IL TRIBUNALE 
 
 
                               Osserva 
 
    Con decreto di rinvio a giudizio emesso in data 20  gennaio  2009
dal GUP presso il Tribunale di  Nola  Bozza  Ciro  era  accusato  del
delitto di cui all'art. 314 c.p. (peculato) perche', nominato custode
del veicolo Renault Megane tg. AL 713  VK  (di  proprieta'  di  Bozza
Assunta), sottoposto a sequestro amministrativo  da  personale  della
Compagnia Carabinieri di Castello di Cisterna  in  data  1°  febbraio
2008, se  ne  appropriava  ponendosi  alla  guida  dello  stesso;  in
Casalnuovo in data 8 maggio 2008. 
    Acquisito  su  consenso  delle   parti   ex   art.   493   c.p.p.
l'informativa di reato all'udienza del 7 gennaio  2010,  il  processo
era chiamato, previa chiusura dell'istruttoria, al  4  novembre  2010
per la discussione. 
    All'esito di camera di consiglio il Collegio emetteva la presenta
ordinanza. 
 
                               I fatti 
 
    In data 1° febbraio 2008 Bozza Ciro era  sottoposto  a  controllo
dei Carabinieri di Castello di Cisterna nel  mentre  era  alla  guida
dell'autovettura Renault Megane tg. AL 713 VK, di proprieta' di Bozza
di  specialita'  tra  la  fattispecie  penale  e  quella   sanzionata
amministrativamente dall'art. 213, comma 4, del predetto decreto,  la
relativa condotta rientra esclusivamente nel campo di applicazione di
tale ultima disposizione speciale (Cassazione penale,  sez.  III,  24
gennaio 2008, n. 17837; perviene alle medesime  conclusioni,  ma  con
una motivazione differente, che implica il ricorso anche all'art.  15
c.p., Cass. Pen. Sez. 3ª, 20 marzo 2008, n. 25116, P.M. c. Pisa). 
    Secondo altro orientamento, di contro,  nessuna  depenalizzazione
e' intervenuta per effetto dell'art. 213 cit., atteso che presupposto
per delimitare l'ambito di operativita' del principio di  specialita'
e' l'esistenza di un concorso apparente di norme che  sanzionano,  in
modo convergente, uno stesso fatto. Questa identita' ,  si  sostiene,
postula un raffronto tra le due fattispecie, al fine di stabilire  se
tra le stesse, considerate in astratto, vi  sia  omogeneita',  quanto
agli elementi  costitutivi  dell'illecito,  all'ambito  dei  soggetti
attivi, all'oggetto giuridico  e  all'interesse  protetto,  salva  la
presenza nella norma speciale di quel quid pluris  che  ne  determina
l'applicabilita' in via esclusiva. In difetto  di  convergenza  sullo
stesso fatto, allora, non vi e' spazio  per  risolvere,  in  base  al
principio di specialita', il concorso tra la disposizione  sanzionata
penalmente e quella sanzionata come mero illecito amministrativo. 
    E nei rapporti tra l'art. 334 c.p., e l'art. 213 C.d.S.: 
        a) differenti sono le condotte considerate dalle  due  norme,
in quanto la disposizione penale prevede urta serie di comportamenti,
tra  loro  equivalenti  e  alternativi,  che  si  sostanziano   nella
sottrazione, soppressione, distruzione,  dispersione,  deterioramento
della cosa sottoposta a sequestro nel corso di un procedimento penale
o dall'autorita' amministrativa; mentre la violazione  amministrativa
contempla un'unica condotta, identificata nella circolazione  abusiva
del veicolo durante il periodo in  cui  lo  stesso  e'  sottoposto  a
sequestro disposto ai sensi dello stesso art. 213 C.d.S.; 
        b) diversi sono i soggetti attivi degli illeciti,  visto  che
l'art. 334 c.p. e' reato proprio, in quanto punisce il «custode»,  il
«proprietario-custode» o il semplice  "proprietario",  mentre  l'art.
213  C.d.S.  si  rivolge  genericamente  a  «chiunque»  ed  ha   come
destinatario anche il soggetto che non riveste la qualita' di custode
o di proprietario; 
        c) distinti sono i beni giuridici protetti, laddove la  norma
del codice penale e' finalizzata a predisporre una tutela penale  per
l'interesse cautelativo proprio del vincolo imposto con il sequestro,
che rappresenta un momento di  protezione  strumentale  per  il  buon
andamento e l'imparzialita' della Pubblica Amministrazione  in  senso
lato; invece la previsione dell'illecito  amministrativo  e'  rivolta
esclusivamente  ad  impedire  l'abusiva  circolazione  stradale   del
veicolo  sequestralo  (tanto  da  prevede   anche,   quale   sanzione
accessoria, la sospensione della patente di guida, tipica del diverso
interesse protetto della sicurezza stradale, cfr., Cassazione  penale
, sez. VI, 03 dicembre 2009, n. 49895; Cass. Pen. sez. VI n. 2168 del
15 gennaio 2008, P.G. in proc. Ricci). 
    Ora,  la  descritta  problematica,   afferendo   alla   reciproca
interferenza tra il reato di  cui  all'art.  334  c.p.  e  l'illecito
amministrativo  ex  art.  213  C.d.S.,  presuppone  pur  sempre  che,
relativamente al fatto contestato, entrambe le figure appaiano  prima
facie concretamente applicabili. 
    In sostanza, perche' si ponga il dubbio di quale debba essere  la
norma sanzionatoria  regolante  la  fattispecie,  e'  necessario  pur
sempre che  tutte  quelle  apparentemente  concorrenti  si  attaglino
perfettamente al fatto rubricato. 
    Tale presupposto non ricorreva in radice nel caso in esame. 
    Premesso, infatti, che ivi  si  procedeva  nei  confronti  di  un
custode non proprietario del mezzo, andava rimarcato che , se  l'art.
334 c.p. punisce  il  soggetto  che  "sottrae,  distrugge,  sopprime,
disperde e deteriora" una cosa sottoposta a sequestro e rimessa  alla
sua custodia "al solo scopo di favorire il proprietario" di essa,  la
Procura  addebitava  a  Bozza  Ciro,  in  qualita'  di  custode   non
proprietario di un veicolo sotto sequestro amministrativo, di essersi
"appropriato" del mezzo mettendosi alla guida del medesimo. 
    Sicche' l'imputato: 
        da un  lato,  era  chiamato  a  rispondere  non  tanto  della
"sottrazione, distruzione, dispersione  e  deterioramento  del  bene,
quanto della sua "appropriazione"; 
        dall'altro,  era  accusato  di  aver  agito   per   interessi
personali e non di certo per "favorire" il proprietario della cosa. 
    Di guisa che la condotta rubricata non era in radice  sussumibile
nella fattispecie incriminatrice ex art. 334 c.p..  essendo  peraltro
stato gia' affermato come "deve escludersi  la  configurabilita'  del
reato di cui all'art  334  c.p.,  allorquando  nell'azione  posta  in
essere dall'imputato manchi la finalita' di favorire il proprietario"
(cfr, Cassazione penale , sez. VI,  27  gennaio  2009,  n.  5907,  in
motivazione). 
Qualificazione giuridica del fatto. 
      
    Il Collegio condivide in linea di principio l'indicazione operata
dalla Procura al delitto di peculato ex art. 314 c.p. con riferimento
alla condotta rubricata. 
    E' pacifico infatti che, ai sensi dell'art. 357 cod.  pen.,  come
novellato dalle leggi n. 86 del 1990 e n. 181 del 1992, la  qualifica
di pubblico ufficiale deve essere riconosciuta a quei  soggetti  che,
pubblici dipendenti  o  semplici  privati,  quale  che  sia  la  loro
posizione soggettiva, possono e debbono, nell'ambito di una  potesta'
regolata dal diritto pubblico,  formare  e  manifestare  la  volonta'
della pubblica amministrazione oppure  esercitare,  indipendentemente
da  formali  investiture,   poteri   autoritativi,   deliberativi   o
certificativi, disgiuntamente e non cumulativamente considerati... (e
che) rientrano nel concetto di "poteri  certificativi"  tutte  quelle
attivita'  di  documentazione  cui  l'ordinamento  assegna  efficacia
probatoria, quale che ne sia il grado"  (Cass.,  sez.  un.,  u.p.  27
marzo 1992, Delogu, RV. 191173). 
    Onde correttamente viene ravvisato il  reato  di  peculato  nella
condotta del custode di cosa sottoposta  a  sequestro  amministrativo
che se ne appropri, in quanto  il  custode  assume  la  qualifica  di
pubblico ufficiale e in questa sua funzione ha il possesso di  quanto
in sequestro,  sulla  base  di  un  atto  coattivo  posto  in  essere
dall'autorita' per  una  finalita'  di  rilievo  pubblicistico  (cfr.
Cassazione penale, sez. VI, 27 gennaio 2009, n. 5907). 
    Tuttavia,  il  Tribunale  ritiene  di  dover   apportare   talune
integrazioni alla qualificazione giuridica del fatto in esame. 
    Bozza Ciro era colto nell'atto di utilizzare una autovettura  che
gli era stata affidata solo per ragioni di "ufficio"  afferenti  alla
sua qualifica di custode di mezzo sequestrato ex art. 213 C.d.S. 
    Tali ragioni avrebbero imposto  al  soggetto  di  "depositare  il
veicolo in un luogo di cui aveva la disponibilita' o di custodirlo, a
proprie spese, in un luogo non sottoposto a pubblico passaggio"  fino
al momento in  cui  non  diveniva  "definitivo  il  provvedimento  di
confisca" (art. 213 cit.). 
    Sennonche', facendo  uso  dell'auto,  egli  operava  una  abusiva
interversione del titolo pubblicistico del possesso e  si  comportava
uti dominus contravvenendo alle ragioni  che  giustificavano  la  sua
disponibilita' della res: nella sostanza, si appropriava abusivamente
dell'auto secondo lo schema astrattamente riconducibile all'art.  314
c.p. 
    Ferme tali notazioni, andava pero' valutato se la condotta tenuta
dall'agente rivelasse realmente una "appropriazione  definitiva"  del
bene in  questione  ovvero  se  essa  -  come  appare  preferibile  -
denotasse un mero utilizzo temporalmente limitato del mezzo,  si'  da
poter rilevare solo nei termini di un  peculato  d'uso  ex  art.  314
comma 2 c.p. 
    Giova rammentare, a riguardo, come, prima della  novella  di  cui
alla legge   n. 86/90,   la   giurisprudenza   abbia   mantenuto   un
orientamento decisamente rigoroso in materia di  uso  illegittimo  di
autovettura da parte del pubblico ufficiale, ritenendo che il  limite
all'utilizzo lecito consistesse nell'assoluto divieto della fruizione
per ragioni personali e privati e prevedendo la punibilita' a  titolo
di peculato in ogni ipotesi di uso a fini privati  ed  estranei  alle
ragioni  per  le  quali  il  pubblico  ufficiale  godeva   del   bene
(Cassazione Penale, VI sez., 14 dicembre 1978;  Cassazione  penale  ,
sez. VI, 03 novembre 1981). 
    Tuttavia, proprio con l'introduzione della nuova  fattispecie  di
cui all'art. 314 comma 2  c.p.,  piu'  volte  si  e'  invocato  nelle
applicazione giurisprudenziali il delitto di peculato  d'uso  proprio
nei casi in  cui  si  e'  utilizzato,  in  contingenze  temporalmente
limitate, un'autovettura di servizio per fini personali estranei agli
interessi dell'amministrazione (da ultimo, Cassazione penale  ,  sez.
VI, 21 maggio 2009, n. 25541): laddove, nelle relative ipotesi, si e'
inteso punire in termini meno severi l'agente al fine  di  bilanciare
la risposta  sanzionatoria  dello  Stato  al  reale  disvalore  della
condotta realizzata. 
    Ritiene allora il Collegio che, nei casi in cui un custode  venga
sorpreso sulla pubblica via alla guida di un auto sequestrata ex art.
213 C.d.S. e rimessa alla sua vigilanza, debba assumersi  sussistente
non tanto una appropriazione definitiva della  res  volta  a  violare
definitivamente  il  vincolo  di  indisponibilita'  che  il  pubblico
ufficiale doveva (far) rispettare , quanto  il  mero  uso  momentaneo
della cosa da parte di un  agente  che,  solo  per  la  durata  della
fruizione, ha operato  una  (provvisoria)  distrazione  della  stessa
dalle finalita' conservative che gli erano state affidate. 
    Infatti, nulla esclude che una volta esaurito il percorso che  il
conducente intendeva compiere,  questi  avrebbe  riposto  l'auto  nel
luogo di custodia preventivamente fissato,  si'  da  "restituire"  il
bene al suo precedente vincolo di indisponibilita'. 
    Di guisa che, in caso di flagranza di abusiva  appropriazione  di
autovettura  da  parte  di  un  pubblico  ufficiale,  in  difetto  di
riscontri di ulteriori violazioni,  per  il  principio  generale  del
favor rei immanente al nostro ordinamento penale, devesi ritenere che
l'agente non abbia manifestato  alcun  intendimento  di  acquisizione
definitiva della cosa, ma abbia posto  in  essere  solo  un  utilizzo
momentaneo della  stessa  destinato  a  terminare,  con  restituzione
immediata, non appena concluse le  ragioni  cronologicamente  ridotte
dell'indebita distrazione. 
    Anche perche', per la configurazione dell'ipotesi  delittuosa  in
questione, e' necessario proprio che  la  durata  dell'appropriazione
non superi il tempo di utilizzazione della cosa sottratta,  cosi'  da
comportare  una  sottrazione  della  stessa  alla  sua   destinazione
istituzionale tale da non compromettere seriamente  la  funzionalita'
della p. a. (da ultimo, Cassazione penale  ,  sez.  VI,  19  novembre
2003, n. 9205;Cassazione penale, sez. VI, 12 dicembre 2000,  n.  381;
Cassazione penale , sez. VI, 07 novembre 2000, n. 352 (dep.18 gennaio
2001). 
    In definitiva, la condotta contestata come peculato ex  art.  314
comma 1 c.p. andava derubricata nei termini  delineati  ex  art.  314
comma 2 c.p. 
Questione di rilevanza e non manifesta infondatezza. 
    Prospettata in questi termini la vicenda, si pone a questo  punto
un  ulteriore  questione  interpretativa.  Si  e'  gia'  detto   come
l'elemento materiale, che distingue la  minore  ipotesi  di  peculato
d'uso rispetto a quella piu' grave, e' l'uso "momentaneo" della  cosa
e la sua "immediata restituzione" dopo la fruizione realizzata. 
    In proposito,  la  Corte  di  Cassazione  ha  ritenuto  che  "uso
momentaneo" non significhi istantaneo, ma temporaneo, ossia protratto
per un tempo limitato, cosi' da comportare una sottrazione della cosa
alla  sua  destinazione  istituzionale  tale  da  non   compromettere
seriamente la funzionalita' della /pubblica amministrazione (Sez. 6^,
10 marzo 1997, Federighi). 
    Temporaneita' che, pur se non estranea ad una condotta  meramente
episodica e  occasionale,  deve  caratterizzarsi  per  consistenza  e
durata tale da realizzare una "appropriazione" e da compromettere, in
ogni caso, la  destinazione  istituzionale  della  cosa  ed  arrecare
pregiudizio, anche se  modesto,  alla  funzionalita'  della  pubblica
amministrazione. 
      
    Se questo e' vero, va allora rimarcato come la ratio stessa della
configurazione del delitto  di  peculato  d'uso  richieda  che,  dopo
l'utilizzo  della  res  per  un  periodo  limitato  di  tempo,  debba
necessariamente avvenire l'immediata restituzione della  stessa,  con
ripristino completo della situazione ex  ante  (Cassazione  penale  ,
sez. VI, M gennaio 2007, n. 10233; in senso conforme alla sentenza in
esame Cassazione Penale Sez. VI, l ° febbraio 2005, Triolo,  in  Riv.
pen., 2005, p. 834; Cassazione Penale  ,  Sez.  VI,  10  marzo  1997,
Federighi, in Guida dir., 1997, n. 24). 
    La predetta restituzione deve poi essere  volontria  (Cass.  Pen.
Sez.  6,  Sentenza  n.  299  del  30/11/1994),  solo  in   tal   modo
giustificandosi il trattamento piu' benevolo riservato al reo,  visto
il minor disvalore oggettivo e soggettivo di una appropriazione  che,
da un lato, e' iniziata al solo fine di far un uso limitato del bene,
dall'altro,   e'   terminata   mediante   una   sollecita    condotta
ripristinatoria della legalita' (restituzione) liberamente realizzata
dall'agente. 
    Sennonche'  nella  specie  la  restituzione  del  mezzo  al   suo
originario vincolo di disponibilita' (luogo di  custodia  di  cui  al
verbale di sequestro) non aveva luogo. 
    Cio'   non    tanto    perche'    l'imputato    si    determinava
(consapevolmente) in tal senso, quanto perche' gli era impossibile il
ripristino della originaria custodia in ragione di una circostanza di
forza maggiore che interveniva  nelle  more:  questa  consisteva  nel
fatto che gli agenti che lo sorprendevano al voltante,  elevando  nei
suoi confronti nuovo verbale  per  violazione  ex  art.  213  C.d.S.,
applicavano  un  "nuovo"  sequestro  amministrativo  del   mezzo   ed
apponevano su di esso un nuovo vincolo coattivo  di  indisponibilita'
(cfr, verbale 5 febbraio 2008). 
    Per cui, posto che la restituzione della cosa in una tale ipotesi
non poteva dirsi  essere  liberamente  ricorsa,  ivi  avrebbe  dovuto
applicarsi  il  peculato  comune  ,  mancando  tutti   gli   elementi
specializzanti della ipotesi  meno  grave  del  peculato  d'uso  (uso
momentaneo e restituzione del bene). 
    Sotto tale profilo, tuttavia, la norma di cui all'art. 314  comma
2 c.p. appariva affetta da profili di illegittimita' costituzionale. 
    E' noto agli operatori come il tema  sia  stato  gia'  ampiamente
sviscerato dal Giudice delle Leggi con riguardo alla  omologa  figura
del "furto d'uso". 
    A riguardo la Corte costituzionale aveva modo  di  osservare  che
"l'art.  626  n.  1  c.p.,  non  consentendo   l'applicazione   della
disciplina ivi prevista quando la  mancata  restituzione  della  cosa
sottratta sia dipesa da caso fortuito o forza maggiore,  si  pone  in
contrasto con l'art. 27 comma 1 Cost. il quale richiede non solo  che
tutti e ciascuno degli elementi che concorrono  a  contrassegnare  il
disvalore   della   fattispecie   siano   soggettivamente   collegati
all'agente e siano quindi investiti del dolo o della colpa, ma  anche
che  tutti  e  ciascuno  dei  predetti  elementi  siano  allo  stesso
rimproverabili; pertanto e' costituzionalmente illegittimo l'art. 626
n. 1 c.p. nella parte in cui non estende la disciplina  ivi  prevista
alla mancata restituzione della cosa sottratta dovuta a caso fortuito
o forza maggiore" (Corte costituzionale, 13 dicembre 1988, n. 1085). 
    Orbene, osserva il Collegio che nel  caso  in  esame  ricorrevano
sostanzialmente gli stessi presupposti di  fatto  che  inducevano  il
Giudice  delle  Leggi  negli  anni  '80  a  pronunciarsi  nel   senso
riportato. 
    In particolare, sussisteva: 
        una figura di reato (peculato d'uso) dalla struttura  analoga
a quella di cui all'art. 626 n. 1 c.p. , in quanto in entrambi i casi
l'immediata restituzione della cosa oggetto di  delitto  integra  una
fattispecie criminosa meno grave (rispetto alla  fattispecie  base  -
peculato ordinario o furto semplice  )  meritevole  di  una  risposta
sanzionatoria piu' tenue ; 
        una situazione sopravvenuta (nuovo sequestro  amministrativo)
che, configurandosi in termini di forza maggiore (factum  principis),
impediva  radicalmente  all'agente  di  far  luogo  ad   una   libera
restituzione, in tal modo imponendo l'applicazione del delitto di cui
all'art. 314 comma 1 c.p. nonostante che l'elemento  psicologico  del
reo deponesse in senso diverso (restituzione); 
        conseguente insussistenza del dolo con  riferimento  a  tutti
gli elementi oggettivi della fattispecie che avrebbe  dovuto  trovare
applicazione. 
    Ne deriva che l'art. 314 comma 2  c.p.  appare  incostituzionale,
esattamente come l'art. 626 n. 1 c.p., per  violazione  dell'art.  27
comma 1 cost., nella parte in  cui  non  estende  la  disciplina  del
peculato d'uso , sottoponendo al piu' grave regime del furto  comune,
l'ipotesi in cui  la  mancata  restituzione  della  cosa  oggetto  di
appropriazione sia dovuta solo a caso fortuito o a forza maggiore. 
    D'altro canto la stessa  Corte  di  Cassazione  gia'  in  passato
sanciva che, in conformita' alla statuizione  della  Corte  Cost.  n.
1085 del 1988 in tema di furto d'uso, non era affatto  manifestamente
infondata la questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  314
comma 2 c.p. in relazione al comma 1 dell'art. 27 cost.  nella  parte
in  cui  non  estende  la  disciplina  ivi  prevista,  alla   mancata
restituzione, dovuta a caso fortuito o a forza maggiore,  della  cosa
appropriata, pur non sollevando in quella  circostanza  la  questione
per mancanza di rilevanza nella fattispecie  rimessa  al  suo  vaglio
(cfr, Cassazione penale , sez. VI, 30 novembre 1994):  rilevanza  che
in questa sede e' di contro indubitabile.