IL TRIBUNALE 
 
    Il G.E. sciogliendo la riserva che precede, osserva quanto segue. 
1. Fatto e svolgimento del processo. 
    Il  concessionario  Equitalia  Nomos  ha  iniziato  procedura  di
riscossione esattoriale (rubricata al n. 457/09 R.E.) con  avviso  di
vendita regolarmente trascritto e notificato in  danno  del  debitore
Moramarco Giovanni per un credito  tributario  pari  ad  € 48.621,49,
risultante dagli estratti di ruolo versati in atti. 
    Nella procedura, hanno avuto  ritualmente  luogo  e  sono  andati
deserti tre esperimenti di incanto sull'immobile pignorato alle  date
del 27 gennaio 2009, 17 febbraio 2009 e 10 marzo 2009. Con istanza in
data 12 marzo 2009 Equitalia  Nomos  ha  depositato  gli  atti  nella
cancelleria del Tribunale di Torino  e  chiesto  l'assegnazione  allo
Stato  ai  sensi  dell'art.  85  d.P.R.  29  settembre  1973  n.  602
(«Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito») al minor
prezzo tra la base d'asta del terzo incanto, pari ad  € 145.331,76  e
la somma per la quale si procede, credito pari ad € 48.621,49. 
    Il G.E. ha disposto l'audizione  delle  parti,  fissando  udienza
all'8 luglio 2009 e poi all'11 novembre 2009. Sentita EQUITALIA NOMOS
e il creditore sequestrante Fallimento AEDIFICA S.r.l., ha trattenuto
la  causa  a  riserva  per  provvedere  in  ordine   all'istanza   di
assegnazione. 
    Ritiene lo scrivente G.E. che: 1)  esistano  fondati  motivi  per
dubitare della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  85  comma  1
d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, come verranno esposti nei successivi
paragrafi; 2) la questione sia rilevante nella  procedura  esecutiva,
poiche' ad essa dipende l'accoglimento o il rigetto  dell'istanza  di
assegnazione e comunque la misura del prezzo da  fissare  perche'  lo
Stato Italiano acquisisca la proprieta' dell'immobile  pignorato;  3)
in definitiva sia necessario disporre la trasmissione degli atti alla
Corte costituzionale ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n.  87
perche'  si  pronunci  sulla  questione,   sospendendo   nelle   more
l'esecuzione in epigrafe. 
2. Analisi del testo normativo. 
    L'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602, nel testo  attualmente
vigente prevede che: 
      1. Se il terzo incanto ha esito  negativo,  il  concessionario,
nei  dieci  giorni  successivi,  chiede  al  giudice  dell'esecuzione
l'assegnazione dell'immobile allo Stato per il minor  prezzo  tra  il
prezzo base del terzo incanto e la somma per  la  quale  si  procede,
depositando nella cancelleria del giudice  dell'esecuzione  gli  atti
del procedimento. 
      2. Il giudice dell'esecuzione dispone  l'assegnazione,  secondo
la procedura prevista  dall'articolo  590  del  codice  di  procedura
civile. Il termine per il versamento del prezzo per il quale e' stata
disposta l'assegnazione non puo' essere inferiore a sei mesi. 
      3. In caso di mancato versamento del prezzo di assegnazione nel
termine, il processo esecutivo si estingue se il concessionario,  nei
trenta giorni successivi alla scadenza di tale termine, non dichiara,
su indicazione  dell'ufficio  che  ha  formato  il  ruolo,  di  voler
procedere a un ulteriore incanto per un prezzo base inferiore  di  un
terzo rispetto a quello dell'ultimo incanto. Il processo esecutivo si
estingue comunque se anche tale incanto ha esito negativo. 
    Il rimettente interpreta la disposizione in questi termini. 
    2.1. L'art. 85 d.P.R.  29  settembre  1973  n.  602  riguarda  la
riscossione delle sole entrate dello Stato di natura tributaria e non
puo', dunque, applicarsi ad entrate patrimoniali dello Stato, ne'  ad
entrate di enti impositori  diversi  dallo  Stato,  per  i  quali  e'
prevista ope legis la (o  che  sono  comunque  ammessi  ad  avvalersi
della) procedura  di  riscossione  mediante  ruolo  disciplinata  dal
d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46. 
    Questa limitazione alle sole entrate tributarie  dello  Stato  e'
prevista dall'art. 30 d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46: la  disposizione
prevista  dall'art.  85  d.P.R.  29  settembre  1973  n.  602,   come
sostituito dall'articolo 16 del presente decreto, si applica solo  se
si procede per entrate tributarie dello Stato. 
    2.2. L'assegnazione prevista dal vigente art. 85 attribuisce alla
competenza del giudice dell'esecuzione l'adozione  dei  provvedimenti
necessari a far acquistare la proprieta' dell'immobile allo Stato. 
    Infatti, l'istanza  del  concessionario  e'  rivolta  al  giudice
dell'esecuzione  (art.  85  cit.  comma  1);   il   giudice   dispone
l'assegnazione, fissando allo Stato il termine, non inferiore  a  sei
mesi, per il versamento del prezzo  di  assegnazione  (art.  85  cit.
comma 2); avvenuto il versamento, il giudice pronuncia il decreto  di
trasferimento a  norma  dell'articolo  586,  secondo  quanto  prevede
l'art. 590 cpv. c.p.c. (art. 85 cit. comma 2). 
    Rispetto alla devoluzione dei  beni  allo  Stato,  gia'  prevista
dall'art. 87 d.P.R. 29 settembre 1973  n.  602  (testo  abrogato  dal
d.lgs.  26  febbraio  1999  n.  46),  e'  dunque  venuto  meno   ogni
automatismo nell'acquisto dell'immobile da parte dello Stato. 
    La norma infatti prevedeva che, in caso di diserzione  del  terzo
incanto (o mancata autorizzazione dell'intendente di finanza  al  suo
svolgimento), «l'immobile e' devoluto di diritto  allo  Stato»  e  il
secondo  comma  coerentemente  individuava  nel  «verbale  di   esito
negativo del terzo incanto, corredato dal provvedimento autorizzativo
dell'intendente di finanza»  il  titolo  per  la  trascrizione  della
devoluzione nei registri immobiliari. 
    2.3. Osserva ancora il rimettente che il  giudice  non  ha  alcun
potere discrezionale di non far  luogo  all'assegnazione  allo  Stato
quando ne ricorrano i presupposti  (terzo  incanto  deserto,  istanza
dell'esattore, che e' peraltro atto dovuto),  ne'  di  rifiutare  poi
l'emissione del  decreto  di  trasferimento  quando  lo  Stato  abbia
versato il prezzo nel termine assegnatogli. 
    Che il giudice abbia un  potere  discrezionale  nel  decidere  su
istanze  di  assegnazione  proposte  in  un'esecuzione  ordinaria  e'
questione dubbia, visto che da un lato l'art. 589  c.p.c.  indica  il
valore per il quale puo' essere chiesta l'assegnazione  e  dall'altro
l'art.  591  c.p.c.  consente  al  giudice  di   «decidere   di   non
accoglierle» facendo luogo a nuovo incanto. 
    Con riguardo all'art. 85 cit.  questi  dubbi  interpretativi  non
hanno tuttavia ragione d'essere. Primo, perche' la norma  chiaramente
indica che «Il giudice dell'esecuzione dispone l'assegnazione» (e non
«puo' disporre»: comma 2). Secondo, perche' non  rientra  nei  poteri
del giudice disporre lo svolgimento di ulteriore  incanto,  in  luogo
dell'accoglimento dell'istanza di assegnazione allo Stato, visto  che
il potere di ordinare un quarto e ultimo esperimento di  asta  spetta
soltanto  all'ente  impositore   (vedi   l'inciso   «su   indicazione
dell'ufficio che ha formato il ruolo»: comma 3). 
    L'assegnazione e' dunque un  atto  necessario  perche'  lo  Stato
ottenga il trasferimento di proprieta' previo versamento del  prezzo,
ma dovuto. 
    2.4. In secondo luogo, l'assegnazione prevista dall'art. 85  cit.
ha natura c.d. sostitutiva della vendita forzata. 
    Infatti, l'assegnazione viene fatta  per  un  prezzo,  pari  alla
minor misura tra la base  d'asta  del  terzo  incanto  e  il  credito
tributario per cui l'esattore procede (comma 1), e questo prezzo deve
essere interamente versato dallo Stato  all'effetto  di  ottenere  il
trasferimento della proprieta'  (comma  2),  tanto  e'  vero  che  e'
regolato il caso del mancato versamento del prezzo (comma 3). 
    Al versamento segue dunque l'acquisizione del prezzo  alla  massa
attiva (art. 509 c.c.) e la sua assegnazione all'esattore se  non  vi
sono concorrenti (artt. 84 d.P.R. 29 settembre  1973  n.  602  e  510
c.p.c.). Nel caso di intervento di altri creditori,  deve  procedersi
alla distribuzione in ragione delle rispettive  cause  di  prelazione
tra esattore e altri concorrenti, secondo quanto previsto dagli artt.
84 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 e 596 c.p.c.. 
    Implicitamente, ma in modo non equivoco, l'art. 85  cit.  esclude
dunque la possibilita' per l'esattore di  chiedere  l'assegnazione  a
favore dello Stato  a  soddisfacimento  del  credito  erariale  (c.d.
assegnazione  satisfattiva  o  datio  in  solutum  giudiziale)  e  la
possibilita' per  lo  Stato  di  limitarsi  al  versamento  del  solo
eventuale conguaglio tra il prezzo di assegnazione e il  credito  per
cui puo' utilmente collocarsi in sede di riparto  (c.d.  assegnazione
mista). 
    Tanto e' vero che l'art. 3 comma 40 del d.1. 30 settembre 2005 n.
203 (convertito con emendamenti in legge 2 dicembre 2005 n.  248)  ha
sostituito ai comma 2 e 3 dell'art. 85 cit. le parole «dell'eventuale
conguaglio» con le parole «del prezzo per il quale e' stata  disposta
l'assegnazione». 
    2.5. Il prezzo di assegnazione e' pari alla minor  somma  tra  il
credito tributario per cui si procede e  la  base  d'asta  del  terzo
incanto andato deserto: su questo punto v'e' continuita'  con  quanto
era previsto per la devoluzione allo  Stato  ex  art.  87  d.P.R.  29
settembre 1973 n. 602. 
    Fatto per es. il credito erariale per  cui  si  procede  pari  ad
€ 50.000,00 e la base d'asta del terzo incanto pari ad €  200.000,00,
l'assegnazione deve farsi al prezzo di €  50.000,00.  Reciprocamente,
se l'esattore procede per un credito tributario pari ad € 300.000,00,
l'assegnazione dello stesso identico immobile dovrebbe farsi  per  la
minor somma e quindi per € 200.000,00. 
    Poiche' non e' previsto - e' anzi chiaramente escluso  a  seguito
della modifica apportata dall'art. 3 comma 40 d.l. 30 settembre  2005
n.  203  -  il  versamento  di  alcun  «conguaglio»,  la  norma  deve
interpretarsi  nel  senso  che   il   prezzo   di   assegnazione   e'
definitivamente fissato nella minor somma tra credito e base d'asta e
che l'eventuale differenza tra base d'asta e credito non da' luogo ad
alcun  obbligo  di  conguaglio  ne'  a  incremento  del   prezzo   di
assegnazione. 
    La stessa Corte, pronunciandosi  sulla  devoluzione  allo  Stato,
interpreto' a suo tempo l'art. 87 d.P.R. n.  602  nel  senso  che  la
norma consente «che la procedura esattoriale possa concludersi con la
devoluzione del bene allo  Stato  per  il  minor  prezzo  tra  quello
dell'incanto e  l'ammontare  dell'imposta  per  cui  ha  avuto  luogo
l'esecuzione» (Corte cost. Ord. 31 marzo 1988 n. 383). 
    2.6.  Del  pari,  non  e'  neppure  rilevante   ai   fini   della
determinazione del  prezzo  di  assegnazione  l'entita'  dei  crediti
concorrenti al riparto (art. 54 cpv. d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602)
aventi prelazione anteriore a quella  dell'esattore.  Primo,  perche'
l'art. 85 cit. facendo  riferimento  alla  «somma  per  la  quale  si
procede» riguarda evidentemente il credito tributario  e  non  altri.
Secondo, perche' l'art. 85 non rinvia all'art. 589 c.p.c. secondo cui
«l'istanza di assegnazione deve contenere l'offerta di  pagamento  di
una somma  non  inferiore  a  quella  prevista  nell'art.  506»,  ne'
all'art. 506 c.p.c. che indica  per  l'assegnazione  «un  valore  non
inferiore alle spese di esecuzione e  ai  crediti  aventi  diritto  a
prelazione anteriore a quello dell'offerente». 
    2.7.  In  ultimo,  il  rimettente  non  ignora   che,   tra   due
interpretazioni egualmente possibili, rientra nei poteri del  giudice
ordinario scegliere  quella  «costituzionalmente  orientata»  perche'
rispondente al canone di ragionevolezza e uguaglianza, e che pertanto
non puo' essere sollevata questione  di  legittimita'  costituzionale
quando il giudice rimettente, utilizzando i suoi poteri  ordinari  di
interpretazione   della   norma,   e'    in    grado    di    fornire
un'interpretazione della norma conforme  a  Costituzione  (ex  multis
Corte cost. 19 aprile 2007 n. 128). 
    Nel  caso  di  specie,  tuttavia,  ritiene  il   rimettente   che
l'interpretazione della norma, illustrata  nei  paragrafi  precedenti
(spec. § 2.4. - 2.5. - 2.6.) sia l'unica  possibile  utilizzando  gli
ordinari strumenti ermeneutici di cui dispone il  giudice  ordinario.
Chiarito il significato che lo scrivente ritiene  doversi  attribuire
all'art.  85  d.P.R.  29  settembre  1973  n.  602,  come  modificato
dall'art. 16 d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 e art. 3 comma 40 d.l.  30
settembre 2005 n. 203, si puo' ora passare all'esame  dei  motivi  di
rimessione della questione di legittimita' costituzionale. 
3. Violazione dei principi di ragionevolezza rispetto ai mezzi e allo
scopo e di  eguaglianza  in  se'  e  in  relazione  al  principio  di
capacita'  contributiva  (artt.  3  e  53   Cost.).   Non   manifesta
infondatezza della questione. 
    Dei due scenari possibili che l'art. 85 prospetta,  interessa  il
solo caso in cui l'assegnazione debba farsi per  un  prezzo  pari  al
minor credito tributario, e quindi  «a  sconto»  rispetto  alla  base
d'asta dell'ultimo incanto, la quale  a  sua  volta  corrisponde  per
effetto dei ribassi  progressivi  di  un  terzo  ai  4/9  del  prezzo
iniziale fissato dal concessionario (artt. 79 e 81 d.P.R. n. 602). 
    Non e' dunque in questione il caso opposto  -  prezzo  pari  alla
base del  terzo  incanto  -  poiche'  la  regola  che  puo'  estrarsi
dall'art.  85  coincide,  con  buona  approssimazione,   con   quella
applicabile secondo il diritto comune (cfr. art. 589 e 568 c.p.c.)  e
non genera perplessita'. Per chiarezza non si vuole  neppure  mettere
in dubbio che, se l'immobile pignorato per crediti tributari  risulta
invendibile  col  mezzo  ordinario  dell'incanto,  sia  legittima  la
previsione che consente allo  Stato  di  acquistarne  la  proprieta',
poiche' con l'ordinanza 13 marzo  1988  n.  383,  la  Corte  ha  gia'
ritenuto  che  la  devoluzione  e'  «la  conseguenza   dell'oggettiva
impossibilita'  di  vendere   il   bene   esecutato,   impossibilita'
dimostrata dall'esito negativo  di  piu'  incanti  caratterizzati  da
ribassi particolarmente elevati». 
    Si vuole, soltanto,  avanzare  il  sospetto  che  lo  «sconto  da
assegnazione», ossia il differenziale tra la maggior base d'asta e il
minor tributo,  previsto  dall'art.  85  cit.  non  sia  conforme  ai
fondamenti costituzionali del prelievo tributario e  comunque  generi
intrinsecamente irrazionalita' e ineguaglianze tra casi omogenei. 
    Si osserva in proposito. 
    3.1. L'art. 85 d.P.R.  29  settembre  1973  n.  602  riguarda  la
riscossione dei soli tributi dello Stato (art. 30 d.lgs. 26  febbraio
1999 n. 46 trascritto sub § 2.1.) ed e' quindi norma che  -  pur  non
riguardando  i  presupposti  imponibili,  i  soggetti  debitori,   le
modalita' di determinazione o  accertamento  dell'imposta  -  rientra
comunque in senso ampio nel campo delle norme tributarie, inteso come
settore dell'ordinamento  che  disciplina,  tra  l'altro,  l'esazione
delle imposte. 
    A riprova, nello scenario qui contemplato (e soltanto in questo),
l'obbligazione tributaria non resta ai  margini  dell'istituto,  come
scopo per il quale si svolge la procedura di  riscossione,  ma  entra
direttamente nel testo della norma e nel contenuto del  provvedimento
che il giudice deve adottare perche', essendo di ammontare  inferiore
alla base d'asta, determina: a) la misura del prezzo di assegnazione;
b) la misura del sacrificio patrimoniale imposto al debitore rispetto
alla somma che potrebbe ricavarsi se l'assegnazione dovesse farsi, in
ogni caso, per un  prezzo  pari  alla  base  dell'ultimo  esperimento
d'asta. 
    Si vuole ancora  osservare,  per  intendere  bene  il  meccanismo
dell'art. 85 cit., che: a) l'assegnazione fatta «a sconto» sulla base
d'asta rappresenta per il debitore una  perdita  patrimoniale  e,  in
modo perfettamente complementare, un lucro per  lo  Stato  in  misura
pari alla differenza tra i  due  parametri  (base  d'asta  e  credito
tributario); b) perdita e lucro, quasi per definizione,  non  trovano
la propria causa  giustificativa  nell'adempimento  dell'obbligazione
tributaria poiche' anzi il contribuente esecutato  perde  in  termini
patrimoniali il surplus  rispetto  all'entita'  del  tributo  rimasto
insoluto; tenuto  a  corrispondere  (come  in  specie)  la  somma  di
€ 48.621,49, viene privato a favore dello Stato di  un  bene  che,  a
seguito di consistenti ribassi, e' stato messo in vendita secondo  le
stesse norme di legge a un prezzo non inferiore ad €  145.331,76;  c)
causa efficiente di perdita e lucro e' percio', solo e  soltanto,  il
fatto accidentale e casuale che il pignoramento esattoriale e' caduto
su un bene che, nonostante i ribassi d'asta, ancora esprime un valore
patrimoniale superiore a quello del credito. 
    3.2. L'aggancio  del  prezzo  all'entita'  del  tributo  insoluto
genera   ictu   oculi   ineguaglianze    e    aporie,    sintomatiche
dell'irrazionalita' degli esiti applicativi della norma. Il punto  e'
stato  gia'  evidenziato  illustrando  l'interpretazione  del   testo
normativo (§ 2.5.): il valore di assegnazione dello  stesso  immobile
varia in funzione dell'entita' del  credito  tributario  per  cui  si
procede a esecuzione. 
    Fatto per es. il credito erariale per  cui  si  procede  pari  ad
€ 50.000,00 e la base d'asta del terzo incanto pari ad €  200.000,00,
l'assegnazione deve farsi al prezzo di € 50.000,00.  Per  contro,  se
l'esattore procede per un credito tributario pari  ad  €  300.000,00,
l'assegnazione dello stesso identico immobile dovrebbe farsi  per  la
minor somma tra i due parametri e quindi per € 200.000,00. 
    Due  le  irrazionalita'  che  ne  seguono.   Primo,   visto   che
l'assegnazione e' sostitutiva della vendita (§ 2.4.),  ossia  ha  una
causa venditionis, il prezzo d'acquisto - pure «a  sconto»  e  tenuto
conto delle forti e condivise esigenze pubblicistiche che s'esprimono
nella disciplina della riscossione delle imposte erariali - non  puo'
essere razionalmente determinato che in funzione di un parametro  che
riguarda l'immobile, quale e' il prezzo ribassato che funge  da  base
d'asta del terzo incanto: opzione che rientra nella  discrezionalita'
legislativa e che il rimettente - come gia' s'e' evidenziato sopra (§
3.) - non intende revocare in dubbio. Discorso affatto  diverso  vale
invece per l'altro parametro - qui censurato - riguardante la  misura
del tributo per cui si procede, la quale non soltanto rappresenta una
variabile indipendente dal valore dell'immobile, ma non v'e'  neppure
indirettamente collegata visto che l'art. 76 d.P.R. 29 settembre 1973
n. 602 prevede bensi' la misura minima del credito per  procedere  ad
espropriazione  immobiliare  (€ 8.000,00),  ma  non  un  criterio  di
proporzionalita' tra il credito e  il  valore  dell'immobile  che  il
concessionario puo' legittimamente pignorare. 
    Per chiarezza, l'art. 76 cit. non forma oggetto  della  questione
di legittimita' costituzionale che si propone all'esame della  Corte,
poiche' per neutralizzare le irrazionalita' denunciate e' sufficiente
espungere dall'art. 85 d.P.R. n. 602 la parte che aggancia il  prezzo
di assegnazione alla «minor somma per la quale si procede». 
    3.3. V'e'  una  seconda  e  piu'  grave  irrazionalita',  poiche'
l'aggancio al «minor prezzo tra il prezzo base del terzo incanto e la
somma per la quale si procede»  implica  che,  a  parita'  di  valore
dell'immobile, riceva un trattamento migliore in termini di valori di
scambio il contribuente che ha verso lo Stato  un  debito  tributario
piu' elevato del valore (pur ribassato) dell'immobile. 
    E infatti, se il tributo insoluto e' di  entita'  inferiore  alla
base d'asta, l'esecutato ricevera', per effetto  del  versamento  del
prezzo e sia pure per pagare lo Stato  e  gli  altri  suoi  creditori
eventualmente intervenuti, una  somma  pari  alla  sola  entita'  del
credito (€ 50.000,00 nell'esempio proposto  sub  §  3.2.)  e  subira'
quindi  la  perdita  patrimoniale  «differenziale»   che   e'   stata
evidenziata sub § 3.1.. 
    Viceversa, se il  contribuente  per  negligenza,  opportunismo  o
altri motivi che qui non interessa approfondire, ha lasciato  che  si
accumulasse un consistente  debito  tributario  verso  lo  Stato,  di
ammontare superiore alla base d'asta, egli ricevera' per effetto  del
versamento del prezzo quella stessa somma che avrebbe potuto ricevere
se il terzo incanto  fosse  andato  a  buon  fine  (€ 200.000,00  per
restare al solito esempio) e non subira' perdite ulteriori. 
    In questo modo, una norma  che  plausibilmente  ha  lo  scopo  di
contrastare,  disincentivare  l'inadempienza   dei   cittadini   alle
obbligazioni tributarie finisce per sortire un risultato pratico  che
e'   diametralmente   opposto,   perche'   ceteris   paribus   premia
l'accumulazione del debito o, quantomeno, evita al grosso debitore di
subire, oltre alla perdita dell'immobile, anche l'ulteriore  falcidia
rappresentata dalla differenza tra base d'asta e tributo insoluto  (§
3.1.). 
    Non e' superfluo osservare  che  quest'irrazionalita'  dei  mezzi
giuridici rispetto allo scopo pratico della norma si verifica solo  e
soltanto per effetto dell'aggancio, qui censurato, al  «minor  prezzo
tra il prezzo base del terzo incanto e  la  somma  per  la  quale  si
procede», poiche' se invece l'assegnazione dovesse farsi  -  come  e'
peraltro diritto comune - per  una  somma  non  inferiore  alla  base
d'asta   dell'ultimo   incanto,   non   si   verificherebbe   nessuna
irrazionalita' ne' disparita' di trattamento in funzione del minore o
maggiore tributo insoluto. 
4. (Segue). 
    Per le stesse aporie gia' segnalate (§ 3.2. e  3.3.),  l'aggancio
del prezzo di assegnazione alla «minor ...  somma  per  la  quale  si
procede» entra inoltre in conflitto  con  il  principio  cardine  del
prelievo tributario secondo il quale «tutti sono tenuti a  concorrere
alle spese pubbliche in ragione della  loro  capacita'  contributiva»
(art. 53 comma 1 Cost.). 
    Poiche', secondo stabile insegnamento della Corte,  il  principio
di capacita' contributiva «va interpretato quale  specificazione  del
generale principio di uguaglianza, nel senso che a situazioni  uguali
devono corrispondere uguali regimi impositivi e, correlativamente,  a
situazioni diverse un trattamento  tributario  differenziato»  (Corte
cost. 6 luglio 1972 n. 120; conformi ex multis Corte cost. 4 febbraio
2000 n. 25; Corte cost. 13 dicembre 1963 n. 155) e  che,  ancora,  le
differenze di trattamento tributario per essere  giustificate  devono
appoggiarsi su un motivo razionalmente apprezzabile (Corte  cost.  14
luglio 1976 n. 167) o, evidentemente,  su  situazioni  obiettivamente
diverse (Corte cost.  12  luglio  1965  n.  59),  il  discorso  sulla
violazione del principio di capacita' contributiva da parte dell'art.
85 d.P.R. n. 602 puo' saldarsi senza difficolta' con il discorso gia'
svolto in merito alla violazione dell'art. 3 Cost. sotto  i  profili:
a) dell'irrazionalita' con riguardo al  mezzo  giuridico  perche'  il
parametro del credito non puo' ragionevolmente servire a stabilire il
prezzo  di  acquisto  coattivo  di   un   immobile   (§   3.2.);   b)
dell'irrazionalita' con riguardo allo scopo pratico perche' la  norma
premia ceteris  paribus  l'accumulazione  del  debito  tributario  (§
3.3.). 
    4.1.  Scendendo  nello  specifico,  l'art.  85  e'  norma   sulla
riscossione delle imposte dovute allo Stato (§ 2.1.).  Non  interessa
qui approfondire quale indice di ricchezza  o  capacita'  esprima  il
singolo tributo per cui  si  procede  a  riscossione:  basta  infatti
osservare che la capacita' di concorrere alle spese pubbliche e' gia'
definita secundum legem in misura pari  all'obbligazione  tributaria,
cosi' come e' stata accertata e risulta dall'estratto di ruolo. 
    Ben puo' dirsi dunque che l'entita' del  tributo  rappresenta  la
misura entro la quale e' accettabile e  costituzionalmente  legittimo
imporre al cittadino un sacrificio patrimoniale per «concorrere  alle
spese pubbliche». Al contrario, un sacrificio piu'  ampio  di  quello
definito dall'obbligazione  tributaria  (salvi  accessori,  sanzioni,
costi di riscossione etc.) non soltanto non trova  un  fondamento  di
legittimita' costituzionale  nell'art.  53  Cost.,  ma  anzi  risulta
implicitamente vietato dalla stessa norma,  visto  che  in  tal  modo
verrebbe fatto carico al cittadino di concorrere alle spese pubbliche
in misura maggiore della sua capacita' contributiva. 
    4.2. Anche l'art. 85 cit., e piu' ampiamente la disciplina  sulla
riscossione  coattiva,  deve  sottostare  secondo  lo  scrivente   al
principio di capacita' contributiva. Primo, perche' l'art. 53 comma 1
Cost. non distingue il  momento  fisiologico  dell'adempimento  dalle
patologie  del  rapporto  di  imposta.  Secondo,  perche'  non   puo'
ammettersi che il principio di  capacita'  contributiva  si  applichi
soltanto agli atti di imposizione e perda rilevanza nel momento della
riscossione, visto che il concorso  alle  spese  pubbliche  si  attua
precisamente con l'adempimento, spontaneo o coattivo che  sia,  della
pretesa tributaria. 
    4.3. Sennonche' l'art. 85, segnatamente il criterio della  «minor
... somma per la quale si procede», non  rispetta  il  principio  che
commisura alla capacita' contributiva il sacrificio patrimoniale  che
puo'   legittimamente   esigersi   dal   cittadino    in    relazione
all'adempimento del tributo. 
    Rinviando  per   una   piu'   estesa   trattazione   e   relative
esemplificazioni ai § 3.2. e 3.3., si osserva che: a)  l'obbligazione
tributaria serve a determinare il prezzo di acquisto del bene; b) con
cio' assoggetta, per definizione, il contribuente espropriato  a  una
perdita patrimoniale pari al surplus della base  d'asta  rispetto  al
credito,  la  quale  perdita  si  aggiunge  all'onere  economico  del
tributo;  c)  in  quanto  onere  aggiuntivo,  lo  stesso  non  riceve
copertura costituzionale nell'art. 53 comma  1  Cost.  visto  che  la
capacita'  contributiva   sussiste   nei   limiti   dell'obbligazione
tributaria (§ 4.1.) o, in sede di riscossione coattiva, dalla  «somma
per la quale si procede». 
    Concludendo, quest'onere aggiuntivo e'  imposto  al  contribuente
dal fatto che il pignoramento esattoriale e'  accidentalmente  caduto
su un  immobile  che,  nonostante  i  ribassi,  ha  una  base  d'asta
superiore alla misura del credito. 
    Pertanto, l'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973  n.  602  si  palesa
sospetto di illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 53
perche'  consente  che  in  sede  di   riscossione   esattoriale   il
contribuente moroso sia sottoposto - e peraltro secondo  un  criterio
di pura casualita' - a un sacrificio  patrimoniale  di  entita'  piu'
ampia di quello definito  dall'obbligazione  tributaria  (e  relativi
accessori, soprattasse, sanzioni, costi di riscossione etc.). 
    4.4.   Lo   scrivente   non   ignora   che,   secondo    costante
giurisprudenza, il principio della capacita'  contributiva  non  puo'
applicarsi alle prestazioni patrimoniali con  funzione  sanzionatoria
di violazioni tributarie (ex multis Corte cost.  30  luglio  1997  n.
291; Corte cost. 17 luglio 1980 n. 119). 
    Si vuole dunque esaminare la legittimita' dell'art. 85 d.P.R.  29
settembre 1973 n.  602  anche  secondo  questa  diversa  prospettiva,
ipotizzando cioe' che l'assegnazione per la «minor ... somma  per  la
quale si procede» - e quindi «a sconto» sulla  base  d'asta  -  abbia
natura  sanzionatoria  dell'inadempienza  del   contribuente   e   si
sottragga  quindi   all'applicazione   dell'art.   53   Cost.   Poche
osservazioni sono tuttavia sufficienti a fugare anche questo dubbio. 
    In primo luogo, il criterio della  «minor  somma»  risponde  ictu
oculi a un'esigenza di  risparmio  dello  Stato  nell'acquisto  della
proprieta' mediante assegnazione forzata e non a  fini  di  sanzione.
Quest'esigenza puo' astrattamente  condividersi,  salvo  che  per  il
parametro rappresentato dalla misura del credito tributario, che  non
ha alcun apprezzabile e ragionevole collegamento con  il  valore  del
bene (§ 3.2.). 
    Secondo, se  anche  si  trattasse  di  sanzione  imposta  per  il
perdurante inadempimento del debitore, la  sua  operativita'  sarebbe
oltre modo singolare, visto che: a) essa andrebbe  a  colpire  -  con
palese  violazione  del  principio  di  eguaglianza  -  non  tutti  i
contribuenti morosi che vengono espropriati del bene a  favore  dello
Stato, ma  soltanto  una  parte  di  essi,  ossia  coloro  che  hanno
casualmente subito il  pignoramento  di  un  bene  che,  pur  dopo  i
ribassi, ha una base d'asta superiore all'entita' del credito per cui
si procede; b) la sanzione non sarebbe qui neppure ragguagliata  alla
misura  del  tributo  rimasto  insoluto   o   a   una   somma   fissa
predeterminata dalla legge (come normalmente avviene  nelle  sanzioni
pecuniarie  di  diritto  tributario),  ma   risulterebbe   a   priori
indeterminabile e indeterminata dalla legge perche' dipendente  dalla
differenza tra base d'asta e credito, ossia da  un  elemento  (valore
dell'immobile ai fini dell'esecuzione esattoriale: art. 79 d.P.R.  29
settembre 1973 n. 602) che  rappresenta  una  variabile  indipendente
rispetto al credito per cui si procede. 
    In conclusione, il criterio della «minor ... somma per  la  quale
si procede» non puo' interpretarsi come sanzione,  e  quindi  non  si
sottrae alla censura basata sull'art. 53 Cost., e se anche  lo  fosse
risulterebbe comunque costituzionalmente illegittimo  per  violazione
dei  principi  di  eguaglianza,  ragionevolezza  (art.  3  Cost.)   e
determinatezza delle prestazioni patrimoniali imposte per legge (art.
23 Cost.). 
5. Violazione degli artt. 3 e 42 Cost.: irragionevole  determinazione
del prezzo per l'assegnazione coattiva in misura pari alla «minor ...
somma per la quale si  procede».  Non  manifesta  infondatezza  della
questione. 
    Bisogna ora farsi carico di un'ulteriore possibile obiezione alla
ricostruzione che, sin qui, e' stata condotta nel solco della  natura
tributaria dell'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 e quindi  dei
principi costituzionali che regolano  il  prelievo  tributario.  S'e'
osservato, in questa prospettiva, che l'assegnazione  per  la  «minor
...  somma  per   la   quale   si   procede»   determina   in   danno
dell'espropriato   una   perdita   patrimoniale   che    non    trova
giustificazione   nell'adempimento   dell'obbligazione    tributaria,
riguardando infatti il surplus (§ 3.2.) e  quindi  neppure  copertura
costituzionale nell'art. 53 comma 1 Cost. del quale  rappresenta,  al
contrario, una violazione (§ 4.3.). 
    Visto che, tuttavia,  l'assegnazione  ex  art.  85  e'  un  mezzo
sostitutivo della vendita forzata (§ 2.4.  e  3.2.),  bisogna  ancora
domandarsi  se,  per  ipotesi,  la  perdita  (e  correlativo   lucro)
differenziale tra base d'asta e «minor ...  somma  per  la  quale  si
procede» non possa trovare un fondamento alternativo di  legittimita'
proprio nella causa venditionis ossia nel rapporto di  scambio  «cosa
contro prezzo» cui da' luogo l'assegnazione sostitutiva. 
    Al quesito  deve  darsi,  ad  avviso  dello  scrivente,  risposta
negativa. 
    5.1.  Pronunciandosi  sull'art.  42  comma  3  Cost.,  la   Corte
costituzionale ha piu' volte espresso  l'indirizzo  che  l'indennizzo
«deve rappresentare un serio ristoro. Perche' cio' possa realizzarsi,
occorre far riferimento, per la  determinazione  dell'indennizzo,  al
valore del bene in relazione  alle  sue  caratteristiche  essenziali,
fatte  palesi  dalla  potenziale  utilizzazione  economica  di  esso,
secondo legge. Solo in tal modo puo' assicurarsi  la  congruita'  del
ristoro spettante all'espropriato cd evitare che esso  sia  meramente
apparente o irrisorio rispetto al valore del bene» (ex  multis  Corte
cost. 30 gennaio 1980 n. 5). Su questa falsariga,  piu'  di  recente,
s'e' affermato che «un'indennita' "congrua, seria  ed  adeguata"  non
puo' adottare il valore di  mercato  del  bene  come  mero  punto  di
partenza per calcoli successivi che  si  avvalgono  di  elementi  del
tutto sganciati da tale dato, concepiti in modo tale da lasciare alle
spalle la valutazione iniziale» (Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348). 
    5.2. Va da se' che l'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602  non
rientra nel novero dell'espropriazione per pubblica utilita', ne'  di
altri atti ablatori disposti dalla pubblica  Amministrazione,  ma  e'
pur esso un trasferimento coattivo di una proprieta' privata, sia pur
subordinato al versamento del prezzo da parte dello  Stato  (art.  85
comma 3). Che si tratti di «prezzo» piuttosto  che  «indennizzo»  non
puo' dunque essere una ragione decisiva per negare l'applicazione del
principio generale ricavabile dall'art. 42 Cost. nei termini  in  cui
e' stato interpretato  dalla  Corte:  quando  lo  Stato  esercita  la
potesta', con determinazione ex uno latere e  fuori  da  un  contesto
negoziale, di acquistare un  bene  privato,  il  corrispettivo  dello
scambio deve essere «congruo, serio e adeguato» ossia deve assumere a
parametro - pur potendo discostarsene  al  ribasso  per  contemperare
interessi pubblici e privati - «il valore del bene in relazione  alle
sue  caratteristiche  essenziali,  fatte  palesi   dalla   potenziale
utilizzazione economica di esso» (Corte cost. 30 gennaio 1980 n. 5) e
non puo' legittimamente basarsi su «elementi del tutto  sganciati  da
tale dato» (Corte cost. 24 ottobre 2007 n. 348). 
    5.3. Questa  considerazione  avvia  il  discorso  a  conclusione.
L'art. 85 cit. deve prima facie ritenersi legittimo  nella  parte  in
cui fissa il valore  di  assegnazione  nel  «prezzo  base  del  terzo
incanto», poiche' tale dato soddisfa al contempo l'interesse pubblico
al risparmio di spesa e la giurisprudenza costituzionale che  assegna
al valore del bene la funzione  di  parametro  su  cui  calcolare  la
misura del ristoro (o corrispettivo) da versare  al  privato  per  la
perdita della proprieta'.  E  nuovamente,  anche  sotto  quest'ultimo
profilo, si palesa per contro l'illegittimita' del rinvio alla «minor
... somma per la quale si procede» visto che (gia' § 3.2. e 4.4.)  la
misura del tributo insoluto e' una variabile indipendente dal  valore
di mercato dell'immobile e non e' neppure un  criterio  razionalmente
accettabile per  stabilire  di  autorita'  il  corrispettivo  di  uno
scambio imposto. 
6. Il precedente sulla devoluzione dei beni allo Stato. 
    Lo scrivente non ignora che con ordinanza 31 marzo 1988  n.  383,
la Corte costituzionale ha  dichiarato  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale degli  artt.  87  e  51  del
d.P.R. 602 del 1973 nella parte in cui  consente  che  «la  procedura
esattoriale possa concludersi con la devoluzione del bene allo  Stato
per  il  minor  prezzo  tra   quello   dell'incanto   e   l'ammontare
dell'imposta per cui  ha  avuto  luogo  l'esecuzione».  La  questione
sottoposta  all'esame  della  Corte   con   la   presente   ordinanza
interferisce, tuttavia, soltanto marginalmente con  quel  precedente,
di modo che lo scrivente ritiene che non  sussista  un  bis  in  idem
ostativo a una nuova decisione in materia.  Cio'  per  i  motivi  che
seguono. 
    6.1.  Primo,  i  parametri  di   controllo   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 85 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602 su cui e'
richiesta la pronuncia della Corte sono in tal caso diversi. 
    Nel precedente del 1988, la questione fu sollevata  per  asserita
violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost. sotto profili  che  oggi
hanno perso in buona parte ragione di essere a seguito della  riforma
introdotta con d.lgs. 26 febbraio 1999 n.  46  e  comunque  non  sono
neppure  indirettamente  collegati  alla  questione   sollevata.   In
particolare ci si riferisce: ai rapporti tra riscossione  esattoriale
e  procedura  concorsuale;  al  potere,  ritenuto  arbitrario  e  non
censurabile in sede giurisdizionale, dell'intendente  di  finanza  di
disporre il nuovo incanto o la devoluzione dell'immobile allo Stato. 
    Il criterio normativo su  cui  s'appunta  la  presente  denuncia,
dell'aggancio del prezzo di assegnazione alla «minor somma ... per la
quale  si  procede»,  e'  rimasto  invariato  nel   passaggio   dalla
devoluzione dei beni allo Stato (art. 87)  all'assegnazione  prevista
dall'art. 85 d.P.R. n. 602. Tuttavia l'ordinanza n. 383  non  ebbe  a
pronunciarsi con  specifico  riguardo  alla  violazione  delle  norme
costituzionali qui segnalate (artt. 3 e  53;  artt.  3  e  42)  e  al
principio di ragionevolezza rispetto ai mezzi giuridici e allo  scopo
pratico (vedi § 3.2. e 3.3. in particolare), poiche' tali profili non
furono dedotti dal giudice a quo. 
    6.2. Secondo, dopo la pronuncia della  Corte  e'  intervenuto  un
significativo mutamento del  quadro  normativo  con  il  gia'  citato
d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46 che  -  ritiene  lo  scrivente  -  puo'
suggerire una nuova considerazione della materia. 
    Nel  respingere  come  manifestamente  infondata  la   questione,
l'ordinanza n. 383  ebbe  infatti  a  osservare  tra  l'altro  che  i
creditori «hanno facolta' di pagare l'ammontare  dell'imposta  dovuta
dal debitore determinando  cosi'  l'estinzione  del  procedimento  di
espropriazione secondo quanto previsto dall'art. 49 del d.P.R. n. 602
del  1973;  che,  inoltre,  nel  caso  di  devoluzione  dell'immobile
espropriato allo Stato, l'art. 90 del  d.P.R.  citato  consente  -  a
tutela di tutti i creditori - il riscatto dell'immobile  espropriato,
mediante il versamento del prezzo della devoluzione, da parte di  chi
ha subito l'espropriazione nonche'  dei  creditori  ipotecari  e  dei
creditori chirografari intervenuti, stabilendo che  per  effetto  del
riscatto da chiunque esercitato il bene ritorna all'espropriato nella
situazione di diritto in cui si trovava anteriormente al pignoramento
e colui  che  ha  esercitato  il  riscatto  subentra  nei  diritti  e
privilegi spettanti allo Stato sull'immobile fino a concorrenza della
somma pagata (art. 90, quinto comma); che i  diritti  ora  menzionati
possono essere fatti valere, in costanza di fallimento,  anche  dagli
organi preposti alla procedura concorsuale». 
    In altri termini, la facolta' di pagare il debito e il potere  di
riscatto  dell'immobile,  anche  nei   tre   mesi   successivi   alla
devoluzione allo Stato (art. 90 cit.),  rappresentavano  un  adeguato
bilanciamento - tale da ricondurre ad equita' il sistema normativo  -
alla potesta'  dello  Stato  di  acquistare  l'immobile  pignorato  e
rimasto invenduto per un prezzo  sganciato  dal  valore  del  bene  e
commisurato, anche allora, alla «minor ...  somma  per  la  quale  si
procede». 
    6.3. Conviene allora osservare che quest'argomentazione non  puo'
riproporsi de plano nel mutato contesto normativo perche' il  diritto
di riscatto dell'immobile aggiudicato o  devoluto  allo  Stato,  gia'
previsto dall'art. 90 d.P.R. 29  settembre  1973  n.  602,  e'  stato
abrogato dal d.lgs. 26 febbraio 1999 n. 46.  E  pertanto,  una  volta
disposta l'assegnazione dell'immobile allo Stato, il debitore o altri
per lui non ha facolta' di evitare che si consumi, col versamento del
prezzo,  quella  falcidia  al  patrimonio   del   debitore   che   e'
rappresentata dalla differenza tra la base d'asta del terzo incanto e
la pretesa tributaria rimasta insoluta. 
    Resta per vero, tutt'oggi, ai sensi dell'attuale art.  61  d.P.R.
29 settembre 1973 n. 602, la facolta' del debitore o di un terzo  per
lui  di  adempiere  il  debito,  estinguendo  con  cio'  il  processo
esecutivo: evidentemente prima (e non dopo)  che  l'assegnazione  sia
deliberata, poiche' anche all'esecuzione esattoriale  deve  ritenersi
applicabile, giusta il rinvio contenuto nell'art. 49 cpv.  d.P.R.  29
settembre 1973 n. 602, l'art. 187-bis disp.  att.  c.p.c.:  «in  ogni
caso di estinzione o di chiusura anticipata  del  processo  esecutivo
avvenuta dopo l'aggiudicazione, anche provvisoria, o  l'assegnazione,
restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari o assegnatari, in
forza dell'articolo 632, secondo comma, del codice,  gli  effetti  di
tali atti». 
    Osserva  tuttavia  lo  scrivente  -  in  cio'  dissentendo  dalla
pronuncia n. 383 - che la legittimita' costituzionale  di  una  norma
che  regola  un  atto  del  processo   esecutivo,   quale   oggi   e'
l'assegnazione dell'immobile allo Stato, non  puo'  essere  affermata
per il solo fatto che quella norma potrebbe eventualmente non  essere
applicata, perche' l'esecuzione s'e' estinta  prima  della  pronuncia
dell'ordinanza  che  dispone  l'assegnazione  allo  Stato  ai   sensi
dell'art. 85 cit. 
    E in ogni  caso,  poi,  e'  ancora  da  osservare  che  anche  il
contribuente inadempiente - non abbia pagato per mancanza di mezzi  o
per altro motivo che qui non interessa approfondire -  ha  diritto  a
non subire la falcidia del suo patrimonio cui  da'  altrimenti  luogo
l'assegnazione allo Stato per la «minor ... somma  per  la  quale  si
procede». 
7. Rilevanza  della  questione  di  legittimita'  costituzionale  nel
processo esecutivo a quo. 
    La questione proposta nella presente ordinanza  e'  rilevante  ai
fini  delle  determinazioni  dello  scrivente  giudice  nel  processo
esecutivo esattoriale n. 457/09. 
    Infatti, come gia' s'e' accennato nella narrativa del processo (§
1.)  che  si  ha  qui  comunque  per  integralmente  richiamata:   a)
l'esecuzione e' stata fatta dal concessionario  Equitalia  Nomos  per
crediti tributari dello Stato, risultanti  dagli  estratti  di  ruolo
versati in atti; b) hanno avuto svolgimento e sono andati  deserti  i
tre incanti previsti dalla legge; c) Equitalia Nomos ha fatto rituale
istanza di assegnazione dell'immobile allo Stato ai  sensi  dell'art.
85 cit.; d) nell'istanza ha indicato il prezzo di assegnazione  nella
«minor ... somma per la quale si procede»  e  cioe'  per  il  credito
tributario di  € 48.621,49;  e)  l'istanza  e'  conforme  al  dettato
normativo  dell'art.  85  poiche',  come  si  verifica   negli   atti
depositati dal concessionario, il terzo incanto  ha  avuto  luogo  in
data 10 marzo 2009 con base d'asta pari ad  €  145.331,76  e  percio'
superiore all'entita' del credito tributario insoluto. 
    Ritiene pertanto lo scrivente che esistano, ai sensi dell'art. 85
d.P.R. n. 602, tutte le condizioni  per  far  luogo  all'assegnazione
allo Stato dell'immobile per un prezzo pari alla «somma per la  quale
si  procede»,  a  meno   che   la   Corte   costituzionale   dichiari
l'illegittimita' della norma denunciata nella parte  in  cui  ammette
che l'assegnazione abbia luogo «per il minor  prezzo  tra  il  prezzo
base del terzo incanto e la somma per la quale si procede», anziche',
in ogni caso, «per ... il prezzo base del terzo incanto». E a riprova
della rilevanza, s'osserva ancora  che,  una  volta  verificatasi  la
pronuncia di illegittimita' costituzionale, l'istanza di assegnazione
dovrebbe essere o respinta oppure accolta ma per  il  maggior  prezzo
previsto dall'art. 85 emendato.