IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 968 del 2010, proposto da  Mtste,  rappresentato  e
difeso dall'avv. Paolo Folco, con domicilio eletto presso  lo  studio
del medesimo, in Torino, via Duchessa Jolanda, 34; 
    Contro Questura di Torino; 
    Per l'annullamento del provvedimento del Questore della Provincia
di Torino, emesso in data 7 maggio 2010 e notificato al ricorrente in
data 26 maggio 2010, con il quale veniva disposto  il  rigetta  della
domanda volta ad ottenere la conversione del permesso di soggiorno ai
sensi dell'art. 32 d.lgs. n.  286/1998  gia'  rilasciato  per  minore
eta', ai sensi dell'art. 19 del medesimo testo normativo, e  di  ogni
altro  atto  antecedente,  successivo,  dipendente,   presupposto   o
comunque connesso; 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 24 novembre 2010 la
dott.ssa Manuela Sinigoi e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Il  ricorrente  ha   impugnato   innanzi   a   questo   Tribunale
Amministrativo Regionale il decreto del Questore della  Provincia  di
Torino in data 7 maggio 2010 - prot. n. 522/2010, con  cui  e'  stata
rigettata la sua istanza tesa ad ottenere la conversione del permesso
di soggiorno  da  «minore  eta'»  a  «attesa  occupazione»  ai  sensi
dell'art. 32 del d.lgs. n. 286/1998; 
    Ai  fini   che   qui   interessano,   espone   d'essere   entrato
clandestinamente  in  Italia  in  data  31  dicembre   2008,   ancora
minorenne, con il consenso dei propri genitori e d'aver  ottenuto  in
data 27 aprile 2009 il rilascio  di  un  permesso  di  soggiorno  per
minore eta', valido sino al compimento del 18° anno (30 luglio 2009); 
    Dalla documentazione versata in atti si evince, inoltre,  che  il
Giudice Tutelare del Tribunale di Torino, con provvedimento  in  data
10 giugno 2009, ha affidato l'allora minore Isiem allo  zio  paterno,
consanguineo,  Maahk,  al  quale,   ancor   prima   della   decisione
giudiziale, la stessa  madre,  con  dichiarazione  resa  in  data  20
gennaio 2009 innanzi al notaio Sag dell'Ufficio Notarile  di  Ekek K.
(Egitto) (N. Repertorio A 396 del 20 gennaio 2009), aveva formalmente
affidato il proprio figliuolo; 
    Risulta, altresi', che dopo il compimento della maggiore eta'  il
ricorrente abbia trovato una stabile occupazione lavorativa; 
    All'udienza del 13 ottobre 2010 si e' costituito in  giudizio  il
Ministero dell'interno con il patrocinio dell'Avvocatura distrettuale
dello Stato di Torino, con dichiarazione resa a verbale, chiedendo il
rigetto del ricorso; 
    All'esito dell'udienza camerale del giorno 24  novembre  2010  il
Collegio ha ritenuto di sollevare d'ufficio questione di legittimita'
costituzionale in relazione alla  norma  oggetto  d'applicazione  con
l'atto impugnato e, con separata ordinanza n. 865/2010 ha disposto la
sospensione cautelare dell'atto medesimo sino alla  prima  camera  di
consiglio  successiva  alla  restituzione  degli  atti  relativi   al
giudizio da parte della Corte costituzionale. 
 
                            D i r i t t o 
 
    Il Collegio  ritiene  sussistenti  i  presupposti  per  sollevare
d'ufficio questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  32,
commi 1 e 1-bis, del d.lgs.  25  luglio  1998,  n.  286,  cosi'  come
modificati dalla lettera v) del comma 22 dell'art. 1, legge 15 luglio
2009, n. 94, limitatamente alla parte in cui annoverano tra i  minori
(stranieri) «non accompagnati» coloro  che  sono  stati  affidati  ai
sensi dell'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184,  ovvero  che
sono stati sottoposti a tutela e,  conseguentemente,  subordinano  la
possibilita' per i medesimi  di  ottenere,  al  raggiungimento  della
maggiore eta', la conversione del  titolo  di  soggiorno  da  «minore
eta'» a  «attesa  occupazione»  al  possesso  dei  requisiti  che  la
previgente  disciplina  richiedeva  unicamente  per  i   minori   non
accompagnati. 
    Dispone, infatti, il primo  comma  della  norma  citata  che  «Al
compimento della maggiore eta', allo straniero nei cui confronti sono
state applicate le disposizioni di cui all'articolo 31, commi 1 e  2,
e, fermo restando quanto previsto dal comma 1-bis, ai minori che sono
stati affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n.
184, puo' essere rilasciato un permesso di soggiorno  per  motivi  di
studio di accesso al lavoro, di lavoro subordinato  o  autonomo,  per
esigenze sanitarie o di cura. Il permesso di soggiorno per accesso al
lavoro prescinde dal possesso dei requisiti di cui all'articolo 23». 
    Precisa, quindi, il comma 1-bis che «Il permesso di soggiorno  di
cui al comma 1 puo'  essere  rilasciato  per  motivi  di  studio,  di
accesso al  lavoro  ovvero  di  lavoro  subordinato  o  autonomo,  al
compimento della maggiore eta', sempreche' non  sia  intervenuta  una
decisione del Comitato per i minori stranieri di cui all'articolo 33,
ai minori stranieri non accompagnati, affidati ai sensi dell'articolo
2 della legge 4 maggio 1983, n. 184, ovvero sottoposti a tutela,  che
siano stati ammessi per un periodo non inferiore a  due  anni  in  un
progetto di integrazione sociale e civile gestito da un ente pubblico
o privato che abbia  rappresentanza  nazionale  e  che  comunque  sia
iscritto nel registro istituito presso la  Presidenza  del  Consiglio
dei Ministri ai sensi dell'articolo 52  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394». 
    Contrariamente  a  quanto  ritenuto  da  parte   ricorrente,   la
richiamata normativa non  puo'  ritenersi  applicabile  solo  per  il
futuro ovvero solo nei confronti degli stranieri minorenni entrati in
Italia, dotati di  un  permesso  di  soggiorno  per  minore  eta'  ed
affidati ai sensi dell'art. 2 della legge n.  184/1983  dopo  la  sua
entrata in vigore. 
    In base al principio tempus  regit  actum  devesi,  invero,  fare
riferimento   alla   normativa   vigente   al    momento    in    cui
l'Amministrazione formalizza la propria decisione. 
    Sicche', il ricorrente  non  puo'  beneficiare  della  previgente
(piu' favorevole) disciplina, in base alla  quale  era  pacificamente
riconosciuta  la  possibilita'  ai  minori  «comunque»  affidati   di
ottenere, al raggiungimento della maggiore eta', la  conversione  del
titolo di soggiorno posseduto. 
    E' evidente,  quindi,  l'inconsistenza  della  unica  censura  di
gravame  e  la  rilevanza  ai  fini  della  decisione  della  domanda
cautelare e del merito della questione di costituzionalita' dei commi
1 e 1-bis dell'art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, cosi'  come
modificati dalla lettera v) del comma 22 dell'art. 1, legge 15 luglio
2009, n. 94, per contrasto con gli artt. 3, 10, comma 1, e 117, comma
1, della Costituzione. 
    Non potendosi  condividere  l'assunto  del  ricorrente,  per  cui
devono ritenersi i commi 1 e 2 dell'art. 32 del d.lgs.  n.  286/1998,
per come modificati dalla legge  n.  94/1999,  applicabili  (come  ha
ritenuto il Ministero resistente) anche nei confronti di  coloro  che
sono entrati in Italia nel vigore della precedente disciplina, che li
assoggettava, secondo  la  giurisprudenza,  ad  un  trattamento  piu'
favorevole  della  nuova,  le  disposizioni  potrebbero   essere   in
contrasto  con  i  principi  di  ragionevolezza,   imparzialita'   ed
uguaglianza riferibili all'art. 3 della Costituzione e, al  contempo,
con le disposizioni di cui all'art. 10,  comma  1,  e  all'art.  117,
comma 1, della Costituzione. 
    Il precetto legislativo, oltre  ad  introdurre,  immotivatamente,
una nuova definizione  di  «minore  non  accompagnato»,  difforme  da
quella sino ad  allora  conosciuta  dal  diritto  comunitario  e  dal
diritto  nazionale,  appare  irrazionale  ed  arbitraria  e  tale  da
frustrare l'affidamento dell'interessato nella  sicurezza  giuridica,
elemento fondamentale dello stato di diritto (Corte cost. n. 349  del
1985, n. 36 del 1985, n. 210 del 1971, n. 822 del 1988,  n.  311  del
1995, n. 390 del 1995, n. 179 del 1996, n. 416 del 1999, n.  446  del
2002). 
    Non va dimenticato, infatti, che sino all'entrata in vigore della
novella legislativa lo status di «minore non accompagnato» veniva, in
realta',  riservato  unicamente  ai  minori  (presenti)  non   aventi
cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea  che,  non
avendo presentato domanda di asilo, si trovavano per qualsiasi  causa
nel territorio dello Stato privi di assistenza  e  rappresentanza  da
parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili
(e  fino  a  quando  non  avesse  assunto  effettivamente   il   loro
affidamento un adulto per  essi  responsabile)  in  base  alle  leggi
vigenti (nell'ordinamento italiano). 
    Chiarissime  e  pressoche'  coincidenti  appaiono,   invero,   le
definizioni di «minore non  accompagnato»  ritraibili  dalla  lettura
dell'art. 2, lett. h),  della  Direttiva  del  Consiglio  dell'Unione
europea del 27 gennaio 2003, n. 2003/9/CE  (recepita  in  Italia  con
d.lgs.  30  maggio  2005,  n.  140)  recante  norme  minime  relative
all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati  membri,  dell'art.
1, comma 1, della Risoluzione del Consiglio dell'Unione  europea  del
26 giugno 1997 sui minori non accompagnati, cittadini di paesi terzi,
e dell'art. 1, comma 2, del D.P.C.M. 9 dicembre 1999, n. 535  recante
il «Regolamento concernente i  compiti  del  Comitato  per  i  minori
stranieri, a norma dell'articolo 33, commi 2 e 2-bis, del  d.lgs.  25
luglio 1998, n. 286. 
    Inoltre, in relazione all'ambito  applicativo  dell'art.  32  del
d.lgs. n. 286/1998, nella previgente formulazione, la  giurisprudenza
aveva  chiarito  che  le   fattispecie   disciplinate   dalla   norma
riguardavano situazioni  diverse:  da  un  lato,  i  minori  comunque
affidati, che rientravano nel comma  1  della  norma,  dall'altro,  i
minori stranieri non accompagnati,  per  i  quali  erano  dettate  le
disposizioni  di  cui  ai  commi  1-bis  e   1-ter   della   medesima
disposizione, con la conseguenza che i presupposti  per  il  rilascio
del permesso di soggiorno nei confronti dei minori  non  accompagnati
erano diversi  da  quelli  richiesti  per  attribuire  il  titolo  di
soggiorno ai «minori comunque affidati» (cfr.  C.d.S.,  sez.  VI,  12
aprile 2005, n. 1681; Tar Emilia Romagna - Bologna, sez I, 23 ottobre
2003, n. 2334; Tar Piemonte, sez. II, 12 luglio 2006, n. 3814). 
    E  tale  interpretazione  era  stata   avvalorata   dalla   Corte
costituzionale, la quale nella sentenza 5 giugno 2003, n. 198,  aveva
confermato, per quanto di interesse, che la disposizione  di  cui  al
citato art. 32, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, laddove  prevede
la possibilita' di rilasciare il permesso di soggiorno agli stranieri
che  compiano  la  maggiore  eta'  e  che  siano  in  condizione   di
affidamento ai sensi dell'art. 31, commi 1 e 2, e ai minori  comunque
affidati ai sensi dell'articolo 2 della legge 4 maggio 1983, n.  184,
«viene pacificamente interpretata,  secondo  quanto  riconosce  anche
l'organo remittente,  come  relativa  ad  ogni  tipo  di  affidamento
previsto  dalla  legge  4  maggio  1983,   n.   184   e   cioe'   sia
all'affidamento "amministrativo'' di cui al primo comma dell'art.  4,
che all'affidamento "giudiziario'' di  cui  al  secondo  comma  dello
stesso articolo 4, sia anche all'affidamento di fatto di cui all'art.
9 della medesima legge». 
    La Corte aveva poi affermato che «la  disposizione  del  comma  1
dell'art. 32 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, va riferita anche  ai
minori stranieri sottoposti a tutela, ai sensi del Titolo X del Libro
primo del Codice civile, e che pertanto non si pone  un  problema  di
costituzionalita' di questa disposizione». 
    Il  diniego   della   conversione   del   titolo   di   soggiorno
all'interessato e a coloro che si trovano nella sua stessa situazione
ovvero agli stranieri - gia' entrati in Italia - che abbiano ottenuto
il permesso di  soggiorno  per  minore  eta'  e  siano  in  grado  di
documentare la sussistenza di una condizione di affidamento in  epoca
antecedente alla data di entrata in vigore della citata legge n.  94,
contrasta, in primo luogo, per le ragioni sopra esplicitate,  con  il
principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    Questo giudice non ignora  che  il  divieto  di  irretroattivita'
della legge non e' stato elevato a  precetto  costituzionale,  salva,
per la materia  penale,  la  previsione  di  cui  all'art.  25  della
Costituzione, cosi' come non ignora la ratio della modifica apportata
alle disposizioni in questione dal cd. «pacchetto sicurezza». 
    Pur tuttavia, ritiene che, nel caso di specie, l'irragionevolezza
della  disposizione  sia  da  rinvenirsi  -  tra  l'altro   -   nella
circostanza  che  i  su  indicati  soggetti,  avendo   legittimamente
confidato nella possibilita' di ottenere la conversione del titolo in
base alle disposizioni all'epoca  vigenti,  si  sono  trovati,  senza
colpa, nell'impossibilita' materiale e giuridica di  partecipare  e/o
concludere prima della sua entrata in vigore  (e  del  raggiungimento
della maggiore eta') il progetto di integrazione previsto dalla nuova
formulazione  del  citato  art.  32:   l'applicazione   della   nuova
disciplina a questi soggetti, che non potevano avere il tempo  minimo
necessario per maturare i requisiti da essa stabiliti, implicherebbe,
pertanto, un'efficacia retroattiva della disciplina stessa, la  quale
andrebbe ad incidere su posizioni preesistenti consolidate. 
    Contrasta, inoltre, con il principio  di  eguaglianza  riferibile
sempre all'art. 3 Cost., in quanto verrebbe a  comportare  un  uguale
trattamento di  situazioni  non  uguali,  non  potendosi,  a  rigore,
annoverare tra  i  minori  «non  accompagnati»  coloro  che  possono,
invece, documentare l'esistenza di una situazione di  affidamento  e,
quindi,  non  potendosi,  di  conseguenza,  applicare   la   medesima
disciplina a soggetti che si trovano  in  condizioni  sostanzialmente
difformi. 
    Contrasta, infine, con gli artt. 10, comma 1,  e  117,  comma  1,
della  Cost.,  in  quanto  la  (nuova)  definizione  di  «minore  non
accompagnato», di fatto  introdotta  dalle  disposizioni  di  cui  si
assume l'illegittimita', si pone in contrasto con quella  chiaramente
enunciata dall'art.  2,  lett.  h),  della  Direttiva  del  Consiglio
dell'Unione  europea  del  27  gennaio  2003,  n.  2003/9/CE  (e  non
puntualmente recepita dal legislatore nazionale) e dall'art. 1, comma
1, della Risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 26  giugno
1997, di  cui  innanzi  s'e'  detto,  nonche'  con  il  principio  di
«sviluppo e consolidamento dello stato  di  diritto»,  ritraibile  da
numerose norme internazionali e comunitarie.