IL TRIBUNALE 
 
    Nel procedimento penale a carico di Colic Sutka, nata  a  Prjedor
(Bosnia Erzegovina) il 5 ottobre 1979 e  residente  ed  elettivamente
domiciliata in Forli', via Sillaro 39, difesa di fiducia  dall'  avv.
Mengozzi Lorella, con studio in Forli', v. M. Missirini n. 6. 
    In cui si procede per il seguente reato: contravvenzione ex  art.
186 comma 2, lettera c) e comma 2-bis d.lgs. 30 aprile 1992, n..  285
(Nuovo codice della strada) per aver guidato in stato di ebbrezza  il
veicolo Fiat Croma targato FO 808909, con accertamento di  un  valore
corrispondente ad un tasso alcoolemico superiore  a  1,5  grammi  per
litro (prova di laboratorio:  g/l  1,86)  con  l'aggravante  di  aver
cagionato un incidente stradale in Cesena (FC), il 13 settembre 2007. 
1. Premessa. 
    Con decreto del Presidente del Tribunale di Forli' del 14  luglio
2010 il dott. Alessandro Trinci, magistrato di prima  nomina,  veniva
indicato, in sostituzione  del  dott.  Marco  Dovesi,  per  l'udienza
monocratica fissata in data odierna presso la sezione  distaccata  di
Cesena.  La  scelta  si  rendeva  obbligata  per  l'impedimento   del
magistrato  titolare  del  ruolo  a  causa  di  problemi  di  salute,
l'assenza (per ferie) e l'impedimento (per la celebrazione  di  altra
udienza) degli altri magistrati in organico e  l'indisponibilita'  di
G.O.T. 
    All'udienza veniva chiamato il suddetto procedimento -  derivante
da opposizione a decreto penale di condanna - per essere rinviato  ad
altra  data,  ma  il  P.M.  insisteva  affinche'  lo  stesso  venisse
immediatamente trattato in quanto di facile e rapida definizione. 
    Il Giudice rilevava che allo stato  egli  non  era  competente  a
trattare la materie non avendo ancora ottenuto la  prima  valutazione
di professionalita' e  prospettava  alle  parti  la  possibilita'  di
sollevare questione di legittimita' costituzionale  della  norma  che
impediva l'esercizio delle funzioni penali  monocratiche.  Le  parti,
sul punto, si rimettevano a giustizia. 
2. La norma censurata. 
    L'art. 2, comma 4, 1egge 30  luglio  2007,  n.  111,  sostituendo
l'art. 13 d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, ha introdotto il  divieto  di
destinare i Magistrati ordinari, al termine del loro tirocinio,  allo
svolgimento di funzioni requirenti o giudicanti monocratiche  penali,
comprese quelle di giudice per le indagini preliminari e  di  giudice
dell'udienza preliminare anteriormente al conseguimento  della  prima
valutazione di professionalita'. 
    La norma persegue l'obiettivo di evitare  che  i  magistrati  con
minore esperienza professionale siano chiamati a decidere da soli  su
materie delicate in quanto  incidenti  su  valori  personalistici  di
rilievo costituzionale (art. 13 Cost.). 
    Cosi' operando, pero', il legislatore ha introdotto un  normativa
della cui tenuta costituzionale e' lecito dubitare sotto due profili. 
3. La violazione dell'art. 3 Cost. 
    Innanzitutto,  appare  manifesta  l'irragionevole  disparita'  di
trattamento con la  disciplina  dettata  per  i  giudici  onorari  di
Tribunale (G.O.T.). 
    Come noto, la figura del G.O.T. e' stata introdotta dall'art.  8,
d.lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, che, novellando  l'art.  42  r.d.  30
gennaio 1941, n. 12, ha stabilito, in attuazione dell'art. 116, comma
2 Cost., che i Magistrati  onorari  sono  nominati  con  decreto  del
Ministro  di  Giustizia,  in  conformita'  della  deliberazione   del
Consiglio Superiore della Magistratura,  su  proposta  del  Consiglio
Giudiziario competente per  territorio  nella  composizione  prevista
dall'articolo 4, comma 1 legge 21 novembre 1991, n. 374. 
    Per la nomina e' richiesto il possesso dei seguenti requisiti: 
        a) cittadinanza italiana; 
        b) esercizio dei diritti civili e politici; 
        c) idoneita' fisica e psichica; 
        d) eta' non inferiore a venticinque anni e  non  superiore  a
sessantanove anni; 
        e) residenza in un comune compreso nel distretto  in  cui  ha
sede l'ufficio giudiziario per il quale e' presentata domanda,  fatta
eccezione per coloro che esercitano la professione di avvocato  o  le
funzioni notarili; 
        f) laurea in giurisprudenza; 
        g) non avere riportato condanne per delitti non colposi  o  a
pena detentiva per contravvenzioni e non essere  stato  sottoposto  a
misure di prevenzione o di sicurezza. 
    Costituisce titolo di preferenza per la nomina l'esercizio, anche
pregresso: 
        a) delle finzioni giudiziarie, comprese quelle onorarie; 
        b) della professione di avvocato,  anche  nella  qualita'  di
iscritto nell'elenco speciale previsto  dall'art.  3,  quarto  comma,
lettera b), del regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578, o di notaio; 
        c) dell'insegnamento di materie giuridiche nelle  universita'
o negli istituti superiori statali; 
        d) delle funzioni inerenti ai  servizi  delle  cancellerie  e
segreterie giudiziarie con qualifica di  dirigente  o  con  qualifica
corrispondente alla soppressa carriera direttiva; 
        e) delle funzioni con qualifica di dirigente o con  qualifica
corrispondente    alla    soppressa    carriera    direttiva    nelle
amministrazioni pubbliche o in enti pubblici economici. 
    Costituisce altresi' titolo di preferenza, in assenza  di  quelli
indicati   nel   terzo   comma,   conseguimento   del   diploma    di
specializzazione di  cui  all'art.  16  del  decreto  legislativo  17
novembre 1997, n. 398. 
    Con decreto del  Ministro  di  Giustizia,  adottato  su  conforme
deliberazione  del  Consiglio  Superiore  della  Magistratura,   sono
disciplinate le modalita' del procedimento di nomina (si veda art.  3
decreto Ministro  della  Giustizia  26  settembre  2007).  Si  tratta
comunque di una procedura selettiva  assai  snella  che  si  articola
attraverso la presentazione di  una  domanda  di  partecipazione,  la
valutazione  dei  requisiti  e  dei  titoli   degli   aspiranti,   la
predisposizione  di  una   graduatoria   da   parte   del   Consiglio
Giudiziario, l'esame delle eventuali osservazioni  alla  graduatoria,
l'approvazione della stessa, la deliberazione da parte del  C.S.M.  e
la nomina ministeriale. 
    L'art. 7, d.m. 26 settembre 2007 prevede per i  G.O.T.  di  nuova
nomina un periodo di tirocinio della durata di quattro mesi (due  nel
settore civile e due in quello penale), anteriormente  all'assunzione
di funzioni giudiziarie, con la possibilita' di un prolungamento  per
ulteriori due mesi. 
    Quanto alle funzioni che possono  essere  attribuite  in  materia
penale ai giudici onorari,  gli  artt.  43  e  43-bis,  r.d.  12/1941
stabiliscono che essi esercitano la  giurisdizione  in  primo  grado,
tenendo udienza solo nei  casi  di  impedimento  o  di  mancanza  dei
giudici ordinari, con esclusione delle funzioni  di  giudice  per  le
indagini preliminari e di giudice dell'udienza  preliminare,  nonche'
la trattazione di procedimenti diversi da quelli  previsti  dall'art.
550 c.p.p. 
    Il magistrato onorario e' poi tenuto  all'osservanza  dei  doveri
previsti per i  magistrati  ordinari,  in  quanto  compatibili  (art.
42-septies, r.d. 12/1941; art. 10, decreto Ministro  della  Giustizia
26 settembre 2007). 
    Diversa  e'  la  disciplina  che  regola   l'accesso   all'ordine
giudiziario dei magistrati ordinari. 
    L'art. 2, 1egge 30 luglio  2007,  n.  111,  contenente  modifiche
all'ordinamento giudiziario, sostituendo l'art. 2,  d.lgs.  5  aprile
2006, n. 160, ha  introdotto  nuovi  requisiti  per  l'ammissione  al
concorso per l'accesso alla Magistratura ordinaria, limitandolo  alle
seguenti categorie: 
        a) i magistrati amministrativi e contabili; 
        b) i procuratori dello Stato che non sono incorsi in sanzioni
disciplinari; 
        c) i dipendenti dello Stato,  con  qualifica  dirigenziale  o
appartenenti ad una delle posizioni dell'area C prevista dal  vigente
contratto collettivo nazionale di  lavoro,  comparto  Ministeri,  con
almeno  cinque  anni  di  anzianita'  nella  qualifica,  che  abbiano
costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per  il  quale
era richiesto il possesso del diploma  di  laurea  in  giurisprudenza
conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine  di
un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni  e  che
non sono incorsi in sanzioni disciplinari; 
        d) gli  appartenenti  al  personale  universitario  di  ruolo
docente di materie giuridiche in possesso del diploma  di  laurea  in
giurisprudenza che non sono incorsi in sanzioni disciplinati; 
        e) i dipendenti, con qualifica  dirigenziale  o  appartenenti
alla ex area direttiva, della pubblica  amministrazione,  degli  enti
pubblici a carattere nazionale  e  degli  enti  locali,  che  abbiano
costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per  il  quale
era richiesto il possesso del diploma  di  laurea  in  giurisprudenza
conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine  di
un corso universitario di durata non inferiore a  quattro  anni,  con
almeno cinque anni di anzianita' nella qualifica o,  comunque,  nelle
predette carriere e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; 
        f) gli avvocati iscritti all'albo che  non  sono  incorsi  in
sanzioni disciplinari; 
        g) coloro i quali hanno svolto  le  funzioni  di'  magistrato
onorario per almeno sei  anni  senza  demerito,  senza  essere  stati
revocati e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; 
        h)  i  laureati  in  possesso  del  diploma  di   laurea   in
giurisprudenza conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea,
al termine di un  corso  universitario  di  durata  non  inferiore  a
quattro  anni  e  del  diploma  conseguito  presso   le   scuole   di
specializzazione per le professioni legali previste dall'art. 16  del
decreto  legislativo  17  novembre  1997,  n.   398,   e   successive
modificazioni; 
        i)  i  laureati   che   hanno   conseguito   la   laurea   in
giurisprudenza al termine di un corso  universitario  di  durata  non
inferiore a quattro anni, salvo che non si tratti di seconda  laurea,
ed hanno conseguito il dottorato di ricerca in materie giuridiche; l)
i laureati che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito
di un corso universitario di durata non  inferiore  a  quattro  anni,
salvo che non si tratti di seconda laurea,  ed  hanno  conseguito  il
diploma di specializzazione in una disciplina giuridica,  al  termine
di un, corso di studi della durata non inferiore a due anni presso le
scuole di specializzazione di cui al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 10 marzo 1982, n. 162. 
    La nomina a magistrato ordinario si consegue mediante un concorso
per esami (disciplinato dagli artt. 1 ss. d.lgs. 5  aprile  2006,  n.
160, come modificato dalla legge 111/2007) che si articola attraverso
l'espletamento di una prova scritta (che consiste  nello  svolgimento
di  tre  elaborati  teorici,  rispettivamente  vertenti  sul  diritto
civile, sul diritto penale e sul diritto  amministrativo)  e  di  una
prova orale (che verte su: diritto civile ed elementi fondamentali di
diritto romano; procedura civile; diritto penale;  procedura  penale;
diritto  amministrativo,   costituzionale   e   tributario;   diritto
commerciale e fallimentare; diritto del  lavoro  e  della  previdenza
sociale;  diritto  comunitario;  diritto  internazionale  pubblico  e
privato;  elementi  di  informatica  giuridica   e   di   ordinamento
giudiziario; colloquio su una lingua straniera  scelta  fra  inglese,
spagnolo, francese e tedesco). 
    I vincitori del concorso sono poi tenuti a svolgere un  tirocinio
la cui durata (di regola 18 mesi)  e  articolazione  (di  regola  una
prima fase «generica», divisa fra civile  e  penale,  e  una  seconda
tranche  «mirata»,  con  esercizio  della  funzione  che  si  intende
assumere all'esito del tirocinio) e' rimessa al  C.S.M.  e  all'esito
del  quale  saranno  valutati  per  il  conferimento  delle  funzioni
giudiziarie. 
    Come si evince dalla normativa appena riassunta  e  come  risulta
espressamente dalla relazione al progetto di riforma dell'ordinamento
giudiziario, il meccanismo di accesso alla magistratura ordinaria  e'
stato strutturato sulla falsariga di un concorso  di  secondo  grado,
tendenzialmente omogeneo a quello previsto per le altre magistrature,
per accedere al quale il concorrente deve  aver  gia'  conseguito  un
prima  qualifica  che  ne  garantisca  una  maggiore   esperienza   e
professionalita' rispetto al mero laureato in giurisprudenza.  Quelli
richiesti, infatti, sono requisiti che presuppongono  la  maturazione
di un bagaglio di conoscenze teoriche e di  esperienze  pratiche  che
fanno del concorrente un  soggetto  particolarmente  qualificato  (si
pensi, ad esempio, alla  previsione  secondo  cui  gli  avvocati  che
intendono partecipare al concorso devono  non  solo  essere  iscritti
all'albo, ma anche aver esercitato  la  professione  per  almeno  tre
anni). A cio' si aggiunga che il vaglio selettivo passa attraverso la
dimostrazione di conoscenze giuridiche  nei  principali  settori  del
diritto e il conferimento delle  funzione  richiede  una  valutazione
positiva del magistrato all'esito di un lungo e articolato tirocinio. 
    Mettendo a confronto le  due  normative  e'  di  solare  evidenza
l'irragionevolezza della diversa  regolamentazione  dei  limiti  allo
svolgimento delle funzioni  penali  previsti  per  i  giudici  togati
rispetto a quelli  onorari.  Non  si  capisce,  infatti,  perche'  il
magistrato onorario, che non deve possedere  alcun  titolo  ulteriore
rispetto alla mera laurea in giurisprudenza  (costituendo  gli  altri
titoli solo condizioni di preferenza), viene selezionato soltanto per
titoli e assume le funzioni all'esito di un tirocinio di soli 4 mesi,
possa esercitare la giurisdizione penale monocratica nei limiti sopra
visti,  mentre  il  magistrato  ordinario,  gia'  portatore  di   una
pregressa  esperienza  teorico-pratica,  selezionato  attraverso   un
vaglio  concorsuale  assai  impegnativo  e   ulteriormente   valutato
all'esito di un tirocinio piu' lungo (quasi 5  volte)  e  articolato,
debba attendere la prima valutazione  di  professionalita',  cioe'  4
anni dalla nomina, prima di poter svolgere analoghe funzioni. 
    Il difetto di coerenza del sistema normativo emerge plasticamente
ove  si  consideri  il  caso,  certamente  non  infrequente,  di   un
magistrato onorario che risulti vincitore del concorso per  l'accesso
alla magistratura ordinaria: egli,  pur  avendo  superato  un  vaglio
concorsuale  e  completato  con  successo  il  successivo  tirocinio,
perdera' la possibilita' di esercitare quelle funzioni che prima  gli
erano consentite. Come  se  l'esito  positivo  dell'iter  di  accesso
all'ordine giudiziario gettasse un  ombra  di  sospetto  sul  novello
magistrato, soggetto antropologicamente inaffidabile. 
    L'anomalia assume tratti schizofrenici se  consideriamo  che  uno
dei requisiti per accedere al concorso e' l'aver svolto  le  funzioni
di' magistrato onorario per almeno sei anni,  senza  demerito,  senza
essere  stati  revocati  e   senza   essere   incorsi   in   sanzioni
disciplinari: come  a  dire  che  occorre  aver  maturato  una  certa
esperienza professionale per accedere al concorso, esperienza di  cui
poi il legislatore si dimentica una volta che il  gia'  onorario  sia
divenuto togato. 
    Va poi considerato che di regola il magistrato di  prima  nomina,
data la difficolta' di comporre ruoli penali soltanto collegiali,  e'
costretto a scegliere funzioni civili per i primi anni  di  carriera,
con la conseguenza che al momento della cessazione della  preclusione
all'esercizio delle funzioni monocratiche penali,  egli  ha  maturato
un'esperienza  professionale  nel  settore  civile,   mentre   alcuna
esperienza o professionalita' ulteriore (rispetto  al  tirocinio)  ha
potuto acquisire nel settore penale. 
    Non  va  poi  taciuto  il  fatto  che  gli  affari  rimessi  alla
competenza dei giudici onorari attiene a reati puniti fino a  quattro
anni di reclusione che raramente si concludono con  l'irrogazione  di
una  pena  detentiva  al  di  sopra  della  soglia   di   sospensione
condizionale, di tal che  i  rischi  che  la  norma  censurata  vuole
evitare appaiono in gran parte teorici. 
    Si profila anche una  irragionevole  disparita'  per  cosi'  dire
interna  alla  categoria.  Infatti,  non  si   capisce   perche'   le
valutazioni  sottese  alla  normativa  qui  censurata,  basate  sulla
delicatezza dei valori in  gioco  nella  materia  penale,  non  debba
valere anche per alcuni settori di quella civile: si pensi, solo  per
fare un esempio, alle questioni trattate dal giudice tutelare  o  dal
giudice del lavoro. 
4. La violazione dell'art. 97 Cost. 
    Seppure in maniera meno evidente, ricorre anche una  lesione  del
buon andamento della pubblica amministrazione,  principio  che  trova
consacrazione a livello costituzionale (art 97). Non vi  e'  chi  non
veda,  infatti,  come  le  limitazioni  poste  dal   legislatore   ai
magistrati  di  prima  nomina  (che  comprendono  anche  il   divieto
all'esercizio  delle  funzioni  requirenti)  impediscano   il   pieno
utilizzo dei nuovi magistrati con gravi  ricadute  sul  funzionamento
degli uffici giudiziari, particolarmente in quelli  situati  in  sedi
poco appetibili e che si reggono tradizionalmente su di  un  organico
composto in larga parte proprio da magistrati di prima nomina  e  che
la normativa ora vigente impedira' di sostituire. La  conseguenza  e'
che i vuoti di organico provocati dalle domande di  trasferimento  ad
altre sedi dei magistrati operanti  in  quegli  uffici  non  potranno
essere piu' colmati, con ricadute facilmente immaginabili  in  uffici
gia' particolarmente esposti  nel  contrasto  alta  criminalita'.  E'
riprova della bonta' delle argomentazioni esposte l'approvazione  del
decreto-legge 23 dicembre 2009,  n.  193,  convertito  con  modifiche
dalla 1egge 26 febbraio 2010, n. 26, che, pur mantenendo in  generale
la sopra richiamata preclusione, consente di derogare a  tale  regola
qualora ricorrano specifiche condizioni oggettive di scopertura delle
sedi disagiate e con riferimento  ai  soli  magistrati  nominati  con
decreto ministeriale 2 ottobre 2009. 
5. La legittimazione del giudice a quo. 
    Quanto  alla  legittimazione  del  giudice  rimettente,   occorre
rilevare  che,  se  normalmente  il  giudice  a  quo  viene  ritenuto
legittimato a sollevare le questioni di  legittimita'  costituzionale
relative  alle  norme  di  cui  egli  puo'  fare   applicazione   per
l'emanazione  di  provvedimenti  di  sua  competenza,  non  si   puo'
escludere la sua legittimazione qualora l'oggetto della questione sia
proprio il riconoscimento delle competenze dello stesso  giudice.  In
altri termini, se quest'ultimo avesse gia' competenza ad emanare quel
provvedimento, non sussisterebbe la questione  di  costituzionalita',
mentre se  fosse  necessario  riconoscere  tale  competenza,  non  ci
sarebbe nessun giudice legittimato a sollevare la questione  medesima
(v. Corte cost., 6.07.1994, n. 278). 
6. Il termine di comparazione. 
    Per mero scrupolo argomentativo, occorre rilavare come  la  norma
utilizzata da questo giudice come  termine  di  raffronto  non  abbia
carattere derogatorio di una disciplina generale,  in  quanto  l'art.
106, comma 2 Cost., nel consentire l'impiego  di  magistrati  onorari
elettivi per lo  svolgimento  di  tutte  le  funzioni  attribuite  ai
giudici singoli, non  lo  circoscrive  a  situazioni  emergenziali  o
comunque eccezionali. Neppure il legislatore  ordinario  sembra  aver
impresso il carattere eccezionale alla magistratura onoraria,  atteso
che  la  subordinazione   dell'impiego   dei   giudici   non   togati
all'impedimento  di  quelli  ordinari  attiene  ai  presupposti   per
l'esercizio delle funzioni  e  non  gia'  alla  eccezionalita'  delle
stesse. 
7. La rilevanza della questione e la sua non manifesta infondatezza. 
    Dalle considerazioni svolte al punto n. 5 discende  con  evidenza
il requisito della rilevanza, dato che solo rimuovendo la norma della
cui legittimita' costituzionale si dubita sara' possibile trattare il
processo. 
    Questo   Giudice   non   ritiene   praticabili    interpretazioni
costituzionalmente orientate della norma censurata che ne evitino  il
sindacato costituzionale. L'unica strada percorribile potrebbe essere
quella di ritenere che la norma  -  dato  l'uso  della  formula  «non
possono  essere  destinati»  -  contenga  un  precetto  di  carattere
organizzativo destinato ai capi degli  uffici  e  la  cui  violazione
assume  rilevanza  meramente  interna.  Si  tratta,  pero',  di   una
soluzione  esegetica  contrastate  con  la   ratio   della   riforma,
confermata a posteriori  dallo  stesso  legislatore,  che  e'  dovuto
intervenire in via normativa per derogare  al  divieto  limitatamente
alle  funzioni  requirenti.  Ne  consegue   che   l'unica   soluzione
praticabile per affrontare il caso sub iudice e' la  rimozione  della
la norma che impedisce l'esercizio della giurisdizione. 
    Le argomentazioni riportate offrono ampia dimostrazione della non
manifesta infondatezza della questione che si intende  sollevare.  Ne
consegue che va  disposta  la  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale affinche' si pronunci sulla conformita' agli artt. 3 e
97 Cost. dell'art. 13, d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, come  sostituito
dall'art. 2 comma 4, 1egge 30 luglio 2007, n. 111, nella parte in cui
vieta di  destinare  i  Magistrati  ordinari,  al  termine  del  loro
tirocinio,  allo  svolgimento  di  funzioni  giudicanti  monocratiche
penali per i reati  di  cui  all'art.  550  c.p.p.  anteriormente  al
conseguimento della prima valutazione di professionalita'.