IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 1170 del 2010, proposto da: M.A.A.J., rappresentato
e difeso dall'avv. Mariella Console, con domicilio eletto  lo  studio
della medesima, in Torino, via Assarotti n. 11; 
    Contro  Ministero  dell'interno,  in  persona  del  Ministro  pro
tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura  distrettuale
dello Stato di Torino, presso la cui sede e' domiciliato, in  Torino,
corso Stati Uniti n. 45; Questura di Torino; 
    Per  l'annullamento  del  rigetto  dell'istanza  di  rinnovo  del
permesso di soggiorno notificato il 15 ottobre 2010. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto  l'atto  di  costituzione   in   giudizio   del   Ministero
dell'interno; Relatore  nella  camera  di  consiglio  del  giorno  10
novembre 2010 la dott.ssa Manuela Sinigoi e  uditi  per  le  parti  i
difensori come specificato nel verbale; 
 
                                Fatto 
 
    Il  ricorrente  ha   impugnato   innanzi   a   questo   Tribunale
Amministrativo Regionale il decreto del Questore della  Provincia  di
Torino in data 8 marzo 2010, prot. n.  236/2010,  con  cui  e'  stata
rigettata la sua istanza tesa ad ottenere la conversione del permesso
di soggiorno  da  «minore  eta'»  a  «lavoro  subordinato»  ai  sensi
dell'art. 32 del decreto legislativo n. 286/1998. 
    Ai  fini   che   qui   interessano,   espone   d'essere   entrato
clandestinamente in Italia in data 31 ottobre 2008, ancora minorenne,
con il consenso dei propri genitori  e  d'aver  ottenuto  in  data  5
maggio 2009 il rilascio di un permesso di soggiorno per minore  eta',
valido sino al compimento del 18° anno (13 settembre 2009). 
    Dalla documentazione versata in atti si evince, inoltre,  che  il
Giudice Tutelare del Tribunale di Torino, con provvedimento in data 8
luglio 2009, ha affidato l'allora minore A.A.I.M. allo zio  (fratello
della madre) I.M.A., che sin dal 27 gennaio  2009  lo  aveva  accolto
presso la propria abitazione e al quale, ancor prima della  decisione
giudiziale, gli stessi genitori, con dichiarazione  resa  in  data  5
febbraio 2009 innanzi all'Ufficio Notarile di El Kanater  El  Khairia
(Egitto) (Numero Repertorio A  750  del  5  febbraio  2009),  avevano
formalmente affidato il loro figliuolo. 
    Risulta, altresi', che dopo il compimento della maggiore eta'  il
ricorrente abbia trovato una stabile occupazione lavorativa. 
    Si e' costituito in giudizio il  Ministero  dell'interno  con  il
patrocinio dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino che  ha
chiesto il rigetto del ricorso. 
    All'esito dell'udienza camerale del giorno 10  novembre  2010  il
Collegio ha ritenuto di sollevare d'ufficio questione di legittimita'
costituzionale in relazione alla  norma  oggetto  d'applicazione  con
l'atto impugnato e, con separata ordinanza n. 841/2010,  ha  disposto
la sospensione cautelare dell'atto medesimo sino alla prima camera di
consiglio  successiva  alla  restituzione  degli  atti  relativi   al
giudizio da parte della Corte costituzionale. 
 
                               Diritto 
 
    Il Collegio  ritiene  sussistenti  i  presupposti  per  sollevare
d'ufficio questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  32,
commi 1 e 1-bis, del decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286,
cosi' come modificati dalla lettera v)  del  comma  22  dell'art.  1,
legge 15  luglio  2009,  n.  94,  limitatamente  alla  parte  in  cui
annoverano tra i minori (stranieri)  «non  accompagnati»  coloro  che
sono stati affidati ai sensi dell'art. 2 della legge 4  maggio  1983,
n.  184,   ovvero   che   sono   stati   sottoposti   a   tutela   e,
conseguentemente, subordinano  la  possibilita'  per  i  medesimi  di
ottenere, al raggiungimento della maggiore eta', la  conversione  del
titolo di soggiorno da «minore  eta'»  a  «lavoro»  al  possesso  dei
requisiti che la previgente disciplina richiedeva  unicamente  per  i
minori non accompagnati. 
    Dispone, infatti, il primo  comma  della  norma  citata  che  «Al
compimento della maggiore eta', allo straniero nei cui confronti sono
state applicate le disposizioni di cui all'art. 31, commi 1 e  2,  e,
fermo restando quanto previsto dal comma 1-bis, ai  minori  che  sono
stati affidati ai sensi dell'art. 2 della legge  4  maggio  1983,  n.
184, puo' essere rilasciato un permesso di soggiorno  per  motivi  di
studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato  o  autonomo,  per
esigenze sanitarie o di cura. Il permesso di soggiorno per accesso al
lavoro prescinde dal possesso dei requisiti di cui all'art. 23». 
    Precisa, quindi, il comma 1-bis che «Il permesso di soggiorno  di
cui al comma 1 puo'  essere  rilasciato  per  motivi  di  studio,  di
accesso al  lavoro  ovvero  di  lavoro  subordinato  o  autonomo,  al
compimento della maggiore eta', sempreche' non  sia  intervenuta  una
decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all'art. 33,  ai
minori stranieri non accompagnati,  affidati  ai  sensi  dell'art.  2
della legge 4 maggio 1983, n. 184, ovvero sottoposti  a  tutela,  che
siano stati ammessi per un periodo non inferiore a  due  anni  in  un
progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico
o privato che abbia  rappresentanza  nazionale  e  che  comunque  sia
iscritto nel registro istituito presso la  Presidenza  del  Consiglio
dei Ministri ai sensi dell'art. 52 del decreto del  Presidente  della
Repubblica 31 agosto 1999, n. 394». 
    Contrariamente  a  quanto  ritenuto  da  parte   ricorrente,   la
richiamata normativa non  puo'  ritenersi  applicabile  solo  per  il
futuro ovvero solo nei confronti degli stranieri minorenni entrati in
Italia, dotati di  un  permesso  di  soggiorno  per  minore  eta'  ed
affidati ai sensi dell'art. 2 della legge n.  184/1983  dopo  la  sua
entrata in vigore. 
    In base al principio tempus  regit  actum  devesi,  invero,  fare
riferimento   alla   normativa   vigente   al    momento    in    cui
l'Amministrazione formalizza la propria decisione. 
    Sicche', il ricorrente  non  puo'  beneficiare  della  previgente
(piu' favorevole) disciplina, in base alla  quale  era  pacificamente
riconosciuta  la  possibilita'  ai  minori  «comunque»  affidati   di
ottenere, al raggiungimento della maggiore eta', la  conversione  del
titolo di soggiorno posseduto. 
    E' evidente,  quindi,  l'inconsistenza  della  prima  censura  di
gravame e 
    la rilevanza ai fini della decisione della  domanda  cautelare  e
del merito della questione di costituzionalita' dei commi 1  e  1-bis
dell'art. 32 del decreto legislativo 25 luglio 1998,  n.  286,  cosi'
come modificati dalla lettera v) del comma 22 dell'art. 1,  legge  15
luglio 2009, n. 94, per contrasto con gli artt. 3,  10,  comma  1,  e
117, comma 1, della Costituzione. 
    Non potendosi  condividere  l'assunto  del  ricorrente,  per  cui
devono ritenersi i commi 1 e 2 dell'art. 32 del  decreto  legislativo
n. 286/1998, per come modificati dalla legge n. 94/1999,  applicabili
(come ha ritenuto il Ministero resistente)  anche  nei  confronti  di
coloro che  sono  entrati  in  Italia  nel  vigore  della  precedente
disciplina, che li assoggettava, secondo  la  giurisprudenza,  ad  un
trattamento piu' favorevole della nuova, le  disposizioni  potrebbero
essere in contrasto con i principi di  ragionevolezza,  imparzialita'
ed  uguaglianza  riferibili  all'art.  3  della  Costituzione  e,  al
contempo, con le disposizioni di cui all'art. 10, comma 1, e all'art.
117, comma 1, della Costituzione. 
    Il precetto legislativo, oltre  ad  introdurre,  immotivatamente,
una nuova definizione  di  «minore  non  accompagnato»,  difforme  da
quella sino ad  allora  conosciuta  dal  diritto  comunitario  e  dal
diritto  nazionale,  appare  irrazionale  ed  arbitraria  e  tale  da
frustrare l'affidamento dell'interessato nella  sicurezza  giuridica,
elemento fondamentale dello stato di diritto (Corte cost. n. 349  del
1985, n. 36 del 1985, n. 210 del 1971, n. 822 del 1988,  n.  311  del
1995, n. 390 del 1995, n. 179 del 1996, n. 416 del 1999, n.  446  del
2002). 
    Non va dimenticato, infatti, che sino all'entrata in vigore della
novella legislativa lo status di «minore non accompagnato» veniva, in
realta',  riservato  unicamente  ai  minori  (presenti)  non   aventi
cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea  che,  non
avendo presentato domanda di asilo, si trovavano per qualsiasi  causa
nel territorio dello Stato privi di assistenza  e  rappresentanza  da
parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili
(e  fino  a  quando  non  avesse  assunto  effettivamente   il   loro
affidamento un adulto per  essi  responsabile)  in  base  alle  leggi
vigenti (nell'ordinamento italiano). 
    Chiarissime  e  pressoche'  coincidenti  appaiono,   invero,   le
definizioni di «minore non  accompagnato»  ritraibili  dalla  lettura
dell'art. 2, lettera h), della direttiva  del  Consiglio  dell'Unione
Europea del 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE  (recepita  in  Italia  con
decreto legislativo 30 maggio 2005,  n.  140)  recante  norme  minime
relative all'accoglienza dei richiedenti asilo  negli  Stati  membri,
dell'art. 1, comma 1, della  risoluzione  del  Consiglio  dell'Unione
Europea del 26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini  di
Paesi terzi, e dell'art. 1, comma 2, del decreto del  Presidente  del
Consiglio  dei  Ministri  9  dicembre  1999,  n.  535,   recante   il
«Regolamento  concernente  i  compiti  del  Comitato  per  i   minori
stranieri», a norma dell'art.  33,  commi  2  e  2-bis,  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286. 
    Inoltre, in relazione all'ambito  applicativo  dell'art.  32  del
decreto legislativo n. 286/1998, nella  previgente  formulazione,  la
giurisprudenza aveva chiarito che le fattispecie  disciplinate  dalla
norma riguardavano situazioni diverse: da un lato, i minori  comunque
affidati, che rientravano nel comma  1  della  norma,  dall'altro,  i
minori stranieri non accompagnati,  per  i  quali  erano  dettate  le
disposizioni  di  cui  ai  commi  1-bis  e   1-ter   della   medesima
disposizione, con la conseguenza che i presupposti  per  il  rilascio
del permesso di soggiorno nei confronti dei minori  non  accompagnati
erano diversi  da  quelli  richiesti  per  attribuire  il  titolo  di
soggiorno ai «minori comunque affidati» (cfr.  C.d.S.,  sez.  VI,  12
aprile 2005, n. 1681; Tar Emilia-Romagna - Bologna, sez I, 23.10.2003
n. 2334; Tar Piemonte, sez. II, 12.07.2006 n. 3814). 
    E  tale  interpretazione  era  stata   avvalorata   dalla   Corte
costituzionale, la quale nella sentenza 5 giugno 2003, n. 198,  aveva
confermato, per quanto di interesse, che la disposizione  di  cui  al
citato art. 32, comma 1, del decreto legislativo  n.  286  del  1998,
laddove  prevede  la  possibilita'  di  rilasciare  il  permesso   di
soggiorno agli stranieri che compiano la maggiore eta' e che siano in
condizione di affidamento ai sensi dell'art. 31, commi 1 e  2,  e  ai
minori comunque affidati ai sensi dell'art. 2 della  legge  4  maggio
1983, n.  184,  «viene  pacificamente  interpretata,  secondo  quanto
riconosce anche l'organo remittente, come relativa ad  ogni  tipo  di
affidamento previsto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184  e  cioe'  sia
all'affidamento "amministrativo" di cui al primo comma  dell'art.  4,
che all'affidamento "giudiziario"  di  cui  al  secondo  comma  dello
stesso art. 4, sia anche all'affidamento di fatto di cui  all'art.  9
della medesima legge». 
    La Corte aveva poi affermato che «la  disposizione  del  comma  1
dell'art. 32 del decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286,  va
riferita anche ai minori stranieri sottoposti a tutela, ai sensi  del
Titolo X del Libro primo del Codice civile, e  che  pertanto  non  si
pone un problema di costituzionalita' di questa disposizione». 
    Il  diniego   della   conversione   del   titolo   di   soggiorno
all'interessato (che, a ben osservare, essendo stato  sin  da  subito
accolto presso la propria abitazione da un parente  entro  il  quarto
grado, poteva per cio' solo considerarsi «di fatto»  affidato  ad  un
adulto) e a coloro che si trovano nella sua stessa situazione  ovvero
agli stranieri - gia' entrati in Italia -  che  abbiano  ottenuto  il
permesso di soggiorno per minore eta' e siano in grado di documentare
la sussistenza di una condizione di affidamento in epoca  antecedente
alla data di entrata in vigore della citata legge n.  94,  contrasta,
in primo luogo, per le ragioni sopra esplicitate, con il principio di
ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    Questo giudice non ignora  che  il  divieto  di  irretroattivita'
della legge non e' stato elevato a  precetto  costituzionale,  salva,
per la materia  penale,  la  previsione  di  cui  all'art.  25  della
Costituzione, cosi' come non ignora la ratio della modifica apportata
alle disposizioni in questione dal cd. «pacchetto sicurezza». 
    Pur tuttavia, ritiene che, nel caso di specie, l'irragionevolezza
della  disposizione  sia  da  rinvenirsi  -  tra  l'altro   -   nella
circostanza  che  i  su  indicati  soggetti,  avendo   legittimamente
confidato nella possibilita' di ottenere la conversione del titolo in
base alle disposizioni all'epoca  vigenti,  si  sono  trovati,  senza
colpa, nell'impossibilita' materiale e giuridica di  partecipare  e/o
concludere prima della sua entrata in vigore  (e  del  raggiungimento
della maggiore eta') il progetto di integrazione previsto dalla nuova
formulazione  del  citato  art.  32:   l'applicazione   della   nuova
disciplina a questi soggetti, che non potevano avere il tempo  minimo
necessario per maturare i requisiti da essa stabiliti, implicherebbe,
pertanto, un'efficacia retroattiva della disciplina stessa, la  quale
andrebbe ad incidere su posizioni preesistenti consolidate. 
    Contrasta, inoltre, con il principio  di  eguaglianza  riferibile
sempre all'art. 3 Cost., in quanto verrebbe a  comportare  un  uguale
trattamento di situazioni non  uguali  -  non  potendosi,  a  rigore,
annoverare tra  i  minori  «non  accompagnati»  coloro  che  possono,
invece, documentare l'esistenza di una situazione di  affidamento  e,
quindi,  non  potendosi,  di  conseguenza,  applicare   la   medesima
disciplina a soggetti che si trovano  in  condizioni  sostanzialmente
difformi. 
    Contrasta, infine, con gli artt. 10, comma 1,  e  117,  comma  1,
della  Cost.,  in  quanto  la  (nuova)  definizione  di  «minore  non
accompagnato», di fatto  introdotta  dalle  disposizioni  di  cui  si
assume l'illegittimita', si pone in contrasto con quella  chiaramente
enunciata dall'art. 2, lettera  h),  della  direttiva  del  Consiglio
dell'Unione  Europea  del  27  gennaio  2003,  n.  2003/9/CE  (e  non
puntualmente recepita dal legislatore nazionale) e dall'art. 1, comma
1, della risoluzione del Consiglio dell'Unione Europea del 26  giugno
1997, di  cui  innanzi  s'e'  detto,  nonche'  con  il  principio  di
«sviluppo e consolidamento dello stato  di  diritto»,  ritraibile  da
numerose norme internazionali e comunitarie.