo della 13ª della mensilita' nel calcolo dell'indennita' supplementare di cui alla legge regionale n. 8/2005, vertente tra Basta Giuliana, rappresentata e difesa dagli avv.ti Rosario Chiriano ed Elisabetta Chiriano, nello studio dei quali e' elettivamente domiciliata in Catanzaro, corso Mazzini n 20, in virtu' di procura a margine del ricorso introduttivo; ricoprente; Contro Regione Calabria, in persona del Presidente della Giunta regionale - legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avvv. Rodolfo Elia dell'Avvocatura Regionale, con domicilio eletto in Catanzaro, viale Cassiodoro n. 50, presso gli uffici dell'Avvocatura medesima; resistente. F a t t o Con ricorso depositato in data 19 magio 2009 la ricorrente, gia' dipendente della Regione Calabria presso l'Assessorato ai Lavori Pubblici, esponeva di aver presentato domanda di risoluzione consensuale del rapporto ai sensi della legge regionale n. 8/2005. Tale normativa era finalizzata a realizzare il contenimento delle spesa pubblica e ad accelerare il processo di riorganizzazione dell'Amministrazione, consentendo ai dipendenti titolari di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato di almeno due anni, di usufruire, quale incentivo alla risoluzione consensuale, di «un'indennita' supplementare pari a otto mensilita' della retribuzione lorda spettante alla data della predetta risoluzione, per ogni anno derivante dalla differenza fra 65 anni e l'eta' anagrafica individuale, espressa in anni, posseduta alla data di cessazione del rapporto di lavoro, calcolati per un massimo di sei anni» (cfr. art. 7, legge regionale n. 8/2005). In data 26 ottobre 2005, era stato sottoscritto il contratto di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro tra le parti, nel quale, tra gli emolumenti da corrispondere alla ricorrente, era ricompresa l'indennita' supplementare di cui al citato art. 7, da calcolarsi secondo la predetta disposizione legislativa e le modalita' applicative di cui all'art. 11 della delibera della Giunta Regionale n. 532 del 30 maggio 2005 in base al quale l'indennita' in questione «si compone di tutti quegli elementi che assumono i connotati di compenso fisso, continuativo e costante e generale, con eccezione di quelli occasionali.». Nonostante la chiara enunciazione della descritta disciplina, la Regione Calabria aveva omesso di computare il rateo di tredicesima mensilita' quale componente della retribuzione lorda spettante al momento della risoluzione e quindi come base di calcolo dell'indennita' supplementare in questione. A nulla erano valsi i tentativi stragiudiziali di bonario componimento, negando l'Amministrazione di dover computare il rateo di tredicesima mensilita' allo scopo di determinare l'ammontare della citata indennita'. Successivamente, la legge regionale n. 15 del 13 giugno 2008, art. 44 (interpretazione autentica art. 7 legge regionale 2 marzo 2005, n. 8), aveva disposto al comma 2: «l'art. 7, comma 6, della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8, deve essere inteso nel senso che la retribuzione lorda spettante alla data di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, utile ai fini della definizione dell'indennita' supplementare prevista dalla medesima legge, e' quella individuata, per il personale in posizione non dirigenziale alla cessazione volontaria dal servizio, all'art. 52, lettera c), del CCNL 1999 e successive modifiche con esclusione nelle determinazione della citata indennita' del rateo di tredicesima mensilita'.». In applicazione di tale ultima disposizione, la Regione aveva negato alla ricorrente le spettanze richieste. La ricorrente affermava che, alla luce della giurisprudenza costituzionale in tema di norme di interpretazione autentica, la disposizione di cui al citato art. 44, legge regionale n. 15/2008 doveva ritenersi costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 3, 111 Cost. nonche' art. 6 della CEDU. La disposizione si poneva, in particolare, in contrasto con i principi di ragionevolezza, certezza del diritto, affidamento nonche' equo processo e parita' delle parti di cui alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Nel merito, concludeva chiedendo la condanna dell'Amministrazione al pagamento della differenza tra quanto percepito a titolo di indennita' supplementare, e quanto alla stessa spettante in virtu' dell'inclusione del rateo di tredicesima mensilita' nella base di calcolo della stessa. Si costituiva la Regione con memoria depositata il 30 marzo 2010 rilevando l'infondatezza della pretesa della ricorrente alla luce della nuova normativa regionale. Rilevava, in particolare, la piena legittimita' costituzionale del citato art. 44, ben potendo il legislatore attribuire efficacia retroattiva ad una disposizione di legge, non godendo l'irretroattivita' di una copertura costituzionale se non in materia penale. D i r i t t o 1. Sulla violazione dell'art. 3 della Costituzione. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 44, comma 2, legge regionale della Calabria n. 15/2008 non e' manifestamente infondata. La disposizione cosi' recita: «l'art. 7, comma 6, della legge regionale 2 marzo 2005, n. 8, deve essere inteso nel senso che la retribuzione lorda spettante alla data di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, utile ai fini della definizione dell'indennita' supplementare prevista dalla medesima legge, e' quella individuata, per il personale in posizione non dirigenziale alla cessazione volontaria dal servizio, all'art. 52, lettera c), del CCNL 1999 e successive modifiche con esclusione nelle determinazione della citata indennita' del rateo di tredicesima mensilita' ...» Si dubita della legittimita' della norma ora riportata nella parte in cui, a tre anni di distanza dall'emanazione del citato art. 7 legge regionale n. 8/2005, prevede nuovi criteri di determinazione dell'indennita' supplementare (c.d. incentivo all'esodo) escludendo dalla base di calcolo della stessa, la tredicesima mensilita'. Sul punto, si osserva come secondo la disciplina contenuta nella norma oggetto di interpretazione, e' attribuita ai dipendenti con contratto di lavoro a tempo indeterminato da almeno due anni la possibilita' di presentare alla Regione proposta per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro a fronte della corresponsione di un'indennita' supplementare pari a otto mensilita' della «retribuzione lorda spettante alla data della predetta risoluzione, per ogni anno derivante dalla differenza fra 65 anni e l'eta' anagrafica individuale, espressa in anni, posseduta alla data di cessazione del rapporto di lavoro, calcolati per un massimo di sei anni». La stessa Regione Calabria ha altresi' formulato, in data 30 maggio 2005, i criteri applicativi della predetta disposizione normativa, pubblicati con Deliberazione della Giunta regionale n. 532. Sul punto, la citata delibera, prevede che «l'indennita' prevista dalla legge regionale in questione rappresenta un incentivo all'esodo ed ha carattere aggiuntivo rispetto alla indennita' di fine servizio normalmente spettante al pubblico dipendente ... e si compone di tutti quegli elementi che assumono i connotati di compenso fisso, continuativo, costante e generale, con eccezione di quelli occasionali od elargiti a titolo di ristoro ed indennizzo per la particolare gravosita' delle mansioni richieste (es. indennita' di struttura)». A fronte di tale quadro normativo, la ricorrente ha formulato proposta si risoluzione consensuale del rapporto, sottoscrivendo apposito contratto, il cui punto 5 rinvia espressamente alle modalita' di calcolo descritte nella citata Delibera della Giunta regionale n. 532 del 30 maggio 2005. In considerazione dell'errata determinazione dell'indennita' in questione, ed seguito di numerose diffide stragiudiziali al fine di sollecitare il corretto adempimento, la Regione Calabria e' intervenuta con la censurata disposizione normativa, rideterminando le modalita' di calcolo dell'indennita' supplementare. Ebbene, non v'e' dubbio che nell'ambito del quadro normativo e regolamentare previgente, l'indennita' in questione dovesse essere calcolata in riferimento alla retribuzione lorda spettante al momento della risoluzione, per tale intendendosi quella formata da tutti quegli emolumenti aventi carattere di continuita' e generalita', dovendosi quindi comprendere anche il rateo della tredicesima mensilita'. La disposizione'era senza dubbio chiara sul punto e non necessitava di alcuna interpretazione. Ne deriva, pertanto, la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla ricorrente in riferimento ai principi di ragionevolezza, certezza delle situazioni giuridiche nonche' di tutela del legittimo affidamento. Sul punto, si osserva come la giurisprudenza costituzionale ha piu' volte affermato che il legislatore puo' adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative quando sussista una situazione di incertezza nell'applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali e quando la scelta imposta dalla legge rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con cio' vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore (v., tra le altre, le sentenze n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994 e l'ordinanza n. 480 del 1992). Inoltre la stessa Corte ha avuto modo di affermare, in piu' di un'occasione (da ultimo, sentenza n. 234 del 2007), che non e' decisivo verificare se la norma censurata abbia carattere effettivamente interpretativo (e sia percio' retroattiva) ovvero sia innovativa con efficacia retroattiva, trattandosi in entrambi i casi di accertare se la retroattivita' della legge, il cui divieto non e' stato elevato a dignita' costituzionale salvo che per la materia penale, trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non contrasti con altri valori ed interessi costituzionalmente protetti. Pertanto, l'effettivo problema da affrontare nella presente fattispecie investe sostanzialmente i limiti che il legislatore incontra nell'attribuire efficacia retroattiva ad una determinata disposizione di legge. In proposito, la stessa Corte ha individuato, oltre alla materia penale, altri limiti che attengono alla salvaguardia di norme costituzionali (v., ex plurimis, le citate sentenze n. 311 del 1995 e n. 397 del 1994), tra i quali i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, quello della tutela dell'affidamento legittimamente posto sulla certezza dell'ordinamento giuridico, e quello del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (cio' che vieta di intervenire per annullare gli effetti del giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie sub iudice). Nel caso di specie,si dubita che la lettura del citato art. 7 fornita dal successivo art. 44 censurato, possa ritenersi in qualche modo ricompresa in una delle possibili letture della disposizione originaria. Si osserva, in particolare, come l'art. 7 contenga un rinvio sostanziale alla definizione contrattuale di retribuzione lorda, per tale intendendosi, ai sensi dell'art. 10 (che sostituisce integralmente l'art. 52 CCNL 2000) CCNL biennio 2004-2005, la «retribuzione globale di fatto mensile o annuale che e' costituita dall'importo della retribuzione individuale per 12 mensilita' cui si aggiunge il rateo della 13ª mensilita' ... sono escluse le somme corrisposte a titolo di rimborso spese o a titolo di indennizzo nonche' quelle pagate per trattamento di missione fuori sede e per trasferimento». Ne discende, pertanto, che la portata precettiva della nuova disposizione non e' compatibile, come possibile opzione interpretativa, con la disciplina previgente, che deponeva, al contrario, nel senso dell'inclusione delle voci retributive costanti e continuative (e quindi anche del rateo di tredicesima mensilita') nel concetto di retribuzione lorda percepita al momento di' risoluzione del rapporto. Non e', inoltre, priva di rilevanza la circostanza relativa all'interpretazione dell'art. 7 fornita dalla stessa Regione poco tempo dopo la sua emanazione. Fornendo con Deliberazione della Giunta regionale n. 532 del 30 maggio 2005 i criteri applicativi,la Regione ha infatti chiaramente esplicato il significato e la portata della disposizione in questione, affermando che l'indennita' supplementare «si compone di tutti quegli elementi che assumono i connotati di compenso fisso, continuativo, costante e generale, con eccezione di quelli occasionali od elargiti a titolo di ristoro ed indennizzo per la particolare gravosita' delle mansioni richieste (es. indennita' di strutturara)». Pur non trattandosi di una disposizione di rango legislativo, la delibera ora riportata e' senza dubbio chiara espressione di una prassi applicativa incontroversa. La nuova interpretazione, infatti, attribuisce all'art. 7 un significato di certo non ricompreso in una delle possibili letture della disposizione, andando ad escludere il rateo di tredicesima mensilita' dalla definizione complessiva di retribuzione. In primo luogo, pertanto, la norma censurata, deve considerarsi lesiva dei canoni costituzionali di ragionevolezza nel momento in cui non si limita ad assegnare alla disposizione interpretata un significato riconoscibile come una delle possibili letture del testo originario (cfr, sentenze n. 374 del 2002, n. 29 del 2002; n. 525 del 2002; 74 del 2006; n. 74 del 2008 e da ultimo n. 24 del 2009). In secondo luogo, occorre in particolare soffermarsi sull'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica. La Corte ha infatti piu' volte (sentenze n. 416 del 1999 e n. 211 del 1997) valorizzato il principio dell'affidamento legittimamente posto dal cittadino sulla certezza e sicurezza dell'ordinamento giuridico, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, che non puo' essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti. Nel caso di specie, la disposizione censurata e' venuta a determinare, in modo retroattivo, una sostanziale decurtazione dell'ammontare dell'indennita' supplementare tradendo l'affidamento che i dipendenti regionali, aderendo alla proposta di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, avevano riposto nella certezza della inclusione del rateo di tredicesima mensilita' nella base di calcolo dell'indennita' in questione. Ed infatti, !a disposizione censurata, interferisce inevitabilmente anche sulla regolamentazione giuridica del rapporto tra le parti, andando a modificare situazioni gia' consolidate ed acquisite al patrimonio giuridico dei dipendenti. L'irragionevolezza dell'intervento legislativo e', infatti, evidente ove si pensi che, nella specie, i dipendenti pubblici sono stati indotti stipulare i relativi contratti di risoluzione del rapporto confidando nella convenienza riferita a quello specifico quadro normativo. Nella valutazione dei motivi per la stipulazione dell'accordo non poteva non essere presente la consapevolezza della disciplina vigente in tema di calcolo dell'indennita' supplementare, ivi compresa l'inclusione del rateo di tredicesima mensilita'. La norma successiva non puo', infatti, tradire l'affidamento del privato sull'avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali (sentenze n. 156 del 2007 e n. 416 del 1999), pur se dettata dalla necessita' di riduzione del contenzioso o di contenimento della spesa pubblica (sentenza n. 374 del 2002) o per far fronte ad evenienze eccezionali (sentenza n. 419 del 2000). Essa interviene su situazioni in cui si e' consolidato l'affidamento del privato riguardo alla regolamentazione giuridica del rapporto, dettando una disciplina con esso contrastante, e sbilanciandone l'equilibrio a favore di una parte (quella pubblica) a svantaggio dell'altra (quella privata). Ulteriormente tale lesione ravvisa per il fatto che il legislatore regionale ha omesso di salvaguardare attraverso idonei strumenti normativi la posizione dei lavoratori che, in applicazione della disposizione preesistente, avessero ottenuto la liquidazione di un incentivo all'esodo secondo criteri piu' favorevoli rispetto a quelli previsti dalla legge di interpretazione. Pertanto, la disposizione denunciata contrasta con l'art. 3 Cost., costituendo un'ipotesi di esercizio irrazionale del potere del legislatore di emanare norme interpretative. 1.2. Sulla rilevanza della questione. In punto di rilevanza della questione si Osserva che, con tutta evidenza, qualora la disposizione regionale sulla base della quale si e' determinata l'indennita' supplementare in favore della ricorrente venisse dichiarata incostituzionale, dovrebbe essere accolta la domanda giudiziale promossa dalla stessa in ordine, all'inclusione del rateo di tredicesima nella base di calcolo della detta indennita', con diritto della Basta al pagamento delle relative differenze. 2. Sulla violazione dell'art. 111 della Costituzione e dell'art. 6 della CEDU. La questione di legittimita' costituzione sollevata in riferimento all'art. 111 della Costituzione ed all'art. 6 della CEDU deve ritenersi manifestamente infondata. Si osserva, sul punto, come il citato art. 6, prescrivendo il diritto ad un giusto processo dinanzi ad un tribunale indipendente ed imparziale, imporrebbe al potere legislativo di non intromettersi nell'amministrazione della giustizia allo scopo di influire sulla singola causa o su di una determinata categoria di controversie, attraverso norme interpretative che assegnino alla disposizione interpretata un significato vantaggioso per lo Stato parte del procedimento. Ad avviso di parte ricorrente il legislatore nazionale avrebbe emanato una norma interpretativa in presenza di un notevole contenzioso, in tal modo violando il principio di «parita' delle armi». La conseguenza e' che il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della CEDU, si traduce in una violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. Nel caso di specie, la questione da un lato e' mal posta, non avendo parte ricorrente indicato il corretto parametro costituzionale di riferimento, dall'altro risulta comunque manifestamente infondata, essendo il legislatore regionale intervenuto con la disposizione censurata allorquando la controversia in questione non era ancora sorta. Ed infatti, secondo un costante orientamento della Corte europea dei diritti dell'uomo, (casi Raffineries Grecques Stran e Stratis Andreadis c. Grecia del 9 dicembre 1994, e Zielinski e altri c. Francia, del 28 ottobre 1999) deve censura rasi la prassi di interventi legislativi sopravvenuti, che modifichino retroattivamente in senso sfavorevole per gli interessati le disposizioni di legge attributive di diritti, la cui lesione abbia dato luogo ad azioni giudiziarie ancora pendenti all'epoca della modifica. Nel caso di specie, se da un lato e' evidente come il legislatore sia intervenuto «in vista» delle future controversie, dall'altro il giudizio in questione non era stato ancora instaurato (cfr. richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione del 1 luglio 2008). Ne discende, pertanto, anche in riferimento all'art. 111 della Costituzione (per il quale parte ricorrente svolge le medesime argomentazioni), la manifesta infondatezza della questione.