Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  11,  comma  8,
della legge 4 marzo  2009,  n.  15  (Delega  al  Governo  finalizzata
all'ottimizzazione della produttivita' del  lavoro  pubblico  e  alla
efficienza e  trasparenza  delle  pubbliche  amministrazioni  nonche'
disposizioni  integrative  delle  funzioni  attribuite  al  Consiglio
nazionale dell'economia  e  del  lavoro  e  alla  Corte  dei  conti),
promosso  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio   nel
procedimento vertente tra C.G. ed altra  e  la  Corte  dei  conti  ed
altri, con ordinanza del 23 marzo 2010, iscritta al  numero  189  del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 26, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti gli  atti  di  costituzione  di  C.G.  e  dell'Associazione
Magistrati della Corte dei conti nonche'  l'atto  di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri e della Corte dei conti; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  14  dicembre  2010  il  Giudice
relatore Gaetano Silvestri; 
    Uditi gli avvocati Angelo Clarizia per C.G.,  Massimo  Luciani  e
Maria Alessandra Sandulli per l'Associazione Magistrati  della  Corte
dei conti e l'avvocato dello Stato Fabrizio Fedeli per il  Presidente
del Consiglio dei ministri e per la Corte dei conti. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 23 marzo 2010, il Tribunale amministrativo
regionale  del  Lazio  ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 11, comma 8, della legge 4 marzo 2009, n. 15
(Delega al Governo finalizzata all'ottimizzazione della produttivita'
del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza  delle  pubbliche
amministrazioni  nonche'  disposizioni  integrative  delle   funzioni
attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro  e  alla
Corte dei conti), per violazione degli artt. 100, 103 e 108,  secondo
comma, della Costituzione, in relazione agli artt. 3 e 104 Cost. 
    1.1. - Il giudice a quo e' investito di un ricorso, integrato  da
motivi aggiunti, promosso da  C.G.,  consigliere  presso  la  sezione
giurisdizionale per la Regione Toscana della  Corte  dei  conti,  per
l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia: 
        a) del decreto del Presidente della Corte dei conti 7  aprile
2009 (Indizione delle elezioni per la nomina dei  rappresentanti  del
personale di magistratura in seno al Consiglio  di  presidenza  della
Corte dei conti, per il  quadriennio  2009/2013),  impugnato  con  il
ricorso principale, e di ogni  altro  atto  presupposto,  connesso  e
consequenziale, tra cui la nota del Presidente della Corte dei  conti
20 aprile 2009, n. 1067; 
        b) del decreto del Presidente della Corte dei conti 22 aprile
2009 (Rinvio delle elezioni per  la  nomina  dei  rappresentanti  del
personale di magistratura in seno al Consiglio  di  Presidenza  della
Corte dei conti per il quadriennio 2009/2013), impugnato con i  primi
motivi aggiunti; 
        c) del decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio 2009
(impugnato con  i  secondi  motivi  aggiunti),  di  costituzione  del
Consiglio di presidenza della Corte dei conti. 
    1.1.1. -  Il  Tribunale  amministrativo  riferisce  che  C.G.  ha
impugnato il decreto del Presidente della Corte dei  conti  7  aprile
2009 - con il quale erano state indette, per i giorni mercoledi' 6  e
giovedi' 7 maggio 2009, le elezioni per la nomina dei  rappresentanti
del personale di magistratura in  seno  al  Consiglio  di  presidenza
della Corte dei conti - per i seguenti motivi: 
        a)  l'indizione  delle  consultazioni  elettorali  in  giorni
lavorativi lederebbe l'elettorato attivo dei magistrati contabili,  i
quali non potrebbero esercitare il loro diritto di  voto,  in  quanto
impegnati nello svolgimento delle funzioni giurisdizionali; 
        b) le date prescelte per le elezioni pregiudicherebbero anche
l'elettorato  passivo,  poiche'  coloro  che   intendono   candidarsi
avrebbero a disposizione, per la campagna  elettorale,  un  lasso  di
tempo (ventotto giorni) inferiore a quello stabilito (per  un  minimo
di sessanta giorni) in occasione delle precedenti votazioni; inoltre,
l'art. 11, comma 10, secondo periodo, della legge n. 15 del 2009  non
porrebbe alcun vincolo in  merito  alla  data  in  cui  celebrare  le
elezioni, ma si limiterebbe a stabilire il termine ultimo  (7  maggio
2009) entro cui le stesse elezioni devono essere indette; 
        c) infine, il decreto impugnato sarebbe illegittimo in quanto
applicativo dell'art. 11, comma 8, della legge n. 15 del 2009, a  sua
volta in contrasto con gli artt. 3, 97, 100, 103, 104 e 108 Cost. 
    La richiesta di misure cautelari e' stata rigettata. 
    Con il primo atto per motivi aggiunti, il ricorrente ha impugnato
il decreto del Presidente della Corte dei conti 22 aprile  2009,  con
il quale  e'  stato  disposto  il  differimento  delle  consultazioni
elettorali alle date di sabato 9 maggio e domenica  10  maggio  2009.
Avverso siffatto provvedimento sono  state  riproposte  le  doglianze
gia' svolte con il ricorso originario e  sono  state  prospettate  le
seguenti ulteriori censure: 
        aa) anche il  differimento  della  data  delle  consultazioni
elettorali pregiudicherebbe l'elettorato passivo dei magistrati della
Corte dei conti, poiche' non sarebbe  garantito  un  lasso  di  tempo
adeguato per organizzare la campagna elettorale; 
        bb) il decreto 22 aprile 2009  sarebbe  illegittimo  a  causa
dell'incostituzionalita' dell'art. 11, comma 8, della legge n. 15 del
2009, che troverebbe conferma nel parere del Consiglio  di  Stato  1°
aprile 2009, n. 954,  relativo  al  divieto  di  rieleggibilita'  dei
membri elettivi del Consiglio di presidenza della Corte dei conti. 
    Il giudice  a  quo  riferisce  che  la  Corte  dei  conti  si  e'
costituita  nel  giudizio  principale  sollecitando  il  rigetto  del
ricorso,  nella  richiesta  cautelare  come  nel  merito,  stante  la
manifesta  infondatezza  delle   eccezioni   di   incostituzionalita'
proposte. 
    Nel  giudizio  principale  e'  intervenuta  ad  adiuvandum  anche
l'Associazione magistrati della Corte dei conti sostenendo le ragioni
del ricorrente. 
    Il rimettente ha rigettato  la  nuova  istanza  cautelare  ed  ha
fissato l'udienza per la trattazione nel merito della causa. 
    Con il  secondo  atto  per  motivi  aggiunti,  il  ricorrente  ha
impugnato il decreto del Presidente della Repubblica 13 maggio  2009,
di costituzione del Consiglio di presidenza della  Corte  dei  conti,
per  illegittimita'  derivata,  ribadendo  tutte  le   censure   gia'
formulate sia nel ricorso originario sia con i primi motivi aggiunti. 
    1.1.2. - Trattenuta la  causa  per  la  decisione,  il  Tribunale
amministrativo regionale del  Lazio  ha  esaminato  le  eccezioni  di
incostituzionalita' prospettate dal ricorrente, ritenendo rilevante e
non manifestamente infondata soltanto quella  avente  ad  oggetto  la
norma che disciplina la composizione del Consiglio di presidenza. 
    Osserva in proposito il rimettente che l'art. 11, comma 8,  della
legge n. 15 del 2009 ha modificato il precedente assetto disciplinato
dall'art. 10 della legge 13 aprile 1988,  n.  117  (Risarcimento  dei
danni  cagionati  nell'esercizio   delle   funzioni   giudiziarie   e
responsabilita' civile dei magistrati), come risultante a seguito del
decreto legislativo 7 febbraio 2006, n. 62 (Modifica della disciplina
concernente l'elezione del Consiglio di presidenza  della  Corte  dei
conti e del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, a
norma dell'articolo 2, comma 17, della legge 25 luglio 2005, n. 150).
In particolare,  il  citato  art.  11,  comma  8,  stabilisce  che  i
componenti del Consiglio di presidenza eletti  dai  magistrati  della
Corte dei conti siano quattro (anziche' dieci, come era  previsto  in
precedenza), ossia in numero eguale ai membri "laici". 
    Il ricorrente nel giudizio a quo ritiene che  la  sentenza  della
Corte  costituzionale  n.  87  del  2009  abbia  sancito   la   piena
equiparazione al C.S.M. dei Consigli di presidenza delle magistrature
speciali in ordine alla funzione di garanzia svolta da tali organi al
fine di assicurare l'indipendenza dei magistrati ordinari e speciali.
Pertanto,  non  sarebbe  ravvisabile  alcun  ragionevole  motivo  per
differenziare l'organizzazione e  la  costituzione  degli  organi  in
esame, con particolare riferimento alla componente togata elettiva. 
    Di conseguenza, secondo il  consigliere  ricorrente,  l'art.  11,
comma 8, della legge n. 15 del 2009, nel prevedere che la  componente
togata elettiva  sia  numericamente  equivalente  a  quella  "laica",
discriminerebbe  ingiustificatamente  la  condizione  dei  magistrati
della Corte dei conti rispetto a quella dei magistrati amministrativi
e ordinari, e violerebbe il combinato disposto degli artt. 104 e  108
Cost. 
    Infine, sempre ad avviso del ricorrente,  la  previsione  di  una
disciplina diversificata per la composizione dei rispettivi  Consigli
di presidenza della giustizia amministrativa e della Corte dei conti,
«pur in presenza di numerosi rinvii recettivi a norme della legge  n.
196 del 1982», violerebbe l'art. 3 Cost. con riferimento  agli  artt.
100  e  103  Cost.,  «sia  sotto  il  profilo  della   ingiustificata
disparita' di trattamento dei due ordini magistratuali che  sotto  il
profilo  della  ragionevolezza,  stanti  le  profonde  analogie   che
caratterizzano lo statuto del Consiglio di Stato e  della  Corte  dei
conti». 
    L'Avvocatura dello Stato ha sostenuto, nel  giudizio  a  quo,  la
manifesta infondatezza delle eccezioni sollevate, rilevando  come  la
struttura del Consiglio di presidenza della Corte dei conti si presti
ad una pluralita' di soluzioni, fra  le  quali  solo  il  legislatore
sarebbe legittimato a scegliere nella sua  discrezionalita'.  Secondo
la difesa  erariale,  i  giudici  speciali  godrebbero  delle  stesse
garanzie della  magistratura  ordinaria  solo  con  riferimento  alla
cosiddetta indipendenza  funzionale,  mentre  non  sarebbe  possibile
invocare l'applicazione diretta ai giudici  speciali  delle  garanzie
previste dagli artt. 104-107 Cost. per i giudici ordinari, poiche' le
garanzie  per  la   cosiddetta   indipendenza   istituzionale   delle
magistrature speciali  possono  essere  variamente  disciplinate  dal
legislatore. 
    L'Avvocatura generale ha concluso osservando come  la  componente
togata, comprensiva dei membri  elettivi  e  di  quelli  di  diritto,
rappresenti comunque la maggioranza assoluta in seno al Consiglio  di
presidenza. 
    1.2. - Ad  avviso  del  Tribunale  amministrativo  rimettente  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8, della
legge n. 15 del 2009, nella parte in  cui  determina  nel  numero  di
quattro i componenti eletti dai magistrati della Corte dei conti,  e'
rilevante e non manifestamente infondata nei termini e per le ragioni
che si riassumono di seguito. 
    1.2.1. - Quanto alla rilevanza, il giudice a quo premette che  il
ricorso originario e' divenuto improcedibile per sopravvenuta carenza
di interesse, in quanto il provvedimento con esso censurato e'  stato
sostituito dal decreto del Presidente della Corte dei conti 22 aprile
2009, impugnato con il primo dei motivi aggiunti. 
    Inoltre, sia la prima sia la seconda delle doglianze dedotte  nel
ricorso originario e riproposte nel primo atto per  motivi  aggiunti,
devono essere ritenute  improcedibili  per  sopravvenuta  carenza  di
interesse, poiche' le consultazioni elettorali sono state fissate nei
giorni  di  sabato  e  di  domenica,   e   quindi   nessuna   lesione
dell'elettorato attivo e' ipotizzabile. 
    Il  ricorso  risulta  improcedibile,  sempre   per   carenza   di
interesse, anche in relazione all'asserito minor  tempo  concesso  ai
candidati, dal momento che il ricorrente non risulta essere tale. 
    Al contrario, il Tribunale amministrativo  regionale  afferma  di
dover esaminare  la  censura  di  invalidita'  del  provvedimento  di
differimento  delle   elezioni,   derivata   dall'incostituzionalita'
dell'art. 11, comma 8, della legge n. 15 del  2009;  in  relazione  a
tale doglianza, il giudice a quo  ritiene  che  il  ricorrente  abbia
interesse ad agire in quanto magistrato in servizio della  Corte  dei
conti, titolare dell'elettorato attivo. 
    In  definitiva,  secondo  il  giudice  a  quo,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8, della legge n.  15
del 2009, la'  dove  disciplina  la  composizione  del  Consiglio  di
presidenza della Corte dei conti, e' rilevante, in quanto  si  tratta
di una norma che ha trovato applicazione nel decreto 22 aprile  2009,
di differimento delle elezioni, e nel provvedimento  di  costituzione
dell'organo in esame. 
    In proposito, il  Tribunale  amministrativo  sottolinea  come  la
Corte   costituzionale,   in    occasione    dello    scrutinio    di
costituzionalita' su analoghe  norme  relative  alla  disciplina  del
Consiglio di presidenza della  giustizia  amministrativa,  non  abbia
dubitato della rilevanza di questioni sollevate nel corso di  giudizi
aventi ad oggetto l'impugnazione, rispettivamente, del  provvedimento
di indizione  delle  elezioni  (ordinanza  n.  377  del  1998)  e  di
costituzione del Consiglio (ordinanza n. 161 del 1999). 
    1.2.2. - Il giudice a quo ritiene,  inoltre,  non  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale del citato art.
11, comma 8, per contrasto con gli artt.  100,  103  e  108,  secondo
comma, Cost., in relazione agli artt. 3  e  104  Cost.,  interpretati
alla luce della recente giurisprudenza costituzionale (e'  citata  la
sentenza n. 87 del 2009). 
    Il rimettente sottolinea come la questione della composizione del
Consiglio superiore della magistratura e dei Consigli  di  presidenza
delle  magistrature  speciali  sia  fondamentale  per   la   garanzia
dell'autonomia della magistratura  e  dell'indipendenza  dei  singoli
giudici. La Costituzione, pero', per  la  magistratura  ordinaria  ha
espressamente regolato la composizione del C.S.M. (art. 104),  mentre
per le  magistrature  speciali  non  ha  disciplinato  tale  profilo,
rimettendolo  alla  legge,  la  quale   deve   assicurare   la   loro
indipendenza e quella dei loro componenti (artt. 100, terzo comma,  e
108, secondo comma). 
    Pertanto, secondo il giudice a quo, la Corte costituzionale,  con
riferimento alle magistrature speciali, e'  chiamata  a  svolgere  un
sindacato «intrinseco e  sostanziale  [...]  sulla  congruita'  degli
strumenti prescelti dal legislatore rispetto al fine da  realizzare»;
di conseguenza, qualora vi siano piu' soluzioni  parimenti  idonee  a
garantire il perseguimento di tale fine, la Corte deve fare salva  la
discrezionalita' del legislatore, come in  effetti  e'  avvenuto  nei
giudizi definiti con le ordinanze n. 377 del 1998 e n. 161 del  1999.
Quando invece  la  scelta  del  legislatore  si  riveli  inidonea  ad
assicurare l'indipendenza della magistratura  speciale,  la  relativa
disciplina deve essere ritenuta  incostituzionale  (sono  citate,  al
riguardo, le sentenze n. 230 del 1987 e n. 266 del 1988). 
    Ad avviso del rimettente, non sono del tutto condivisibili ne' la
tesi del ricorrente, il  quale  sostiene  che  il  modello  descritto
dall'art. 104 Cost. per il C.S.M. debba valere anche per  gli  organi
cosiddetti di autogoverno delle magistrature speciali, ne'  l'opposta
tesi  dell'Avvocatura  generale  dello   Stato,   secondo   cui   non
spetterebbe  alla  Corte  sindacare  la   congruita'   delle   scelte
legislative in tale materia. 
    Il giudice a quo perviene piuttosto ad una soluzione  intermedia,
prendendo spunto da quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 87 del 2009, per effetto della quale  e'  stata  ammessa,
anche nel procedimento disciplinare dei magistrati amministrativi, la
difesa da parte di avvocati del libero foro. Nell'occasione la  Corte
ha  affermato  che  la  diversa   configurazione   del   procedimento
disciplinare nei confronti, rispettivamente, dei magistrati  ordinari
e di quelli amministrativi, «dipende da una scelta  del  legislatore,
che ben puo'  articolare  diversamente  l'ordinamento  delle  singole
giurisdizioni, a patto che siano rispettati i principi costituzionali
comuni». 
    Tra questi «principi costituzionali comuni» rientra,  senz'altro,
quello  di  indipendenza  che,  pur   essendo   regolato   da   norme
costituzionali diverse (art. 104  e  art.  108  Cost.),  rappresenta,
secondo  il  giudice  a  quo,  «una  delle  garanzie   del   corretto
svolgimento della funzione giurisdizionale  complessivamente  intesa,
esercitata  cioe'  sia  dalla  magistratura   ordinaria   che   dalle
magistrature amministrativa e contabile». 
    Seguendo questa impostazione, il rimettente ritiene che nell'art.
104 Cost. possano essere rinvenuti  alcuni  «principi  costituzionali
comuni», posti a presidio della indipendenza della magistratura,  sia
ordinaria sia speciale, «che rilevino quanto meno in negativo,  quale
limite  per  il  legislatore  ordinario  quando   si   occupa   delle
magistrature speciali». Tra detti principi,  il  Tribunale  individua
quello della necessaria prevalenza in seno al C.S.M. della componente
togata  eletta  dai  magistrati  e  non   della   componente   togata
complessivamente intesa,  cioe'  comprensiva  dei  membri  togati  di
diritto. Questa conclusione sarebbe coerente con la diversa  funzione
svolta  dalla  componente  togata  elettiva  rispetto  a  quella,  di
carattere prevalentemente istituzionale, assolta  dai  componenti  di
diritto. 
    Il criterio  della  necessaria  prevalenza  numerica  dei  membri
eletti dai  magistrati  costituirebbe  un  «principio  costituzionale
comune» applicabile anche al Consiglio di presidenza della Corte  dei
conti, in virtu' del fatto  che  «l'esistenza  di  una  relazione  di
rappresentativita'», quanto meno con la  maggioranza  dei  componenti
elettivi  degli  organi   di   autogoverno,   sarebbe   un   elemento
imprescindibile al fine di assicurare  l'autonomia  e  l'indipendenza
delle varie magistrature. 
    L'art. 104 Cost. esprimerebbe dunque «un  principio  di  garanzia
minimale, secondo il quale deve essere comunque garantita, almeno, la
maggioranza dei componenti togati eletti dai magistrati» in seno agli
organi di autogoverno delle  magistrature  speciali.  Ad  avviso  del
giudice a  quo,  l'art.  108,  secondo  comma,  Cost.,  sotto  questo
profilo, dovrebbe essere letto in combinato disposto con  l'art.  104
Cost.    e,    cosi'    facendo,    indicherebbe    una    «soluzione
costituzionalmente  obbligata»,  consistente  nella  «previsione   di
almeno un componente  eletto  dai  magistrati  in  piu'  rispetto  ai
rappresentanti del Parlamento». 
    In   ragione   della   descritta   ricostruzione    del    quadro
costituzionale, il rimettente assume che l'art. 11,  comma  8,  della
legge  n.  15  del  2009  violi  il  principio  costituzionale  della
necessaria prevalenza numerica della  componente  togata  elettiva  e
quindi gli artt. 100, 103, 104 e 108 Cost.,  come  interpretati  alla
luce della citata giurisprudenza costituzionale. 
    La norma censurata contrasterebbe anche con l'art. 3  Cost.,  per
l'irragionevole  disparita'  di  trattamento  che   introdurrebbe   a
discapito della magistratura contabile  rispetto  a  tutte  le  altre
magistrature, cosi' determinando un vulnus alla sua indipendenza. 
    In  definitiva,  il  giudice  a  quo  solleva  la  questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8,  «nella  parte  in
cui prevede  che  la  componente  consiliare  eletta  dai  magistrati
contabili sia  numericamente  uguale  a  quella  rappresentativa  del
Parlamento  e  non  sia  garantita  la  presenza  maggioritaria   dei
rappresentanti  dei  magistrati  della  Corte  dei  conti   in   seno
all'organo di autogoverno, quanto meno mediante la previsione  di  un
rappresentante in piu' rispetto  al  numero  dei  rappresentanti  del
Parlamento». 
    2. -  Nel  giudizio  si  sono  costituiti  C.G.,  ricorrente  nel
giudizio principale, e  l'Associazione  Magistrati  della  Corte  dei
conti, gia' intervenuta nel giudizio a quo, chiedendo  che  questione
sia accolta. 
    3. - Si sono costituiti, con un unico atto,  pure  il  Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  e  la  Corte   dei   conti,   entrambi
rappresentati  e  difesi  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo  che  la   questione   sia   dichiarata   inammissibile   o
manifestamente infondata. 
    3.1. - Preliminarmente, l'Avvocatura generale sottolinea come nel
presente giudizio essa intervenga nell'interesse sia  del  Presidente
del Consiglio dei ministri sia della Corte dei conti, non  esistendo,
nel caso di specie, una  posizione  conflittuale  tra  gli  interessi
sostanziali dell'uno e dell'altra. 
    3.2. - Sempre in via preliminare, la  difesa  statale  deduce  la
manifesta inammissibilita' della questione. 
    3.2.1. - Secondo l'Avvocatura  generale,  il  rimettente  avrebbe
affermato apoditticamente la rilevanza  della  questione,  fondandola
sulla  mera  «titolarita'  dell'elettorato  attivo»  da   parte   del
ricorrente  nel  giudizio  principale  e  sul  fatto  che  la   norma
denunciata costituisce il presupposto del provvedimento di  indizione
delle elezioni del Consiglio di presidenza  della  Corte  dei  conti,
senza in alcun modo verificare  se  la  risoluzione  della  questione
prospettata sia influente ai fini della decisione del giudizio a quo. 
    Al riguardo, la difesa statale evidenzia una contraddizione nelle
argomentazioni  svolte  dal  Tribunale  amministrativo,   in   quanto
quest'ultimo, per un verso,  ha  dichiarato  che  il  ricorrente  nel
giudizio  principale  non  aveva  interesse  a  proporre  la  censura
inerente alla contrazione dei tempi delle elezioni, trattandosi di un
magistrato  non  candidato,  ma,  per  altro  verso,   ha   ravvisato
l'interesse dello stesso magistrato a dedurre un vizio di invalidita'
derivata dalla asserita incostituzionalita' della norma censurata. 
    La  motivazione  in   punto   di   rilevanza   sarebbe   pertanto
insufficiente e contraddittoria. 
    3.2.2. - La carenza di interesse del ricorrente  nel  giudizio  a
quo emergerebbe poi dalla considerazione che  non  si  tratta  di  un
magistrato candidato alle elezioni per il rinnovo  del  Consiglio  di
presidenza;   di    conseguenza,    l'eventuale    declaratoria    di
illegittimita'  costituzionale  non  potrebbe   riverberare   effetti
positivi sulla sua posizione  giuridica  sostanziale,  permanendo  in
capo al consigliere ricorrente «solo un generico interesse di  fatto,
non azionabile processualmente». 
    La   questione   prospettata   sarebbe   dunque    manifestamente
inammissibile per difetto di rilevanza, potendo  il  giudizio  a  quo
essere  definito  indipendentemente   dalla   sua   risoluzione.   In
particolare, secondo l'Avvocatura generale, il ricorso  nel  giudizio
principale sarebbe stato proposto «in via del tutto  strumentale  per
accedere  all'esame  incidentale  della  legittimita'  costituzionale
della norma sulla composizione "togata" del Consiglio di presidenza». 
    3.2.3. - Da ultimo, la difesa statale si sofferma su  un  profilo
di inammissibilita'  che  discenderebbe  dalla  stessa  articolazione
della questione di legittimita' costituzionale. 
    Il quesito formulato dal rimettente, infatti, non  sarebbe  tanto
finalizzato ad una verifica della legittimita'  costituzionale  della
norma censurata, quanto, piuttosto, «a  richiedere  un  "adeguamento"
della  norma  stessa»,  cui  la  Corte  dovrebbe  pervenire  con  una
pronuncia creativa di una disposizione affatto originale. 
    L'Avvocatura generale evidenzia come il giudice a quo  non  abbia
indicato con precisione «la puntuale "addizione" che consentirebbe un
intervento  salvifico  della  norma»,   limitandosi   «a   suggerire,
attraverso la locuzione avverbiale  "quanto  meno",  solo  un  limite
numerico».  Siffatta  proposizione  della  questione,  peraltro,   si
porrebbe in netto contrasto con la giurisprudenza costituzionale  che
ha ritenuto  inammissibili  i  tentativi  dei  giudici  a  quibus  di
ottenere una manipolazione della norma in senso integrativo. 
    In   definitiva,   il    Tribunale    amministrativo    regionale
solleciterebbe la Corte costituzionale  a  compiere  un'inammissibile
opera adeguatrice, sostituendosi al legislatore. 
    3.3. - Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, la
difesa statale ritiene che l'articolato percorso logico-giuridico del
giudice a quo non possa essere condiviso, in quanto contraddittorio. 
    3.3.1.  -  L'Avvocatura  generale,  dopo  aver  sottolineato   la
differenza tra il concetto di  autonomia  e  quello  di  indipendenza
della magistratura - il primo, relativo «alla magistratura intesa nel
suo  aspetto  organizzatorio»,  il  secondo   attinente   «piu'   che
all'ordine nel suo complesso, alla posizione del singolo  magistrato,
colto nel momento di  esercizio  della  funzione  giurisdizionale»  -
sottolinea come autonomia e indipendenza siano «astretti da un legame
strumentale»,  per  cui  senza  la  garanzia   strutturale   espressa
dall'autonomia non sarebbe realizzabile l'indipendenza del giudice. 
    In particolare, la difesa  statale  contesta  l'affermazione  del
rimettente secondo cui la "prevalenza" dei componenti togati elettivi
rispetto a quelli laici sarebbe, puramente e semplicemente,  sinonimo
di garanzia di indipendenza della  magistratura  dagli  altri  poteri
dello Stato. A tal fine,  sono  richiamati  i  lavori  dell'Assemblea
Costituente per  evidenziare  come,  in  quella  sede,  fosse  emersa
l'esigenza  di  assicurare  l'equilibrio  tra  le   due   componenti,
piuttosto che la mera prevalenza della componente togata elettiva. 
    L'Avvocatura generale ritiene che la  violazione  dell'art.  108,
secondo comma, Cost. possa ravvisarsi solo in presenza di «aspetti di
irrazionalita'», non riscontrabili nella norma  oggetto  dell'odierno
giudizio di legittimita' costituzionale. 
    L'affermazione del rimettente - secondo cui la  presenza  di  una
componente laica di numero pari a quella togata elettiva, in seno  al
Consiglio di presidenza, non assicurerebbe la piena  autonomia  della
magistratura contabile - non potrebbe giustificarsi  ne'  sulla  base
della sentenza n. 87 del 2009 ne' in virtu' del parere del  Consiglio
di Stato 1° aprile 2009, n. 954. In particolare,  il  giudice  a  quo
avrebbe estrapolato  e  decontestualizzato  il  riconoscimento  della
necessita'  di  assicurare  «i   principi   costituzionali   comuni»,
contenuto nella citata sentenza n. 87 del 2009, trasferendo  siffatta
affermazione in un settore radicalmente diverso,  come  quello  della
composizione  numerica  degli  organi  di   autogoverno.   Un'analoga
operazione sarebbe avvenuta con riferimento al richiamato parere  del
Consiglio di Stato. 
    La difesa statale  rinviene  il  fondamento  della  ricostruzione
operata  dal  rimettente   nell'«esplicito   collegamento   deduttivo
simbiotico» che unirebbe l'art. 104 e l'art. 108 Cost. e che  sarebbe
individuato nella «necessaria ricerca  e  affermazione  di  "principi
costituzionali  comuni"  ai  vari  ordini  di  magistrature».  A  tal
proposito, l'Avvocatura generale  richiama  la  giurisprudenza  della
Corte costituzionale relativa alla  «non  "unicita'"  tra  i  diversi
"ordini" magistratuali e le  rispettive  strutture  di  autogoverno».
Dall'esame di alcune pronunzie emergerebbe non  solo  la  distinzione
del piano dell'autonomia da quello dell'indipendenza,  ma  anche  «la
non   necessita'    (costituzionalmente    imposta)    di    un'unica
organizzazione comune tra i vari organi di autogoverno». 
    3.3.2. - L'Avvocatura generale contesta, poi, le affermazioni del
rimettente secondo cui la norma censurata sarebbe  viziata  sotto  il
profilo dell'irrazionalita' e dell'irragionevolezza; in  particolare,
la  difesa  statale  evidenzia  come  il  giudice  a  quo  non  abbia
sufficientemente precisato quali profili della norma in  esame  siano
affetti  dai  vizi  sopra  richiamati,  ne'  quale  sia  il   tertium
comparationis. 
    La prospettazione del rimettente non  terrebbe  conto,  peraltro,
della circostanza che due dei  tre  membri  di  diritto  (Procuratore
generale e Presidente aggiunto) sono "eletti", sia  pure  in  maniera
indiretta, dalla stessa base elettorale, poiche'  la  loro  nomina  -
ancorche' discendente  da  un  provvedimento  formale  dell'Autorita'
politica - e' il risultato  di  una  designazione  che  proviene  dal
Consiglio di presidenza. 
    Quanto al Presidente, l'Avvocatura  rileva  come,  in  base  alla
legge 21 luglio 2000, n. 202 (Disposizioni in materia di  nomina  del
Presidente della Corte dei conti), esso sia designato  dall'Autorita'
politica, sentito l'avviso del Consiglio di  presidenza,  e  comunque
siano previste norme idonee ad assicurarne l'indipendenza  di  fronte
al Governo. 
    Ad avviso  della  difesa  statale,  non  si  comprenderebbero  le
ragioni per  cui  i  componenti  togati  di  diritto  debbano  essere
distinti dai membri eletti, tenuto conto del comune stato giuridico e
delle modalita' di designazione. Parimenti non condivisibile  sarebbe
l'affermazione secondo cui i rappresentanti laici  del  Consiglio  di
presidenza  non   svolgerebbero   un   idoneo   ruolo   di   garanzia
dell'autonomia e dell'indipendenza dei giudici, tanto da  auspicarne,
esplicitamente, la messa in minoranza. 
    Al  contrario,  sempre  secondo  l'Avvocatura,  essi,  in  quanto
espressione di un Parlamento liberamente eletto,  costituirebbero  un
elemento di garanzia  del  corretto  svolgimento  della  funzione  di
autogoverno, proprio perche' rappresentano un ineludibile momento  di
equilibrio. 
    In definitiva, nella composizione del Consiglio di presidenza non
solo non  si  coglierebbe  alcuna  rottura  del  sistema  ma  sarebbe
comunque prevalente la componente togata su quella  laica;  pertanto,
la norma censurata non si porrebbe quale  manifestazione  di  un  uso
abnorme,  irrazionale  e  irragionevole  della  discrezionalita'  del
legislatore,  il  quale,  non   vincolato   da   una   strutturazione
organizzativa,  come  quella  del  CSM,  stabilita  direttamente   in
Costituzione, ha ritenuto di modificare una composizione rimessa alla
disciplina della legge ordinaria, senza  vulnerare  il  principio  di
autonomia e  di  indipendenza  della  Corte  dei  conti  e  dei  suoi
componenti. 
    4. - In prossimita' dell'udienza,  hanno  depositato  memorie  il
consigliere C.G., l'Associazione Magistrati della Corte dei  conti  e
l'Avvocatura generale dello Stato, insistendo nelle conclusioni  gia'
rassegnate nei rispettivi atti di costituzione in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8, della
legge  4  marzo  2009,  n.  15   (Delega   al   Governo   finalizzata
all'ottimizzazione della produttivita' del  lavoro  pubblico  e  alla
efficienza e  trasparenza  delle  pubbliche  amministrazioni  nonche'
disposizioni  integrative  delle  funzioni  attribuite  al  Consiglio
nazionale dell'economia e del lavoro e alla  Corte  dei  conti),  per
violazione  degli  artt.  100,  103  e  108,  secondo  comma,   della
Costituzione, in relazione agli artt. 3 e 104 Cost. 
    2. - La questione e' inammissibile. 
    Il  giudice  a  quo  ha  sollevato  questione   di   legittimita'
costituzionale del citato art. 11,  comma  8,  «nella  parte  in  cui
prevede che la componente consiliare eletta dai magistrati  contabili
sia numericamente uguale a quella rappresentativa  del  Parlamento  e
non sia garantita la presenza maggioritaria  dei  rappresentanti  dei
magistrati della Corte dei conti in seno all'organo  di  autogoverno,
quanto meno mediante la  previsione  di  un  rappresentante  in  piu'
rispetto al numero dei rappresentanti del Parlamento». 
    Il medesimo giudice ritiene di dover scartare  le  due  soluzioni
estreme al problema delle garanzie istituzionali di indipendenza  dei
giudici delle giurisdizioni speciali,  imposta  al  legislatore  come
finalita' indefettibile dall'art. 108, secondo comma, Cost. La  prima
e'  quella  della  integrale  estensione,  agli  organi  di  garanzia
(impropriamente  detti  organi  di  "autogoverno")   delle   suddette
giurisdizioni, del  modello  previsto  dall'art.  104  Cost.  per  la
magistratura ordinaria. La seconda e' quella di  ritenere  del  tutto
priva di vincoli finalistici la riserva di legge contenuta nel citato
art. 108, secondo comma, Cost. 
    Tale impostazione e' condivisibile, nel  senso  della  necessita'
che un organo di garanzia debba comunque esserci, come  affermato  da
questa Corte, sul presupposto  che  «l'indipendenza  e'  [...]  forma
mentale,  costume,  coscienza  d'un'entita'  professionale»,  ma  «in
mancanza di adeguate, sostanziali  garanzie,  essa  [...]  degrada  a
velleitaria aspirazione» (sentenza n. 266 del  1988).  La  necessaria
presenza di organi di garanzia e' peraltro riconosciuta dallo  stesso
legislatore ordinario, che ha istituito  tali  organi  per  tutte  le
giurisdizioni speciali. 
    Allo stesso modo occorre riconoscere che  degli  organi  suddetti
debbono necessariamente far parte sia componenti eletti  dai  giudici
delle  singole  magistrature,  sia  componenti  esterni   di   nomina
parlamentare, nel bilanciamento degli  interessi,  costituzionalmente
tutelati, ad evitare tanto  la  dipendenza  dei  giudici  dal  potere
politico,   quanto   la   chiusura   degli    stessi    in    "caste"
autoreferenziali. 
    Nel rispetto  del  principio  costituzionale  di  cui  sopra,  il
rapporto numerico tra membri "togati" e  membri  "laici",  di  nomina
parlamentare, puo' essere variamente fissato dal legislatore. 
    3. - Secondo il rimettente, sarebbe sufficiente che questa Corte,
con una sentenza additiva, elevasse il numero dei  componenti  eletti
dai magistrati della Corte dei conti «quanto meno» di una unita'.  Da
questa espressione si deduce tuttavia che lo  stesso  giudice  a  quo
considera l'aumento di una unita' della  componente  togata  elettiva
come una delle possibilita' utili per conseguire il  fine  auspicato,
ma non l'unica, giacche' si potrebbe ritenere  maggiormente  adeguato
un rapporto numerico diverso, sulla base  di  scelte  di  maggiore  o
minore vicinanza al modello stabilito  dall'art.  104  Cost.  per  la
magistratura ordinaria. Il petitum e' formulato pertanto in  modo  da
lasciare alla  Corte  costituzionale  la  scelta  tra  una  soluzione
"minimale" ed altre soluzioni ipotizzabili, tutte ritenute  idonee  a
rimuovere il denunciato vizio di legittimita' costituzionale. 
    Questa Corte  ha  gia'  chiarito  -  proprio  con  riguardo  alla
composizione di un organo di garanzia di una giurisdizione speciale -
che  l'incertezza  del  petitum  rende  inammissibile  la   questione
(sentenza n.  67  del  1984).  Nel  caso  de  quo  viene  chiesto  un
intervento non limitato ad una pura affermazione di  principio,  come
sostenuto dalla difesa dell'Associazione Magistrati della  Corte  dei
conti,  ma  esteso  alla  individuazione  di  un  concreto   rapporto
numerico, di cui si indica, con formula dubitativa, la soglia minima,
mediante l'espressione «quanto  meno»,  che  implica  logicamente  la
preferibilita',  secondo  il  rimettente,  di  altri  rapporti,   che
vedessero una presenza piu' elevata di membri togati elettivi, in una
prospettiva di maggior rafforzamento dell'indipendenza dei magistrati
della Corte dei conti. 
    E' evidente che la scelta tra  la  soluzione  minimale  ed  altre
soluzioni possibili non puo' provenire da questa Corte, ma  solo  dal
legislatore. 
    La  rilevata  inammissibilita'  del  petitum  non   consente   di
esaminare nel  merito  la  fondatezza  delle  censure  formulate  dal
rimettente nell'atto introduttivo del presente giudizio.