IL TRIBUNALE Il G.E. sciogliendo la riserva che precede, osserva quanto segue. 1. Fatto e svolgimento del processo. Il concessionario Equitalia Nomos ha iniziato procedura di riscossione esattoriale (rubricata al n. 457/09 R.E.) con avviso di vendita regolarmente trascritto e notificato in danno del debitore Moramarco Giovanni per un credito tributario pari ad € 48.621,49, risultante dagli estratti di ruolo versati in atti. Nella procedura, hanno avuto ritualmente luogo e sono andati deserti tre esperimenti di incanto sull'immobile pignorato alle date del 27 gennaio 2009, 17 febbraio 2009 e 10 marzo 2009. Con istanza in data 12 marzo 2009 Equitalia Nomos ha depositato gli atti nella cancelleria del Tribunale di Torino e chiesto l'assegnazione allo Stato ai sensi dell'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 («Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito») al minor prezzo tra la base d'asta del terzo incanto, pari ad € 145.331,76 e la somma per la quale si procede, credito pari ad € 48.621,49. Il G.E. ha disposto l'audizione delle parti, fissando udienza all'8 luglio 2009 e poi all'11 novembre 2009. Sentita EQUITALIA NOMOS e il creditore sequestrante Fallimento AEDIFICA S.r.l., ha trattenuto la causa a riserva per provvedere in ordine all'istanza di assegnazione. Ritiene lo scrivente G.E. che: 1) esistano fondati motivi per dubitare della legittimita' costituzionale dell'art. 85 comma 1 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, come verranno esposti nei successivi paragrafi; 2) la questione sia rilevante nella procedura esecutiva, poiche' ad essa dipende l'accoglimento o il rigetto dell'istanza di assegnazione e comunque la misura del prezzo da fissare perche' lo Stato Italiano acquisisca la proprieta' dell'immobile pignorato; 3) in definitiva sia necessario disporre la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 perche' si pronunci sulla questione, sospendendo nelle more l'esecuzione in epigrafe. 2. Analisi del testo normativo. L'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, nel testo attualmente vigente prevede che: 1. Se il terzo incanto ha esito negativo, il concessionario, nei dieci giorni successivi, chiede al giudice dell'esecuzione l'assegnazione dell'immobile allo Stato per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede, depositando nella cancelleria del giudice dell'esecuzione gli atti del procedimento. 2. Il giudice dell'esecuzione dispone l'assegnazione, secondo la procedura prevista dall'articolo 590 del codice di procedura civile. Il termine per il versamento del prezzo per il quale e' stata disposta l'assegnazione non puo' essere inferiore a sei mesi. 3. In caso di mancato versamento del prezzo di assegnazione nel termine, il processo esecutivo si estingue se il concessionario, nei trenta giorni successivi alla scadenza di tale termine, non dichiara, su indicazione dell'ufficio che ha formato il ruolo, di voler procedere a un ulteriore incanto per un prezzo base inferiore di un terzo rispetto a quello dell'ultimo incanto. Il processo esecutivo si estingue comunque se anche tale incanto ha esito negativo. Il rimettente interpreta la disposizione in questi termini. 2.1. L'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 riguarda la riscossione delle sole entrate dello Stato di natura tributaria e non puo', dunque, applicarsi ad entrate patrimoniali dello Stato, ne' ad entrate di enti impositori diversi dallo Stato, per i quali e' prevista ope legis la (o che sono comunque ammessi ad avvalersi della) procedura di riscossione mediante ruolo disciplinata dal d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46. Questa limitazione alle sole entrate tributarie dello Stato e' prevista dall'art. 30 d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46: la disposizione prevista dall'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, come sostituito dall'articolo 16 del presente decreto, si applica solo se si procede per entrate tributarie dello Stato. 2.2. L'assegnazione prevista dal vigente art. 85 attribuisce alla competenza del giudice dell'esecuzione l'adozione dei provvedimenti necessari a far acquistare la proprieta' dell'immobile allo Stato. Infatti, l'istanza del concessionario e' rivolta al giudice dell'esecuzione (art. 85 cit. comma 1); il giudice dispone l'assegnazione, fissando allo Stato il termine, non inferiore a sei mesi, per il versamento del prezzo di assegnazione (art. 85 cit. comma 2); avvenuto il versamento, il giudice pronuncia il decreto di trasferimento a norma dell'articolo 586, secondo quanto prevede l'art. 590 cpv. c.p.c. (art. 85 cit. comma 2). Rispetto alla devoluzione dei beni allo Stato, gia' prevista dall'art. 87 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 (testo abrogato dal d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46), e' dunque venuto meno ogni automatismo nell'acquisto dell'immobile da parte dello Stato. La norma infatti prevedeva che, in caso di diserzione del terzo incanto (o mancata autorizzazione dell'intendente di finanza al suo svolgimento), «l'immobile e' devoluto di diritto allo Stato» e il secondo comma coerentemente individuava nel «verbale di esito negativo del terzo incanto, corredato dal provvedimento autorizzativo dell'intendente di finanza» il titolo per la trascrizione della devoluzione nei registri immobiliari. 2.3. Osserva ancora il rimettente che il giudice non ha alcun potere discrezionale di non far luogo all'assegnazione allo Stato quando ne ricorrano i presupposti (terzo incanto deserto, istanza dell'esattore, che e' peraltro atto dovuto), ne' di rifiutare poi l'emissione del decreto di trasferimento quando lo Stato abbia versato il prezzo nel termine assegnatogli. Che il giudice abbia un potere discrezionale nel decidere su istanze di assegnazione proposte in un'esecuzione ordinaria e' questione dubbia, visto che da un lato l'art. 589 c.p.c. indica il valore per il quale puo' essere chiesta l'assegnazione e dall'altro l'art. 591 c.p.c. consente al giudice di «decidere di non accoglierle» facendo luogo a nuovo incanto. Con riguardo all'art. 85 cit. questi dubbi interpretativi non hanno tuttavia ragione d'essere. Primo, perche' la norma chiaramente indica che «Il giudice dell'esecuzione dispone l'assegnazione» (e non «puo' disporre»: comma 2). Secondo, perche' non rientra nei poteri del giudice disporre lo svolgimento di ulteriore incanto, in luogo dell'accoglimento dell'istanza di assegnazione allo Stato, visto che il potere di ordinare un quarto e ultimo esperimento di asta spetta soltanto all'ente impositore (vedi l'inciso «su indicazione dell'ufficio che ha formato il ruolo»: comma 3). L'assegnazione e' dunque un atto necessario perche' lo Stato ottenga il trasferimento di proprieta' previo versamento del prezzo, ma dovuto. 2.4. In secondo luogo, l'assegnazione prevista dall'art. 85 cit. ha natura c.d. sostitutiva della vendita forzata. Infatti, l'assegnazione viene fatta per un prezzo, pari alla minor misura tra la base d'asta del terzo incanto e il credito tributario per cui l'esattore procede (comma 1), e questo prezzo deve essere interamente versato dallo Stato all'effetto di ottenere il trasferimento della proprieta' (comma 2), tanto e' vero che e' regolato il caso del mancato versamento del prezzo (comma 3). Al versamento segue dunque l'acquisizione del prezzo alla massa attiva (art. 509 c.c.) e la sua assegnazione all'esattore se non vi sono concorrenti (artt. 84 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 e 510 c.p.c.). Nel caso di intervento di altri creditori, deve procedersi alla distribuzione in ragione delle rispettive cause di prelazione tra esattore e altri concorrenti, secondo quanto previsto dagli artt. 84 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 e 596 c.p.c.. Implicitamente, ma in modo non equivoco, l'art. 85 cit. esclude dunque la possibilita' per l'esattore di chiedere l'assegnazione a favore dello Stato a soddisfacimento del credito erariale (c.d. assegnazione satisfattiva o datio in solutum giudiziale) e la possibilita' per lo Stato di limitarsi al versamento del solo eventuale conguaglio tra il prezzo di assegnazione e il credito per cui puo' utilmente collocarsi in sede di riparto (c.d. assegnazione mista). Tanto e' vero che l'art. 3 comma 40 del d.1. 30 settembre 2005 n. 203 (convertito con emendamenti in legge 2 dicembre 2005 n. 248) ha sostituito ai comma 2 e 3 dell'art. 85 cit. le parole «dell'eventuale conguaglio» con le parole «del prezzo per il quale e' stata disposta l'assegnazione». 2.5. Il prezzo di assegnazione e' pari alla minor somma tra il credito tributario per cui si procede e la base d'asta del terzo incanto andato deserto: su questo punto v'e' continuita' con quanto era previsto per la devoluzione allo Stato ex art. 87 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602. Fatto per es. il credito erariale per cui si procede pari ad € 50.000,00 e la base d'asta del terzo incanto pari ad € 200.000,00, l'assegnazione deve farsi al prezzo di € 50.000,00. Reciprocamente, se l'esattore procede per un credito tributario pari ad € 300.000,00, l'assegnazione dello stesso identico immobile dovrebbe farsi per la minor somma e quindi per € 200.000,00. Poiche' non e' previsto - e' anzi chiaramente escluso a seguito della modifica apportata dall'art. 3 comma 40 d.l. 30 settembre 2005 n. 203 - il versamento di alcun «conguaglio», la norma deve interpretarsi nel senso che il prezzo di assegnazione e' definitivamente fissato nella minor somma tra credito e base d'asta e che l'eventuale differenza tra base d'asta e credito non da' luogo ad alcun obbligo di conguaglio ne' a incremento del prezzo di assegnazione. La stessa Corte, pronunciandosi sulla devoluzione allo Stato, interpreto' a suo tempo l'art. 87 d.P.R. n. 602 nel senso che la norma consente «che la procedura esattoriale possa concludersi con la devoluzione del bene allo Stato per il minor prezzo tra quello dell'incanto e l'ammontare dell'imposta per cui ha avuto luogo l'esecuzione» (Corte cost. Ord. 31 marzo 1988 n. 383). 2.6. Del pari, non e' neppure rilevante ai fini della determinazione del prezzo di assegnazione l'entita' dei crediti concorrenti al riparto (art. 54 cpv. d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602) aventi prelazione anteriore a quella dell'esattore. Primo, perche' l'art. 85 cit. facendo riferimento alla «somma per la quale si procede» riguarda evidentemente il credito tributario e non altri. Secondo, perche' l'art. 85 non rinvia all'art. 589 c.p.c. secondo cui «l'istanza di assegnazione deve contenere l'offerta di pagamento di una somma non inferiore a quella prevista nell'art. 506», ne' all'art. 506 c.p.c. che indica per l'assegnazione «un valore non inferiore alle spese di esecuzione e ai crediti aventi diritto a prelazione anteriore a quello dell'offerente». 2.7. In ultimo, il rimettente non ignora che, tra due interpretazioni egualmente possibili, rientra nei poteri del giudice ordinario scegliere quella «costituzionalmente orientata» perche' rispondente al canone di ragionevolezza e uguaglianza, e che pertanto non puo' essere sollevata questione di legittimita' costituzionale quando il giudice rimettente, utilizzando i suoi poteri ordinari di interpretazione della norma, e' in grado di fornire un'interpretazione della norma conforme a Costituzione (ex multis Corte cost. 19 aprile 2007 n. 128). Nel caso di specie, tuttavia, ritiene il rimettente che l'interpretazione della norma, illustrata nei paragrafi precedenti (spec. § 2.4. - 2.5. - 2.6.) sia l'unica possibile utilizzando gli ordinari strumenti ermeneutici di cui dispone il giudice ordinario. Chiarito il significato che lo scrivente ritiene doversi attribuire all'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, come modificato dall'art. 16 d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 e art. 3 comma 40 d.l. 30 settembre 2005 n. 203, si puo' ora passare all'esame dei motivi di rimessione della questione di legittimita' costituzionale. 3. Violazione dei principi di ragionevolezza rispetto ai mezzi e allo scopo e di eguaglianza in se' e in relazione al principio di capacita' contributiva (artt. 3 e 53 Cost.). Non manifesta infondatezza della questione. Dei due scenari possibili che l'art. 85 prospetta, interessa il solo caso in cui l'assegnazione debba farsi per un prezzo pari al minor credito tributario, e quindi «a sconto» rispetto alla base d'asta dell'ultimo incanto, la quale a sua volta corrisponde per effetto dei ribassi progressivi di un terzo ai 4/9 del prezzo iniziale fissato dal concessionario (artt. 79 e 81 d.P.R. n. 602). Non e' dunque in questione il caso opposto - prezzo pari alla base del terzo incanto - poiche' la regola che puo' estrarsi dall'art. 85 coincide, con buona approssimazione, con quella applicabile secondo il diritto comune (cfr. art. 589 e 568 c.p.c.) e non genera perplessita'. Per chiarezza non si vuole neppure mettere in dubbio che, se l'immobile pignorato per crediti tributari risulta invendibile col mezzo ordinario dell'incanto, sia legittima la previsione che consente allo Stato di acquistarne la proprieta', poiche' con l'ordinanza 13 marzo 1988 n. 383, la Corte ha gia' ritenuto che la devoluzione e' «la conseguenza dell'oggettiva impossibilita' di vendere il bene esecutato, impossibilita' dimostrata dall'esito negativo di piu' incanti caratterizzati da ribassi particolarmente elevati». Si vuole, soltanto, avanzare il sospetto che lo «sconto da assegnazione», ossia il differenziale tra la maggior base d'asta e il minor tributo, previsto dall'art. 85 cit. non sia conforme ai fondamenti costituzionali del prelievo tributario e comunque generi intrinsecamente irrazionalita' e ineguaglianze tra casi omogenei. Si osserva in proposito. 3.1. L'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 riguarda la riscossione dei soli tributi dello Stato (art. 30 d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 trascritto sub § 2.1.) ed e' quindi norma che - pur non riguardando i presupposti imponibili, i soggetti debitori, le modalita' di determinazione o accertamento dell'imposta - rientra comunque in senso ampio nel campo delle norme tributarie, inteso come settore dell'ordinamento che disciplina, tra l'altro, l'esazione delle imposte. A riprova, nello scenario qui contemplato (e soltanto in questo), l'obbligazione tributaria non resta ai margini dell'istituto, come scopo per il quale si svolge la procedura di riscossione, ma entra direttamente nel testo della norma e nel contenuto del provvedimento che il giudice deve adottare perche', essendo di ammontare inferiore alla base d'asta, determina: a) la misura del prezzo di assegnazione; b) la misura del sacrificio patrimoniale imposto al debitore rispetto alla somma che potrebbe ricavarsi se l'assegnazione dovesse farsi, in ogni caso, per un prezzo pari alla base dell'ultimo esperimento d'asta. Si vuole ancora osservare, per intendere bene il meccanismo dell'art. 85 cit., che: a) l'assegnazione fatta «a sconto» sulla base d'asta rappresenta per il debitore una perdita patrimoniale e, in modo perfettamente complementare, un lucro per lo Stato in misura pari alla differenza tra i due parametri (base d'asta e credito tributario); b) perdita e lucro, quasi per definizione, non trovano la propria causa giustificativa nell'adempimento dell'obbligazione tributaria poiche' anzi il contribuente esecutato perde in termini patrimoniali il surplus rispetto all'entita' del tributo rimasto insoluto; tenuto a corrispondere (come in specie) la somma di € 48.621,49, viene privato a favore dello Stato di un bene che, a seguito di consistenti ribassi, e' stato messo in vendita secondo le stesse norme di legge a un prezzo non inferiore ad € 145.331,76; c) causa efficiente di perdita e lucro e' percio', solo e soltanto, il fatto accidentale e casuale che il pignoramento esattoriale e' caduto su un bene che, nonostante i ribassi d'asta, ancora esprime un valore patrimoniale superiore a quello del credito. 3.2. L'aggancio del prezzo all'entita' del tributo insoluto genera ictu oculi ineguaglianze e aporie, sintomatiche dell'irrazionalita' degli esiti applicativi della norma. Il punto e' stato gia' evidenziato illustrando l'interpretazione del testo normativo (§ 2.5.): il valore di assegnazione dello stesso immobile varia in funzione dell'entita' del credito tributario per cui si procede a esecuzione. Fatto per es. il credito erariale per cui si procede pari ad € 50.000,00 e la base d'asta del terzo incanto pari ad € 200.000,00, l'assegnazione deve farsi al prezzo di € 50.000,00. Per contro, se l'esattore procede per un credito tributario pari ad € 300.000,00, l'assegnazione dello stesso identico immobile dovrebbe farsi per la minor somma tra i due parametri e quindi per € 200.000,00. Due le irrazionalita' che ne seguono. Primo, visto che l'assegnazione e' sostitutiva della vendita (§ 2.4.), ossia ha una causa venditionis, il prezzo d'acquisto - pure «a sconto» e tenuto conto delle forti e condivise esigenze pubblicistiche che s'esprimono nella disciplina della riscossione delle imposte erariali - non puo' essere razionalmente determinato che in funzione di un parametro che riguarda l'immobile, quale e' il prezzo ribassato che funge da base d'asta del terzo incanto: opzione che rientra nella discrezionalita' legislativa e che il rimettente - come gia' s'e' evidenziato sopra (§ 3.) - non intende revocare in dubbio. Discorso affatto diverso vale invece per l'altro parametro - qui censurato - riguardante la misura del tributo per cui si procede, la quale non soltanto rappresenta una variabile indipendente dal valore dell'immobile, ma non v'e' neppure indirettamente collegata visto che l'art. 76 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 prevede bensi' la misura minima del credito per procedere ad espropriazione immobiliare (€ 8.000,00), ma non un criterio di proporzionalita' tra il credito e il valore dell'immobile che il concessionario puo' legittimamente pignorare. Per chiarezza, l'art. 76 cit. non forma oggetto della questione di legittimita' costituzionale che si propone all'esame della Corte, poiche' per neutralizzare le irrazionalita' denunciate e' sufficiente espungere dall'art. 85 d.P.R. n. 602 la parte che aggancia il prezzo di assegnazione alla «minor somma per la quale si procede». 3.3. V'e' una seconda e piu' grave irrazionalita', poiche' l'aggancio al «minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede» implica che, a parita' di valore dell'immobile, riceva un trattamento migliore in termini di valori di scambio il contribuente che ha verso lo Stato un debito tributario piu' elevato del valore (pur ribassato) dell'immobile. E infatti, se il tributo insoluto e' di entita' inferiore alla base d'asta, l'esecutato ricevera', per effetto del versamento del prezzo e sia pure per pagare lo Stato e gli altri suoi creditori eventualmente intervenuti, una somma pari alla sola entita' del credito (€ 50.000,00 nell'esempio proposto sub § 3.2.) e subira' quindi la perdita patrimoniale «differenziale» che e' stata evidenziata sub § 3.1.. Viceversa, se il contribuente per negligenza, opportunismo o altri motivi che qui non interessa approfondire, ha lasciato che si accumulasse un consistente debito tributario verso lo Stato, di ammontare superiore alla base d'asta, egli ricevera' per effetto del versamento del prezzo quella stessa somma che avrebbe potuto ricevere se il terzo incanto fosse andato a buon fine (€ 200.000,00 per restare al solito esempio) e non subira' perdite ulteriori. In questo modo, una norma che plausibilmente ha lo scopo di contrastare, disincentivare l'inadempienza dei cittadini alle obbligazioni tributarie finisce per sortire un risultato pratico che e' diametralmente opposto, perche' ceteris paribus premia l'accumulazione del debito o, quantomeno, evita al grosso debitore di subire, oltre alla perdita dell'immobile, anche l'ulteriore falcidia rappresentata dalla differenza tra base d'asta e tributo insoluto (§ 3.1.). Non e' superfluo osservare che quest'irrazionalita' dei mezzi giuridici rispetto allo scopo pratico della norma si verifica solo e soltanto per effetto dell'aggancio, qui censurato, al «minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede», poiche' se invece l'assegnazione dovesse farsi - come e' peraltro diritto comune - per una somma non inferiore alla base d'asta dell'ultimo incanto, non si verificherebbe nessuna irrazionalita' ne' disparita' di trattamento in funzione del minore o maggiore tributo insoluto. 4. (Segue). Per le stesse aporie gia' segnalate (§ 3.2. e 3.3.), l'aggancio del prezzo di assegnazione alla «minor ... somma per la quale si procede» entra inoltre in conflitto con il principio cardine del prelievo tributario secondo il quale «tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacita' contributiva» (art. 53 comma 1 Cost.). Poiche', secondo stabile insegnamento della Corte, il principio di capacita' contributiva «va interpretato quale specificazione del generale principio di uguaglianza, nel senso che a situazioni uguali devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente, a situazioni diverse un trattamento tributario differenziato» (Corte cost. 6 luglio 1972 n. 120; conformi ex multis Corte cost. 4 febbraio 2000 n. 25; Corte cost. 13 dicembre 1963 n. 155) e che, ancora, le differenze di trattamento tributario per essere giustificate devono appoggiarsi su un motivo razionalmente apprezzabile (Corte cost. 14 luglio 1976 n. 167) o, evidentemente, su situazioni obiettivamente diverse (Corte cost. 12 luglio 1965 n. 59), il discorso sulla violazione del principio di capacita' contributiva da parte dell'art. 85 d.P.R. n. 602 puo' saldarsi senza difficolta' con il discorso gia' svolto in merito alla violazione dell'art. 3 Cost. sotto i profili: a) dell'irrazionalita' con riguardo al mezzo giuridico perche' il parametro del credito non puo' ragionevolmente servire a stabilire il prezzo di acquisto coattivo di un immobile (§ 3.2.); b) dell'irrazionalita' con riguardo allo scopo pratico perche' la norma premia ceteris paribus l'accumulazione del debito tributario (§ 3.3.). 4.1. Scendendo nello specifico, l'art. 85 e' norma sulla riscossione delle imposte dovute allo Stato (§ 2.1.). Non interessa qui approfondire quale indice di ricchezza o capacita' esprima il singolo tributo per cui si procede a riscossione: basta infatti osservare che la capacita' di concorrere alle spese pubbliche e' gia' definita secundum legem in misura pari all'obbligazione tributaria, cosi' come e' stata accertata e risulta dall'estratto di ruolo. Ben puo' dirsi dunque che l'entita' del tributo rappresenta la misura entro la quale e' accettabile e costituzionalmente legittimo imporre al cittadino un sacrificio patrimoniale per «concorrere alle spese pubbliche». Al contrario, un sacrificio piu' ampio di quello definito dall'obbligazione tributaria (salvi accessori, sanzioni, costi di riscossione etc.) non soltanto non trova un fondamento di legittimita' costituzionale nell'art. 53 Cost., ma anzi risulta implicitamente vietato dalla stessa norma, visto che in tal modo verrebbe fatto carico al cittadino di concorrere alle spese pubbliche in misura maggiore della sua capacita' contributiva. 4.2. Anche l'art. 85 cit., e piu' ampiamente la disciplina sulla riscossione coattiva, deve sottostare secondo lo scrivente al principio di capacita' contributiva. Primo, perche' l'art. 53 comma 1 Cost. non distingue il momento fisiologico dell'adempimento dalle patologie del rapporto di imposta. Secondo, perche' non puo' ammettersi che il principio di capacita' contributiva si applichi soltanto agli atti di imposizione e perda rilevanza nel momento della riscossione, visto che il concorso alle spese pubbliche si attua precisamente con l'adempimento, spontaneo o coattivo che sia, della pretesa tributaria. 4.3. Sennonche' l'art. 85, segnatamente il criterio della «minor ... somma per la quale si procede», non rispetta il principio che commisura alla capacita' contributiva il sacrificio patrimoniale che puo' legittimamente esigersi dal cittadino in relazione all'adempimento del tributo. Rinviando per una piu' estesa trattazione e relative esemplificazioni ai § 3.2. e 3.3., si osserva che: a) l'obbligazione tributaria serve a determinare il prezzo di acquisto del bene; b) con cio' assoggetta, per definizione, il contribuente espropriato a una perdita patrimoniale pari al surplus della base d'asta rispetto al credito, la quale perdita si aggiunge all'onere economico del tributo; c) in quanto onere aggiuntivo, lo stesso non riceve copertura costituzionale nell'art. 53 comma 1 Cost. visto che la capacita' contributiva sussiste nei limiti dell'obbligazione tributaria (§ 4.1.) o, in sede di riscossione coattiva, dalla «somma per la quale si procede». Concludendo, quest'onere aggiuntivo e' imposto al contribuente dal fatto che il pignoramento esattoriale e' accidentalmente caduto su un immobile che, nonostante i ribassi, ha una base d'asta superiore alla misura del credito. Pertanto, l'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 si palesa sospetto di illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 53 perche' consente che in sede di riscossione esattoriale il contribuente moroso sia sottoposto - e peraltro secondo un criterio di pura casualita' - a un sacrificio patrimoniale di entita' piu' ampia di quello definito dall'obbligazione tributaria (e relativi accessori, soprattasse, sanzioni, costi di riscossione etc.). 4.4. Lo scrivente non ignora che, secondo costante giurisprudenza, il principio della capacita' contributiva non puo' applicarsi alle prestazioni patrimoniali con funzione sanzionatoria di violazioni tributarie (ex multis Corte cost. 30 luglio 1997 n. 291; Corte cost. 17 luglio 1980 n. 119). Si vuole dunque esaminare la legittimita' dell'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 anche secondo questa diversa prospettiva, ipotizzando cioe' che l'assegnazione per la «minor ... somma per la quale si procede» - e quindi «a sconto» sulla base d'asta - abbia natura sanzionatoria dell'inadempienza del contribuente e si sottragga quindi all'applicazione dell'art. 53 Cost. Poche osservazioni sono tuttavia sufficienti a fugare anche questo dubbio. In primo luogo, il criterio della «minor somma» risponde ictu oculi a un'esigenza di risparmio dello Stato nell'acquisto della proprieta' mediante assegnazione forzata e non a fini di sanzione. Quest'esigenza puo' astrattamente condividersi, salvo che per il parametro rappresentato dalla misura del credito tributario, che non ha alcun apprezzabile e ragionevole collegamento con il valore del bene (§ 3.2.). Secondo, se anche si trattasse di sanzione imposta per il perdurante inadempimento del debitore, la sua operativita' sarebbe oltre modo singolare, visto che: a) essa andrebbe a colpire - con palese violazione del principio di eguaglianza - non tutti i contribuenti morosi che vengono espropriati del bene a favore dello Stato, ma soltanto una parte di essi, ossia coloro che hanno casualmente subito il pignoramento di un bene che, pur dopo i ribassi, ha una base d'asta superiore all'entita' del credito per cui si procede; b) la sanzione non sarebbe qui neppure ragguagliata alla misura del tributo rimasto insoluto o a una somma fissa predeterminata dalla legge (come normalmente avviene nelle sanzioni pecuniarie di diritto tributario), ma risulterebbe a priori indeterminabile e indeterminata dalla legge perche' dipendente dalla differenza tra base d'asta e credito, ossia da un elemento (valore dell'immobile ai fini dell'esecuzione esattoriale: art. 79 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602) che rappresenta una variabile indipendente rispetto al credito per cui si procede. In conclusione, il criterio della «minor ... somma per la quale si procede» non puo' interpretarsi come sanzione, e quindi non si sottrae alla censura basata sull'art. 53 Cost., e se anche lo fosse risulterebbe comunque costituzionalmente illegittimo per violazione dei principi di eguaglianza, ragionevolezza (art. 3 Cost.) e determinatezza delle prestazioni patrimoniali imposte per legge (art. 23 Cost.). 5. Violazione degli artt. 3 e 42 Cost.: irragionevole determinazione del prezzo per l'assegnazione coattiva in misura pari alla «minor ... somma per la quale si procede». Non manifesta infondatezza della questione. Bisogna ora farsi carico di un'ulteriore possibile obiezione alla ricostruzione che, sin qui, e' stata condotta nel solco della natura tributaria dell'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 e quindi dei principi costituzionali che regolano il prelievo tributario. S'e' osservato, in questa prospettiva, che l'assegnazione per la «minor ... somma per la quale si procede» determina in danno dell'espropriato una perdita patrimoniale che non trova giustificazione nell'adempimento dell'obbligazione tributaria, riguardando infatti il surplus (§ 3.2.) e quindi neppure copertura costituzionale nell'art. 53 comma 1 Cost. del quale rappresenta, al contrario, una violazione (§ 4.3.). Visto che, tuttavia, l'assegnazione ex art. 85 e' un mezzo sostitutivo della vendita forzata (§ 2.4. e 3.2.), bisogna ancora domandarsi se, per ipotesi, la perdita (e correlativo lucro) differenziale tra base d'asta e «minor ... somma per la quale si procede» non possa trovare un fondamento alternativo di legittimita' proprio nella causa venditionis ossia nel rapporto di scambio «cosa contro prezzo» cui da' luogo l'assegnazione sostitutiva. Al quesito deve darsi, ad avviso dello scrivente, risposta negativa. 5.1. Pronunciandosi sull'art. 42 comma 3 Cost., la Corte costituzionale ha piu' volte espresso l'indirizzo che l'indennizzo «deve rappresentare un serio ristoro. Perche' cio' possa realizzarsi, occorre far riferimento, per la determinazione dell'indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge. Solo in tal modo puo' assicurarsi la congruita' del ristoro spettante all'espropriato cd evitare che esso sia meramente apparente o irrisorio rispetto al valore del bene» (ex multis Corte cost. 30 gennaio 1980 n. 5). Su questa falsariga, piu' di recente, s'e' affermato che «un'indennita' "congrua, seria ed adeguata" non puo' adottare il valore di mercato del bene come mero punto di partenza per calcoli successivi che si avvalgono di elementi del tutto sganciati da tale dato, concepiti in modo tale da lasciare alle spalle la valutazione iniziale» (Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348). 5.2. Va da se' che l'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 non rientra nel novero dell'espropriazione per pubblica utilita', ne' di altri atti ablatori disposti dalla pubblica Amministrazione, ma e' pur esso un trasferimento coattivo di una proprieta' privata, sia pur subordinato al versamento del prezzo da parte dello Stato (art. 85 comma 3). Che si tratti di «prezzo» piuttosto che «indennizzo» non puo' dunque essere una ragione decisiva per negare l'applicazione del principio generale ricavabile dall'art. 42 Cost. nei termini in cui e' stato interpretato dalla Corte: quando lo Stato esercita la potesta', con determinazione ex uno latere e fuori da un contesto negoziale, di acquistare un bene privato, il corrispettivo dello scambio deve essere «congruo, serio e adeguato» ossia deve assumere a parametro - pur potendo discostarsene al ribasso per contemperare interessi pubblici e privati - «il valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso» (Corte cost. 30 gennaio 1980 n. 5) e non puo' legittimamente basarsi su «elementi del tutto sganciati da tale dato» (Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348). 5.3. Questa considerazione avvia il discorso a conclusione. L'art. 85 cit. deve prima facie ritenersi legittimo nella parte in cui fissa il valore di assegnazione nel «prezzo base del terzo incanto», poiche' tale dato soddisfa al contempo l'interesse pubblico al risparmio di spesa e la giurisprudenza costituzionale che assegna al valore del bene la funzione di parametro su cui calcolare la misura del ristoro (o corrispettivo) da versare al privato per la perdita della proprieta'. E nuovamente, anche sotto quest'ultimo profilo, si palesa per contro l'illegittimita' del rinvio alla «minor ... somma per la quale si procede» visto che (gia' § 3.2. e 4.4.) la misura del tributo insoluto e' una variabile indipendente dal valore di mercato dell'immobile e non e' neppure un criterio razionalmente accettabile per stabilire di autorita' il corrispettivo di uno scambio imposto. 6. Il precedente sulla devoluzione dei beni allo Stato. Lo scrivente non ignora che con ordinanza 31 marzo 1988 n. 383, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 87 e 51 del d.P.R. 602 del 1973 nella parte in cui consente che «la procedura esattoriale possa concludersi con la devoluzione del bene allo Stato per il minor prezzo tra quello dell'incanto e l'ammontare dell'imposta per cui ha avuto luogo l'esecuzione». La questione sottoposta all'esame della Corte con la presente ordinanza interferisce, tuttavia, soltanto marginalmente con quel precedente, di modo che lo scrivente ritiene che non sussista un bis in idem ostativo a una nuova decisione in materia. Cio' per i motivi che seguono. 6.1. Primo, i parametri di controllo della legittimita' costituzionale dell'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 su cui e' richiesta la pronuncia della Corte sono in tal caso diversi. Nel precedente del 1988, la questione fu sollevata per asserita violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost. sotto profili che oggi hanno perso in buona parte ragione di essere a seguito della riforma introdotta con d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 e comunque non sono neppure indirettamente collegati alla questione sollevata. In particolare ci si riferisce: ai rapporti tra riscossione esattoriale e procedura concorsuale; al potere, ritenuto arbitrario e non censurabile in sede giurisdizionale, dell'intendente di finanza di disporre il nuovo incanto o la devoluzione dell'immobile allo Stato. Il criterio normativo su cui s'appunta la presente denuncia, dell'aggancio del prezzo di assegnazione alla «minor somma ... per la quale si procede», e' rimasto invariato nel passaggio dalla devoluzione dei beni allo Stato (art. 87) all'assegnazione prevista dall'art. 85 d.P.R. n. 602. Tuttavia l'ordinanza n. 383 non ebbe a pronunciarsi con specifico riguardo alla violazione delle norme costituzionali qui segnalate (artt. 3 e 53; artt. 3 e 42) e al principio di ragionevolezza rispetto ai mezzi giuridici e allo scopo pratico (vedi § 3.2. e 3.3. in particolare), poiche' tali profili non furono dedotti dal giudice a quo. 6.2. Secondo, dopo la pronuncia della Corte e' intervenuto un significativo mutamento del quadro normativo con il gia' citato d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 che - ritiene lo scrivente - puo' suggerire una nuova considerazione della materia. Nel respingere come manifestamente infondata la questione, l'ordinanza n. 383 ebbe infatti a osservare tra l'altro che i creditori «hanno facolta' di pagare l'ammontare dell'imposta dovuta dal debitore determinando cosi' l'estinzione del procedimento di espropriazione secondo quanto previsto dall'art. 49 del d.P.R. n. 602 del 1973; che, inoltre, nel caso di devoluzione dell'immobile espropriato allo Stato, l'art. 90 del d.P.R. citato consente - a tutela di tutti i creditori - il riscatto dell'immobile espropriato, mediante il versamento del prezzo della devoluzione, da parte di chi ha subito l'espropriazione nonche' dei creditori ipotecari e dei creditori chirografari intervenuti, stabilendo che per effetto del riscatto da chiunque esercitato il bene ritorna all'espropriato nella situazione di diritto in cui si trovava anteriormente al pignoramento e colui che ha esercitato il riscatto subentra nei diritti e privilegi spettanti allo Stato sull'immobile fino a concorrenza della somma pagata (art. 90, quinto comma); che i diritti ora menzionati possono essere fatti valere, in costanza di fallimento, anche dagli organi preposti alla procedura concorsuale». In altri termini, la facolta' di pagare il debito e il potere di riscatto dell'immobile, anche nei tre mesi successivi alla devoluzione allo Stato (art. 90 cit.), rappresentavano un adeguato bilanciamento - tale da ricondurre ad equita' il sistema normativo - alla potesta' dello Stato di acquistare l'immobile pignorato e rimasto invenduto per un prezzo sganciato dal valore del bene e commisurato, anche allora, alla «minor ... somma per la quale si procede». 6.3. Conviene allora osservare che quest'argomentazione non puo' riproporsi de plano nel mutato contesto normativo perche' il diritto di riscatto dell'immobile aggiudicato o devoluto allo Stato, gia' previsto dall'art. 90 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, e' stato abrogato dal d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46. E pertanto, una volta disposta l'assegnazione dell'immobile allo Stato, il debitore o altri per lui non ha facolta' di evitare che si consumi, col versamento del prezzo, quella falcidia al patrimonio del debitore che e' rappresentata dalla differenza tra la base d'asta del terzo incanto e la pretesa tributaria rimasta insoluta. Resta per vero, tutt'oggi, ai sensi dell'attuale art. 61 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, la facolta' del debitore o di un terzo per lui di adempiere il debito, estinguendo con cio' il processo esecutivo: evidentemente prima (e non dopo) che l'assegnazione sia deliberata, poiche' anche all'esecuzione esattoriale deve ritenersi applicabile, giusta il rinvio contenuto nell'art. 49 cpv. d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, l'art. 187-bis disp. att. c.p.c.: «in ogni caso di estinzione o di chiusura anticipata del processo esecutivo avvenuta dopo l'aggiudicazione, anche provvisoria, o l'assegnazione, restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari, in forza dell'articolo 632, secondo comma, del codice, gli effetti di tali atti». Osserva tuttavia lo scrivente - in cio' dissentendo dalla pronuncia n. 383 - che la legittimita' costituzionale di una norma che regola un atto del processo esecutivo, quale oggi e' l'assegnazione dell'immobile allo Stato, non puo' essere affermata per il solo fatto che quella norma potrebbe eventualmente non essere applicata, perche' l'esecuzione s'e' estinta prima della pronuncia dell'ordinanza che dispone l'assegnazione allo Stato ai sensi dell'art. 85 cit. E in ogni caso, poi, e' ancora da osservare che anche il contribuente inadempiente - non abbia pagato per mancanza di mezzi o per altro motivo che qui non interessa approfondire - ha diritto a non subire la falcidia del suo patrimonio cui da' altrimenti luogo l'assegnazione allo Stato per la «minor ... somma per la quale si procede». 7. Rilevanza della questione di legittimita' costituzionale nel processo esecutivo a quo. La questione proposta nella presente ordinanza e' rilevante ai fini delle determinazioni dello scrivente giudice nel processo esecutivo esattoriale n. 457/09. Infatti, come gia' s'e' accennato nella narrativa del processo (§ 1.) che si ha qui comunque per integralmente richiamata: a) l'esecuzione e' stata fatta dal concessionario Equitalia Nomos per crediti tributari dello Stato, risultanti dagli estratti di ruolo versati in atti; b) hanno avuto svolgimento e sono andati deserti i tre incanti previsti dalla legge; c) Equitalia Nomos ha fatto rituale istanza di assegnazione dell'immobile allo Stato ai sensi dell'art. 85 cit.; d) nell'istanza ha indicato il prezzo di assegnazione nella «minor ... somma per la quale si procede» e cioe' per il credito tributario di € 48.621,49; e) l'istanza e' conforme al dettato normativo dell'art. 85 poiche', come si verifica negli atti depositati dal concessionario, il terzo incanto ha avuto luogo in data 10 marzo 2009 con base d'asta pari ad € 145.331,76 e percio' superiore all'entita' del credito tributario insoluto. Ritiene pertanto lo scrivente che esistano, ai sensi dell'art. 85 d.P.R. n. 602, tutte le condizioni per far luogo all'assegnazione allo Stato dell'immobile per un prezzo pari alla «somma per la quale si procede», a meno che la Corte costituzionale dichiari l'illegittimita' della norma denunciata nella parte in cui ammette che l'assegnazione abbia luogo «per il minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la somma per la quale si procede», anziche', in ogni caso, «per ... il prezzo base del terzo incanto». E a riprova della rilevanza, s'osserva ancora che, una volta verificatasi la pronuncia di illegittimita' costituzionale, l'istanza di assegnazione dovrebbe essere o respinta oppure accolta ma per il maggior prezzo previsto dall'art. 85 emendato.