Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 10-bis  e  16,
comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla  condizione  dello  straniero)  e  dell'art.  62-bis  del
decreto legislativo  28  agosto  2000,  n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468), promossi  dal  Giudice  di  pace  di
Lecco, sezione distaccata di Missaglia, con ordinanza del 26 novembre
2009, dal Giudice di pace di Pordenone con tredici  ordinanze  dell'8
ottobre 2009 e dal Giudice di pace di Taranto con  ordinanze  del  24
dicembre 2009 e del 5 febbraio 2010, rispettivamente iscritte ai  nn.
79, da 82 a 94, 97 e 166 del registro  ordinanze  2010  e  pubblicate
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 12,  13,  14  e  23, 1ª
serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 26 gennaio  2011  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 26 novembre 2009 (r.o. n. 79  del
2010), il Giudice di pace di Lecco, sezione distaccata di  Missaglia,
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e  27  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera  a),  della
legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni  in  materia  di  sicurezza
pubblica), il quale punisce con l'ammenda da  5.000  a  10.000  euro,
«salvo che il fatto costituisca piu' grave reato, lo straniero che fa
ingresso  ovvero  si  trattiene  nel  territorio  dello   Stato,   in
violazione delle disposizioni del [citato]  testo  unico  nonche'  di
quelle di cui all'articolo 1 della  legge  28  maggio  2007,  n.  68»
(Disciplina dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite,
affari, turismo e studio); 
        che il  giudice  a  quo  premette  di  essere  investito  del
processo penale nei confronti di  un  cittadino  georgiano,  imputato
dalla contravvenzione prevista dalla norma denunciata,  il  quale,  a
seguito di controllo effettuato il  16  agosto  2009,  era  risultato
sprovvisto del permesso di soggiorno,  donde  l'addebito  di  essersi
trattenuto illegalmente nel territorio dello Stato; 
        che, ad avviso del rimettente, l'art. 10-bis  del  d.lgs.  n.
286 del 1998 si porrebbe in contrasto con gli  artt.  3  e  27  Cost.
sotto due distinti profili; 
        che  la  nuova  norma  incriminatrice  sarebbe   censurabile,
anzitutto, nella parte in cui non reca la formula «senza giustificato
motivo»,  rendendo  cosi'  punibili  anche   condotte   di   illecito
trattenimento non  «rimproverabili»  all'agente  per  valide  ragioni
oggettive o soggettive; 
        che, in tal modo, la previsione sanzionatoria si porrebbe  in
contrasto tanto con i principi di colpevolezza e di proporzionalita',
quanto con il principio di eguaglianza, per irrazionale disparita' di
trattamento    rispetto     all'analoga     fattispecie     criminosa
dell'inottemperanza all'ordine di allontanamento dal territorio dello
Stato impartito dal questore, di cui all'art. 14,  comma  5-ter,  del
d.lgs. n. 286 del 1998:  disposizione  nella  quale  l'inciso  «senza
giustificato motivo» viceversa compare; 
        che,  nel  caso  di  specie,  l'omissione  censurata  avrebbe
impedito alla difesa dell'imputato di fornire la prova  -  in  quanto
allo stato non rilevante - della circostanza  che,  dopo  l'8  agosto
2009 (data di entrata in vigore della legge n. 94 del 2009),  sarebbe
stato impossibile o quantomeno difficoltoso, per l'imputato, lasciare
il  territorio  dello  Stato  prima  di  divenire  destinatario   del
provvedimento di espulsione; 
        che la norma denunciata violerebbe gli artt.  3  e  27  Cost.
anche nella parte in cui prevede che  il  giudice  debba  pronunciare
sentenza di non luogo a procedere nel  caso  di  avvenuta  espulsione
dell'autore del fatto, o di suo respingimento alla frontiera ai sensi
dell'art. 10, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998; 
        che,  a  fronte  di  tale  previsione,  l'applicazione  della
sanzione penale finirebbe, infatti, per dipendere dalla  circostanza,
del  tutto  indipendente  dalla   volonta'   dello   straniero,   che
l'autorita' amministrativa non riesca - anche per ragioni inerenti  a
proprie  scelte  organizzative  -  a  eseguire  l'espulsione   o   il
respingimento prima della condanna; 
        che nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il  quale  ha  chiesto  che  la
prima censura sia dichiarata infondata e la seconda inammissibile per
difetto di rilevanza; 
        che l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 e' sottoposto  a
scrutinio di costituzionalita', in riferimento agli artt. 3, 24,  25,
27 e 97 Cost., anche dal Giudice di pace di  Pordenone,  con  tredici
ordinanze, di analogo tenore, emesse l'8 ottobre 2009 (r.o. n. 82, n.
83, n. 84, n. 85, n. 86, n. 87, n. 88, n. 89, n. 90, n. 91, n. 92, n.
93 e n. 94 del 2010), nell'ambito di altrettanti processi penali  nei
confronti di cittadini extracomunitari imputati della contravvenzione
prevista  dalla  norma  censurata,  perche'   si   trattenevano   nel
territorio dello Stato in violazione delle  disposizioni  di  cui  al
citato d.lgs. n. 286 del 1998; 
        che, secondo il rimettente, la norma censurata si porrebbe in
contrasto con il principio  di  necessaria  offensivita'  del  reato,
violando conseguentemente gli artt. 3, 24, 25 e 27  Cost.:  cio',  in
quanto il mancato possesso di un titolo abilitativo  alla  permanenza
nello Stato, che essa reprime, non potrebbe considerarsi, di per se',
sintomatico di una particolare pericolosita' sociale dello straniero,
ne' la mera condizione di «irregolarita'»  sarebbe  «idonea  a  porre
seriamente in pericolo la sicurezza pubblica»; 
        che verrebbe leso, inoltre, il principio di  irretroattivita'
della norma incriminatrice (art. 25, secondo comma, Cost.),  giacche'
il denunciato art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 - nel reprimere,
accanto  alla  condotta  di  ingresso  irregolare,  anche  quella  di
illecito trattenimento nel territorio dello Stato -  sottoporrebbe  a
pena anche condotte poste in  essere  prima  dell'entrata  in  vigore
della legge n. 94 del 2009; 
        che risulterebbero violati, ancora, i principi di eguaglianza
e di ragionevolezza (art. 3  Cost.),  stante  la  mancata  previsione
della non configurabilita' del reato in presenza di un  «giustificato
motivo»: previsione che si  rinviene,  invece,  nell'art.  14,  comma
5-ter, del d.lgs. n. 286  del  1998,  in  rapporto  alla  piu'  grave
ipotesi delittuosa ivi delineata; 
        che irrazionale, e dunque  lesiva  l'art.  3  Cost.,  sarebbe
anche la negazione agli imputati della  contravvenzione  in  esame  -
benche' punita con la sola ammenda -  della  possibilita'  di  fruire
dell'oblazione (art. 10-bis, comma 1, secondo periodo, del d.lgs.  n.
286 del 1998); 
        che, sotto diverso  profilo,  la  circostanza  che  il  campo
applicativo della nuova figura di reato si sovrapponga  integralmente
a quello del  preesistente  istituto  dell'espulsione  amministrativa
renderebbe palese l'«assoluta irragionevolezza» dell'incriminazione e
la sua incompatibilita' con il  principio  di  «proporzionalita'»,  a
fronte del quale la sanzione penale dovrebbe essere  utilizzata  solo
in mancanza di altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo; 
        che la  nuova  incriminazione  si  porrebbe,  da  ultimo,  in
contrasto col principio di buon andamento dei pubblici  uffici  (art.
97 Cost.), venendo a gravare gli  uffici  giudiziari  di  un  pesante
carico di lavoro senza alcuna utilita' concreta; 
        che la prevista pronuncia di una  sentenza  di  non  luogo  a
procedere nel caso di  avvenuta  espulsione  dello  straniero,  salva
l'applicazione dell'art. 345 cod. proc.  pen.  nel  caso  di  rientro
illegale in Italia prima della scadenza del  divieto  di  reingresso,
rischierebbe, infatti,  di  innescare  una  sequenza,  potenzialmente
infinita, di processi per il medesimo fatto conclusi con sentenze  di
proscioglimento poi revocate; 
        che, d'altro canto, nel caso  di  condanna,  l'applicabilita'
allo straniero dell'espulsione come sanzione  sostitutiva  (art.  16,
comma  1,  del  d.lgs.  n.  286  del  1998)  farebbe  si'  che  dalla
celebrazione del processo penale non derivi  alcun  risultato  utile,
ulteriore e diverso rispetto a quello gia' conseguibile in base  alla
previgente disciplina dell'espulsione amministrativa; 
        che nel giudizio relativo all'ordinanza r.o. n. 82  del  2010
e'  intervenuto   il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha chiesto che le questioni siano dichiarate infondate; 
        che, con ordinanza emessa il 24 dicembre 2009 (r.o. n. 97 del
2010), nell'ambito  di  un  processo  penale  nei  confronti  di  sei
cittadini extracomunitari  imputati  della  contravvenzione  prevista
dalla norma censurata, il Giudice di pace di Taranto ha sollevato, in
riferimento agli artt. 2, 3, 10, 25, 27 e  117  Cost.,  questioni  di
legittimita'  costituzionale,  oltre  che  dell'art.  10-bis,   anche
dell'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del  1998,  come  modificato
dall'art. 1, commi 16, lettera b), e 22, lettera o), della  legge  n.
94 del 2009, e dell'art. 62-bis del d.lgs. 28  agosto  2000,  n.  274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a  norma
dell'articolo 14 della legge 24  novembre  1999,  n.  468),  aggiunto
dall'art. 1, comma 17, lettera d), della medesima  legge  n.  94  del
2009; 
        che, a parere del giudice a quo, la norma  incriminatrice  di
cui all'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 - formulata in  chiave
di mera disobbedienza alle norme che regolano i  flussi  migratori  -
violerebbe i principi di materialita' e  di  necessaria  offensivita'
del  reato,  desumibili   dall'art.   25,   secondo   comma,   Cost.,
sottoponendo a pena una mera condizione personale dello straniero non
lesiva di alcun bene meritevole di tutela, quale quella  connessa  al
mancato  possesso  di  un  titolo  abilitativo  all'ingresso  e  alla
permanenza nel territorio italiano; 
        che la nuova figura criminosa violerebbe, altresi', l'art.  2
Cost.,  poiche'  la  repressione   indiscriminata   dell'immigrazione
irregolare  provocherebbe   un   mutamento   dell'atteggiamento   dei
cittadini in senso contrario al principio di solidarieta', che  esige
la «promozione di coloro che versano in condizioni svantaggiate»; 
        che fonte di  una  irragionevole  disparita'  di  trattamento
(art. 3 Cost.) e di un vulnus al principio di colpevolezza  (art.  27
Cost.) risulterebbe, poi, la mancata previsione  dell'«esimente»  del
«giustificato motivo», contemplata  invece  in  rapporto  all'analoga
ipotesi delittuosa di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286
del 1998; 
        che  l'art.  3  Cost.  risulterebbe  leso  anche   a   fronte
dell'assoggettamento della nuova fattispecie contravvenzionale - come
conseguenza della sua devoluzione alla competenza del giudice di pace
- a un regime sanzionatorio piu' gravoso di quello  previsto  per  il
delitto    dianzi    indicato,    avuto    riguardo,    in    specie,
all'impossibilita' di fruire del  trattamento  premiale  connesso  ai
riti speciali e della sospensione condizionale della pena (artt. 2  e
60 del d.lgs. n. 274 del 2000); 
        che anche  il  trattamento  sanzionatorio  della  fattispecie
criminosa risulterebbe, nel suo complesso, irrazionale; 
        che  la  pena  pecuniaria  per  essa  comminata   resterebbe,
infatti, priva di qualsiasi efficacia  deterrente  nei  confronti  di
persone, quali gli immigrati irregolari, costrette a lasciare la loro
terra da condizioni di vita insostenibili; 
        che  affatto   ingiustificata   risulterebbe,   inoltre,   la
negazione all'imputato del  reato  in  esame  della  possibilita'  di
beneficiare dell'oblazione, diversamente da quanto avviene per  tutte
le fattispecie analoghe di natura contravvenzionale; 
        che, ancora, l'art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286  del  1998
prevede che il  giudice  possa  sostituire  la  pena  pecuniaria  con
l'espulsione  e,  dunque,  con  una  misura  piu'  grave  della  pena
sostituita, in quanto incidente  sulla  liberta'  personale:  il  che
comprometterebbe anche la finalita' rieducativa della  pena,  sancita
dall'art. 27 Cost.; 
        che la nuova incriminazione apparirebbe, peraltro, di per se'
priva  di  giustificazione,  in  quanto  l'espulsione  dell'immigrato
irregolare e' gia' prevista in via amministrativa: donde l'inutilita'
del ricorso allo strumento penale, tanto piu' evidente a  fronte  del
disposto del comma 5 dell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998,  in
forza della quale il giudice e' tenuto a pronunciare sentenza di  non
luogo a procedere quando abbia avuto notizia dell'avvenuta esecuzione
dell'espulsione; 
        che la norma censurata violerebbe, inoltre, l'art. 10  Cost.,
ponendosi in contrasto con i  principi  in  materia  di  immigrazione
sanciti  dalle   norme   di   diritto   internazionale   generalmente
riconosciute:  principi  alla  luce  dei  quali  la  condizione   del
migrante, anche «non regolare», andrebbe guardata «con comprensione e
benevolenza», non trattandosi di un criminale, certo o possibile,  ma
di un essere umano che abbandona la propria  terra  alla  ricerca  di
migliori condizioni di vita; 
        che l'incriminazione violerebbe, infine,  l'art.  117  Cost.,
risultando incompatibile con le previsioni degli artt.  5  e  16  del
Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la
criminalita' organizzata transnazionale per  combattere  il  traffico
illecito di migranti, adottato il 15 dicembre 2000; 
        che il citato strumento internazionale,  nell'impegnare  ogni
Stato aderente a conferire carattere di reato a una serie di condotte
attinenti al traffico dei  migranti  (art.  6),  statuisce,  infatti,
all'art. 5, che «i migranti  non  diventano  assoggettati  all'azione
penale fondata sul presente protocollo per il fatto di  essere  stati
oggetto delle condotte di cui all'art. 6»; mentre il successivo  art.
16 obbliga gli Stati contraenti a prendere «misure adeguate, comprese
quelle di carattere  legislativo  se  necessario,  per  preservare  e
tutelare i  diritti  delle  persone  che  sono  state  oggetto  delle
condotte  di  cui  all'art.  6»,  nonche'  a  fornire  «un'assistenza
adeguata ai migranti la cui vita, o incolumita', e' in  pericolo  dal
fatto di essere stati oggetto» di dette condotte; 
        che,  ad  avviso  del  rimettente,  le  questioni   sollevate
sarebbero rilevanti, «perche' il  loro  accoglimento  [...],  con  la
conseguente   declaratoria   di   incostituzionalita'   delle   norme
denunciate, comporterebbe l'assoluzione degli imputati»; 
        che con altra ordinanza di rimessione  del  5  febbraio  2010
(r.o. n. 166 del 2010), il Giudice di pace di  Taranto  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del
1998 in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 27 e 117 Cost.; 
        che il giudice  a  quo  riferisce  di  essere  investito  del
processo penale nei confronti di quattro  cittadini  extracomunitari,
sottoposti a controllo dalla Polizia di  Stato  il  7  gennaio  2010,
mentre percorrevano a piedi, a gruppi di due e in direzioni  opposte,
la corsia di emergenza  dell'autostrada  Bari-Taranto:  controllo  in
esito al quale - dopo l'identificazione degli stranieri  (avendo  tre
di essi fornito false  indicazioni  o  mostrato  falsi  documenti  di
identita') - gli stessi erano stati tratti a giudizio per  rispondere
della contravvenzione prevista dall'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del
1998, per avere fatto ingresso e, comunque,  per  essersi  trattenuti
illegalmente nel territorio dello Stato; 
        che, ad avviso del giudice a  quo,  la  norma  incriminatrice
censurata si porrebbe in contrasto con  l'art.  3  Cost.,  risultando
priva  di  fondamento  razionale:  alla  luce  della  sua  disciplina
complessiva,  essa  sarebbe  infatti  finalizzata  essenzialmente  ad
espellere lo straniero illegittimamente presente nel territorio dello
Stato; obiettivo peraltro  gia'  conseguibile  con  la  procedura  di
espulsione amministrativa, avente il medesimo ambito applicativo; 
        che, sotto diverso profilo,  l'attribuzione  al  giudice  del
potere di sostituire la pena pecuniaria con una sanzione notevolmente
piu' afflittiva, quale l'espulsione per un periodo  non  inferiore  a
cinque  anni,  determinerebbe   una   irragionevole   disparita'   di
trattamento degli autori della contravvenzione in esame rispetto agli
altri soggetti ai quali, in base all'art. 16, comma 1, del d.lgs.  n.
286 del 1998, puo' essere applicata la predetta sanzione  sostitutiva
(condannati per reato non colposo a una pena detentiva non  superiore
a due  anni,  ove  non  ricorrano  le  condizioni  per  ordinarne  la
sospensione condizionale); 
        che la comminatoria  della  pena  dell'ammenda  risulterebbe,
inoltre,  priva  di  ogni  efficacia  deterrente  nei  confronti  dei
migranti irregolari, normalmente  insolvibili,  ne'  potrebbe  essere
utilmente convertita nelle misure  del  lavoro  sostitutivo  o  della
permanenza domiciliare, trattandosi di soggetti  privi  di  domicilio
stabile; 
    che lesiva dell'art. 3 Cost. sarebbe anche la mancata  previsione
della  non  punibilita'  del  fatto  commesso  in  presenza   di   un
«giustificato motivo», diversamente da quanto stabilito  in  rapporto
alla piu' grave fattispecie delittuosa  di  cui  all'art.  14,  comma
5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998; 
        che la norma denunciata si  porrebbe,  per  altro  verso,  in
contrasto con l'art. 27 Cost.: essa violerebbe, infatti,  i  principi
di materialita' e necessaria offensivita' del reato,  sottoponendo  a
pena, non gia' una condotta, ma un mero «status» personale  -  quello
di  straniero  «irregolare»  -  del  quale  verrebbe  arbitrariamente
presunta ex lege la pericolosita' sociale; 
    che la norma incriminatrice si presterebbe,  inoltre,  a  colpire
anche gli stranieri che gia' si trovavano  irregolarmente  in  Italia
alla data di entrata in  vigore  della  novella  legislativa  e  che,
pertanto, al momento della commissione del fatto, non potevano  avere
la consapevolezza di violare la legge penale; 
        che  contrastante  con  l'art.  27  Cost.  sarebbe  anche  la
previsione in forza della quale il giudice deve pronunciare  sentenza
di  non  luogo  a  procedere  nel  caso  in  cui,  per  effetto   del
provvedimento di espulsione del  prefetto,  lo  straniero  sia  stato
materialmente allontanato dal territorio dello Stato:  trattandosi  -
secondo il rimettente - dell'«unico  caso  in  cui  il  provvedimento
amministrativo prevale sull'azione penale»; 
        che la norma censurata lederebbe,  ancora,  l'art.  2  Cost.,
giacche' - rendendo configurabile una  responsabilita'  a  titolo  di
concorso nel reato a carico di chiunque  presti  aiuto  all'immigrato
irregolare - impedirebbe l'esplicazione di ogni forma di solidarieta'
nei suoi confronti e renderebbe, di fatto, la «vita impossibile» allo
straniero, in contrasto con  la  garanzia  di  rispetto  dei  diritti
inviolabili dell'uomo; 
        che, da ultimo, la disposizione in esame violerebbe gli artt.
10 e 117 Cost., per incompatibilita'  con  le  gia'  ricordate  norme
internazionali pattizie di cui agli  artt.  5  e  16  del  Protocollo
addizionale  alla  Convenzione  delle   Nazioni   Unite   contro   la
criminalita' organizzata transnazionale per  combattere  il  traffico
illecito di migranti, adottato il 15 novembre 2000. 
    Considerato che le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni
identiche o analoghe, onde  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per
essere definiti con unica decisione; 
        che tutti  i  giudici  rimettenti  dubitano,  in  rapporto  a
plurimi parametri costituzionali, della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 10-bis del decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello  straniero);  mentre
il solo Giudice di pace di Taranto, con l'ordinanza r.o.  n.  97  del
2010, estende le sue censure all'art. 16, comma 1, del d.lgs. n.  286
del 1998 e all'art. 62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.
274 (Disposizioni sulla competenza penale  del  giudice  di  pace,  a
norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468); 
        che le tredici ordinanze di rimessione del Giudice di pace di
Pordenone e l'ordinanza r.o. n. 97 del 2010 del Giudice  di  pace  di
Taranto presentano carenze in punto di descrizione della  fattispecie
concreta e di motivazione  sulla  rilevanza  tali  da  precludere  lo
scrutinio nel merito delle questioni con esse sollevate; 
        che,  quanto  alla  descrizione  della  vicenda  concreta,  i
giudici a quibus si limitano,  infatti,  a  riportare,  nell'epigrafe
delle ordinanze di rimessione, il capo di imputazione:  il  quale  si
risolve, peraltro, nella sostanza, in una mera e  generica  parafrasi
della norma incriminatrice; 
        che i medesimi giudici rimettenti affermano, al tempo stesso,
la rilevanza delle questioni in termini puramente assiomatici; 
        che manca, per  converso,  ogni  concreta  indicazione  sulle
vicende  oggetto  dei  giudizi  a  quibus  e  sulla  loro   effettiva
riconducibilita' al paradigma punitivo considerato, atta a permettere
la verifica dell'asserita rilevanza delle  questioni,  sia  nel  loro
complesso che in rapporto alle singole censure prospettate; 
        che le questioni vanno dichiarate,  pertanto,  manifestamente
inammissibili, conformemente a quanto gia' reiteratamente  deciso  da
questa Corte in situazioni analoghe (ordinanze n. 32, n. 13, n.  6  e
n. 3 del 2011; n. 343, n. 329, n. 320 e n. 253 del 2010); 
        che, a loro volta, le censure formulate dal Giudice  di  pace
di Lecco, sezione distaccata di Missaglia - il quale  pure  fornisce,
nell'ordinanza  di  rimessione,  una  sufficiente  descrizione  della
vicenda che ha dato origine  all'imputazione  -  sono  manifestamente
inammissibili per difetto di rilevanza; 
        che quanto,  infatti,  alla  censura  inerente  alla  mancata
previsione  della  non   punibilita'   del   fatto   di   illegittimo
trattenimento commesso per «giustificato motivo»,  nell'ordinanza  di
rimessione non e' stata prospettata,  neppure  con  riguardo  a  mere
allegazioni difensive, alcuna circostanza che, nel  caso  di  specie,
possa assumere rilievo quale «giustificato  motivo»  di  inosservanza
delle regole sul soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato
(ordinanza n. 318 del 2010); 
        che non e' significativa,  in  senso  contrario,  la  pretesa
inibizione,  per  effetto  dell'omissione  normativa  censurata,   di
iniziative   probatorie   della    difesa    volte    a    dimostrare
l'impossibilita' o la  difficolta'  per  l'imputato  di  lasciare  il
territorio  nazionale,  trattandosi  di  iniziative  che  lo   stesso
rimettente prospetta come meramente ipotetiche (ordinanza n. 318  del
2010); 
        che analoga considerazione  vale  in  rapporto  alla  seconda
censura, afferente al previsto obbligo  del  giudice  di  pronunciare
sentenza di non luogo a procedere nel  caso  di  avvenuta  esecuzione
dell'espulsione amministrativa o  di  respingimento  dello  straniero
alla frontiera; 
        che dall'ordinanza di rimessione  non  consta,  infatti,  che
l'imputato nel giudizio a quo  sia  stato  effettivamente  espulso  o
respinto, con conseguente carenza del presupposto  di  applicabilita'
della previsione normativa censurata (sentenza n. 250 del 2010); 
        che anche l'ordinanza r.o. n. 166 del  2010  del  Giudice  di
pace di Taranto e' sufficientemente motivata quanto alla  descrizione
della fattispecie; 
        che, tuttavia, le censure con essa formulate sono, a  seconda
dei casi, manifestamente infondate o manifestamente inammissibili; 
        che, in particolare, per quanto attiene alle censure volte  a
contestare globalmente la scelta di penalizzazione sottesa alla norma
denunciata, questa Corte ha gia' ritenuto insussistente la violazione
del principio di ragionevolezza  (art.  3  Cost.),  denunciata  sulla
scorta   della   considerazione   che   la    norma    incriminatrice
perseguirebbe,  nel  suo  complesso,  un  obiettivo  (allontanare  lo
straniero illegalmente presente  nel  territorio  dello  Stato)  gia'
realizzabile con la procedura di espulsione amministrativa, avente il
medesimo ambito applicativo; 
    che  la  sovrapposizione  della  disciplina   penale   a   quella
amministrativa e la circostanza che il legislatore abbia mostrato  di
«considerare l'applicazione  della  sanzione  penale  come  un  esito
"subordinato" rispetto alla materiale  estromissione  dal  territorio
nazionale dello straniero» non comportano  ancora,  infatti,  che  il
procedimento penale per il reato in esame rappresenti, a  priori,  un
mero "duplicato" della procedura  amministrativa  di  espulsione:  «e
cio', a tacer d'altro, per la ragione che - come l'esperienza attesta
- in un largo numero di  casi  non  e'  possibile,  per  la  pubblica
amministrazione,  dare   corso   all'esecuzione   dei   provvedimenti
espulsivi» (sentenza n. 250 del 2010, ordinanze n. 32 del 2011  e  n.
321 del 2010); 
        che  quanto,  poi,  all'asserita  lesione  dei  principi   di
materialita' e necessaria  offensivita'  del  reato,  denunciata  dal
rimettente in riferimento all'art.  27  Cost.,  anche  a  prescindere
dall'inconferenza del parametro evocato - particolarmente in rapporto
al principio di  materialita'  (desumibile  piuttosto  dall'art.  25,
secondo comma, Cost.) - questa Corte ha gia' avuto modo  di  rilevare
che oggetto dell'incriminazione non e' affatto «un  modo  di  essere»
della  persona,  quanto  piuttosto   uno   specifico   comportamento,
trasgressivo di norme vigenti, quale quello descritto dalle locuzioni
alternative  «fare  ingresso»  e  «trattenersi»  contra   legem   nel
territorio dello Stato (sentenza n. 250 del 2010,  ordinanza  n.  321
del 2010); 
        che, al tempo stesso, il bene giuridico protetto dalla  norma
incriminatrice e' agevolmente  identificabile  «nell'interesse  dello
Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori,  secondo  un
determinato assetto normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto
di tutela penale non puo' considerarsi irrazionale e arbitraria [...]
e che risulta, altresi', offendibile dalle  condotte  di  ingresso  e
trattenimento illegale dello straniero» (sentenza n. 250 del 2010); 
    che per quanto attiene, ancora, all'asserita lesione dell'art.  2
Cost., vale il rilievo che - per costante  giurisprudenza  di  questa
Corte - in materia di immigrazione, «le  ragioni  della  solidarieta'
umana non possono  essere  affermate  al  di  fuori  di  un  corretto
bilanciamento dei valori in gioco», rimesso alla discrezionalita' del
legislatore; in particolare, dette ragioni «non sono di  per  se'  in
contrasto con le  regole  in  materia  di  immigrazione  previste  in
funzione  di  un  ordinato  flusso  migratorio   e   di   un'adeguata
accoglienza degli stranieri»: e cio'  nella  cornice  di  un  «quadro
normativo [...] che vede regolati in modo diverso - anche  a  livello
costituzionale (art. 10,  terzo  comma,  Cost.)  -  l'ingresso  e  la
permanenza degli stranieri nel Paese, a  seconda  che  si  tratti  di
richiedenti il diritto di asilo o rifugiati, ovvero di c.d. "migranti
economici"» (sentenza n. 250 del 2010, ordinanza n. 32 del 2011); 
        che le  ragioni  della  solidarieta'  trovano  d'altro  canto
espressione - oltre che nella disciplina dei divieti di espulsione  e
di    respingimento    e    del    ricongiungimento    familiare    -
nell'applicabilita', allo straniero irregolare, della  normativa  sul
soccorso al rifugiato e  la  protezione  internazionale,  di  cui  al
d.lgs.  19  novembre  2007,  n.  251  (Attuazione   della   direttiva
2004/83/CE recante norme minime  sull'attribuzione,  a  cittadini  di
Paesi terzi o apolidi, della qualifica  di  rifugiato  o  di  persona
altrimenti bisogna di protezione internazionale, nonche' norme minime
sul contenuto della  protezione  riconosciuta),  fatta  espressamente
salva dal comma 6 dello stesso art. 10-bis del d.lgs. 286  del  1998,
che prevede la sospensione del procedimento penale per  il  reato  in
esame  nel  caso  di  presentazione   della   relativa   domanda   e,
nell'ipotesi di suo accoglimento, la pronuncia di una sentenza di non
luogo a procedere (sentenza n. 250 del  2010,  ordinanza  n.  32  del
2011); 
        che con riguardo, poi, allo specifico assunto del rimettente,
secondo il quale la  norma  censurata  renderebbe  configurabile  una
responsabilita' a titolo di concorso nel reato a carico di  chiunque,
anche per mera solidarieta', presti aiuto al migrante  irregolare  in
quanto persona bisognosa, va ulteriormente rilevato che il giudice  a
quo non tiene affatto conto della cosiddetta  scriminante  umanitaria
contemplata dall'art. 12, comma  2,  del  d.lgs.  n.  286  del  1998:
disposizione in forza della quale,  fermo  restando  quanto  previsto
dall'art. 54 del codice penale (e, dunque, anche al  di  fuori  delle
ipotesi  riconducibili  alla  scriminante  comune  dello   stato   di
necessita'), «non costituiscono reato  le  attivita'  di  soccorso  e
assistenza  umanitaria  prestate  in  Italia  nei   confronti   degli
stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti  nel  territorio
dello Stato»; 
        che,  pertanto,  tutte  tali  censure   sono   manifestamente
infondate; 
        che,  nel  resto,  relativamente  alle  questioni   volte   a
contestare specifiche articolazioni della  disciplina  sostanziale  o
processuale del reato in esame, questa Corte ha parimenti escluso che
sia censurabile  sul  piano  della  legittimita'  costituzionale,  in
rapporto al principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), la scelta  di
prevedere per detto reato la pena dell'ammenda; 
        che e' ben vero,  in  effetti,  che  tale  pena  presenta  un
ridotta  capacita'  dissuasiva,  a   fronte   della   condizione   di
insolvibilita'   in   cui   assai   spesso   (ma,    comunque,    non
indefettibilmente) versa il migrante irregolare e  della  difficolta'
di convertire la pena pecuniaria ineseguita in lavoro  sostitutivo  o
in obbligo di permanenza domiciliare (art. 55 del d.lgs. n.  274  del
2000), risultando il condannato  spesso  privo  di  fissa  dimora  e,
comunque, non abilitato a risiedere legalmente in Italia; 
        che «simili valutazioni - al pari di quella  attinente,  piu'
in   generale,al   rapporto   fra   "costi   e   benefici"   connessi
all'introduzione della nuova figura criminosa, rapporto secondo molti
largamente deficitario [...] - attengono, tuttavia,  all'opportunita'
della  scelta  legislativa  su  un  piano  di  politica  criminale  e
giudiziaria:  piano   di   per   se'   estraneo   al   sindacato   di
costituzionalita'» (sentenza n. 250 del 2010,  ordinanze  n.  32  del
2011 e n. 321 del 2010); 
        che manifestamente inammissibili  per  difetto  di  rilevanza
risultano, d'altro canto, le censure di violazione dell'art. 3 Cost.,
per assenza nella descrizione del fatto  incriminato  della  clausola
«senza giustificato motivo», e di violazione dell'art. 27  Cost.,  in
rapporto alla prevista declaratoria del non  luogo  a  procedere  per
avvenuta espulsione dello straniero; 
        che  anche  nel   frangente,   infatti,   dall'ordinanza   di
rimessione non consta ne' che nel caso di specie ricorrano situazioni
qualificabili come «giustificato motivo» di inosservanza del precetto
(ordinanza n. 318 del  2010);  ne'  che  gli  imputati  nel  giudizio
principale siano stati materialmente espulsi  (sentenza  n.  250  del
2010); 
        che analoga considerazione vale in riferimento  alla  censura
di violazione  degli  artt.  10  e  117  Cost.,  legata  all'asserito
contrasto dell'incriminazione censurata con gli  artt.  5  e  16  del
Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la
criminalita' organizzata transnazionale per  combattere  il  traffico
illecito di migranti, adottato il 15 dicembre 2000, ratificato e reso
esecutivo con legge 16 marzo 2006, n. 146; 
        che - a prescindere da ogni rilievo in ordine alla fondatezza
della doglianza - e' dirimente,  infatti,  la  constatazione  che  il
rimettente non ha dedotto che, nella fattispecie concreta  sottoposta
al suo vaglio, ricorra il presupposto di applicabilita'  delle  norme
internazionali pattizie evocate: vale a dire, che  gli  imputati  nel
giudizio a quo siano stati oggetto  delle  condotte  di  traffico  di
migranti descritte dall'art. 6 del citato Protocollo (ordinanza n  32
del 2011); 
        che manifestamente  inammissibile  e'  anche  la  censura  di
violazione dell'art. 27 Cost., per l'asserita attitudine della  norma
incriminatrice  a  punire   anche   gli   stranieri   gia'   presenti
irregolarmente in Italia prima dell'entrata in vigore della legge  n.
94 del 2009:  cio'  in  quanto  -  indipendentemente  da  ogni  altra
considerazione - il rimettente non specifica se gli imputati  versino
concretamente  in  detta  situazione,  con  conseguente  difetto   di
motivazione sulla rilevanza; 
        che manifestamente inammissibile per inconferenza della norma
denunciata e', da ultimo, la censura, formulata in rapporto  all'art.
3 Cost., che investe la prevista facolta' del giudice  di  sostituire
la pena pecuniaria comminata per la contravvenzione in esame  con  la
misura dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni; 
        che prescindendo, di nuovo, da ogni considerazione di merito,
la lesione costituzionale denunciata non deriva,  infatti,  dall'art.
10-bis del d.lgs.  n.  286  del  1998  -  unica  norma  sottoposta  a
scrutinio dall'ordinanza di rimessione in esame - ma  semmai  sarebbe
recata  da  norme  distinte,  non   coinvolte   nella   denuncia   di
incostituzionalita',  che  recano  la  disciplina  fatta  oggetto  di
censura (art. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 e  art.  62-bis
del d.lgs. n. 274 del 2000) (sentenza n. 250 del 2010,  ordinanza  n.
32 del 2011); 
        che, pertanto, tali  ulteriori  censure  sono  manifestamente
inammissibili. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.