Ordinanza 
 
nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  degli  articoli  10-bis
(introdotto dall'art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15  luglio
2009, n. 94, recante «Disposizioni in materia di sicurezza pubblica»)
e 16, comma 1 (modificato dall'art. 1, comma 16, lettera b), e  comma
22, lettera o), della legge n. 94 del 2009) del  decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero) e dell'articolo 62-bis del decreto legislativo  28  agosto
2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza  penale  del  giudice  di
pace, a norma dell'articolo 14 della L. 24 novembre  1999,  n.  468),
introdotto dall'art. 1, comma 17, lettera d) della legge  n.  94  del
2009, promossi dal Giudice di pace di Giulianova con ordinanza del 23
novembre 2009, dal Giudice di pace di Nardo'  con  ordinanza  del  10
dicembre 2009  e  dal  Giudice  di  pace  di  Abbiategrasso  con  tre
ordinanze del 18 febbraio 2010, rispettivamente  iscritte  ai  numeri
19, 149 e da 158 a 160 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  numeri  6,  22  e  23, 1ª  serie
speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2010  il  Giudice
relatore Paolo Grossi. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 23 novembre 2009 (r.o. n. 19  del
2010), il Giudice di pace di Giulianova ha sollevato - in riferimento
agli articoli 2, 25, 27, e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
nonche' in relazione agli articoli 5 e 6 del  Protocollo  addizionale
della  Convenzione  delle  Nazioni  Unite  contro   la   criminalita'
transnazionale organizzata per combattere  il  traffico  illecito  di
migranti via terra, via mare e via  aria,  ratificata  con  legge  16
marzo 2006, n. 146 (Ratifica ed esecuzione della  Convenzione  e  dei
Protocolli  delle  Nazioni  Unite  contro  il   crimine   organizzato
transnazionale, adottati dall'Assemblea generale il 15 novembre  2000
ed il 31 maggio 2001)  -  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla   condizione   dello   straniero),
introdotto dall'art. 1, comma 16, lettera a) della  legge  15  luglio
2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica); 
        che il giudice rimettente riferisce  preliminarmente:  a)  di
dover  giudicare  della  condotta  di  W.J.,  nato  in  Cina  ed  ivi
residente, in Italia senza fissa dimora, imputato del  reato  di  cui
alla disposizione censurata «(in relazione  agli  artt.  4  e  5  del
medesimo testo unico)»; b) di aver emesso, all'udienza  tenuta  il  5
ottobre 2009, una propria precedente  ordinanza,  «in  aderenza  alla
rilevata questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 10  bis
del citato dlgs 286/98, sollevata dalla Procura della  Repubblica  di
Teramo»; c) di avere, con detta ordinanza,  provveduto  -  «prendendo
atto  delle  osservazioni»  contenute  nell'istanza  presentata   dal
Pubblico Ministero  e  «previa  sospensione  del  procedimento»  -  a
rimettere  gli  atti  del  procedimento  a  questa  Corte,   «per   i
provvedimenti successivi e consequenziali»; d) di  aver  ottenuto  in
restituzione gli atti  medesimi,  per  mancanza  degli  elementi  che
consentissero di ricondurre il documento trasmesso al  paradigma  del
provvedimento di cui all'art. 23 della legge n. 87 del  1953;  e)  di
dovere, pertanto, «ritornare alla propria ordinanza  dibattimentale»,
i  cui  termini  e  motivi,  «anche  se  non  riportati,  sono  stati
sufficientemente  esposti  in  dibattimento»;  f)   di   partecipare,
«comunque», in adesione «all'invito di Codesta Suprema  Corte  e  nel
rispetto dell'art. 23 della citata legge  n.  87/53»,  le  successive
«adeguate motivazioni»; 
        che, nel considerare come condotta  penalmente  rilevante  il
semplice «ingresso»  o  il  «trattenimento  illegale  nel  territorio
italiano di qualsiasi cittadino  extracomunitario»,  la  disposizione
censurata risulterebbe in contrasto, anzitutto, con l'art. 117, primo
comma, e 25 Cost., in relazione  agli  articoli  5  e  6  del  citato
Protocollo addizionale; 
        che, secondo la ratio ed  i  principi  ispiratori  di  queste
ultime disposizioni, «il migrante non puo' essere criminalizzato  per
il suo ingresso irregolare in uno  stato,  restando  salve  tutte  le
altre ipotesi di incriminazione per  fatti  diversi»,  non  apparendo
«giusto e soprattutto utile punire penalmente»  chi  sia,  piuttosto,
«oggetto  di  organizzazioni  criminali  transnazionali»,  le   quali
dovrebbero  esse  «costituire  il  vero  obiettivo   della   risposta
repressiva»; 
        che,  non  risultando   «possibile   alcuna   interpretazione
conforme»  della  norma  censurata,   parrebbe   «insuperabile»   una
dichiarazione della sua illegittimita' costituzionale; 
        che, d'altra parte, la disposizione in  esame  contrasterebbe
con gli artt. 2, 25 e  27  Cost.,  non  sembrando  «che  le  condotte
incriminate siano offensive di alcun bene giuridico», a cominciare da
quello della «sicurezza pubblica»; 
        che,  infatti,  in   base   al   «principio   di   necessaria
offensivita'  del  diritto  penale»,  non  sarebbe   «consentito   al
legislatore introdurre  sanzioni  penali  non  collegate  a  condotte
lesive di interessi giuridicamente rilevanti, in ordine ai quali  non
sia possibile effettuare alcun giudizio di disvalore»; 
        che punire, come nella specie, condotte meramente  espressive
«di  una  condizione  individuale,  la   condizione   di   migrante»,
contrasterebbe, percio', «non solo con il principio  di  eguaglianza»
(assumendo l'incriminazione «un connotato discriminatorio  basato  su
condizioni soggettive»),  «ma  anche  con  la  fondamentale  garanzia
costituzionale in materia penale, in base alla quale si  puo'  essere
punito solo per fatti materiali e non gia' per condizioni personali»; 
        che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei  ministri,
rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  per
chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile; 
        che, secondo la difesa erariale, il  giudice  rimettente  non
solo  non  avrebbe  «minimamente  argomentato  sulla  rilevanza   nel
giudizio a quo e sulla non  manifesta  infondatezza  dei  profili  di
incostituzionalita'  dedotti  dall'ufficio  del   P.M.»,   ma   delle
osservazioni di quest'ultimo si sarebbe «limitato a  prendere  atto»,
rimettendole a questa Corte «acriticamente  senza  indicazione  delle
norme della Costituzione ritenute violate»; 
        che, con ordinanza del 10 dicembre  2009  (r.o.  n.  149  del
2010), il Giudice di pace di Nardo' ha sollevato, in riferimento agli
articoli 3, 25, 27 e 97 della Costituzione, questione di legittimita'
costituzionale degli articoli 10-bis  (limitatamente  all'ipotesi  di
soggiorno illegale) e 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 - come,
rispettivamente, introdotto dall'art. 1, comma 16, lettera  a)  della
legge n. 94 del 2009 e modificato dall'art. 1, comma 16, lettera b) e
comma 22, lettera o) della medesima legge n. 94 del  2009  -  nonche'
dell'art. 62-bis del decreto  legislativo  28  agosto  2000,  n.  274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'articolo 14 della L. 24 novembre 1999, n. 468), come  introdotto
dall'art. 1, comma 17, lettera d), della predetta  legge  n.  94  del
2009; 
        che  la  rilevanza  della  questione  -   sollevata   in   un
procedimento penale iscritto a ruolo a carico di H.A. - riguarderebbe
la «statuizione sulla sanzione da comminare all'imputato, in caso  di
riconoscimento    di     responsabilita'     penale»,     conseguente
all'applicazione della normativa censurata; 
        che, secondo il giudice rimettente, «la criminalizzazione  di
una condizione (status) che fino alla data di entrata in vigore della
novella era di competenza  esclusiva  dell'autorita'  amministrativa»
violerebbe «i principi costituzionali di materialita' e  offensivita'
del diritto penale», oltre che di  «uguaglianza,  proporzionalita'  e
ragionevolezza», di cui, in combinato disposto, ai  richiamati  artt.
3, 25 e 27 Cost., nonche'  «i  principi  generali  che  informano  la
materia penale»; 
        che la sanzione penale prevista risulterebbe, infatti, da  un
lato, «scollegata al  fatto  materiale  e  colpevole»,  connettendosi
piuttosto «al modo di essere del soggetto (immigrato)» e, dall'altro,
«priva della compromissione del bene giuridico  protetto  (lesione  o
messa in pericolo)», senza che le condotte incriminate  possano,  con
cio', essere considerate «indice di pericolosita'  sociale»  e  senza
che, d'altra  parte,  la  sanzione  penale  costituisca  «l'unico  ed
estremo strumento di deterrenza», data la «perfetta  coincidenza  del
rimedio penale con il rimedio amministrativo»; 
        che  ulteriori  «dubbi  di  ragionevolezza   e   legittimita'
costituzionale»  riguarderebbero  una  fattispecie  nella  quale   la
«punibilita' degradi in caso di provvedimenti di respingimento  o  di
espulsione amministrativa fino alla pronuncia giudiziale di non luogo
a procedere» e nella quale  anche  «l'accertamento  del  reato  possa
concludersi nell'irrogazione di un  provvedimento  di  espulsione  in
doppio binario con il provvedimento di  espulsione  amministrativo  e
che deve essere obbligatoriamente emesso»; 
        che l'irrazionalita' deriverebbe tanto dall'«inefficacia  del
raggiungimento della tutela dei  beni  costituzionalmente  rilevanti»
quanto dall'inutile «accavallarsi dello strumento penale  con  quello
amministrativo», se non proprio da una vera e propria subordinazione,
di  fatto,  del  primo  rispetto  al  secondo,  «con  la  conseguente
inapplicabilita' della pena sostitutiva in sede penale», in contrasto
con   il   principio   del   buon   funzionamento   della    pubblica
amministrazione di cui all'art. 97 Cost.; 
        che quanto, ancora, alla previsione di una pronuncia  di  non
luogo a procedere nel caso in cui l'autore del reato  sia  espulso  o
respinto ex art. 10, comma 2, del decreto legislativo in  esame,  non
potrebbe escludersi, a giudizio del rimettente,  che,  in  violazione
dell'art. 3 Cost., «condotte del tutto identiche [...] in assenza  di
adozione  di  provvedimenti  dell'autorita'  amministrativa  assumano
rilevanza   penale   differente,   determinandosi   sperequazione   e
disparita' di trattamento tra chi  debba  essere  prosciolto  poiche'
colpito da provvedimenti amministrativi [...] e chi, fatalmente,  non
destinatario  di  provvedimenti  di  allontanamento,   debba   essere
destinatario della sanzione penale», senza  che  si  possa  ricorrere
«all'analogia in malam  partem,  a  tanto  ostando  il  principio  di
tassativita' ex art. 25 Cost.»; 
        che nella normativa censurata  si  rileverebbe,  inoltre,  il
mancato riferimento alla funzione rieducativa  della  pena  (prevista
«in maniera ancillare  a  completamento  dell'azione  amministrativa,
volta all'espulsione in sede penale  dello  straniero»)  nonche',  in
violazione dell'art. 3 Cost., la mancata attribuzione di rilevanza ad
eventuali "giustificati motivi" di trattenimento nel territorio dello
Stato, al pari di quanto previsto per «l'analoga  ipotesi  delittuosa
di cui all'art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo n.  286  del
1998»; 
        che, con tre distinte ordinanze di identico contenuto, emesse
il 18 febbraio 2010 (r.o. numeri 158, 159 e 160 del 2010), il Giudice
di pace di Abbiategrasso ha sollevato, in riferimento  agli  articoli
2,  3,  25,  secondo  comma,  e  97  Cost.,  nonche'   al   principio
costituzionale di ragionevolezza della  legge  penale,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del
1998, introdotto dall'art. 16 [recte: art. 1, comma 16,  lettera  a)]
della legge n. 94 del 2009; 
        che, quanto alle circostanze di cui ai giudizi principali, il
rimettente si limita, in ciascun caso, a riferire di aver pronunciato
l'ordinanza  di  rimessione  all'udienza   tenuta   nel   corso   del
procedimento penale a carico di un contumace, imputato del  reato  di
cui alla disposizione censurata, accertato a una certa data, «perche'
si  tratteneva  sul  territorio  dello  Stato  in  violazione   delle
disposizioni inerenti l'ingresso e il soggiorno degli  stranieri  sul
territorio dello Stato». 
    Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni da
considerare identiche o  analoghe,  onde  i  relativi  giudizi  vanno
riuniti per essere decisi con un'unica pronuncia; 
        che  i  giudici  rimettenti  dubitano   -   in   riferimento,
complessivamente, agli articoli 2, 3, 25, 27, 97 e 117, primo  comma,
della   Costituzione   nonche'   al   principio   costituzionale   di
ragionevolezza della legge penale - della legittimita' costituzionale
dell'art. 10-bis del decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione  e  norme  sulla   condizione   dello   straniero),
introdotto dall'art. 1, comma 16, lettera a), della legge  15  luglio
2009, n. 94 (Disposizioni in  materia  di  sicurezza  pubblica),  che
punisce con l'ammenda da 5.000 a 10.000  euro,  salvo  che  il  fatto
costituisca piu' grave reato, lo  straniero  che  fa  ingresso  o  si
trattiene illegalmente nel territorio dello Stato; 
        che il Giudice di pace di Nardo' estende il proprio dubbio di
legittimita'  costituzionale  all'art.  16,  comma  1,  dello  stesso
decreto legislativo n. 286 del 1998,  come  modificato  dall'art.  1,
commi 16, lettera b) e 22, lettera o), della legge n.  94  del  2009,
nonche' all'art. 62-bis del decreto legislativo 28  agosto  2000,  n.
274 (Disposizioni sulla competenza penale  del  giudice  di  pace,  a
norma dell'articolo 14 della L.  24  novembre  1999,  n.  468),  come
introdotto dall'art. 1, comma 17, lettera d), della predetta legge n.
94 del 2009, che consentono al giudice competente  di  sostituire  la
pena pecuniaria con la misura  dell'espulsione  per  un  periodo  non
inferiore a cinque anni; 
        che   l'Avvocatura    generale    dello    Stato    eccepisce
l'inammissibilita' della questione sollevata dal Giudice di  pace  di
Giulianova, per difetto di motivazione in punto di rilevanza e di non
manifesta infondatezza; 
        che ciascuna delle ordinanze di  rimessione,  limitandosi  ad
enunciare scarni e succinti elementi relativi  ai  fatti  di  cui  al
giudizio principale, risulta carente anche  nella  motivazione  sulla
rilevanza della questione che prospetta, cosi' da precluderne l'esame
da parte di questa Corte; 
        che  le  ordinanze  del  Giudice  di  pace  di  Abbiategrasso
risultano, altresi', prive di qualsiasi motivazione  in  ordine  alla
non manifesta infondatezza della questione che sollevano, limitandosi
a  evocare  i   parametri   costituzionali   sopra   indicati   senza
pronunciarsi sulle ragioni della loro asserita violazione; 
        che  le  questioni  sollevate  vanno  dichiarate,   pertanto,
manifestamente  inammissibili  (tra  le  tante  pronunce,  quanto   a
insufficiente descrizione della  fattispecie  concreta  e  a  carente
motivazione sulla rilevanza, ordinanze n. 253, n. 320, n.  329  e  n.
343 del 2010; quanto al difetto di motivazione  sulla  non  manifesta
infondatezza, ordinanze n. 319 e n. 347 del 2010). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.